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Roma: Dalla Cesarina ad Alberto Colacchio

By October 25, 2015 14203

“Al 59”. Ricordi e radici legati alla Dolce Vita di Fellini

“Andar per locande” è sempre stata la mia passione. Per questo mi identifico spesso con Quinto Ennio (200 a.C.), il poeta degli Scipioni, che spesso amava frequentare gli allora famosi Thermopolium e le Tabernae, scrivendo i suoi Hedyphagetica. Unire la poesia ai piaceri della tavola. Scrivere ed insegnare che deve esistere anche una educazione alimentare. Non mangiare per vivere ma valorizzare ed apprezzare i cibi. Come meglio di un poeta poteva, già allora, impersonificare un moderno gourmand?

Oggi è ancora possibile varcare l’ingresso di un ristorante e respirare da subito l’atmosfera della buona cucina in un ambiente gradevole dove noti che ogni dettaglio ne racconta la Storia. Quei ricordi dettati dalle radici in una visione contemporanea.

Mi è successo di recente a Roma presso il Ristorante “Al 59”, in via Angelo Brunetti nel cuore della capitale poco distante dalla centralissima Piazza del Popolo. I ricordi legati al primo locale dalla Cesarina” in via Piemonte, ritrovo e luogo d’incontro di persone legate allo spettacolo e alla cultura e in particolare di tutti i romagnoli romani come il regista Federico Fellini che lo frequentò fin dal suo arrivo nella capitale. “Per tutta la sua vita Fellini fu trattato come un figlio, ave 

va sempre un tavolo riservato, anche quando Cesarina decise di spostare la sua attività a via Brunetti”. Così raccontano i camerieri, tra una portata e l’altra, con estrema cortesia ed efficienza. Le radici della buona cucina romagnola mai negate anche nella nuova gestione di Alberto Colacchio, Immagineromano ma con origini campane e abruzzesi. Un mix di territorialità che oggi influenzano il suo stile di cucina. Un prodotto di quella ITALIAN GENIUS ACADEMY, la scuola professionale di Alta Cucina Italiana, che annovera tra docenti e collaboratori noti chef del calibro di Carlo Cracco, Massimo Bottura, Angelo Dandini e altri.

Cesarina

Quando rilevò “Al 59” capì da subito che il “marchio del ristorante della Dolce Vita” doveva rimanere come riferimento e ripartì da quei piatti che lo resero famoso in quegli anni. Una nuova cucina romagnola sussurata senza osare oltre: il che, a volte risulta un pregio e così è stato. Un passo dopo l’altro verso quella visione di contemporaneità che altro non è che il cambiamento nella tradizione. Ci si ritrova di fronte ad una cucina di indiscussa finezza giocata sull’ottenimento dell’armonia. Concretezza, semplicità, autenticità senza contare quei pizzichi di fantasia, passione ed amore che rendono specia li tutti i suoi piatti.

Ed ecco sfilare davanti a me piatti d’entrée come tartare di spigola, tre volte ostrica, tartare di vera Fassona, i supplì, le tre consistenze di carciofo e la tradizionale passatina di ceci. Assistere al passaggio dei primi piatti come il romano tagliatelle broccoli ed arzilla, tortellini fatti a mano in brodo alla romagnola, tortelloni di zucca, ricotta e spinaci, le immancabili amatriciana, carbonara e gricia della tradizione romana, un rivisitato primo fantasioso come tagliatelle di coda con cioccolato e la gramigna romagnola.

Ma sono i secondi piatti, fatti con sapiente manualità, a riportarci nei ricordi di una esperienza gastronomica mai fuori dagli schemi, condotta dallo chef 43534Alberto con il suo entusiasmo e voglia, allo stesso tempo, di sperimentare. Bollito misto emiliano-romagnolo con le salse tradizionali e nuove, saltimbocca alla romana rivisitati piacevolmente anche nella sostanza, involtini di spigola (a ricordare il Mare Adriatico) con

Passatina di ceci

rosta di patate allo zenzero (la voglia di sperimentare alla ricerca di nuovi equilibri gustativi), baccalà alla trasteverina (il pesce universale alla maniera della borgata romana) e l’immancabile parmigiana della nonna (forse un riferimento a Cesarina, nonna putativa del giovane Alberto).

“Il primo passo verso il miglioramento è non sentirsi mai arrivati”. Nonostante i riflettori della TV, i premi conquistati nei vari concorsi, gli elogi e le pacche sulle spalle con l’inevitabile “sei il migliore”, lo Chef Alberto Colacchio non ha smesso di studiare e confrontarsi con altre tecniche anche fuori dei confini nazionali. Perché misurarsi con altre tecniche di altre realtà rende bene l’idea del suo impegno.

Si sta bene “Al 59” e non è cosa da poco.

Pensiero finale da riportare nei miei hedyphagetica:

“ Lo chef mi ha regalato piatti di alto livello nella sua semplicità; ma esco dal locale con la netta convinzione che Alberto viaggi ancora con il freno a mano tirato”. Chapeau!

Urano Cupisti

(provato in incognito nell’Ottobre 2015)  

 

 

 

 

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Last modified on Tuesday, 27 October 2015 23:25
Urano Cupisti

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