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Silvia Pietrovanni
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IL PENSIERO RELIGIOSO DI ALDO CAPITINI: SPIRITO ANTICLERICALE E “RELIGIONE APERTA”.

Venerdì, 01 Gennaio 2021 16:35

Soprattutto nei periodi cupi, come quello in cui ci sta capitando di vivere, può svolgere una funzione preziosa lo spostamento dell'obiettivo della nostra coscienza verso livelli più alti di quelli in cui siamo quotidianamente intrappolati, fagocitati dalle paure dilaganti, in modo da entrare in contatto con le meditazioni dei grandi spiriti dell'umanità, in merito alle grandi questioni della vita. Immergerci in un interiore colloquio con i pensieri migliori delle menti migliori può rappresentare, cioè, una sorta di salutare "igiene mentale" capace di spazzare via (almeno in parte) le dense ombre che riempiono la nostra visione delle cose e che avvelenano le nostre aspettative e speranze per il futuro.in un momento in cui ci sentiamo particolarmente in pericolo e sempre più isolati e concentrati sul nostro incerto destino personale, può risultare di grande utilità provare a prendere il largo e recarci a respirare aria sottile in alto mare, lasciandoci guidare e sospingere dalla luce che discende dalle anime di coloro che hanno saputo parlarci di Verità e di Amore in maniera straordinaria bella ed efficace. Ed è per questo motivo che, ai lettori ed amici di flipnews, mi accingo a proporre, anche come buon auspicio per il nuovo anno, alcune riflessioni e considerazioni in merito alla concezione filosofica di Aldo Capitini, raro maestro di nonviolenza, di nonmenzogna e di noncollaborazione, in merito alle problematiche religiose, problematiche solo apparentemente astratte e fumose,

Sacro di esclusione e sacro di apertura


“La religione non può essere accettazione, ripetizione, consacrazione del mondo com'è, ma riforma del mondo, azione dal profondo a sommuoverlo, a trasformarlo, a prepararlo (...) all'imminente realtà liberata. "
Aldo Capitini

Nella religiosità di Aldo Capitini, sempre liberamente e laicamente al di fuori da qualsivoglia etichetta, è possibile riscontrare un continuo e dinamico processo dialettico che lo sospinge contemporaneamente sia nella direzione della pars destruens sia in quella della pars construens, ovverossia, verso una critica dura e tagliente nei confronti delle religioni tradizionali (Chiesa cattolica in primis), da una parte, e verso la definizione e la promozione mistico-profetica di un modo alternativo di “vita religiosa”, dall'altra.
Il tipo di religione che viene sottoposto a severa critica e che viene rifiutato con vigore è espressione di quello che viene denominato "sacro di esclusione, di chiusura", da lui contrapposto al "sacro di apertura" 1).
Il primo è caratterizzato dal "venire dall'alto, con autorità e con assolutismo", dalla negazione della ricerca e dello "sviluppo nella fondazione dei valori", dal ritenere indispensabile l'accettazione acritica dei dogmi, dall'imporre di "credere come vere tante cose discutibili e tante leggende ", dal volere" la parrocchia totalitaria, con tutti uniti nello stesso credo, negli stessi sacramenti, nella stessa sudditanza al sacerdote, il quale mette paura con la visione dell'inferno, e getta fuori del castello chiuso, protetto dagli arcangeli, i peccatori nelle mani dei diavoli. "
Il secondo, invece, non ha bisogno di istituzioni sacerdotali, conferisce la massima rilevanza alla "voce della ragione nella coscienza", rappresenta "libera aggiunta del proprio animo di unità amore con tutti, sentendoli presenti ed immortali, anche se lontani e morti", "è rispetto delle opinioni di tutti" e rifiuta l'organizzazione "in parrocchie con la dannazione di chi non ha la stessa fede". 2)

“Ci salviamo tutti”: la menzogna dell'inferno


“Il principio fondamentale della religione aperta - afferma Capitini in modo apodittico, tornandoci e ritornandoci innumerevoli volte - è che ci salviamo tutti. Noi non possiamo vivere con il privilegio che ci salveremo noi se crederemo ai dogmi e se seguiremo i sacramenti, mentre gli altri andranno all'inferno. "3)
Il tema dell'inaccettabilità logica ed etica della dottrina cattolica dell'eternità delle pene, affrontato con grande veemenza e con instancabile caparbietà, potrebbe facilmente apparirci alquanto inattuale, quasi un vezzo illuministicheggiante di scarso interesse.Ma occorre, al contrario, tenere ben presente che sarà soltanto in epoca postconciliare che il mondo cattolico comincerà ad impegnarsi alacremente (pur senza mai eliminarlo dall'apparato dottrinale) nel mettere il più possibile in soffitta il concetto di dannazione eterna, con tutte le sue implicazioni, nella chiara consapevolezza di quanto in esso ci sia di estremamente imbarazzante e di palesemente “impopolare”.
Per avere conferma di ciò, ci si potrebbe anche limitare a consultare opere monumentali come, prima fra tutte, l'Enciclopedia Cattolica, portata a termine proprio nel corso degli anni cinquanta.
Per cui, non bisogna commettere l'errore di ritenere la battaglia di pensiero e la civiltà morale condotta da Capitini contro la dottrina delle pene infernali come qualcosa di secondario o, peggio, come espressione di un astioso and anacronistico anticlericalismo. Essa merita, altresì, di venir considerata come un tassello centrale della sua concezione filosofico-religiosa, perché dimostra quanto egli avesse lucidamente compreso quanto detta dottrina rappresenti l'elemento di massima separazione possibile non solo fra i defunti, bensì anche e soprattutto tra i viventi .Perché, oltre ad umiliare e corrompere sensibilità etica e attitudine all 'onestà intellettuale, essa finisce per inculcare una visione del destino del genere umano in cui non esiste e non potrà mai esistere alcuno spazio per la dimensione dell'Unità amore e dell' Uno-Tutti.
Quello che, innanzitutto, il Nostro si rifiuta di accettare, apparendogli “residuo di religione arcaica” è che “polizie e tribunali siano anche nelle mani di Dio”, senza alcuna speranza di che si possa produrre un effetto positivo:
"Dar colpi in eterno - scrive - a chi non può migliorare, mi sembra tale da inorridire al solo pensarlo e attribuirlo a Dio, perché non esiste una bestemmia più grossa. "
“Vi sembra un Dio padre - aggiunge - quello che dà il dolore non per purificare (quindi soltanto per un periodo di tempo), ma per punire, per sempre, in eterno, nella dannazione dell'inferno? "4)
E come non inorridire di fronte a quanto asserito da Tommaso d'Aquino in merito al tripudio che, a suo avviso, proverebbero i beati all 'atroce spettacolo delle sofferenze dei dannati?  “ Vi sembra - incalza - un padre quello che faccia soffrire in eterno? Qual carnefice o torturatore, lo faccia anche per giustizia, è arrivato a questo? "
Simili credenze andrebbero intese come vere e proprie offese a Dio (un "Dio che fa paura senza amare" e "che può dare un dolore eterno non purificante i dannati") 5) e sarebbe necessario adoperarsi per renderne consapevoli i credenti sinceri.
Credere nell'inferno come giusta condizione per coloro che rifiutato l'amore di Dio concretizzatosi nel sacrificio del Calvario implica un legare "Dio stesso a un'impossibilità", significa legarlo al rifiuto del peccatore "fino al punto che Dio si abbassa a costruire un inferno per i ribelli, dove non scenderà mai prendendo un'iniziativa di liberazione, perché quelli lo hanno rifiutato ", non aprendo mai, così," una nuova epoca "per vedere se quelli riusciranno mai ad emendarsi. 7)
La concezione di "un Dio raffinatissimo punitore che dà una sofferenza massima e perpetua, senza che si possa pensare che, per la sua onnipotenza, riapra un ciclo di possibilità di pentimento e di purificazione del peccatore" comporta il non rendersi conto del fatto che quel "Il rifiuto" è essenzialmente un "dramma per l'individuo", ma non "una cosa definitiva che investe tutto l'individuo (perché l'individuo nell'intimo è persona unita a tutti)", il quale non merito mai di essere identificato totalmente con il suo peccato.
"Non condannarmi, aiutami", supplica l'uomo. "8) Tanto che arriverà a dire, con evidenti echi origeniani, che

 
 Aldo Capitini


"Ognuno di noi pur peccatori, se fosse al posto di Dio, scenderebbe all'inferno e riaprirebbe un ciclo di storia ed altri cicli ancora, finché non ci fosse più un dannato." 9)
E non meno ripugnante risulta la concezione di un paradiso da cui i dannati saranno eternamente esclusi, un paradiso che perentoriamente viene giudicato come una "lega chiusa" dove si godrebbe una gioia perversa a cui parte dell'umanità mai potrebbe pervenire.
Al contrario, se “so che Dio salva tutti (cioè si dà pienamente come amore nella compresenza), - dice, cogliendo ed evidenziando magnificamente l'indissolubile corrispondenza fra piano teologico e piano antropologico - sarò lietamente preso dal far come Lui e amare riverentemente tutti .Non ci sarà più la distinzione tra eletti e dannati, ma, internamente a me, tra aprirmi a Dio-tutti-liberazione, e il chiudermi. "10)

DISCUTO LA RELIGIONE DI PIO XII


Certamente, l'opera capitiniana che più esplicitamente e sistematicamente sottopone la Chiesa cattolica ad un severissimo esame critico è Discuto la religione di Pio XII (1957), opera che risponde, “con semplicità e chiarezza” 11), ma senza alcun meschino risentimento, alla campagna di demonizzazione portata avanti dalle gerarchie vaticane nei suoi confronti, soprattutto in seguito alla messa all'indice di Religione aperta (1955).
Il 12 febbraio del '56, sulla prima pagina dell'Osservatore Romano, infatti, oltre al decreto di condanna, era apparso anche un editoriale dal titolo Disorientamento in cui, attentamente (quanto disonestamente) di entrare nel merito dei contenuti, si proponeva una goffa stroncatura dell'opera, inanellante una fitta serie di accuse sprezzanti e dileggianti.Il libro veniva giudicato come un confuso "vagabondaggio personale senza preoccupazioni e senza scrupoli nei riguardi della storia, della logica, delle esigenze classiche dell'etica e della religione", totalmente privo di "consistenza", in cui, senza alcuna capacità costruttiva, si stavano manomettendo "Dio, Gesù Cristo, la Chiesa, Evangelo, mondo antico e mondo moderno, operando una demolizione radicale". Inoltre, si accusava l' autore di pretese profetiche prive di "afflato veramente religioso", nonché di essere sostenitore di "una specie di teosofismo umanistico, anzi cosmico", in cui confluiti "ibridamente gli elementi più diversi", producendo soltanto un preoccupante disorientamento .Accusa, quest'ultima, che, al contrario delle altre (perfide quanto stolte), si potrebbe considerare involontariamente quanto ironicamente più che fondata, risultando l'opera (come anche l'intera riflessione filosofica capitiniana), profondamente imbevuta di contenuti e, soprattutto , di valori e principi autenticamente teosofici!
Nell'Introduzione di Discuto la religione di Pio XII, incontriamo subito il j'accuse ricorrentemente rivolto alla Chiesa Cattolica, a proposito del Concordato mussoliniano.
“Noi che stavamo contrastando il fascismo, - scrive - vedemmo in quel Patto un grande aiuto dato al tiranno Mussolini per poter preparare le sue guerre, forte dell'aiuto ecclesiastico e della docilità del popolo delle campagne”.
Alla Chiesa viene attribuita l'enorme responsabilità di non aver saputo / voluto opporre all'avanzata del fascismo una chiara opposizione basata sulla "non collaborazione", dimostrando così "imprevidenza" e "insensibilità" "a ciò che concerne la libertà e la giustizia" , nonché "infedeltà allo sviluppo dello spirito cristiano". L'aberrante scelta della Chiesa finì per guarire “per sempre - scrive - anche ogni angolo di simpatia sentimentale che poteva esserci in qualcuno di noi: le affascinanti campane sonavano per cerimonie dove si inneggiava al tiranno, a un regime che straziava la libertà, la giustizia, la morale e la vera religione ”. E tale evento finì anche, quindi, per promuovere “un ' intima persuasione religiosa inconciliabile definitivamente con la Chiesa romana ”. 12)

Queste, in sintesi, le principali accuse rivolte alla Chiesa romana:

* rifiuto del dialogo in nome di una "religione fondata sul dividere le persone tra di loro" 13) e su una logica autoritaria e settaria ispirata alla "chiusura", che finisce per creare "una folla di fanciulli apolitici (bloccati, dunque, nel loro mirabile sviluppo), assistiti da politici docili agli ecclesiastici ”14);

* aver tollerato-giustificato-favorito una struttura socio-economica e socio-politica fonte di contrapposizione fra ricchi e poveri:
i Papi “pensano a un Dio che sia non creatore, ma imitatore della natura. Vedono la differenza tra ricchi e poveri, e la proiettano nella volontà di Dio! "15);

* aver promosso divisione e conflitto (posto "Cristo contro Buddha"):
“Non si può dire - scrive - che la pace si ha soltanto raggiungendo la“ coesistenza nella Verità ”, se per Verità si intenda un insieme di dogmi, concernenti una particolare concezione di Dio e della Rivelazione affidata a una gerarchia ecclesiastica. Questo divide fieramente le genti. Bisogna non porre Cristo contro Buddha o contro Gandhi, ma cogliere lo “spirito” del Dio unità amore, atto aperto a tutti ”16);

* aver teorizzato la "guerra giusta" e non aver praticato, ma anzi osteggiato l'obiezione di coscienza:
"Nei paesi cattolici decine e decine di giovani languono nelle prigioni militari per aver dichiarato il diritto della coscienza di non cooperare alla guerra e alla sua Preparazione. Se si Pensa alla forza che avrebbe, nell'attuale Tensione Tra I Due Blocchi politico-militari, la Presenza di Una folla di obiettori di coscienza per neutralizzare le possibilita di guerra, APRIRE le coscienze all'unità della Realtà di tutti, si vede l 'arretratezza, e soprattutto la lontananza dal Vangelo, del pensiero del Vaticano anche a questo proposito ”17);

* essere “parrocchia chiusa”, aspirando a governare su tutti ea sottomettere tutto, non ammettendo nulla di altro:
"La Chiesa romana ha installato il suo pesante ecclesiasticismo con la preminenza dei quattro elementi (" identica fede, comunione dei medesimi sacramenti, partecipazione allo stesso sacrificio, operosa osservanza delle identiche leggi ", che sono: dogmi, sacramenti, messa, autorità), al posto di quello che poteva essere uno svolgimento dell'atto di aggiunta soprannaturale rivolto a tutti, senza porre condizioni. E così il meglio è stato perduto Per ricuperarlo bisogna che il centro aperto prenda il posto della parrocchia chiusa ”18);

* aver preteso di esercitare potere “circa la terra e il cielo”, in quanto casta investita dall'alto e, come tale, indiscutibile:
“Non è il potere di andare sulla croce, aperto a Gesù ea tutti, ma quello di condannare come facevano gli inquisitori. Questo è il capovolgimento rispetto a Cristo. Si vorrebbe che la religione restasse quella che costituisce i centri di dedizione e sacrificio sino all'eventuale morte, e ci si trova, invece, una cosa politica come un impero con funzionari che hanno un potere di dividere e condannare. Non la libera aggiunta, ma la consegna al braccio secolare per l'esecuzione perfino dell'omicidio ”19);

* aver condannato (e, dove possibile, perseguitato) gli ex sacerdoti 20), nonché di aver rifiutato e ostacolato il fenomeno dei preti operai 21);

* non aver saputo cogliere ed apprezzare alcun valore “nell'immensa tradizione religiosa dell'oriente” 22);

* mancanza di attenzione verso: "indipendenza dei popoli, libertà culturale, sociale" (vari concordati finalizzati giustizia soltanto alla tutela dei propri privilegi)

* aver messo da parte la religione di Gesù in favore di una religione su Gesù: “Gesù non chiedeva la fede in dogmi, non imponeva un lungo credo, non diffondeva un catechismo; egli annunciava il Regno, e suggeriva il mutamento morale interiore più adatto per accoglierlo ”24);

* mitologismo e istituzionalismo: “la Chiesa scelse, e sceglie tenacemente - scomunicando, bandendo, togliendo la parola e, possibilmente, il pane a quelli che dicono altrimenti, assicurando che andranno alle pene eterne - lo sviluppo secondo l'istituzione. Intese la vittoria sul paganesimo come un incameramento di tanto di pagano e di antiquato, connettendolo semplicemente in modo mitologico con Gesù. Angeli, arcangeli, gli esseri della Corte di Dio? L'arcangelo Gabriele (dichiarato dalla Chiesa romana protettore dei postelegrafonici) portò l'annuncio di Dio a Maria, così come Mercurio portava quelli di Giove. Non credete voi nell'arcangelo Gabriele? E nemmeno nell'arcangelo Michele (protettore della Pubblica Sicurezza)? Vi metterete nei pasticci."

* aver sostenuto e continuare a sostenere l'esistenza dell'inferno:
“La rivelazione e il magistero della Chiesa - dichiara Pio XII in un discorso del 5 febbraio 1955 - stabiliscono fermamente che, dopo il termine della vita terrena, coloro che sono gravati da colpa grave subiranno dal supremo Signore un giudizio e una esecuzione di pena, dalla quale non vi è alcuna liberazione e condono. Iddio potrebbe anche nell'al di là rimettere una simile pena: tutto dipende dalla sua volontà; ma Egli non l'ha mai accordata, né mai l'accorderà ... Il fatto della immutabilità e dell'eternità di quel giudizio di riprovazione e del suo adempimento è fuori di discussione ... ”26)

PER CONCLUDERE

A conclusione di questo tentativo di gettare uno sguardo panoramico sullo sviluppo della riflessione filosofico-religiosa capitiniana, ritengo opportuno, al fine di mettere in risalto alcuni elementi centrali della cosiddetta pars construens, riferirmi ad uno scritto contenuto in Aggiunta religiosa all'Opposizione (1958) , dal titolo Collaborazione religiosa 27), particolarmente prezioso perché in grado di farci meglio comprendere come stimolante ricerca (spesso polemica) condotta in ambito teorico avrebbe dovuto, secondo Capitini, proiettarsi fattivamente nel mondo sociale contemporaneo, promuovendo la trasformazione dell'elemento religioso da fattore di stagnazione, di separazione e di scontro un fattore di progressiva unione affratellante.
Pur riconoscendo la positività dei passi avanti realizzati sul piano della tolleranza religiosa, il filosofo li ritiene insufficienti e non in grado di rispondere con successo al crescente "presentarsi di situazioni urgenti che sollecitano la collaborazione".
“Non si tratta più - scrive, infatti - di convivere pacificamente, di rispettarsi e salutarsi amichevolmente, di fare alleanze in vista di momentanei fini comuni, ma di più. Cioè di dover alcuni punti di lavoro teorico e pratico, intimo e sociale, che pongano i vari religiosi in movimento, sia nel loro animo, sia nell'influire sulla situazione circostante. "Un lavoro capace di scuotere l '” immobilismo religioso ”, restituendo alla religione un ruolo guida e di avanguardia.
Un lavoro che avrebbe dovuto essere incentrato sui seguenti 4 punti, principi “vivi e organici” di una massimamente costruttiva “religione aperta”:


1) “Valore fondamentale dell'apertura a tutti gli esseri”, senza escludere nessuno dalla dimensione-amore, percependoli come “compresenti nel nostro intimo” e costituenti “la realtà di tutti”; indipendentemente dal proprio credo teologico, "tenere per fondamentale questa apertura all'esistenza, alla presenza, alla speranza, rivolta ad ogni singolo essere."

2) “Apertura alla liberazione dal male (peccato, dolore, morte)”, allargando l'apertura stessa alla “trasformazione e rinnovamento”, non soltanto a livello sociale, ma coinvolgendo “la nostra umanità biologica, e la realtà tutta, dove domina la potenza ”:“ La religione è annuncio, preparazione, servizio dell'impossibile. "

3) "Intendere la propria vita religiosa come formazione continua", perennemente bisognosa di promuovere sentimento di responsabilità, autentica "libertà per sé e per tutti" e disponibilità all'ascolto e al pentimento, nella pratica rispettosa e arricchente della "libera aggiunta".
4) “Lavorare intensamente nella società. Realtà e propria umanità con il metodo della nonviolenza, della noncollaborazione con il male e dell'amore per le persone ", creando, nello" spirito della realtà di tutti "strumenti di lotta in grado di combattere le grandi mostruosità del mondo contemporaneo:
imperialismo,
assolutismo statale,
capitalismo.


NOTA

1. A. Capitini, Religione aperta , Laterza, Bari 2011, p. 19.
2. Ibidem.
3. Ivi, p. 20.
4. Ivi, p. 55.
5. Ivi, p. 81.
6. Ivi, pagg. 55-6.
7. Ivi, pagg. 58-9.
8. Ivi, p. 60.
9. Ivi, p. 68.
10. Ivi, p. 77.
11. A. Capitini, Discuto la religione di Pio XII , Edizioni dell'Asino, Roma 2013, p. 18.
12. Ivi, pagg. 20-22.
13. Ivi, p. 23.
14. Ivi, p. 24.
15. Ivi, p. 44.
16. Ivi, p. 53.
17. Ivi, p.56.
18. Ivi, pagg. 64-5.
19. Ivi, p. 76.
20. Ivi, p. 77.
21. Ivi, p. 81.
22. Ivi, p. 84.
23. Ivi, p. 83.
24. Ivi, p. 99.
25. Ivi, pp. 132-3.
26. Ivi, p. 143.
27. A. Capitini, Aggiunta religiosa , Parenti editore, Firenze 1958, pp. 156-160.

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YOGA: CHE PASSIONE! CONVERSAZIONE CON CESARE MARAMICI, AUTORE DE LO YOGA SPIEGATO A MIA FIGLIA

Martedì, 08 Dicembre 2020 23:12

In questi ultimi decenni, l’attenzione verso le filosofie e le religioni orientali è andato continuamente crescendo, con una particolare cura rivolta a quell’insieme composito e variopinto di teorie e di pratiche che va sotto il nome di “yoga”.

E, come sempre, anche in questa forma di innamoramento verso altre esperienze culturali, è possibile incontrare sia tanta egocentrica curiosità, sia tanto sincero e genuino interesse.

Cesare Maramici rappresenta, senza alcun dubbio, un chiaro esempio di come sia possibile procedere dall’uno all’altro livello, in modo decisamente felice.

Dopo essersi avvicinato, infatti, al mondo dello yoga sospinto soprattutto dalla speranza di trovarvi preziose risposte di ordine pratico per i suoi malanni fisici, ha finito per intraprendere un percorso di ricerca interiore, di studio filosofico e di esercizio quotidiano tale da arricchire e ampliare notevolmente i suoi orizzonti culturali e da conferire anche, alla sua intera esistenza, nuove e più significative valenze. E tanto la sua vita ha finito per aprirsi allo yoga, che lo yoga ha finito per occupare sempre più prepotentemente il cuore stesso non soltanto delle sue attività culturali, ma anche del suo intero modus vivendi, spingendolo anche a farsi entusiastico divulgatore e sostenitore del valore e dell’importanza di esso. Ed è proprio da questo bisogno di condivisione dei buoni frutti delle personali scoperte e conquiste che sono nati alcuni libri *, l’ultimo dei quali dal titolo particolarmente promettente e accattivante:

Lo yoga spiegato a mia figlia. Tutto quello che dovreste sapere per fare yoga consapevolmente (Editore Simple).

Con Cesare, vecchio amico e compagno di escursioni alpine e di impegno civile, è nata la conversazione che segue.

  • CERTAMENTE  LO YOGA PER TE RAPPRESENTA QUALCOSA DI VERAMENTE CENTRALE NELLA TUA ESISTENZA, UNA SORTA DI VERO E IRRINUNCIABILE CENTRO GRAVITAZIONALE.

Sì per me lo yoga è molto importante, è un' arte di vivere, rappresenta la nota di colore della mia giornata, quando ho un po' di spleen faccio yoga e riparto.

Comunque, tengo a precisare che lo yoga non è solo una pratica per il benessere o antistress. Lo yoga è il cammino spirituale che conduce il praticante al ricongiungimento del sé con il Sè cosmico, a percepire questa energia cosmica eterna, divina che compone l'universo, di cui tutti gli individui che esistono - inclusi gli essere umani - sono una estensione; Un percorso che porta all'eliminazione della sofferenza e al raggiungimento della beatitudine.

  • QUINDI, TU VIVI E PROPONI LA SCELTA DELLO YOGA IN UNA PROSPETTIVA MISTICO-ASCETICA?

Mi considero un praticante ateo che fa yoga classico tutti i giorni da 25 anni, senza aspettarsi niente.

Non sono, cioè, alla pressante ricerca dell'illuminazione (quello stato in cui ti senti di far parte del Tutto) o altro. Secondo me, non esiste un percorso o una tecnica ben precisa per arrivarci. Talvolta accade, e accade sia se hai iniziato yoga il giorno prima oppure 30 anni prima, o la vita precedente.

Comunque, con lo yoga è possibile ottenere indubbi benefici dal punto di vista fisico e mentale, riuscendo a migliorare l' approccio con la realtà esterna, e riuscendo a prendere le distanze da questo mondo sempre più complicato col quale interagiamo.

Recentemente uno dei miei Maestri yoga di riferimento mi ha detto “Non devi provare a cambiare gli altri e il mondo, gli eventi della vita ai quali parteciperai devi viverli completamente distaccato e vivere la tua vita come semplice testimone. La tua vita scorrerà come un fiume e se ti lascerai andare la vedrai come una spiaggia che vede scorrere il fiume, la natura starà semplicemente realizzando ogni cosa. Tu accetterai semplicemente quello che accade.“

  • COME E QUANDO È COMINCIATO QUESTO FELICE CONNUBIO FRA LA TUA ESISTENZA E LO YOGA?

 Come ti dicevo, ho iniziato a praticare yoga 25 anni fa. Per me rappresentava l'ultima spiaggia per risolvere un atroce mal di schiena. L'aspetto esoterico e spirituale non mi interessava affatto. Dopo un mese di pratica quotidiana il mal di schiena era passato, ed ho continuato senza aspettative.

Poi, col passare del tempo, succede che lo yoga ti prende, ti cattura, e tu cambi senza accorgertene: più mantieni le posizioni, più riesci a prendere le distanze, più cambia la tua personalità. Lo yoga è una sorta di psico-terapia junghiana.

Lo yoga, a differenza dello sport o altre attività fisiche come trekking, ecc., agisce nel tuo subconscio, e scioglie nodi ancestrali. Questo è l'aspetto dello yoga che ha spinto gli occidentali ad interessarsi di questa disciplina qualche decennio fa.

  • D'ACCORDO, MA E' INNEGABILE, PERO', CHE NEL MONDO OCCIDENTALE LO YOGA ABBIA FINITO PER ESSERE FAGOCITATO ALL'INTERNO DI UNA DIMENSIONE FORTEMENTE IMPREGNATA DI CONSUMISMO.

Oggi, purtroppo, gli interessi prevalenti degli occidentali per lo yoga sono altri: lo yoga è diventato "borghese" e alla moda, è diventato un oggetto di consumo come un altro. Lo yoga come si pratica oggi è veramente lontano dallo yoga praticato alle origini!

Non dimentichiamo poi, che lo yoga è anche un percorso spirituale e morale, in quanto propugna la nonviolenza, l'onestà, il non attaccamento, il rispetto per l’altro, ecc., producendo benessere e tranquillità, ma senza che ci si debba estraniare dal mondo.

Bisogna trovare, secondo il Maestro Antonio Nuzzo, “l’equilibrio tra immanenza e trascendenza”, visto che oggi è difficile isolarci nella nostra caverna.

- Immanenza significa svolgere il nostro ruolo attivo (docente, genitore, coniuge, ecc) in questa società in modo etico ed onesto.

- Trascendenza significa riuscire a trovare attimi di eternità sul tappetino, durante la pratica.

André Van Lisebeth, la persona che ha portato lo yoga in occidente, sul tappetino riusciva a trovare una serenità assoluta, ma era un instancabile fucina di idee e attività nella vita quotidiana.

  • IL TUO ULTIMO LAVORO È STRUTTURATO, IN LARGA PARTE ALMENO, IN MANIERA DIALOGATA.  COSA TI HA SPINTO AD OPTARE PER QUESTA MODALITÅ? LE CHIACCHIERATE CON TUA FIGLIA SONO REALMENTE ACCADUTE O SI TRATTA SOLTANTO DI UN EFFICACE ESPEDIENTE LETTERARIO?

Considerando che esistono già migliaia di trattati sullo yoga, scritti da grandi maestri, mi è sembrato del tutto inutile aggiungere un altro trattato o un catalogo di posizioni con i relativi vantaggi e svantaggi. Per cui ho preferito limitarmi a riportare la mia esperienza personale, sottolineando le riflessioni scaturite dall'incontro con questa nobile disciplina e con grandi personaggi con cui mi sono confrontato nel mio individuale percorso.

L'idea della forma di dialogo è nata proprio parlando con mia figlia di yoga quando ci siamo incontrati in Toscana un anno prima della pubblicazione del libro. Credo che sia una forma più semplice e sobria per far passare un messaggio.

  • TU SCRIVI CHE “LO YOGA È UN TENTATIVO CHE FA L’UOMO DI TROVARE DENTRO DI SÉ UN FONDAMENTO, UN QUALCOSA CHE LO RASSICURI”. SI TRATTA, QUINDI, SEMPLICEMENTE DI UNA SORTA DI ALTERNATIVA ALLE RELIGIONI TRADIZIONALI, PROBABILMENTE PIÙ ATTRAENTE E QUINDI PIÙ FACILE DA ACCETTARE DA PARTE DI PERSONE DELUSE, DISORIENTATE E DISINCANTATE ?

Sì confermo,questa è certamente una delle motivazioni che spingono gli occidentali allo yoga, inteso come alternativa al vuoto spirituale della religione tradizionale: poi, però, lo yoga può diventare un percorso individuale. Devi trovare il maestro che c'è in te.

E devi anche stare attento a non ritrovarti prigioniero di una comunità o di un ashram.

Mi ha colpito molto una frase di una persona della comunità di Ananda che ha detto “Quando le energie negative che ti circondano nella vita quotidiana sono troppo forti e tu non sei in grado di affrontarle, è meglio che abbracci una comunità per ritemprarti e rafforzarti, per poi, in seguito, riaffrontare la vita”.

Però poi, spesso, la persona rimane nel conforto della comunità.

  • PENSI VERAMENTE CHE “TUTTI” DOVREBBERO  PRATICARE LO YOGA? MA SE ANCHE COSÌ FOSSE, COME FARE A SCEGLIERE IL “PROPRIO” YOGA, ALL’INTERNO DELLO SCONFINATO PANORAMA DI SCUOLE ED ESPERIENZE DA TE STESSO DELINEATO?TU STESSO, FRA L’ALTRO, DICHIARI DI OSCILLARE TRA IL “SEGUIRE UN MAESTRO O INTRAPRENDERE UN PERCORSO AUTONOMO”.

Non penso che tutti dovrebbero praticare yoga. Ma, ad una certa età, quando cominci a guardarti indietro, può essere uno strumento utilissimo per prepararti ad affrontare il dolore e la morte.

Lo yoga poliedrico che vediamo oggi in occidente è il prodotto della storia e della mondializzazione, che lo hanno modificato nel corso dei secoli, uno yoga molto lontano dalle sue origini indiane, che, passando per gli Stati Uniti è stato deprivato da tutti i riferimenti spirituali e religiosi.

L’ultima tappa di questa mondializzazione è stata l’istituzione della “Giornata mondiale dello yoga” nel 2015 dall’ONU sull’iniziativa del Premier indiano M. Modi.

Modi ha fatto dello yoga uno strumento di “Soft power”, proiettando l’immagine di un Paese in armonia con la natura, che contribuisce alla pace e al benessere degli abitanti del pianeta. Ma in effetti associa lo yoga ad una pratica religiosa ed utilizza lo yoga come un progetto per determinare l’egemonia degli indù in India.

Oggi, in Occidente, ci troviamo di fronte a realtà variegate che mettono in scena il folclore della saggezza orientale, unendo forme di ginnastica tonica, canti di mantra, massaggi, ecc. ed il rapporto tra Maestro e discepolo è stato sostituito dal rapporto Insegnante – allievo.

La globalizzazione dello yoga ha portato a vari eccessi: mercificazione eccessiva, proletarizzazione degli insegnanti, turismo di massa …

Oggi la pratica yoga unisce destinazioni soleggiate, hotel a cinque stelle e attività varie: escursionismo, iniziazione alla meditazione, cucina vegetariana, massaggi, ecc…

L'immagine del guru indiano si è quindi dissolta ed è stata sostituita dalla giovane donna tonica che si contorce indossando una tuta alla moda, sul bordo di una piscina.

C'è chi, purista come me, resta fedele agli ashram aperti negli anni '70 e trova difficile accettare questa follia che si è sviluppata intorno allo yoga.

Durante la formazione che ho ricevuto in vari ashram, sono stato formato all’umiltà, alla soppressione dell’ego, all’etica, al silenzio, al percorso individuale e all'azione disinteressata, e sono sempre più sorpreso di scoprire quando, dopo un breve anno di formazione, ci sono persone che cominciano ad atteggiarsi come un guru e a chiedere parcelle astronomiche. Questo rischia di provocare molta disillusione.

Inoltre, è odiosa questa attuale competizione tra insegnanti, sempre più numerosi e sempre più giovani (la maggior parte ha tra i 25 e i 40 anni)!

Scegliere fra tante proposte potrebbe non essere, tutto sommato, così difficile. Basterebbe applicare due semplici criteri (il primo dei quali indicato da Antonio Nuzzo uno dei pochi Maestri che si trovano a Roma):

- “Lo yoga oltre la forma”.

Il che significa che lo yoga non è il pilates o mero esercizio fisico, quello che conta è l'intenzione del perché si fa yoga: se siamo proiettati alla ricerca del Sé superiore siamo nello yoga, altrimenti siamo nel pilates. Fondamentale è esserne consapevoli.

-   “Denaro e spiritualità sono inconciliabili”.

Il che significa che il praticante che frequenta lezioni a 35 euro in ambienti eleganti non è pronto per la rinuncia e il ‘ritiro dei sensi’ a cui lo yoga ci invita.

 

  • TU DICHIARI DI VEDERE NELLA  “LIBERAZIONE” LA REALIZZAZIONE PRATICA DELLA CONSAPEVOLEZZA DI FAR PARTE DI UN UNICO PRINCIPIO, CONSAPEVOLEZZA CHE  DOVREBBE CONSEGUENTEMENTE TRADURSI NEL “METTERSI A SERVIZIO DEGLI ALTRI IN MANIERA ALTRUISTICA E DISINTERESSATA”.

MA UN SIMILE RISULTATO NON POTREBBE ESSERE CONSEGUITO CON SUCCESSO ANCHE PRESCINDENDO TOTALMENTE DALLO YOGA, SIA SEGUENDO FEDELMENTE UNA QUALCHE RELIGIONE O, PIÙ SEMPLICEMENTE, SULLA BASE DI UNA LAICISSIMA VOLONTÀ DI IMPEGNO SOCIALE?

Tengo a precisare che lo yoga non è solo una filosofia, né una religione, è una scienza e un percorso spirituale, il suo successo è, d’altronde, parallelo alla messa in discussione della religione.

Uno dei sentieri importanti dello yoga è il karma yoga, l’azione disinteressata al servizio degli altri, il più alto grado dello yoga espresso dal canto VI della Bhagvad Gita.

La meditazione e lo yoga ci permettono di acquisire una forza e una libertà interiore sempre più grandi: le nostre angosce e paure saranno ammorbidite e la fiducia e la gioia di vivere sostituirà l'insicurezza, mentre l'altruismo appassionato andrà a sostituire l'individualismo cronico. Le persone equilibrate e felici sono anche naturalmente persone altruiste.

Per rispondere alla tua domanda, sì, certo, si può' benissimo intraprendere un impegno sociale prescindendo dallo yoga, ma spesso si finisce per usare l’attività di volontariato per trarne un beneficio personale, per aumentare la propria autostima, ridurre un sentimento di disagio, ecc …

Mentre un volontario che pratica yoga svolgerà con maggiore facilità un'attività totalmente disinteressata.

Praticando yoga, ci sarà possibile preservare una certa forza interiore, gentilezza, e pace interiore, mantenendo una certa distanza dall'esterno.

Più siamo lucidi circa il mondo, più accettiamo di vedere come realmente è, più è facile accettare che non possiamo fare fronte a tutte le sofferenze che incontriamo nella nostra vita.

Al di là delle differenze tra Oriente e Occidente, religione, spiritualità, ateismo e laicità, si dovrebbe cercare di riformulare una nuova etica per ottenere un mondo migliore alla quale, credo fortemente che lo yoga possa dare un contributo significativo.

 

 

*In uno dei suoi lavori, nati sempre da grande entusiasmo, ho finito anche per essere trascinato in qualità di coautore:

Esperienze di Meditazione. 54 praticanti si raccontano, Edizioni Efesto, Roma 2016. 

 
 Cesare Maramici

Nota bio-bibliografica

 

Cesare Maramici ha insegnato informatica dal 1984 al 2020 e ha ricoperto il ruolo di consulente (dal 2003 al 2012) nell'ambito del progetto internazionale

"Education for rural people" gestito da FAO ed UNESCO. 

In questi ultimi anni ha svolto l’attività di facilitatore in corsi di yoga e quella di volontario con Amnesty International, il VIS ( Volontariato Internazionale per lo sviluppo)   e la ONLUS Ostia per l'Africa. Attualmente è volontario della Croce Rossa Italiana.

Principali pubblicazioni:

2019

Libro: Lo yoga spiegato a mia figlia, Ed. Simple,

2016

Libro: Esperienze di meditazione. 54 praticanti si raccontano, Editore: Efesto, coautore Roberto Fantini

2016  

E-book: I rischi della rete, Editore: Società Dante Aligheri

2015  

Libro: Educazione Interculturale attraverso le nuove tecnologie, Editore:EAI

2014

Libro: La meditazione in azione,  Edizioni Simple

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Pino Torre: "Manifesto Ontico", come diventare Esistenzisti.

Venerdì, 04 Settembre 2020 13:33

Chi siamo? Cosa sono la natura e la società? Quale rivoluzione culturale ci può salvare? Cosa sono oggi l'autorealizzazione e la crescita personale? Come può ciascuno perseguirle in un modo più rapido ed efficace di un "Intensivo di Illuminazione"? In questo saggio di carattere filosofico e di psicologia umanistico esistenziale, troverete le risposte. Gli esistenzialisti si sono preoccupati del "sentimento esistenziale", della nausea e dell'angoscia, gli Esistenzisti invece considerano l'Esistenza come una possibile opera d'arte, secondo una nuova prospettiva Ontica che tenga conto della complessità della natura, della sua "imperfezione creatrice" e del nostro ruolo dentro tale armonia.Noi utilizziamo la ragione, la logica, la matematica e l'ontologia scientifica per conoscere, ma la natura non pensa, eppure è capace, nella sua armonia, di creare dei soggetti pensanti e autoconsapevoli. Noi cerchiamo di "spiegare" la natura secondo la nostra immaginazione e secondo l'ordine logico razionale, ma la natura crea secondo la sua armonia ontica e complessa. Perciò occorre pensare Onticamente, andando oltre la logica, per capire finalmente la complessità di noi stessi, della natura, della società e della cultura, per creare una nuova civiltà che ci conduca all'autorealizzazione individuale e collettiva sapendo prenderci cura della nostra Esistenza, della convivenza con le altre specie e della coesistenza pacifica e felice degli "Homo Sapiens".

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LA MENZOGNA DELL’INFERNO: CONTRO LA CONCEZIONE DELL'ETERNITA' DELLE PENE- Roberto Fantini

Giovedì, 27 Agosto 2020 21:52

In questa sua ultima fatica Roberto Fantini analizza il dogma della chiesa cattolica relativo all’Inferno e mette in evidenza come il credere che un Dio, Padre creatore, il suo stesso Figlio, l’intera comunità dei Santi potessero eternamente vivere, immersi nella condizione di felicità assoluta, mentre i dannati verrebbero destinati a sofferenze eterne, abbia prodotto la più radicale svalutazione della compassione, abbia legittimato la società del privilegio, la società delle élites , il rifiuto dell’empatia, del sentimento di solidarietà. Si è creata una psicologia personale e collettiva indecente, un modo di pensare, di sentire, di essere impermeabilizzati alla sofferenza di chi “merita” di soffrire (del proprio prossimo, cioè, non più classificato come tale). In questi quasi duemila anni la corrente cristiana ha prodotto una morale che ha esaltato la virtù soprattutto (se non soltanto) come “mezzo” per “guadagnarsi” la salvezza e sfuggire all’inferno (moralità meschinamente fondata sulla paura e su calcoli utilitaristici) e che ha quindi prodotto la concezione di una umanità irrimediabilmente divisa tra il bene e il male. Che ha favorito proselitismo e opera missionaria intesa e praticata molto spesso in maniera invasiva, impositiva, coercitiva e umiliante. Favorendo anche l’uso delle maniere“forti” , considerate legittime, pur di strappare qualche anima al diavolo. Soprattutto ha conferito all’istituzione ecclesiastica un potere illimitato, assolutamente incomparabile con quello di qualsiasi altra istituzione politica, civile o religiosa. La Chiesa, infatti, dichiarandosi erede unica dell’unico Dio, si è proclamata unico intermediario tra uomo e Dio, nonché unico strumento terreno voluto da Dio per consentire la salvezza delle anime. Ha innalzato la propria autorità al di sopra di tutto, attribuendosi proprietà e privilegi unici e ritenendosi immune da ogni possibilità di essere giudicata. Si è creata un’umanità servile, sottomessa ad una casta sacerdotale,forse la più nefasta. A sostegno di questa tesi del terrore il riferimento a molti santi: Agostino, spietato teorico dell’eterno supplizio. Scrive il vescovo di Ippona: vi sarà soltanto”miseria eterna, la quale si chiama anche “seconda morte” perché non si può dire che viva l’anima separata dalla vita di Dio, né che viva il corpo condannato ai tormenti eterni”. Vi sarà, cioè, una seconda”morte” che si rivelerà infinitamente più penosa della prima”perché non potrà finire con la morte”. “Il loro verme non morrà e il loro fuoco non si estinguerà”….”Ma quella Geenna, chiamata anche “stagno di zolfo e di fuoco”, “sarà un fuoco corporeo e tormenterà i corpi dei dannati”.


Per il nostro autore la tesi della eternità delle pene infernali è una proiezione nell’aldilà di un modo di concepire la pena nei termini dell’imperdonabilità, dell’irreversibilità e della pura vendicatività. L”Inferno” viene descritto nel Dizionario di Teologia dogmatica per i laici: “ lo stato e il luogo dei dannati ossia quelli che, morti in peccato mortale, subiscono una pena eterna…..” e nell’Enciclopedia ecclesiastica del 1950 è “ il luogo e lo stato di punizione eterna inflitta da Dio infinitamente giusto all’anima e, dopo la risurrezione finale, anche al corpo di chi muore reo sia pure di un solo peccato mortale” .

 

 

Per il nostro la concezione cristiana dell’inferno, imponendo “all’intelligenza impenetrabili misteri”, non potrebbe che risultare razionalmente incomprensibile e inaccettabile. Ciononostante – ma senza che ci sia un adeguato passaggio logico- si afferma che sarebbe “una delle più certe”, come poter affermare la “certezza” di qualcosa di incomprensibile resta un mistero per Fantini. Anzi, è questa la più chiaramente espressa ed esibita ad opera della presunzione della teologia e della strategia ecclesiastica di controllo e di assoggettamento delle coscienze. Nessun’altra religione ha avuto modo di dedicare tanta attenzione alla definizione dottrinale e al suo sistematico ed imperativamente ossessivo insegnamento. L’esistenza dell’Inferno e dell’eternità delle “ pene che vi si soffrono”sono da ritenersi come “dogma di fede”.

 

 

Ancora ai giorni nostri un editoriale di Civiltà cattolica del 1999 precisa che l’Infermo esiste, che non è un luogo ma è uno “stato”, un modo di essere della persona perché privata di Dio, che è la “fonte di felicità di tutto l’essere umano” e che l’Inferno è eterno, non per il fatto che così voglia Dio, ma per il fatto della decisione che l’uomo prende coscientemente nella sua vita e che conferma in punto di morte. Dopo di questa l’essere umano non può pentirsi o tornare indietro. Nel catechismo sempre della chiesa cattolica viene quindi confermata l’esistenza dell’Inferno e della sua eternità. Da ciò ne deriva, per il nostro autore, che pur con tanti cambiamenti di carattere formale, volti ad accantonare secoli di deliri vergognosi, la sostanza dottrinale resti tutt’ora fondamentalmente immutata. Si tratta soltanto di un’abile operazione volta a rendere meno palesemente assurda e ridicola (e quindi meno attaccabile) l’immagine tradizionale. La rende solo formalmente meno indecente, ma ciò non ha comportato affatto una revisione di carattere dottrinale: il pensiero teologico e i documenti ufficiali post-conciliari (pur con una innovativa sobrietà) continuano a ribadire la natura eterna dell’Inferno e delle sue pene e ciò, sebbene gli ultimi papi abbiano tentato di rendere meno terrorizzante l’assunto: “Dio -scrive papa Bergoglio- non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia”, “ Dio dinanzi alla gravità del peccato risponde con la pienezza del perdono”in quanto “la misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato”.

Di contrapposto al concetto della dannazione eterna o della salvezza eterna propagandata dalla chiesa per millenni quale strumento di terrore, Fantini fa riferimento ad Origene, tra i principali scrittori e teologi cristiani dei primi tre secoli, il quale propugnò la teoria dell”Apocatastasi”: in essa Dio prima di tutto è bontà (la quale si manifesta già nell’Incarnazione). L’opera redentrice del Cristo è stata compiuta per tutti; Cristo è morto volontariamente, compiendo un particolare sacrificio espiatorio per tutta l’umanità, per Origene la morte è una penitenza, e ogni penitenza è solo disciplinare, ha una motivazione altamente pedagogica e risanatrice, perciò nella restaurazione finale di tutte le cose, peccatori e santi saranno redenti allo stesso modo perché gli “spiriti immortali” non possono essere dannati eternamente. Anche il Diavolo si riconvertirà e saranno reintegrati con lui tutti i dannati, Dio sarà tutto in tutti.

 

Il nostro cita anche il pensiero di altri intellettuali e filosofi, Aldo Capitini in primis: “I tutti esistono, ci sono: e qui è Dio come fonte del loro essere, creatore, Unità che si estende a tutti in quanto apparsi alla vita”. Giovanni Franzoni: “a ogni singolo uomo, ridare il volo a questo uccello con le ali bagnate. All’uomo tocca tendere la mano al fratello maggiore caduto. All’uomo, a ogni uomo, tocca con l’amore resuscitare l’amore”. Luigi Lombardi Vallauri: l’Inferno è indiscutibilmente esistito e continua ad esistere, con effetti dolorosamente deleteri nelle menti (assai numerose) di coloro che lo hanno creduto e che continuano a crederlo “esistente”. Sia la concezione cattolica del peccato originale sia quella dell’Inferno meritano di essere definite “antigiuridiche”. “Antigiuridiche e anticostituzionali anche sotto il profilo della natura della pena”e ciò perché, rifiutando la cultura giuridica di Beccaria e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, l’uso della tortura e di “pene e trattamenti crudeli, inumani o degradanti e tormenti che non avranno mai termine” risulta del tutto impensabile destinarlo ad un’anima . Vito Mancuso: le posizioni sostenibili sono solo due: l’apocatastasi origeniana e l’annichilazione animica, la dissoluzione definitiva dell’entità personale; l’Inferno, in tal caso non sarebbe altro che “il simbolo vuoto di questo oscuro destino”.

 

Nell'opera di Fantini aleggia la fragranza della vita, fondamento della società, quasi un modo di pensare rivolto essenzialmente all’essere umano; in altre parole una filosofia basata sulla dignità della vita. Una rinascita dell’essere umano è impossibile se si dimentica questo tipo di pensiero. Ciò vuol dire non sfruttare mai, per nessun motivo, la vita, l’individualità o la felicità delle persone. L’obiettivo è quello di promuovere e preservare la vita, l’individualità e la felicità degli esseri umani, affinché gli uomini non vengano mai ridotti a meri strumenti per raggiungere altri scopi.

 

 

 

LA MENZOGNA DELL'INFERNO - Roberto Fantini
Contro la concezione dell'eternità
delle pene infernali 
Edizioni Efeso - €16.00

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"Maternità tra estasi e inquietudine" - Laura Gutman

Domenica, 26 Luglio 2020 19:12

"Molti aspetti nascosti della psiche femminile si svelano e si attivano con la maternità che può essere un momento di Rivelazione un'esperienza trascendentale se la accettiamo come tale Se riceviamo il sostegno necessario per  affrontarla".

 

 


Laura Gutman, argentina, è psicoterapeuta junghiana specializzata in relazioni parentali. Ha fondato “Crianza”, istituzione che comprende la Scuola di Formazione Professionale di Crescita. Autrice di numerosi best-seller su nascita e puerperio, offre in questo libro importanti spunti di riflessione per chi si appresta a diventare madre.

Il parto, lungi dall'essere una separazione instaura invece una vera e propria fusione emozionale tra madre e bambino, una comunicazione basata su energie sottili e in contatto continuo con l'ombra.

La vera separazione si attua con la fine della fusione emozionale eavviene intorno ai 2 anni e mezzo del bambino, che coincide con l'inizio dello sviluppo del linguaggio verbale e con l'utilizzo della prima persona singolare.

Che cos'è l'ombra?

In psicoterapia è il terreno del' inconscio, si riferisce alle parti ignote della nostra coscienza. Robert Bly, nel “Il piccolo libro dell'ombra” paragona il nostro vissuto ad uno zaino che tendiamo a riempire i modo compulsivo con ogni tipo di esperienza, finché lo zaino si fa più pesante e diventa sempre più difficile e doloroso aprirlo e fare spazio.
Il neonato, per una madre, diventa un maestro, una guida perché non ha ancora la possibilità di relegare nell'ombra aspetti che l'adulto cosciente rifiuta.

"La maternità apre il cuore lo espone alla miseria, all'allegria, alle insicurezze, alle situazioni ancora da risolvere, da comprendere e ci consente di mostrarci fragili".


Dopo il parto, per due anni, la mamma non può considerarsi un individuo ma una diade, una mamma- bambino.
Si ritrova la madre con la sensazione di perdere i propri riferimenti, la propria razionalità, vivendo come se fosse uscita dal mondo: un'emozione che viene etichettata spesso come “depressione puerperale”, in realtà sta avvenendo un necessario e non rimandabile incontro con la propria ombra.
L'autrice alterna alle parti teoriche casi esplicativi con le quali entra in contatto nel suo lavoro di psicoterapeuta.
Il parto diventa una vera e propria “destrutturazione spirituale”, una rottura emozionale che permettere il passaggio alla realtà di due persone. Purtroppo c'è scarsa consapevolezza rispetto al parto e a questo “rompersi pienamente”:
le nascite vengono sempre di più indotte, le anestesie e la fretta di sbrigare la pratica lascia la donna lacerata e stordita come un vulcano che appena eruttato. Si ritrova con le sue macerie, e con i suoi lapilli ancora incandescenti.

Purtroppo aumentano i casi di violenza ostetrica, indicatori della poca sensibilità che la società di oggi ha attuato verso questo importante momento di passaggio: ricovero precoce, rasatura, clistere, flebo, ossitocina sintetica, episiotomia, anestesia epidurale, sono tutte situazioni che vengono vissute come prassi medica spesso non richiesta e che rendono questo momento meno naturale possibile.

Un'altra fase importante che merita di essere sostenuta è quella dell'allattamento che l'autrice definisce “incontro amoroso” che presuppone tempo dedicato e intimità, proprio come un atto sessuale.
"Il parto e l'allattamento sono le migliori opportunità affinché una donna si connetta con gli aspetti più naturali del suo essere essenziale"
Le difficoltà incontrate dalle madri nell'allattamento spesso hanno origine nella mancata comprensione che si tratta appunto di un atto d'amore e non solo di una somministrazione di cibo: per allattare è necessario avere introspezione e equilibrio, entrare nel mondo dell'ascolto profondo e dell'intuizione affinché il bambino non solo si nutra del latte ma anche del contatto permanente e corporeo con la madre.
Una figura interessante che sostiene la donna in questo momento di passaggio è la doula, termine proviene dal greco, che significa “schiava della donna” e indica le operatrici che accompagnano le puerpere in questa nuova identità.

Uno spunto interessante riguarda la capacità di comprensione dei neonati: l'autrice invita le persone a parlare con loro perché essi comprendono tutto, anche ciò che non si vede. Un , infatti, comprende il linguaggio verbale anche se non lo sa usare e reagiscono con violenza quando non vengono considerati esseri capaci di comprendere; quindi l'autrice invita i genitori a parlare loro, a spiegargli come sarà la giornata, chi si prenderà cura di loro e perché, spiegando cosa il genitore farà in questa assenza; è importante non negare mai quello che sentiamo, e comunicarglielo, fosse anche l'origine delle nostre preoccupazioni o delle nostre allegrie, il bambino che sa rimane distante dall'ansia. Parlare al neonato in prima persona, dunque, nel modo più diretto, dire la verità senza emettere giudizi: questi i consigli dell'autrice, perchè quando una persona parla partendo da se stessa e da quello che prova non crea conflitti ma genera comprensione, esprimersi risulta più semplice.

Che ruolo ha il padre?
"La funzione paterna è fondamentale in due precisi momenti: il primo tra la nascita e due anni coincide con il sostegno attribuito alla diade madre-bambino; il secondo, dopo i due anni, si riferisce alla separazione che corrisponde alla strutturazione del proprio io da parte del bambino insieme al distacco emozionale della mamma".

Il padre, dunque, oltre ad offrire un aiuto concreto, accompagna la madre al contatto con l'ombra, appoggiando attivamente l'introspezione; è auspicabile che la mamma riconosca e comunichi al bambino la funzione svolta dal padre. Anche le madri single hanno bisogno di trovare dei separatori emozionali che permettano loro di rompere la fusione; tale separazione può arrivare tramite un lavoro, un'attività artistica o sportiva, per loro sarà necessario creare una rete di aiuto e incontro con le altre madri.

I sintomi del bambino trasmettono informazioni sul cammino di introspezione della madre: la malattia porta luce e consapevolezza sugli aspetti che abbiamo rilegato nell'ombra, pertanto non va vista solo da un punto di vista fisico, ma è importante comprenderne il linguaggio.
L'autrice porta l'empio di malattie come i raffreddori o alterazioni della mucosità: respirare ci unisce alla vita e agli altri, questo tipo di sintomi sono indice di relazioni: quando non possiamo respirare vuol dire che stiamo respingendo la vicinanza degli altri e desideriamo solitudine; lo starnuto diventa di segnale di allontanarsi e bisogno di un contatto più profondo con se stessi. I bambini asmatici sentono forte l'esigenza di contatto fisico e della presenza della madre; l'allergia è il rifiuto e la difficoltà a riconoscere l'aggressività; le infezioni indicano una rabbia contro qualcosa o qualcuno;i problemi digestivi indicano scontenti emozionali legati a cosa voglio e come posso rifiutare qualcosa che non mi piace.

Un libro importante, per prepararsi con consapevolezza ad un momento di passaggio che trascende l'aspetto di luce e positività che siamoabituati a vedere e offre importanti occasioni di comprensione della propria trasformazione emotiva e fisica.

 

Maternità tra estasi e inquietudine - Laura Gutman

Terra nuova edizioni

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"Le specie del sonno" - Ginevra Bompiani

Domenica, 26 Luglio 2020 18:56

 Ci sono libri che hai bisogno di rileggere quando la poesia della vita sembra perdersi dietro una quotidianità ritmata da esigenze estranee alla propria fame di bellezza.

Ci sono libri che nutrono dimensioni sottili della accorgersi.
Le specie del sonno è uno di questi libri: con l'introduzione da Italo Calvino e chiuso dalla penna di Giorgio Agamben, è dedicato ad Anna Maria Ortese e a José Bergamin.

Il libro di Ginevra Bompiani parte dal mito, visto con gli occhi illuminati di chi riesce a calarlo nel presente per farne azione creativa.

 Una mitologia che parte dalla lontananza per poi avvicinarsi e percorrerti dentro, che ti fa volteggiare tra le parole, capaci di dare voce al proprio sentire, al proprio pensare.

nella prima l'autrice tesse le storie della natura di esseri mitologici come gli ermafroditi, i Centauri, le Amazzoni, Eros e Psiche, Pan, e lo fa andando a scandagliare aspetti dell'animo umano alle quali il mito silenziosamente si rivolge.

Nella seconda parte il protagonista è Eracle e le sue fatiche, all'interno delle azioni dell'eroe emerge il senso della vita, del proprio cammino e della comprensione del mondo.

È una scrittura maestra, quella di Ginevra Bompiani, raffinata ed elegante, evocativa e mai scontata.
È un vero repertorio delle umane emozioni raccontate attraverso storie che accaddero un tempo che continuano ad accadere: un ventaglio di toni che vanno dalla malinconia alla stanchezza, dalla disperazione al pianto, dall'allegria alla spinta decisionale.
È un libro che cura e lo fa accarezzando con storie antiche vestite di poesia di poesia


 “Niente è per l’uomo più difficile che guardare un albero senza amore, una campagna senza gelosia, un brandello di schiuma senza desiderio; niente gli è più alieno che l’assenza di lacerazione tra diverse specie di amore; voglie e nostalgie si contendono i suoi passi come mendicanti spagnoli appesi alle vesti; e se, con un gesto negligente, li scrolla da sé, ecco apparire all’orizzonte un nugolo di polvere (cavalieri? bufali? mulinelli?) che subito affretta il suo passo e lo trascina, innocente, verso una morte perversa”. 

GINEVRA BOMPIANI
Le specie del sonno
Quodlibet

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UNA VITA DA REPORTER

Venerdì, 26 Giugno 2020 14:14

Emiliano Federico Caruso, giornalista, fotoreporter professionista e scrittore di viaggio, in 22 anni di questo mestiere ha collaborato anche con “Il Fatto Quotidiano” e altre testate nazionali. Attualmente scrive per “Antimafia Duemila”, “Kmetro0” e “Terre Incognite”, dove si occupa di reportage su luoghi insoliti, inchieste sulla criminalità organizzata, geopolitica, cronaca e religioni. Vicedirettore del periodico “L’Attualità”, considera Enzo Biagi e Tiziano Terzani i maestri a cui ispirarsi, e da sempre è un convinto difensore del giornalismo da strada fatto di scarpe consumate, taccuini, persone e luoghi vissuti dal vivo.

Partendo dai ricordi di un viaggio in treno sulla rotta Slavutych-Semykhody, al confine tra Ucraina e Bielorussia, in questo libro, arricchito da una prefazione di Giorgio Fornoni, l’autore attraversa alcuni dei suoi reportage pubblicati negli ultimi anni. Dalle sale dei reattori della centrale di Chernobyl fino alle manifestazioni dei Gilet Gialli a Parigi, dagli incontri con i pescatori pugliesi fino agli avamposti della Seconda guerra mondiale in remote isole del nord della Scozia, senza dimenticare la geopolitica dell’est Europa, le religioni, il traffico di droga, la criminalità organizzata e il terrorismo.

Anni di notizie, avventure e qualche rischio, sempre con una forte passione per il mestiere di giornalista e con la voglia di scendere in strada, per vedere le cose con i propri occhi e sentirle con il proprio cuore prima di scriverle. 

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Emiliano Caruso e le sue storie horror in Scozia

Venerdì, 15 Maggio 2020 20:01

Nato a Roma nel 1976, Emiliano Federico Caruso è cresciuto divorando i romanzi di Michael Ende, Jules Verne, Tolkien, Ray Bradbury e la narrativa horror/fantasy in generale.

Da sempre fortemente appassionato di H.P.Lovecraft, George Orwell ed Edgar Allan Poe, dopo 22 anni di carriera nel giornalismo ha iniziato a dedicarsi seriamente alle numerose bozze di racconti che, da anni, riposavano nel suo cassetto, pubblicando con Amazon Edizioni il racconto "Il sepolto di Ghar'Strag" e la raccolta "Tre racconti nel buio", che include le storie horror "La scomparsa di Alexander Taylor", "La madre eterna" e "Il parassita di pietra".

Nei suoi racconti, dove si avverte forte l'influenza di Lovecraft, Caruso ci accompagna tra le nebbie della Scozia, nella quale si è già recato più volte come reporter, per raccontarci storie di demoni, vichinghi, mutazioni, antiche tombe e culti proibiti.

Nel "Il sepolto di Ghar'Strag" un gruppo di vichinghi decide di recarsi in una misteriosa isola circondata da nebbie e tempeste per dare una degna sepoltura al loro thane. Guidati da una strana creatura, scopriranno ben presto che esistono destini peggiori della morte per un guerriero.

"La scomparsa di Alexander Taylor" narra di agente letterario che inizia a indagare sull'insolito ricovero in ospedale del suo vicino di casa, un celebre botanico ossessionato dalle particolari proprietà di alcune piante, e ben presto capirà fino a che punto si sia spinto il dottore nelle sue ricerche.

Ne "La madre eterna" due giovani amici che vivono in un vecchio palazzo della zona portuale di Granton si dedicano alle ricerche sulla storia di una famiglia che viveva nello stesso edificio quarant'anni prima. Scopriranno che qualcosa del passato doloroso di quella famiglia risale periodicamente dai sotterranei di Edimburgo.

 

 

https://www.amazon.com/-/e/B088K6VWTQ?ref_=pe_1724030_132998070

 

 

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Stefano Mancuso - La Nazione delle piante

Mercoledì, 06 Maggio 2020 15:20

Stefano Mancuso è il direttore del laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale dell'Università degli Studi di Firenze e autore di saggi sull'intelligenza vegetale come L'incredibile viaggio delle piante (Laterza 2018), Plant revoluction (Giunti editore 2017), Botanica. Viaggio nell'universo vegetale (Aboca edizioni 2017), Verde brillante, sensibilità e intelligenza del mondo vegetale con Alessandra Viola (Giunti editore 2015), Biodiversi con Carlo Petrini ( Slow Food 2015), Uomini che amano le piante (Giunti editore 2014).

Il libro si si apre invitando il lettore a avere gli stessi occhi degli astronauti della missione Apollo 8 che nel 1968 scattarono la foto Earthrise: ci fornirono l'immagine di "un pianeta verde per la vegetazione bianco per le nuvole, blu per l'acqua".

In questo libro l'autore dà voce alle piante, che vengono viste come una nazione a tutti gli effetti, la cui bandiera è verde, bianca e blu, ed consta di una popolazione che è la più numerosa e diffusa sulla terra (basti pensare che sono gli alberi sono oltre 3000 miliardi), una nazione che comprende ogni singolo essere vegetale presente sul pianeta; una vera potenza planetaria, insomma, senza la quale non esisterebbe la vita.

L'articolo 1 stabilisce che "la terra è la casa comune della vita. La sovranità appartiene ad ogni essere vivente": in questo primo articolo l'autore si domanda che cosa realmente noi percepiamo come “normale” poiché viviamo la nostra quotidianità dentro una bolla che ci collega solo con i nostri simili, con gusti conformi ai nostri. L'uomo si sente il padrone del pianeta quando in realtà" la sua quantità di biomassa è pari a un decimillesimo dell'intera biomassa del pianeta".

Il secondo articolo ci mostra come la specie predatoria umana possa creare dei profondi squilibri nell'ecosistema; viene citato l'esempio dell'affare del colore rosso, una tinta utilizzata dagli Aztechi che derivava da una coccinella che viveva sulle pianta del fico d'india. Molto richiesta, questa produzione rimase monopolio della Spagna, finché spie britanniche non ne capirono il segreto. Per iniziare la produzione di cocciniglia in Australia, fu trapiantato anche il fico d'India e il risultato fu che gli insetti tanto desiderati morirono subito mentre i fichi d'india conquistarono il loro territorio australiano.
Per fermare l'avanzata del fico d'india l'uomo immette nell'ecosistema un lepidottero parassita dell'opuntia: questo parassita, però, comincia a minacciare interi ecosistemi durante il suo cammino andando ad attaccare i fichi d'india di San Salvador delle Bahamas, una delle principali fonti di vita e di cibo per le popolazioni del luogo.

L'articolo 3 della Nazione delle piante si basa sul principio della democrazia vegetale, caratterizzata da un aspetto decentralizzato e diffuso, che non riconosce alcun tipo di gerarchia. Le piante, lungi dall'essere inferiori, hanno attuato strategie di sopravvivenza (anche detta intelligenza) che ha permesso loro, seppur non dotati di un movimento effettivo, di sopravvivere. La loro particolarità si realizza nella distribuzione, a differenza dell'uomo che, invece, concentra le funzioni vitali in singoli organi. L'uomo replica questa organizzazione centralizzata e verticistica (propria del suo corpo) anche nella sua società: hanno strutture piramidali aziende, uffici, scuole, associazioni, eserciti, e questo tipo di organizzazione ha come unico, blando vantaggio la velocità, proprio perché, essendo una persona sola a decider le azioni da compiere questo permette una rapidità maggiore.
Una rapidità che, però, presuppone una burocrazia che ricalca di nuovo un' impostazione gerarchica. Qualsiasi organizzazione centralizzata e gerarchica è fragile. Le piante, invece, sono esseri modulari costituite, appunto, da singoli moduli che si ripetono infinite volte e formano strutture sempre più complesse ma che non hanno un centro fondamentale, quindi nessuna parte è fondamentale o più importante rispetto alle altre.

L'articolo 4 vede la Nazione delle piante rispettare i diritti di ogni essere vivente ma anche delle generazioni future.
Nel suo percorso la Terra subito 5 estinzioni di massa e altrettante estinzioni minori, prima di arrivare ad un Era definita “antropocene”, che vede come predominante l'azione tellurica dell'attività umana.
Peccato che un gruppo di ricerca nel 2014 ha stimato il tasso di l'estinzione della terra 1000 volte superiore rispetto a prima dell'apparizione dell'uomo: la distruttività umana influenza le altre specie viventi e nello stesso momento si condanna a morte da sola.
Le piante sono l'anello di congiunzione tra il sole e la terra (grazie ai cloroplasti) e sono state loro a rendere ospitale e possibile la vita sul nostro pianeta.

 
 Stefano Mancuso


Le piante sono in grado di ridurre la quantità di CO2 nell'atmosfera permettendo agli altri esseri viventi di conquistare le terre emerse: è per questo che è importante bloccare ogni deforestazione e sarebbe auspicabile che le nostre città fossero coperte di piante ed alberi per permetterci un'aria respirabile e il diritto ad un'atmosfera pulita.
L'articolo successivo vieta di predare qualsiasi risorsa che non si possa ricostituire mentre il settimo articolo si schiera contro i confini e le barriere, e garantisce ad ogni essere vivente la possibilità di vivere e trasferirsi senza limitazioni.
L'ottavo articolo riconosce il mutuo appoggio fra le comunità naturali come strumento reale di progresso evoluzione: un'affermazione che va contro i principi darwiniani, mentre si dimostra più vicino all'idea anarchiche di Kropotkin sul mutuo appoggio come fattore di evoluzione. A partire dai rapporti simbiotici fra batteri per arrivare ai reciproci vantaggi delle fusioni tra fungo e alga, l'autore tesse un elogio della cooperazione, attraverso la quale la vita ha imparato ad ottenere risultati che non sarebbe stato possibile raggiungere in modo competitivo ed egoistico.

Un libro che si presenta come un “inchino” a queste anime silenziose e generose grazie alle quali siamo vivi, e continueremo ad esserlo. Solo da specie così evolute possiamo apprendere le lezioni di vita più importanti che la Costituzione delle piante ha descritto.

Stefano Mancuso
La Nazione delle piante
Laterza 


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ADRIANA ASSINI - GIULIA TOFANA . Gli amori, i veleni

Mercoledì, 01 Aprile 2020 09:50

Una storia poco conosciuta ma che merita di essere raccontata è quella di Giulia Tofana che visse nel XVII secolo tra Palermo e Roma, narrata dalla penna di Adriana Assini, scrittrice a acquarellista romana, autrice di diversi romanzi storici come Le rose di Cordova, 2007, Un caffè con Robespierre, 2016, Agnese, una Visconti, 2018. 

Giulia, “figlia di cento padri” tanti sono stati clienti della madre, nasce a Palermo in una condizione di estrema povertà e sin da quando era adolescente inizia l'arte antica della meretrice; il suo merito (o forse quello di sua madre)   è quello di aver inventato una pozione capace di dare la morte senza destare sospetti di avvelenamento.

Grazie all'amicizia con un frate speziale che la riforniva delle “polveri” necessarie, mise a punto la sua miscela che rimase nella storia con il nome di “acqua tofana”:

“...in una pignatta otturata col sapone per impedire che sfiatasse, non bolliva la solida brodaglia servita a pranzo e a cena, bensì un composto che richiedeva mano esperta, precisione nelle dosi e una certa perizia nel mescolare due once di arsenico, un mezzo tari  d'antimonio con una foglietta d'acqua chiara”.
I suoi servigi erano per clienti di diverse estrazioni sociali: c'era chi pagava “100 doppie d'oro”, mentre, a chi non poteva permetterselo, Giulia chiedeva in cambio un paniere di uova fresche o un boccale di farina.


Giulia scelse di usare questa capacità farmacologica per metterla a servizio delle donne che avevano subito abusi da parte dei mariti.

Bastavano poche gocce da mettere nella zuppa o nel vino mantenendo però rigore e regolarità e “ci si poteva liberare dei nemici nel giro di poche settimane senza correre il rischio di essere scoperti”.

Infatti l'abilità di Giulia è stata quella di essersi esercitata nella creazione di un liquido insapore, trasparente e senza odore. Nei primi giorni l'effetto era quello comune a molto malanni come febbre o vomito per arrivare poi all'attacco di cuore ma mantenendo un colorito roseo che allontanava ogni sospetto di omicidio.

Giulia si raccomandava alla donna di non dare nell'occhio e di mantenere un atteggiamento consono alla malattia prima e al lutto poi.

“Io sono la speranza di tante sventurate che nessun giudice difende, che nessun Santo protegge: ci oltraggiano ma non ci domandano perdono, ci uccidono e se la cavano con una ammenda; di fronte a simili ingiustizie non posso che vantarmi della mia invenzione”.

La giustizia è questione di maschi, e Giulia lo sa.

“...Se i magistrati avessero più a cuore la giustizia di Giulia Tofana non ce ne sarebbe alcun bisogno, ma nei tribunali sono tutti uomini e gli uomini vogliono il male delle donne, nonostante siano carne della loro carne”.

Costretta a lasciare Palermo insieme alla sorella Gerolama per alcuni ombre inquisitoriali che aleggiavano su di lei, portandosi dietro le quattro sante protettrici della città (Agata, Ninfa, Cristina e Oliva) arrivò a Roma seguendo frate Girolamo, dove continuò la sua missione di assassina di mariti violenti e non voluti. La sua acqua tofana porterà alla morte 600 vittime, e l'inquisizione murerà a vita le mogli a palazzo Pucci a Porta Cavalleggeri.
Due amori si intrecciano nella vita della protagonista: il barone Manfredi che arriverà fino a Roma per cercarla e quello di Frate Girolamo, che nonostante i suoi abiti religiosi, la amerà e si dedicherà al suo benessere intercedendo per la sua salvezza fino alla fine.
Un romanzo scorrevole, che ben delinea e tratteggia la forza della protagonista, sottolineando la sua assertività e la sua sicurezza. Giulia, infatti, non ha mai calpestato se stessa e fino all'ultima pagina la vediamo rifiutare situazioni di comodità per mantenere fede alla sua libertà di donna.

 

 

ADRIANA ASSINI
GIULIA TOFANA
Gli amori, i veleni
Scrittura e Scritture editore










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C’era una volta Roma... di Isabella Alboini

Sabato, 21 Marzo 2020 15:25

"Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone" - J. Steinbeck.

 

Era una bellissima giornata di primavera, ho spalancato le finestre della mia stanza ed ho alzato gli occhi al cielo ed il sole ha iniziato a scaldare il mio viso regalandomi una magnifica sensazione di benessere. Da quell'istante ho capito che grande dono avevo avuto ed ho ricominciato a vivere ...

Il mio libro è una raccolta di storie della città di Roma. Attraverso racconti tramandati da alternativi sarà possibile visitare luoghi e monumenti sconosciuti collegati a leggende risalenti al periodo della vecchia, bella Roma.

«Nel 1652 il Papa inaugurò la consuetudine del Lago di Piazza Navona. La grande piazza completamente allestita donando al popolo romano, un po 'di affresco dalla calura estiva »...

«Le ragazze romane portavano i loro fidanzati a bere alla Fontanella, la sera prima della partenza dei loro uomini» ...

«... San Domenico, il fondatore dell'ordine dei padri, fu colui che piantò il primo albero di arance su questo terreno e da otto secoli la stessa pianta fiorisce puntualmente ogni anno ad agosto, nel pieno dell'estate» ...

Ho voluto regalare un'immaginaria visione della città di Roma a tutte le persone che non hanno la possibilità di poter «vivere» la storia della Città Eterna. A volte sussistono impedimenti fisici che considerano una chiusura mentale, oltre che fisica, nella quale tutto può divenire buio e freddo. Il mio desiderio è quello di riuscire a scaldare il cuore delle persone, regalando un po 'di sole un chi non lo sente più da tanto tempo ... Dono i miei occhi a chi non può vedere.

 

 

acquistabile su Amazon.it    formato Kindle

 

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Marina Valcarenghi - La passione necessaria

Mercoledì, 04 Marzo 2020 22:31

L'ultimo libro di Marina Valcarenghi pubblicato dalla Moretti & Vitali nella preziosa collana “Amore e Psiche” è un lavoro appassionato sul desiderio.

La collana, diretta da Carla Stroppa da Marta Tebaldi ha come caratteristica peculiare quella di partire dai miti antichi per attualizzarli e calarli in situazioni psicologiche attuali.


Il mito da cui parte l'autrice del “L'aggressività femminile” è proprio quello di Amore e Psiche, un mito che ci condce nei nei tortuosi sentieri del desiderio e della passione; la storia di Psiche, infatti, e' la possibile storia di un'anima che trascende ogni età e tempo.

I moti turbolenti dell'animo di Psiche la portano a fuggire il ritmo quotidiano caratterizzato da una malinconia che oggi potrebbe essere definita “depressione”. Una depressione che può incanalarsi nella demotivazione, nel disinteresse verso ciò che un proprio desiderio può iniziare a mostrare, nella delegittimazione, ovvero nella sfiducia in se stessi e nel divieto che ci auto-imponiamo nel dare concretezza al nostro desiderio.

I lacci che ci frenano dal seguire questa spinta desiderante possono essere chiamati anche vittimismo, dipendenza relazionale, immobilità, dettata anche da traumi antichi.

Ad attivare la trasformazione di Psiche in quella che realmente poi lei diventerà, saranno le molte prove che Afrodite presenterà alla fanciulla, e che la porteranno a diventare un anima "infinita, magica collettiva perché la sua energia può andare oltre la vita mortale".
Ma per arrivare ad essere la propria potenza, la ragazzina dipendente dalla famiglia e infelice dovrà necessariamente passare per degli stadi di consapevolezza.
La prima scelta per porsi nel cammino della passione e del desiderio implica il coraggio e la trasgressione (che non è così sinonimo di disobbedienza ma si volge verso una scelta che rompe un equilibrio).
Una trasformazione alimentata da Eros, che la tradizione avvicina più a un demone che un Dio, una forza capace di spalancare nuovi orizzonti all'anima, così come solo il figlio di Afrodite e di Caos sa fare.


A salvare Psiche del suo primo tentativo di suicidio è Pan che rappresenta un selvaggio e primordiale istinto di vita, Pan è un essere ibrido tra un bambino e una capra, vive nei boschi, regna in quel confine tra umano e animale ed è emblema della dimensione selvatica e incivile di ognuno di noi.
Pan invita psiche a pregare... E subito dopo Psiche riconosce le proprie ombre e chiude i conti con il suo passato rappresentato dalle sue sorelle avide e diffidenti; da questo momento le sue compagne, nella ricerca di Eros, saranno solitudine speranza.
Le prime prove che Psiche deve affrontare riguardano la minuzia, come quella di separare semi ammucchiati alla rinfusa: un esercizio di pazienza che implica organizzazione, distinzione, separazione, attenzione al piccolo,al dettaglio.
"Temprare la nostra anima ci ricorda il mito e prima di tutto mettere ordine, distinguere per strutturare un sistema personale di pensieri, di emozioni e anche di valori morali".
Le peripezie di Psiche la porteranno fin nell'oltretomba, sempre sostenuta da piccoli aiutanti.
Un viaggio nel profondo, un una dimensione legata al buio, al chiuso, condizione imprescindibile per la vita umana: la sua ultima avventura la porterà davanti a Persefone, regina del mondo sotterraneo, depositaria del mistero all'origine della vita e della morte.


Si ritroveranno e si ricongiungeranno Anima e Passione: "comincia il tempo della gioia che non è un dono ma il risultato di una ricerca, un tempo di armonia, di pienezza che può solo essere provvisorio,ma lascia luce nel suo passaggio".



Marina Valcarenghi
La passione necessaria
Moretti e Vitali




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La fabbrica delle storie - di Jerome Bruner

Domenica, 16 Febbraio 2020 21:56

Perchè gli esseri umani sono così attratti dal narrare?

È una domanda a cui risponde Jerome Brune nei suoi libri, soprattutto ne “La mente a più dimensioni” e nel “La fabbrica delle storie”.

Jerome Bruner, psicologo stantunitense, è stato un pioniere della psicologia cognitiva e culturale, andando ad integrare e ampliare le ricerche di Piaget e Vygotskij e divenendo interprete dello strutturalismo pedagogico.

Essere un “animale narrativo” ha consegnato alla specie umana un vantaggio evolutivo e Bruner nei suoi libri ci spiega perchè.

Narrare deriva etimologicamente dalla radice gna-, che significa “rendere noto”, “consapevole”- ma può anche includere la definizione “Chi sa in un determinato modo”[1] a cui si aggiunge il suffisso -zione, connesso all'azione. Narrare quindi presuppone consapevolezza e punto di vista, ed è, quindi, un'operazione mai innocente, ma che ingloba sempre dei fini più o meno espliciti.

In La mente a più dimensioni, Bruner descrive due modalità cognitive diverse e complementari: la comprensione paradigmatica e la comprensione narrativa.

La prima organizza la conoscenza in modo geometrico: categorizzando, mettendo in relazione la causa con l’effetto, comparando, calcolando: può essere definita una forma di conoscenza di tipo scientifico che, seguendo un tracciato lineare basato sul criterio logico, consente una sola rappresentazione alla volta della realtà, utilizzando, per la validazione dell’esperienza, il principio fondato sul binomio vero/falso. Il suo linguaggio è disciplinato dai requisiti della coerenza e della non contraddizione.

Diversamente la modalità narrativa consente una pluralità di ricostruzioni/rappresentazioni contemporanee, avvalendosi non della logica causa-effetto ma dei diversi e numerosi piani di realtà che conducono il pensiero verso rotte infinite, come infinite sono le interpretazioni e le logiche possibili. Il pensiero narrativo interpreta i fatti umani mettendoli in relazione fra di loro e costruendo storie connesse al contesto, che non possono presciendere dalll' intenzionalità (voler fare qualcosa) e dalla soggettività (il proprio punto di vista) dei protagonisti.

In La fabbrica delle storie, Bruner offre un’interessante lettura comparata della relazione tra il Sé e la narrazione:

il Sé è teleologico, pieno di desideri e di aspirazioni, intento a perseguire scopi ed è di conseguenza sensibile agli ostacoli, risponde al successo o al fallimento: ed è vacillante nell’affrontare esiti incerti; il Sè ricorre alla memoria selettiva per adattare il passato alle esigenze del presente e alle attese future ed è orientato su “gruppi di riferimento” e su “altre persone importanti” che forniscono criteri culturali mediante i quali giudica se stesso; può rendere ragione e assumersi la responsabilità delle parole con cui formula se stesso e prova fastidio se non trova le parole; è capriccioso, emotivo, sensibile alle situazioni ma tende a ricercare e difendere la coerenza, evitando la dissonanza e la contraddizione mediante procedure psichiche altamente evolute.

Sul piano narrativo, le stesse peculiarità del Sé possono diventare regole per scrivere un buon racconto, coscienti del fatto che un racconto vuole una trama e per avere una trama interessante sono necessari ostacoli per il conseguimento di un fine; gli ostacoli fanno riflettere le persone e dotano i propri personaggi di alleati e relazioni.

Una storia apre porte, sprona a riflettere su infinite possibil interpretazioni, instilla il dubbio laddove la logica, consolidata dall’abitudine, condurrebbe sempre alla stessa risposta: crea disordine dove c’è ordine; infrange regole e si sviluppa nelle crepe dell’ovvio e del prevedibile. Una storia è vita.

Bruner J. La fabbrica delle storie, Laterza, pg 31

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RICORDANDO LORENZA MAZZETTI (CON LA GIOIA NEL CUORE)

Martedì, 28 Gennaio 2020 20:12

Lorenza Mazzetti, Lory per i tanti che le sono stati amici, ha da pochi giorni portato a termine il suo cammino terreno iniziato 92 anni fa.

Lorenza è stata originale regista d’avanguardia, scrittrice di travolgente talento e pittrice dalla delicatissima sensibilità.

La sua esistenza è rimasta segnata dalla tragedia abbattutasi sulla famiglia degli zii che, rimasta orfana, l’avevano accolta con loro, insieme alla sorella gemella Paola. Nella strage della famiglia Einstein (nota anche come strage di Rignano o del Focardo), verificatasi il 3 agosto 1944, nel territorio di Rignano sull’Arno, ad opera delle milizie naziste, morirono tre donne: Cesarina (Nina) Mazzetti, Luce e Annamaria Einstein, moglie e figlie di Robert Einstein (cugino di Albert), il quale si diede la morte nell’anno successivo. Dalla strage (destinata certamente a colpire il grande scienziato fuggito negli USA), Lorenza e Paola si salvarono perché “di un’altra razza”.

Da questa terribile esperienza nascerà, molti anni dopo, Il cielo cade, il libro più bello di Lorenza e uno dei libri più belli del nostro intero panorama letterario del XX secolo.

Con lei, esce dal piccolo palcoscenico di questo incomprensibile e misterioso mondo una donna di intelligenza rara, eterna bimba-monella, sempre bramosa di nuove monellerie.

In campo cinematografico è stata una pioniera. In campo letterario ci ha regalato gioielli di brio narrativo e di straordinaria intensità lirica. In campo pittorico, ci ha continuamente stupito per la ricchezza della sua zampillante creatività.

Sul piano umano, ci ha lasciato dentro il suo immenso bisogno di amare e di essere amata, la sua insaziata e insaziabile voglia di scoprire e di inventare; la sua impertinente capacità di riuscire a sorridere alla vita, anzi, di far sorridere la vita; la sua mai spenta volontà di aiutare il mondo ad essere un po’ meno folle, ad essere un po’ meno crudele, ad essere un po’ più in grado di desiderare il Bello e il Vero, rivolgendo lo sguardo, sempre, a chi ha mani fragili e cuore grande, voce debole e diritti negati.

Lorenza Mazzetti viene perlopiù amata, ammirata e ricordata per essere stata vittima e testimone delle atrocità delle persecuzioni razziali naziste, ma non andrebbe assolutamente dimenticato il fatto che essa abbia saputo farsi anche analista lucidissima del fenomeno della Shoah, riuscendo come pochi a cogliere i legami profondi tra antisemitismo moderno e antigiudaismo cristiano.

In una intervista di qualche anno fa, dopo aver messo in luce come l’odio verso gli ebrei “fosse legato al disprezzo e alimentato e ‘giustificato’ dal disprezzo”, sottolineava come odio e disprezzo non fossero una creatura di Hitler, bensì una pesante eredità pervenutagli da un lontano passato in cui la civiltà cristiana si è insistentemente prodigata nella costruzione teologica dell’ “immagine demonizzata di un intero popolo colpevole di ‘deicidio’, macchiato da una colpa, cioè, di una gravità unica e incommensurabile, da una colpa capace di contaminarlo indelebilmente e per sempre, senza possibilità di perdono.”

Nella stessa intervista, poi, facendo riferimento al Saggio sul dono dell’antropologo francese Marcel Mauss, mi colpì anche la sua capacità di farsi pensatrice interprete-terapeuta dei mali del mondo contemporaneo. Nel confrontare, infatti, la sensibilità arcaica di un’umanità “primitiva”, legata al culto degli antenati e al sacro rispetto nei confronti della natura, con quella oggi imperante, giungeva a rimproverare noi moderni (schiacciati “dall’orrenda logica dominante del profitto”) di aver smarrito la capacità di “guardare a tutto ciò che ci circonda come a un immenso ‘dono’”, venendo ad infrangere, in tal modo, “il circolo virtuoso del dare-ricevere-ricambiare”, con la tragica ineluttabile conseguenza di non riuscire più a “coltivare in noi un profondo, inesauribile sentimento di riconoscenza”.

“Chi sa dare e chi sa accettare - aggiungeva poi - sa che non può vivere solo, sa che non può vivere senza restituire la solidarietà umana.”

E, con solare saggezza, concluse la chiacchierata esprimendo la speranza che ai giovani si potesse riuscire ad insegnare la “cosa più importante”:

“la bellezza della riconoscenza e il suo sorriso risanatore”.*

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*Roberto Fantini, Il cielo dentro di noi, Graphe.it, Perugia 2012, pp. 22 e 26.

Lorenza Mazzetti, di famiglia valdese, ha vissuto l’infanzia in Toscana con la zia Nina Mazzetti sposata a Robert Einstein, cugino di Albert, che l’aveva adottata insieme alla gemella. Il trauma dell’assassinio politico della sua famiglia adottiva, perpetrato dalle SS per rivalsa contro Einstein che si era rifugiato in America, ha segnato tutta la sua vita. Su questo tema e su questi ricordi ha scritto : Il cielo cade (Premio Viareggio 1962),  Uccidi il padre e la madre (ripubblicato da La nave di Teseo con il titolo Mi può prestare la sua pistola per favore?), Con rabbia, Diario Londinese e Album di famiglia. 

È stata una delle fondatrici del Free Cinema Movement. Ha realizzato due film: K e Together, entrato nel palmarès del Festival di Cannes come miglior film d’avanguardia.

La sua mostra “Album di famiglia” è stata presentata in molte città italiane ed europee.

Sempre desiderosa di fare conoscere la tragedia della sua famiglia e di favorire una giusta memoria e una attenta e responsabile coscienza etica e civile, anche in età avanzata, ha preso parte a innumerevoli iniziative culturali, con particolare interesse al mondo dei giovani.

La sua ricca esperienza terrena si è conclusa lo scorso 4 gennaio.

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Un ricordo di Gianmanlio Gianturco - Raccolta di poesie “DIO ED IO”

Venerdì, 27 Dicembre 2019 15:38

Il 20 di dicembre del 2014 ci ha lasciato un amico caro: una bella persona, come si dice nel linguaggio corrente. Lo conobbi frequentando il corso di filosofia presso l’Università Salesiana e conseguimmo insieme il diploma superiore. Studiammo insieme tutte le materie e condividemmo idee e principi filosofici che ci aprirono orizzonti sconfinati. È stata un’esperienza indimenticabile perché ci fece trascendere il grigiore della vita quotidiana. La sua cultura era straordinariamente eclettica e tutto il suo scibile confluiva nella scrittura delle poesie. Era autore di diversi libri: “sogno dopo sogno” , “c’era un domani” , “gorgheggi d’amore”, “pioggia di cenere” e ultimo “bussano i tempi” dove condensò in versi tutto ciò che avevamo imparato durante il corso di filosofia. D’altra parte fu Heidegger che diceva che il miglior modo per esprimere la filosofia era proprio la poesia. Un comune amico, Roberto, ha detto nella sua lettera di commiato delle cose che condivido pienamente e qui riporto : “Avevi una vena nostalgica e intimista. Poesie eleganti, belle, passavi dall’amore, alla storia, all’attualità politica. Sullo sfondo le suggestioni dei nostri studi liceali, il mondo dei miti greci, Omero, Virgilio, Seneca, Sant’Agostino, l’antica Roma, la filosofia con le sue risposte insoddisfacenti, lo smarrimento di fronte all’Entità suprema, al mistero. Avevi talento, profondità, ragione e sentimento. Il verso, elegante, facile, armonioso. Eri una persona per bene, un uomo onesto, un signore. Ti indignavi per le ingiustizie, per le squallide figure dell’Italia di mezzo, avevi una tua idea personale per cambiare, aderire al “partito del non voto”.” E ancora il comune amico di cui, ripeto, condivido il pensiero e il profondo sentire nei confronti di Gianmanlio così continua : “ …. Con il tuo modo ironico e signorile dicevi che quando fossi morto, finalmente la gente avrebbe apprezzato la tua opera letteraria. Avevi in mente Foscolo, i grandi che vivono anche dopo la morte. Protagonista di questi tuoi messaggi era proprio la morte, avvertivi che si avvicinava, la chiamavi “la luminosa signora”, quella morte in cui tutto si ricompone e che a tutto infine da senso. Mi brucia la tua perdita. Ho perso un compagno di viaggio, un confidente senza segreti, un fratello d’elezione, ti voglio bene e mi mancherai. Roberto” .

Sposo in pieno i sentimenti e i pensieri del comune amico e aggiungo che mi mancherà soprattutto la sua garbata ironia con la quale sapeva prendere le distanze dalle miserie di questo mondo e quando ero triste e arrabbiato, con una battuta, mi faceva cambiare subito di umore. Ci siamo scambiati centinaia di sms dove si prendeva in giro rispettosamente la condizione umana. Dopo la morte di mia mamma, caro Gianmanlio, sei stato uno delle persone a me più vicino e mi hai aiutato a superare, con la cultura e l’ironia, quel momento difficile. Mi piace citare anche il pensiero di don Mauro Mantovani, ex-decano della Facoltà di Filosofia e ex decano della Facoltà di Comunicazione Sociale, ora Rettore Magnifico della Università Pontificia Salesiana, che, ha sempre apprezzato i contenuti altamente filosofici delle sue poesie e nella prefazione di “Bussano i tempi” dice : “ I tempi veramente bussano: per essere capaci di aprire loro, dobbiamo educarci ed educare a saperci aprire a nostra volta: in profondità, attorno a noi, in avanti ed in alto.” Rimane da pubblicare postuma una raccolta di Gianmanlio “Dio ed io” dove il nostro caro amico ci lascia il suo testamento spirituale ed estrapolando solo pochi versi di questa raccolta inedita, mi piace citare questi : “Dio tu sei vertice di ogni prospettiva/di te si farebbe bene a tacere/solo pregare ciò che si può fare /senza neanche la certezza/che tu sia lì disposto ad ascoltare./ Quel minimo che da te mi aspetto/lo sai mio Dio è la beata nullitudine/ quel tornare racchiuso in Te/sgombro d’ogni perché/ignaro persino di me stesso/in Te completamente perso/bimbo ancora dentro la sua mamma…/.

In questa raccolta c’è condensata l’idea che ha caratterizzato tutta la vita di Gianmanlio: il desiderio di Dio e la difficoltà a raggiungerlo. Esperienza questa che, peraltro, è comune a tanti uomini. In quest’opera Gianmanlio Gianturco ha sintetizzato un po’ le tematiche che avevamo svolto durante il corso di Metafisica dell’Assoluto e fondamentalmente questo desiderio di conoscere Dio, i suoi attributi e cioè la Bontà insieme alla Bellezza, l’Unità e la Verità. Questa tensione veniva fuori spontaneamente dai suoi versi tesi principalmente a togliere quel velo con cui la materia avvolge l’invisibile. In queste righe introduttive mi sembra significativo citare un ampio stralcio del discorso del nostro amato Papa Emerito Benedetto XVI, quello che pronunciò mercoledì 7 novembre 2012 in Piazza San Pietro in occasione dell’apertura dell’Anno della Fede. Non ci sono migliori parole per esprimere ed esemplificare il concetto del desiderio di Dio iscritto nel cuore dell’uomo che Gianmanlio Gianturco, in questa raccolta ha dimostrato ampiamente : “….Dunque, l’esperienza umana dell’amore ha in sé un dinamismo che rimanda oltre se stessi, è esperienza di un bene che porta ad uscire da sé e a trovarsi di fronte al mistero che avvolge l’intera esistenza.

Considerazioni analoghe si potrebbero fare anche a proposito di altre esperienze umane, quali l’amicizia, l’esperienza del bello, l’amore per la conoscenza: ogni bene sperimentato dall’uomo protende verso il mistero che avvolge l’uomo stesso; ogni desiderio che si affaccia al cuore umano si fa eco di un desiderio fondamentale che non è mai pienamente saziato. Indubbiamente da tale desiderio profondo, che nasconde anche qualcosa di enigmatico, non si può arrivare direttamente alla fede. L’uomo, in definitiva, conosce bene ciò che non lo sazia, ma non può immaginare o definire ciò che gli farebbe sperimentare quella felicità di cui porta nel cuore la nostalgia. Non si può conoscere Dio a partire soltanto dal desiderio dell’uomo. Da questo punto di vista rimane il mistero: l’uomo è cercatore dell’Assoluto, un cercatore a passi piccoli e incerti. E tuttavia, già l’esperienza del desiderio, del «cuore inquieto» come lo chiamava sant’Agostino, è assai significativa. Essa ci attesta che l’uomo è, nel profondo, un essere religioso.”

E dopo questa ampia estrapolazione ringraziamo Gianmanlio Gianturco che ha saputo tradurre in versi ciò che Benedetto XVI ci ha spiegato nel Suo discorso. Siamo sicuri che Gianmanlio sta già contemplando il volto di Dio e ci sta preparando un posto in paradiso.


Gian Manlio Gianturco, poeta e scrittore, nacque a Santa Maria Capua Vetere (CE) il 10 settembre 1945 ed è tornato alla Casa del Padre il 20 dicembre 2014 a Roma.

 Raccolta di poesie “DIO ED IO”
– Edizioni Screenpress 2015

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Il muro di Berlino erano due - Stefano Scialotti

Domenica, 22 Dicembre 2019 18:58

Berlino 13 agosto 1981, venti anni dopo la costruzione del Muro. Un gruppo di artisti reduci un po’ disadattati del ’68 romano, berlinese e olandese fonda il No Future Project.

10 anni dopo alle 6 del pomeriggio del 24 marzo 1991 una telefonata da Berlino a Roma: “Ario è sparito”, la storia comincia.

il Muro con le sue scritte e CM un’intelligenza artificiale che però risponde solo usando versi della Divina Commedia, guidano la ricerca.

Lennon Not Lenin è un libro di fantascienza, di comunicazione politica, un giallo, mah?!, certo gioca con la fantascienza, con le parole, con le scritte sul Muro di Berlino, con i versi della Divina Commedia, con il cinema, le guerre fredde e calde, le rivoluzioni, le idee del gruppo No Future Project che vive tra Trastevere a Roma, Charlottenburg e Kreuzberg a Berlino e Arnhem in Olanda.

Lennon not Lenin è una delle scritte sul Muro che da’ il titolo al libro.

Il Muro di Berlino erano due: uno tangente Ovest ed uno tangente Est. In mezzo la terra di nessuno dove pascolavano libere grandi mandrie di cavalli di Frisia. Uno pieno di scritte e di turisti, l’altro di finestre sbarrate, fili spinati, limiti e impossibilità di ogni tipo. Perché si parla sempre e solo del Muro di Berlino, quello Ovest?

Il libro è parte integrante della campagna contro tutti i muri inziata nel 2017 e che nel 2019 ha trovato un alleato con quella del manifesto iorompo.it

 

Il libro si può comprare su Amazon Lennon_not_Lenin_Amazon

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Psicologia del malato oncologico. Non muore il desiderio

Domenica, 15 Dicembre 2019 22:07

CONVERSAZIONE FILOSOFICA CON GABRIELLA GAGLIARDI: SUL DOLORE, LA MORTE, LA SPERANZA E LA GIOIA DI VIVERE

 

     

 
 Gabriella Gagliardi

Lo scoprirsi ammalati, improvvisamente traditi e abbandonati da quella cosa preziosissima (e spesso ignorata) che chiamiamo salute, ci getta, in modo del tutto imprevisto e incommensurabilmente doloroso, in una condizione in cui il senso di fragilità e di vulnerabilità arriva ad opprimerci l’anima e a toglierci il respiro. Tutto, all’improvviso, cambia colore, cambia sapore, cambia di valore e di significato. Nulla è e nulla potrà restare come prima. E, soprattutto, ci invade con prepotenza la consapevolezza che, mai e poi mai, riusciremo a ritornare, noi, come prima eravamo … ciò che prima eravamo.

             Ma, proprio quando un sentimento di vertigine paralizzante ci stringe la coscienza, qualcosa può accadere. Qualcosa può accendersi in noi. Un varco, uno spiraglio può aprirsi. Può cominciare a respirare, dentro di noi, un nuovo soffio vitale e rivitalizzante. Può cominciare a percepirsi, lentamente (o anche travolgentemente) un nuovo respiro del mondo e un nuovo sorriso del mondo. Un nuovo modo, anzi, di sorridere nel mondo e al mondo.

           Gabriella Gagliardi* ha vissuto e sta continuando a vivere un’esperienza difficile, un’esperienza che l’ha condotta a fare scoperte nuove e a riscoprire tesori antichi. E ce ne ha parlato in un piccolo ma densissimo libro**, in cui, pur partendo dal suo incontro con il dolore, riesce a regalarci echi di una saggezza lontana, capace di avvicinarci alla vita, di prenderci per mano per continuare, con nuova fiducia, nuovi cammini ricchi di infinite frontiere da oltrepassare e di nuovi territori da esplorare.

           Con lei, per cercare di comprendere meglio la complessità e la ricchezza dei percorsi interiori che sta affrontando, è nata la seguente conversazione.

-        Tu sostieni che il superamento di grandi difficoltà possa produrre una vera e propria trasfigurazione esistenziale.

In che senso, “superato l’ampio spettro di frastornanti sensazioni umane” (p.64), si finirebbe per approdare a “un mondo nuovo”?

La dolorosa consapevolezza della nostra fragile condizione di precarietà non potrebbe, assai più facilmente e prevedibilmente, farci apparire la terra e l’intero universo come un luogo tutt’altro che accogliente ed ospitale? In cui forse non varrebbe tanto la pena di vivere?

           Propendo per una visione di segno fortemente positivo e intendo dire che c’è un “Mondo Nuovo” dopo la malattia, perché si guarda al mondo con occhi diversi. Quando un bene si sta per perdere, lo si apprezza e considera molto di più. C’è più consapevolezza del valore della vita. Si assapora ogni momento di essa. La vita non si arrende. Ha una forza sovversiva. E ci induce a godere anche del semplice ma grandioso incanto del quotidiano. Altro che non vale la pena di vivere!

In un certo senso, il dolore insegna, come ci hanno già detto gli antichi, in particolare i tragici greci.

Eschilo fa dire ad Agamennone: “Zeus a saggezza avvia i mortali, valida legge avendo fissato, conoscenza attraverso dolore.” (Agamennone, vv176 e ss). Cito anche la Karen Blixen: “La cura per qualsiasi cosa è l’acqua salata: il sudore, le lacrime o il mare”.

La malattia, dunque, ha una sua etica. L’etica della malattia è portare un bene all’anima.

Circa la seconda parte della tua domanda sono d’accordo con te a proposito della fragilità della condizione umana, ma questa, più che un vizio, potrebbe diventare un valore. In verità, siamo tutti dei “Sisifo”, ma Sisifo è un uomo che si sa fragile e impara a volersi tale. Sisifo non è un eroe, non è Eracle. Sisifo è uomo perché quella pietra è destinata a ricadere e il suo cammino a riprendere senza sosta. Certo, non è felice la sua costrizione, ma c’è da considerare il percorso, il viaggio, gli incontri, la condivisione della fatica. Stessa strada, stessa salita, stessa fatica. Egli lo sa. Eppure sale. E risale. Perché è come una “canna pensante” (Pascal) e soprattutto perché “la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo: bisogna immaginare un Sisifo felice”. Così ci dice questa bellissima frase di Camus. Io la condivido, e vedo in questo mito la metafora dell’esistenza umana: la vita è fatica e la fatica è vita. Ma anche con la fatica si può amare la vita.

-        In che senso “la paura della morte” andrebbe distinta dalla “percezione della morte”?

               Sì, “la paura della morte” è altro dalla “percezione della morte”. Nel senso, come dice Epitteto, che una cosa sono le cose, un’altra l’opinione che noi ci creiamo di esse. Quindi, una cosa è la “cosa-paura”, altra cosa la sua percezione. La prima è una realtà oggettiva, e reale appunto, la seconda è una espressione soggettiva e personale, l’idea che noi ci formiamo in quanto sensazione individuale. Potremmo sartrianamente parlare di puro cinestetico, di puro sentire. In particolare, poi, nel caso del paziente oncologico, la morte non è più qualcosa di generico e vago, come per tutti i mortali, ma si presenta in costante agguato: è percepita come una sorta di vero e proprio “avviso di scadenza”, addirittura forse come un pre-sentimento. La si tocca quasi con mano. Anche per questo, poi, una volta superato il rischio della morte reale, si vive meglio e di più! L’esperienza dello scampato pericolo ci fa rivivere. Diventa la nostra resurrezione. Si cerca sempre un di più, di tempo, di qualità, di desiderio,* di attività.

“Non muore il desiderio”, appunto!

-        Tu fai riferimento, con grande delicatezza e con un velo di toccante poesia, alla serena saggezza di tua madre che amava ripetere : “Quando il Signore mi chiama sono qua.”

E dichiari anche che conquistare una analoga condizione di serenità rappresenta per te l’aspirazione più grande.

Ora, però, credo che sia impossibile sganciare la saldezza interiore di una persona come tua madre dalla sua visione della vita intrinsecamente religiosa, imperniata su incrollabili certezze relative alla sopravvivenza dell’anima e all’esistenza di una dimensione trascendente. Per cui, mi chiedo e ti chiedo:

tu che non abbracci (e non intendi abbracciare) una simile visione della realtà, restando ancorata ad una concezione di carattere ateistico, come pensi di poter mai riuscire a condividere con tua madre lo stesso atteggiamento di fronte all’evento della morte?

                 Prima di rispondere, devo fare due precisazioni, una su mia madre e una su di me.

Non credo che mia madre traesse la sua forza solamente dalla fede. Lei aveva una sua “saldezza interiore” - uso le tue parole - insita nel suo carattere: una spontanea saggezza, una dolcezza, una serenità e una gentilezza d’animo innate, con cui aveva affrontato sempre ogni esperienza della sua vita: cinque figlie, una guerra, il lavoro, la casa. Quindi, il suo essere così non era solo frutto della sua fede (e, fra l’altro, non era certo una bigotta, ma amava la vita e il piacere della vita).

A riprova di quanto affermo, basterebbe notare quante persone, convintamente cattoliche e credenti, non siano poi così miti, ma, all’opposto, inquiete, pessimiste, chiuse e, sovente, anche egoiste.

Per quanto riguarda me, poi, io non mi sento di potermi definire perentoriamente atea. Sono forse agnostica, più che altro incredula, dubbiosa, ma ho, a modo mio, sviluppato, nel corso degli anni, una particolare forma di religiosità, tutta mia e personale.

Talvolta, ho pregato e, dal pregare, ho potuto trarre sollievo. Strano? Contraddittorio? Può darsi, ma è così.

E, quindi, vengo a rispondere alla tua domanda, che potrebbe sembrare quasi retorica, su come io pensi di riuscire, da non credente, a condividere con mia madre lo stesso atteggiamento di fronte alla morte, dicendo che … questa è la mia scommessa.

La mia speranza è di poter raggiungere la stessa serenità ereditando il suo modello fatto di impegno, altruismo, solidarietà e fiducia. Spero, cioè, che la mia cultura, assieme a questi valori che costituiscono il mio bagaglio etico, possano, alla fine, premiarmi!

-        Trovo molto bella l’esortazione di tua madre (“Vogliatevi bene!”) di fronte alla tragedia di una figlia morta: una sorta di pragmatica risposta di sapore leopardiano-schopenhaueriano all’ineffabilità e all’inaccettabilità del Male?

           Sì, è proprio così. L’esortazione “vogliatevi bene” era una sorta di pragmatica risposta alla ineffabilità del Male. Con quella frase, era quasi come se mia madre avesse voluto dire: affrettatevi ad amarvi, non indugiate, non perdete tempo, non restate inerti. Perché si muore, e si muore anche giovani. E, così dicendo, affermava, senza rendersene conto, una profonda verità: il dolore trova la sua unica cura nell’amore.

-        Da quello che hai scritto e dalle cose che mi stai dicendo adesso, emerge in maniera evidente il peso che la tua formazione filosofica ha esercitato sul tuo cammino interiore e sulle tue scelte di vita.

Ma quanto ti ha potuto aiutare l’esperienza della scrittura?

             Passione filosofica e scrittura sono state la mia linfa vitale. La seconda ha avuto un valore non solo liberatorio, ma anche ludico e sublimante. L’io creativo che risponde all’io biologico. La libertà alla necessità!

Così è nato questo piccolo libro, che non è affatto uno scritto sul malessere, ma, anzi, sulla vita e sulla sua bellezza. Un elogio di essa.

Ho cercato di esprimermi in forma gradevole, e, finora, ho ricevuto lusinghieri apprezzamenti.

             Una cosa a cui tengo molto è sottolineare che il ricavato delle vendite sarà devoluto alla Ricerca per la lotta contro il cancro. Per cui, mi auguro che, oltre al consenso della critica, ci potrà essere anche un generoso consenso di pubblico!

*Gabriella Gagliardi, nata a Salerno, laureata a Napoli in Filosofia Morale, vive da molti anni a Roma dove ha insegnato Filosofia, Pedagogia e Psicologia nell’indirizzo sperimentale pedagogico di un Istituto Magistrale.

 

 

**Gabriella Gagliardi

Psicologia del malato oncologico. Non muore il desiderio
Pag. 80

Euro 10

Armando Editore,

Roma 2019

N.B. Con la speranza di poter essere di aiuto a qualcuno, Gabriella Gagliardi sarà ben felice di ricevere commenti e opinioni di qualsiasi tipo:

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Ginevra Bompiani - L' altra metà di Dio

Martedì, 03 Dicembre 2019 00:06

 

Siamo esseri narrativi, siamo fatti e modellati dalle storie. La scrittura ci modella dentro un immaginario. Quali sono le storie che ci abitano? E soprattutto: quali storie sono state cancellate dalla nostra storia e perché?

Risponde a queste domande la penna di Ginevra Bompiani e lo fa mossa dall’ansia tratteggiando tre figure ricorrenti: la distruzione, la punizione e la mistificazione. Tre ferite che hanno origini precise ma che non sono sempre esistite. Il fondamento di questi tre nuclei si rintraccia nelle religioni delle civiltà patriarcali indoeuropee.

Respiriamo distruzione nel nostro contemporaneo, una distruzione che parte dall'uomo e che lo coinvolge, in una vera corsa suicida. Distruggono Sodoma gli angeli sterminatori, con il diluvio solo Noè si salva, crolla Babele sotto i dettami del Dio sterminatore. La distruzione positiva crea spazio, reinventa il caso, come quando i bambini gridano “di nuovo” davanti a una novità che li entusiasma. La distruzione negativa è ripetizione, ritornello stanco di un tempo senza tempo.

La creazione biblica vede prima di tutto gli Elohim che creano due volte, “di nuovo”. Elohim è un Dio molteplice, composto di maschile e femminile, che riflette la sua natura nella creazione dell'umano che nasce maschio e femmina insieme. “Gli Elohim, creando l'uomo a loro immagine e somiglianza, lo lasciano libero. La memoria collettiva, confondendo le due origini, ha dimenticat la sua libertà”.

Peccato che la storia biblica abbia esaltato Jahvè a discapito degli Elohim. Jahvè pretende obbedienza e per ottenerla punisce.

“Il dio geloso, dotato di mani e voce, ha vinto, forse perchè l'uomo vuole sentirselo addosso, forse perchè gli permetteva di spiegare le sue pene, forse perchè gli conferiva il potere sulla donna, responsabile di tutti i suoi mali”.

La grande mistificazione si collega al titolo: l'”altra metà di Dio” è ciò che ci è stato nascosto, ovvero le civiltà che abitavano l'Europa prima dell'arrivo degli Dei patriarcali.

“Non vi è mistifcazioen più antica e durevole, più tenace e silenziosa di quella che qualche migliaio di anni fa ha sostituito il mondo pacifico ed egualitario delle società matrifocali con il patriarcato, facendo delle prime il grande rimosso della storia”.

Catal Huyuk (7400- 5400 aC) ci consegna una città evoluta senza mura difensive, persino senza porte di casa; a fondare il loro immagianario la Dea steatopigia.

Cosa ha favorito, dunque, questa rimozione, questo rimpiazzamento?

La religione e la scrittura (oltre alle armi dei conquistatori Kurgan).

“La scrittura serve a ricordare, ma anche a dimenticare”: a leggi non scritte obbedisce Antigone, a leggi scritte obbediscono i personaggi biblici e mitologici che arrivano persino a sacrificare i loro figli.

Con una scrittura evocativa e poetica, Ginevra Bompiani, ci sussurra una storia che sarebbe importante ritrovare e riscoprire nel nostro dna narrativo. Che sia una storia antica a fondare un futuro arcaico.

 

Ginevra Bompiani 
L' altra metà di Dio
Feltrinelli 2019

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L'accoglienza delle persone migranti - Tiziana Grassi

Lunedì, 02 Dicembre 2019 14:14

La Storia avanza spedita e noi qui, il suo fugace quarto d’ora, a dissipare occasioni di evoluzione umana e civile.

Per reggere l’urto della complessificazione delle migrazioni contemporanee, Tiziana Grassi * ha avvertito la necessità di approfondirne i molteplici aspetti in un’ottica corale. Perché interpretare i profondi mutamenti socio-culturali in atto attraverso la lente ampliante del confronto tra diverse discipline e punti di osservazione, è forse l’unica via per affrontare l’insostenibile egemonia delle attuali miopie su fenomeni epocali. Da osservare con il giusto e necessario respiro e con quella visione d’insieme e a più voci che ci dice che un’altra direzione è possibile.

Scegliendo da che parte stare, ha voluto raccontare quell’Italia invisibile e reale, viva e solidale, di donne e uomini che non hanno mai smesso di essere dalla parte delle persone e dei diritti umani, di pensare universalmente, di compartecipare, di accogliere. Capace di partecipare con fermezza silenziosa alle vicende umane, è l’Italia che non si rassegna al clima d’odio e anzi coltiva la socialità rendendola pratica quotidiana nella sobrietà di gesti semplici e proattivi che includono e uniscono. Quella che, nel senso comunitario di umanità e di giustizia rivolte al bene comune, riconosce i propri fondamentali, i valori grandi ed essenziali che restituiscono all’essere umano tutta la sua centralità.

Ha voluto raccontare quell’Italia aperta all’incontro dialogante che, nella pacifica e conviviale coesistenza delle differenti identità, abbraccia la crescente complessità dei processi migratori contemporanei costruendo ponti, legami e relazioni significanti in un quotidiano spesso destinato a non ‘fare notizia’. L’orizzonte ideale e la valenza connettiva di questa comunità civile che ogni giorno genera gesti importanti di altruismo, che cresce anche tra i giovani e ci fa sperare, pervade diffusamente e a maglie strette il nostro Paese.

In questo volume si fa dunque luce sulle ombre di infondati quanto corrosivi allarmi sociali che - in attesa di una proposta di governance europea organica e lungimirante - hanno voluto far passare l’immigrazione come uno dei problemi più gravi e urgenti del Paese [...]

 

 

 

* Tiziana Grassi

Tiziana Grassi è nata a Taranto, vive e

lavora a Roma.

Giornalista, laureata in Lettere Moderne,

studiosa di emigrazione-immigrazione e di sociologia della comunicazione, autrice di programmi televisivi di servizio per gli Italiani all’estero a Rai International, consulente di programmi di cultura e cronaca per Rai1 e  Rai2.

In tema di migrazioni e di multiculturalismo collabora con testate nazionali e internazionali. Ha svolto e svolge la propria attività professionale in ambito di didattica e ricerca in Master presso il Dipartimento di   comunicazione e Ricerca Sociale, Sapienza Università di Roma; l’Università Cattolica “A. Gemelli” di Roma; la Lumsa di Roma; le Università di Teramo, Bari-Taranto, Macerata.

Per la Società Dante Alighieri, ha collaborato alla programmazione scientifica della Prima Conferenza dei Giovani Italiani nel Mondo promossa dal Ministero degli Affari Esteri (Fao, Roma 2008).

Tra i riconoscimenti per il giornalismo sociale: Premio internazionale “Globo Tricolore - Italian Women in the World all’eccellenza italiana nel Mondo” (2010); Premio internazionale “Nelson Mandela” per i diritti umani (2014); Premio internazionale “Giornalisti del Mediterraneo” (2015); Premio Internazionale “Italia Diritti Umani 2019” - Free Lance International Press (2019).

Dal 2015 è referente per la Comunicazione e la Stampa dell’INMP (Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto alle malattie della Povertà), centro di riferimento  nazionale per le problematiche di assistenza sanitaria verso le popolazioni migranti e la povertà. L’ente, afferente al Ministero della Salute, è un’eccellenza riconosciuta best practice dall’OMS, Agenzia dell’ONU.

Tra le sue pubblicazioni: Dicono di Roma - 50 interviste per il terzo millennio (Palombi, Roma 2000); Noi bambini e la tv prima e dopo l’11 settembre (Stango, Roma 2002); Dicono di Taranto - Semiotica del territorio - Lontananza. Appartenenza. Percorsi (Provincia di Taranto-Ink Line, Taranto 2004); con Mario Morcellini (a cura di), La guerra negli occhi dei bambini - Le immagini televisive dei conflitti tra critica e proposta (Rai-Eri-Pellegrini, Roma-Cosenza 2005); con Catia Monacelli e Giovanna Chiarilli (a cura di) l’opera multimediale in dvd Segni e sogni dell’emigrazione - L’Italia dall’emigrazione all’immigrazione (Eurilink, Roma 2009); anatomie degli Invisibili. Precari nel lavoro, precari nella vita (Nemapress, Alghero 2012); Taranto. Oltre la notte (Progedit, Bari 2013); eu-Calendario solidale L’Aquila+Taranto. Insieme oltre la notte (L’Aquila, 2013); Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo, progetto e co/curatela (SER ItaliAteneo-Fondazione Migrantes, Roma 2014.

 

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La sventata truffa all’Europa per via del Protocollo di “quel cornuto” di Antoci.

Martedì, 19 Novembre 2019 01:00

Questo lo scenario descritto ieri sera a Mussomeli durante la presentazione del libro “La mafia dei pascoli” da Giuseppe Antoci, sopravvissuto fortunosamente all’attentato avvenuto in territorio dei Nebrodi, la notte fra il 17 e il 18 maggio 2016: un affare da 5 miliardi di euro perpetrato ai danni della Comunità Europea con il tacito consenso delle Istituzioni regionali.

In un clima di intimidazioni e vessazioni che umiliava i contadini onesti impedendogli di partecipare ai bandi pubblici, pena la condanna per “Lesa Maestà”, si è creato quel fertile humus in grado di alimentare la fonte principale di sostentamento della mafia in Sicilia, l’Agricoltura.

Basti pensare che la latitanza di Messina Denaro si è mantenuta proprio “grazie” ai fondi europei per l’agricoltura.

A partecipare ai bandi in un territorio molto esteso, capace di includere anche più province, sempre e solo un’azienda, con incremento di 1- 1,50 euro al massimo per asta.

Ad ogni bando veniva costituita una nuova società sempre con infiltrazioni mafiose dove affitti che normalmente rendono 36- 36,40 euro compreso IVA ad ettaro riuscivano a lucrare anche 1.300 euro adottando lo stratagemma di applicare più misure con una sola particella.

Contratti medi da 5 a 9 anni per una stima di 7/8 milioni di euro ad affare.

Cercando anche di contenersi per “non dare all’occhio”!

I cognomi sempre gli stessi: Riina, Madonia, Ercolano, Santapaola, Gallino, Pesce, … colleghi fuori isola compresi, che, sempre “grazie” alla Legge dello Stato sugli appalti, POTEVANO partecipare ai bandi con certificato antimafia autocertificato, una procedura di evidentissima semplicità.

E così, con i fondi europei destinati ed erogati per l’agricoltura, si mantiene Cosa Nostra e si alimentano i mercati illeciti…e qualora qualche mafioso dovesse, per fortuite circostanze, trovarsi a scontare qualche debito di giustizia, ecco i figli sfrecciare in paese con le loro Jeep di lusso a rimarcare un potere che non si sconfigge.

Ma il bando civetta di Giuseppe Antoci, uscito proprio 5 giorni prima dell’approvazione del Protocollo, a stessa firma, che impone alle aziende la presentazione del certificato antimafia rilasciato dalla Prefettura, ha scoperchiato un calderone pericoloso e incandescente…perché, come riferisce, “in italiano puro”, il Giornalista Nuccio Anselmo, coautore del libro, con le sue spiccate doti di cronista: “La mafia si scatena quando vai a toccare la sacchetta”.

E da quel momento la reazione è stata spietata.

Intimidazioni in tipico stile mafioso sfociate poi la notte del 17 maggio in quel tentato attentato che è stato e continua ad essere motivo di dibattito non solo nazionale, (del caso Antoci ha parlato anche la più importante emittente televisiva cinese) peraltro anche controverso, viste le incongruenze e le divergenze fra gli organi preposti a Fare Giustizia.

Perché, di fatto, ancora Giustizia non è stata fatta…e, su quel teatrino fatto di mashere e “mascariamenti”, paradossi e recite a soggetto, ancora ci si chiede quale, fra le tre opzioni, proposte dall’Antimafia sia la più plausibile!

Perché in questa terra la mistificazione la fa da padrona e così chi fa agisce nell’ambito della legalità è un “cornuto” (così, almeno, veniva definito Antoci dai mafiosi nelle loro comunicazioni intercettate) e chi vive nell’ inganno e nel sopruso ci appare come paladino del bene.

E’ quello status quo che, ad un anziano signore, con in mano il bastone da pastore, fa rispondere alle domande provocatorie di un giornalista: “Ma signor mio siamo nella pace e ci dobbiamo mettere nelle guerra”?

“Il giuoco delle parti”… Pirandello docet!

Intanto le indagini sono state archiviate, senza assicurare alcun colpevole alla Giustizia, senza “risarcire” gli uomini della scorta né tantomeno Antoci che rivendica la perdita della propria libertà e che, alla sottesa domanda: “Ma cosa ne pensa della relazione conclusiva dell’Antimafia?”, secco, risponde: “Mi sarei aspettato che l’Antimafia si occupasse delle collusioni e delle connivenze, di tutti quei funzionari regionali che, nel visionare pratiche riportanti certi “cognomi illustri” quantomeno accennassero a un sospetto, piuttosto che mettersi a discutere su dei particolari che, a suo modo, inquinassero la scena del mancato crimine”!

E quello che, per l’efferatezza e il modus operandi è stato paragonato agli eventi stragisti del 92/93 , rimane comunque un caso irrisolto.

Il debito di giustizia non vale solo per i morti!

Non solo i morti sono eroi ma anche quanti hanno fatto e continuano a fare per una terra che, indubbiamente, non è solo Cosa Nostra.

E Cosa Nostra qualche volta perde, lo provano i 14 arresti scattati immediatamente dopo l’applicazione del Protocollo, un Protocollo di legalità adottato ad oggi in tutto il Paese.

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"MORGANA: storie di ragazze che tua madre non approverebbe. " di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri

Domenica, 17 Novembre 2019 00:20

 

“Ai miei tempi sono stata chiamata in molti modi: sorella, amante, sacerdotessa, maga, regina. Ora, in verità, sono una maga e forse verrà un giorno in cui queste cose dovranno essere conosciute...” con queste parole la scrittrice Zimmer Bradley ci presenta Morgana, antagonista degli “eroi solari” Artù, Ginevra e Merlino.

È dall'albero genealogico di Morgana che le autrici fanno emergere dieci ritratti di donne. “Strane, difficili, non convenzionali e persino stronze... un seme che passa di mano in mano e arriva a chiunque, maschio o femmina, voglia vivere senza dover giustificare l'unicità della propria storia”

Ci sono storie solari che ci trasmettono messaggi “puliti”, e ci sono eroine torbide, confuse, che sono controcorrente per il solo fatto di aver scelto e perseguito la via della propria unicità.

Il libro prende origine dal podcast https://storielibere.fm/morgana: è un progetto è importante e mai scontato: riscoprire il valore della biografia, quando la storia narrata e la vita si intrecciano per creare un valore intrinseco.

Vite distanti, nel tempo e nella realizzazione, come le prime due storie: quella di Caterina da Siena e quella di Moana Pozzi: due figure visionarie.

Visioni interiori sono quelle di Caterina da Siena che sfida i dettami dell'epoca che l'avrebbe inchiodata al ruolo di moglie sottomessa, e grazie alla castità, fa del suo corpo “il teatro costante del dialogo con Cristo” (p. 41). Caterina arriverà persino ad essere la consigliera del Papa, potrà viaggiare, altro atto per sé rivoluzionario.

Moana Pozzi, che apre il libro, fa del suo corpo una liturgia perfetta, si offre alla visione altrui, mantenendo protetta la sua vita privata fino alla fine: un'esteriorità costruita alla perfezione in un'interiorità fatta di ricerca e spiritualità.

Dal cinema alla religione, il progetto Morgana ingloba poi le sorelle Bronte, “pioniere sventurate” (p. 78), che hanno ribaltato la loro infanzia difficile attraverso la scrittura: le loro opere, presentate in principio sotto lo pseudonimo maschile dei fratelli Bell, faranno la storia della letteratura, ognuna con uno stile differente.

Segue la storia di Moira Orfei, regina brilante del tendone che nessuno riuscirà mai a domare.

Morgana ingloba poi figure meno note come Tonya Harding, la prima donna a fare un triplo axel sui pattini, ma per l'estetica e per i suoi costumi è stata sempre penalizzata. Ad essere da esempio è anche il suo coraggio di moglie soggetta a soprusi.

Shirley Temple, angelo biondo dell’America, dovrà confrontarsi con il tempo che scorre che, da bambina, la trasforma in donna. Quando le cineprese si spegneranno, sarà l'attivismo a contraddistingerla, come deputata e ambasciatrice.

Marina Abramović, artista unica, ha messo al centro il corpo, i suoi limiti, i suoi simbolismi. Si è spinta oltre, nella carne e nell'arte.

Dieci vite che aprono spiragli di rivoluzione, biografie che mettono al centro l'autenticità con se stessi.

Michela Murgia e Chiara Tagliaferri  
MORGANA: storie di ragazze che tua madre non approverebbe
Mondadori 2019

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DUE SECOLI DI FANTASMI di Simona Cigliana

Lunedì, 04 Novembre 2019 13:42

 Con la pubblicazione di Due secoli di fantasmi. Case infestate, tavoli giranti, apparizioni, spiritisti, magnetizzatori e medium, di Simona Cigliana*, le Edizioni Mediterranee ci permettono di riappropriarci di un’opera decisamente fuori dal comune, precedentemente apparsa una decina di anni fa per l’ Editore Fazi, e presto esaurita e divenuta pressoché introvabile. Il volume, che incontrò, all’epoca, un buon successo anche a livello di critica qualificata e attenta, nell’ambito dei maggiori quotidiani, settimanali e riviste, è stato felicemente ampliato e aggiornato e dotato di una nuova veste scientifica arricchita da una preziosa bibliografia.

Va subito precisato che titolo e soprattutto sottotitolo potrebbero risultare fuorvianti, dando l’impressione di trovarci di fronte ad una mera rassegna di curiosità paranormali, ovvero ad una sorta di passeggiata panoramica nel campo delle varie fenomenologie relative a quello che potremmo definire il “mondo dell’Occulto”. Ebbene, nulla di più sbagliato. Con il volume di Simona Cigliana, siamo di fronte ai risultati di una imponente ricerca condotta in vari settori del sapere, volta a presentarci, in maniera scrupolosamente documentata, “un lato della storia della cultura rimasto in ombra, su cui nessun manuale si sofferma”, e desiderosa di farci comprendere quanto la cultura occidentale, soprattutto del XIX secolo e della prima metà del XX secolo, sia stata impregnata di “spiritismo, occultismo ed esoterismo, con il loro corredo di spiritualità alternative”, e quanti e quali siano state le significative e assai proficue occasioni di interazione con tale multiforme sfera di interessi teorici e pratici.

L’opera si prefigge, innanzitutto, di dimostrare che il cosiddetto mondo dell’Occulto non dovrebbe essere relegato con sprezzante alterigia nello scantinato delle cose buffe, stravaganti e insulse prodotte dalle morbosità della fantasia umana, bensì considerato come un ingrediente tutt’altro che trascurabile della cultura contemporanea. E che di conseguenza, quindi, meriterebbe di essere studiato e indagato senza pregiudizi, e non trattato sbrigativamente come qualcosa di affine alla superstizione, al fanatismo, alla truffa, intendendolo e adoperandolo, anzi, come indispensabile strumento interpretativo.

Questo perché, qualora volessimo intestardirci a ritenere di poter prescindere dalle chiavi di lettura offerte dalla immensa letteratura magico-spiritistica, teosofico-antroposofica, esoterico-orientalistica fiorita nella cosiddetta età del Decadentismo, ben poco sarebbe possibile adeguatamente comprendere delle esplorazioni culturali, delle creazioni rivoluzionarie, nonché delle innovative scoperte scientifiche dei vari V. Kandinsky, E. Munch, P. Mondrian, A. Schonberg, W. B. Yeats, W. Crookes, C. Flammarion, H. Bergson, ecc …

E per poter fare tutto ciò, il mondo dell’Occulto, rappresentando una realtà sterminata e assai variegata, dai contorni alquanto sfuggenti e indeterminati, non certamente riducibile a qualche tavolino traballante, andrebbe considerato, a tutti gli effetti, degno di accurata indagine storico-culturale condotta con il necessario rigore critico.

Cosa questa che, per poter essere effettuata, liberati dai prevedibili pregiudizi e dalle logore etichette, richiederebbe pazienza, impegno e grandi quantità di tempo. Basti pensare, tanto per fare solo qualche riferimento di particolare rilievo, alla vastità e alla complessità di opere abissali come l’Iside Svelata o la Dottrina segreta di Helena Petrovna Blavatsky, alla monumentale pluritematica produzione steineriana, alla sconfinata ricerca di Ernesto Bozzano nell’ambito della fenomenologia del cosiddetto paranormale. Ma, accanto ai colossi menzionati, non andrebbero certo ignorate o trascurate le varie forme di filosofia esoterica e occultistica, nonché le varie sperimentazioni e indagini di natura spiritistica e metapsichica che hanno dato vita ad un vero e proprio oceano di riviste, libri, libroni e libretti avidamente divorati da molte fra le massime figure della cultura dell’epoca (soprattutto nell’ambito delle numerose avanguardie). Riviste, libri, libroni e libretti, quindi, che, indipendentemente dai loro (non pochi) pregi e dai loro (indubbi) limiti, avendo costituito un immenso e ribollente serbatoio di ispirazioni e sollecitazioni, non potrebbero dover essere ignorati, ma anzi andrebbero ritenuti indispensabili per riuscire davvero a penetrare all’interno delle coordinate etiche, psicologiche e speculative di tutti coloro che se ne sono avvalsi, spesso dando vita a sperimentazioni artistiche, a sincretismi, a ibridazioni e contaminazioni filosofico-scientifiche e filosofico-religiose, capaci di promuovere uno straordinario rinnovamento radicale dell’intero panorama culturale contemporaneo.

E così, la Cigliana ci guida (anzi ci trascina!) in un rutilante viaggio all’interno di angoli della nostra storia quasi del tutto ignorati o trascurati, dalle vicende delle sorelle Fox alla vita avventurosa di Franz Anton Mesmer, dalla figura eccezionale di Daniel Dunglas Home alle ricerche di William Crookes e alla sua enigmatica Katie King, da Conan Doyle ad Eusapia Palladino. Particolarmente densi e interessanti, poi, il capitolo dedicato alle tesi reincarnazionistiche di Giuseppe Mazzini e quello dedicato alla presenza della dimensione del soprasensibile all’interno della letteratura e delle arti figurative di fine Ottocento e di inizio Novecento.

In definitiva, il libro di Simona Cigliana non può che essere considerato, senza alcuna esitazione, un libro felicemente riuscito. Perché si tratta di un’opera che riesce ad assemblare con ariosa padronanza una mole vastissima di informazioni, sempre documentate in maniera puntigliosamente accurata, risultando sempre in grado di alimentare suggestive curiosità conoscitive. E perché riesce, inoltre, ad accalappiare l’attenzione e l’interesse sia di lettori mediamente preparati in ambito storico-culturale, pur se del tutto (o quasi) ignari nel campo dell’”occulto”, sia di lettori di solida preparazione nell’uno e nell’altro campo. Perché, infine, si tratta di un libro scritto con vena instancabilmente briosa e zampillante, con prosa nitida e controllata; di un libro ponderato e incisivo sotto il profilo intellettuale, avvincente, dalla prima all’ultima pagina, come una grande, imprevedibile, entusiasmante avventura.

*

Simona Cigliana ha insegnato Letteratura Italiana, Critica Militante e Letterature Europee Comparate alla “Sapienza” di Roma e in altre Università italiane ed europee. È autrice, in Italia e all’estero, di numerosi studi scientifici su Luigi Capuana, Giovanni Verga, Luigi Pirandello, Massimo Bontempelli, Filippo Tommaso Marinetti e diversi autori otto-novecenteschi. Tra le sue pubblicazioni, relativamente all’ambito dei rapporti tra occultismo, spiritualismo e storia delle avanguardie, ricordiamo: Futurismo esoterico. Contributi per una storia dell’irrazionalismo italiano tra Otto e Novecento (Napoli, Liguori, 2002); La seduta spiritica. Dove si racconta come e perché i fantasmi hanno invaso la modernità (Roma, Fazi, 2007); “Il fantasma senza spirito. Storie di apparizioni, spettri ed ectoplasmi da Mesmer a Baudrillard (passando per Marx)”, in Ritorni spettrali. Storie e teorie della spettralità senza fantasmi (Bologna, Il Mulino, 2018).

Simona Cigliana

Due secoli di fantasmi. Case infestate, tavoli giranti, apparizioni, spiritisti, magnetizzatori e medium

    

Editore: Edizioni Mediterranee

Anno edizione: 2018

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La mobilità italiana. Il tempo delle scelte. Rapporto Italiani nel Mondo 2019

Sabato, 26 Ottobre 2019 15:50

 

128 mila partenze nell’ultimo anno. Quasi 5,3 milioni di residenti all’estero

 

 

È stata presentata a Roma la XIV edizione del “Rapporto Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes. Con il contribuito di circa 70 studiosi italiani e non, la mobilità dall’Italia e nell’Italia è analizzata partendo dai dati quantitativi (socio-statistici). L’approfondimento di questa edizione è stato dedicato alla percezione delle comunità italiane nel mondo: “Quando brutti, sporchi e cattivi erano gli italiani: dai pregiudizi all’amore per il made in Italy”. Il Rapporto Italiani nel Mondo riflette cioè sulla percezione e sulla conseguente creazione di stereotipi e pregiudizi rispetto al migrante italiano. Il fare memoria di sé diventa quindi occasione per meglio comprendere chi siamo oggi e chi vogliamo essere.

Quasi 5,3 milioni di residenti oltre confine (dati Aire 1.1.2019)

Su un totale di oltre 60 milioni di cittadini residenti in Italia a gennaio 2019, alla stessa data l’8,8% è residente all’estero. In termini assoluti, gli iscritti all’AIRE, aggiornati al 1° gennaio 2019, sono 5.288.281.

Dal 2006 al 2019 la mobilità italiana è aumentata del +70,2% passando, in valore assoluto, da poco più di 3,1 milioni di iscritti all’AIRE a quasi 5,3 milioni.

Quasi la metà degli italiani iscritti all’AIRE è originaria del Meridione d’Italia (48,9%, di cui il 32,0% Sud e il 16,9% Isole); il 35,5% proviene dal Nord (il 18,0% dal Nord-Ovest e il 17,5% dal Nord-Est) e il 15,6% dal Centro.

Oltre 2,8 milioni (54,3%) risiedono in Europa, oltre 2,1 milioni (40,2%) in America. Nello specifico, però, sono l’Unione Europea (41,6%) e l’America Centro-Meridionale (32,4%) le due aree continentali maggiormente interessate dalla presenza dei residenti italiani. Le comunità più consistenti si trovano, nell’ordine, in Argentina (quasi 843 mila), in Germania (poco più di 764 mila), in Svizzera (623 mila), in Brasile (447 mila), in Francia (422 mila), nel Regno Unito (327 mila) e negli Stati Uniti d’America (272 mila).

Oltre 128 mila iscritti all’AIRE per espatrio nell’ultimo anno: da 107 province e verso 195 destinazioni diverse nel mondo

Da gennaio a dicembre 2018 si sono iscritti all’AIRE 242.353 italiani di cui il 53,1% (pari a 128.583) per espatrio. L’attuale mobilità italiana continua a interessare prevalentemente i giovani (18-34 anni, 40,6%) e i giovani adulti (35-49 anni, 24,3%). Il 71,2 è in Europa e il 21,5% in America (il 14,2% in America Latina). Sono 195 le destinazioni di tutti i continenti. Il Regno Unito, con oltre 20 mila iscrizioni, risulta essere la prima meta prescelta nell’ultimo anno (+11,1% rispetto all’anno precedente). Al secondo posto, con 18.385 connazionali, vi è la Germania. A seguire la Francia (14.016), il Brasile (11.663), la Svizzera (10.265) e la Spagna (7.529).

Le partenze nell’ultimo anno hanno riguardato 107 province italiane. Con 22.803 partenze continua il solido “primato” della Lombardia, seguita dal Veneto (13.329), dalla Sicilia (12.127), dal Lazio (10.171) e dal Piemonte (9.702).

Il Rapporto Italiani nel Mondo 2019, attraverso analisi sociologiche e linguistiche, aneddoti e storie fa riferimento al tempo in cui erano gli italiani ad essere discriminati, risvegliando “il ricordo di un passato ingiusto – spiega il testo - non per avere una rivalsa sui migranti di oggi che abitano strutturalmente i nostri territori o arrivano sulle nostre coste, ma per ravvivare la responsabilità di essere sempre dalla parte giusta come uomini e donne innanzitutto, nel rispetto di quel diritto alla vita (e, aggiungiamo, a una vita felice) che è intrinsecamente, profondamente, indubbiamente laico”. Si tratta dunque di “scegliere non solo da che parte stare, ma anche che tipo di persone vogliamo essere e in che tipo di società vogliamo vivere noi e far vivere i nostri figli, le nuove generazioni”. La Fondazione Migrantes auspica che questo studio possa “aiutare al rispetto della diversità e di chi, italiano o cittadino del mondo, si trova a vivere in un Paese diverso da quello in cui è nato”.

 

Le partenze degli italiani nell’ultimo anno: da dove

 

 

 

 

 

 Rapporto Italiani nel Mondo 2019  

Le partenze degli italiani nell’ultimo anno:
verso dove

 

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Manifesto della mamma imperfetta - Giordana Ronci

Sabato, 12 Ottobre 2019 21:12


Elogiare l'imperfezione significa porsi in un ottica di libertà, soprattutto se questo riguarda un ruolo primordiale come quello materno, dove troppo spesso consigli mascherati da regole tendono a sclerotizzare un ruolo fluido e liquido come quello della madre.

“Im-perfetto è il divenire, il perfetto è lo stare”, se il perfetto e statico , l'imperfetto è movimento e presuppone il non compiuto e un'apertura al respiro del cambiamento.

Oltre a partorire il figlio, la madre partorisce se stessa e si ricollega ad una conoscenza antica, globale nel corpo, ma personale nell’ esperienza e nelle sue declinazioni.

Una scintilla divina sboccia nella creazione di un “altro” da sé, e questa esperienza apre punti interrogativi scomodi che spesso cozzano contro le 3 N di “normale”, “ naturale”, “necessario” facendole diventare lettere minuscole e aperte a più interpretazioni derivate dall'esistenza e dai bisogni.

L'autrice, cofondatrice del progetto educativo dell'Asilo nel Bosco di Ostia antica, madre e maestra, alterna alle riflessioni sul tema alcune avventure personali divertenti e mai scontate, tese a dimostrare come sia necessario un recupero dell'intuizione, delle soluzioni originali, ma anche di un pizzico di ironia e di un ascolto profondo per riuscire a destreggiarsi tra le difficoltà quotidiane.

Cosa ci serve realmente? È la domanda da porsi spesso prima di accogliere una vita (e anche dopo): culle, passeggini, biberon… “ la nostra è una cultura del distacco e della ricerca dell’ autonomia precoce e (quindi) forzata”. Benvenga dunque questo ritorno al naturale processo della nascita e al ruolo così decisivo delle levatrici, delle ostetriche, capaci di far emergere la vita, dando fiducia all'innata capacità del corpo di adempiere a questo scopo.

Purtroppo impera il bisogno di giustificarsi davanti ai diktat della perfezione, quindi perchè non crearsi anche un decalogo per la donna imperfetta? E se le ultime pagine lasciano spazio alle lettrici, il capitolo precedente sciorina con ironia una serie di situazioni d'imperfezione che rendono il ruolo materno dinamico, fluido e originale, proprio come è la vita.

 

Giordana Ronci
Manifesto della mamma imperfetta
Edizioni Tlon 2017 

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“Nessuna come lei” di Marco Balbina

Martedì, 08 Ottobre 2019 13:54

Il romanzo “Nessuna come lei” di Marco Balbina, edito dalla Nemapress diretta da Neria de Giovanni, affronta, con una vicenda articolata e ricca di personaggi, uno dei periodi più travagliati della storia italiana del novecento: gli anni settanta. Sebbene travagliati da una forte contrapposizione politico-ideologica, gli anni “dell’immaginazione al potere”, sfociati nell’età del terrorismo brigatista e della stragi neo-fasciste, sono stati, a parte qualche eccezione, soprattutto cinematografica, molto sbrigativamente accantonati, quasi che la scia di sangue che essi produssero costituisse una barriera insuperabile alla loro distaccata narrazione. Nel romanzo di Balbina, quegli anni, sono analizzati a partire dall’attualità, perché la storia di Tista Muleddu e di Paolina Arquer, protagonisti di una drammatica storia d’amore lunga più di quarant’anni, inizia in una Alghero contemporanea, per poi trasferirsi, con un flashback che occupa la parte centrale del racconto, nella Cagliari di Gigi Riva e nella Portotorres della SIR di Nino Rovelli, in una Sardegna in grande trasformazione economica e sociale, che può essere presa come paradigma della trasformazione in atto anche nel resto del paese. La tecnica analessica del raccontare a ritroso, consente, in particolare, all’autore, di mettere in relazione una epoca così rivoluzionaria e ricca di tensione trasformatrice, con quella attuale, caratterizzata da un incipiente disincanto e da un forte riflusso politico.

All’autore…..ha posto alcune domande:

-Balbina, quali ragioni l’hanno spinta a scrivere un romanzo sugli anni dell’immaginazione al potere? –

-In primis, per una esigenza personale: il bisogno di un bilancio, di una ricapitolazione della propria vicenda umana, ma anche della convinzione che niente è davvero personale, che anche il personale è politico, come si diceva un tempo. Vorrei precisare, comunque, che nel romanzo non c’è nessuna intenzione apologetica né tanto meno nostalgica: c’è solo il tentativo di analizzare un periodo fondamentale della nostra storia, e capire dove siamo arrivati oggi, anche perché, a mio avviso, dal punto di vista sociologico e letterario, la generazione degli anni settanta non è stata sufficientemente indagata –

-La Sardegna narrata nel suo romanzo appare una regione in grande trasformazione sia economica che sociale –

-A partire dagli anni sessanta, la Sardegna è attraversata da un insieme di fattori progressivi, sia economici che sociali, che la trasformano nel profondo, che la veicolano verso la contemporaneità, forse per la prima volta nella sua storia. Sono gli anni del Piano di Rinascita, dell’industrializzazione basata sulla chimica, dell’ingresso dell’isola nel mercato turistico internazionale con la Costa Smeralda, del grande successo sportivo del Cagliari di Gigi Riva, che conquista lo scudetto e, da squadra di provincia di una terra emarginata, diventa la rappresentante del calcio italiano nella Coppa dei Campioni. Un evento che oggi può apparire quasi banale; ma che all’epoca ebbe uno straordinario impatto politico e sociale, se è vero che, persino il grande Emilio Lussu, paragonò quella strabiliante vittoria all’epopea della sua Brigata Sassari -

-In questo scenario dinamico i personaggi si muovono come protagonisti di storie che non rimandano più allo stereotipo della tipica narrazione sarda legata alle zone interne, ma si fanno portatori di esigenze e di bisogni universali, tipici della modernità –

 sentire anche in Sardegna, trasformando definitivamente lo stile di vita dei sardi, che da “esclusivista” divenne sempre più un “misturo”, come ebbe a dire, successivamente, il grande Sergio Atzeni. Da quel momento la Sardegna diventerà sempre più uno sfondo, e, in primo piano, saliranno i personaggi del nuovo corso storico, che vivranno storie del tutto simili a quelle vissute nel resto del paese e del mondo. Caduta la cerniera di isolamento, allentata la camicia di forza identitaria, i sardi diventano i Tista e le Paoline del mio romanzo. Qualcuno ha gridato al disastro per questa perdita dell’antica identità, io credo, al contrario, che abbia avuto elementi di grande positività –Credo che proprio a partire dagli anni settanta, preparati dal decisivo evento del “Sessantotto”, l’impatto di quella che Pasolini chiamò nei suoi Scritti Corsari “mutazione antropologica”, si fece

-Ci può descrivere meglio i personaggi del suo romanzo? –

-Tista è il personaggio principale, insieme a Paolina. Tista è un giovane perito chimico cagliaritano, appartenente al Movimento studentesco, romantico idealista convinto nella virtù terapeutica della rivoluzione, che appena diplomato, decide in andare a lavorare in fabbrica. All’epoca la fabbrica era vista, specie dai militanti di sinistra, come l’avamposto rivoluzionario, l’orlo di un vulcano pronto a esplodere e liberare la società dal giogo capitalista. Ovviamente, le cose non stavano così. Tista, suo malgrado, assiste al fallimento del petrolchimico di Rovelli, affogato in un mare di debiti, e anche delle sue idee rivoluzionarie, e decide di licenziarsi, di cambiare vita, diventando, negli anni seguenti, addirittura un affermato imprenditore, ed è così che lo incontriamo all’inizio del romanzo. Ma in realtà, anche nella sua “seconda vita”, non perderà mai la voglia di lottare contro i soprusi e le disuguaglianze sociali. Una lunga e travagliata storia d’amore lo legherà a Paolina Arquer, giovane e brillante femminista, rampolla di un’antica famiglia nobile cagliaritana, che attraverserà tutto il romanzo, con un finale drammatico che preferirei non rivelare. Paolina fa parte del Collettivo femminista di Via Donizetti 52, che è stato realmente il primo collettivo femminista cagliaritano e, uno dei primi, in Italia. Essa rappresenta l’espressione della possibile libertà della donna, che da quel momento, diventa un vero soggetto politico, organizzato in movimento e in collettivi, che lotta separatamente dall’uomo per la liberazione complessiva della società. Vi sono anche altre importanti figure nel romanzo, da Antonio Contini a Rino Polcani, da Sandro Portas a Greta, che danno il senso del cambiamento avvenuto e di una esistenza vissuta senza più le antiche intermediazioni familiari e sociali–

 

-Ci sono tratti biografici nei personaggi del romanzo?-

-In parte. Mi sono diplomato Perito Chimico al “Michele Giua” di Cagliari a metà degli anni settanta, quindi ho vissuto in pieno il miraggio dell’industrializzazione, che aveva coinvolto tanti giovani come me nel sogno della chimica isolana. Il mio Istituto, inoltre, era ubicato anch’esso in Via Donizetti, qualche centinaio di metri dopo il Collettivo Femminista. Noi sapevano che lì dentro c‘erano donne “diverse” dalle altre e, perciò, sghignazzavamo alla loro vista, come potevano fare dei giovinastri immaturi, senza minimamente comprendere che quelle donne stavano scrivendo la storia del femminismo in Sardegna. Ho anche una storia calcistica che mi lega al Cagliari calcio: nell’anno dello scudetto vengo acquistato dalla società, e milito nel settore giovanile fino alla De Martino, le riserve della Serie A, quindi vivo dall’interno la grande epopea sportiva di quegli anni. Sicuramente, le mie esperienze personali, hanno influito nell’economia complessiva della storia, sebbene i personaggi siano frutto esclusivo della mia immaginazione –

-Ci può dire in due parole perché il suo libro dovrebbero essere letto, soprattutto dai giovani? –

-Credo che in questi anni sia mancato il giusto approccio storico alla società attuale. Siamo dominati quasi esclusivamente da necessità economiche, e stiamo tralasciando molte altre prospettive che aprirebbero squarci interessanti per comprendere il presente. Anche ai più giovani. Il romanzo, per la sua assoluta vocazione sociale – un romanzo che non descrivesse, oltre la trama, anche la società nella quale si muovono i personaggi, non sarebbe tale – può essere un utile strumento di riflessione, senz’altro di più facile lettura rispetto a un saggio specialistico o a una noiosa ricerca statistica -

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Rime Rimedio - Bruno Tognolini

Mercoledì, 04 Settembre 2019 12:52

Cinquanta filastrocche chieste dai grandi per i bambini che hanno accanto, o dentro

 

Bruno Tognolini, è un poliedrico scrittore per l'infanzia, dopo aver lavorato nel mondo del Teatro ( con Vacis, Paolini, Baliani), è autore di alcune puntate di programmi televisivi (come l' Albero Azzurro e Melevisione). Nel 2007, ha ottenuto il premio Andersen come miglior scrittore italiano per ragazzi. 

 

Torna in libreria l'autore di “Rima Rimani”, di “Rime di rabbia” e di “Rime Raminghe”, torna con una raccolta che stavolta si accompagna alla parola "Rimedio".

Sono una medicina queste rime, sembrano un po' il miele che circonda lo sciroppo dal sapore cattivo, per aiutarci a tirarlo giù, senza storcere troppo il naso.

E grazie alla rima giocosa l'autore prende posizione contro i dis- che etichettano la diversità, per far comprendere ai bambini la separazione dei genitori, per aiutarli a mangiare, per accettare i “Sentimenti neri”.

Alcune rime sono impregnate di filosofia, come “La rima del domani”, o la “Rima della crescita profonda”, e ogni volta che le rileggi si accendono di nuovi scorci di significato; alcune rime si pongono su una divertente ottica didattica come le rime per insegnare il valore del riciclo di plastica, ferro, carta o cibo.

Un libro che sempre sottolinea la centralità e la complessità dell'infanzia, anche nella dimensione adulta, narrando di tutti i suoi attori: bambini, maestre, genitori, nonni... offrendo nuovi occhi e punti di vista, come nella “Rima del bambino trasparente”, o nella “Rima del diritto a non farcela”.

Ci sono musica, poesia, gioco, creatività nelle rime di Tognolini, e grazie a questi ingredienti riesce a dire cose difficili, a dare consigli indiretti, a indicare la via del rispetto e dell'unicità di ogni persona.

"Quasi tutte queste rime sono state scritte per qualcuno che le ha chieste" -commenta l'autore alla fine del libro - alcune richieste sono pervenute dai social, per salutare una bibliotecaria in pensione, da progetti abbandonati, da improvvise urgenze creative.

“La poesia vive proprio solo quando contiene altro da ciò che voleva dire. Le poesie possono essere medicamenti, o perlomeno lenimenti, lo son sempre state. Ma sempre solo in forme incerte, sibilline”.

Un libro da tenere, da regalare, da leggere ad alta voce, da rileggere, da ricercare e ritrovare dopo anni. Parole che educano, etimologicamente, ovvero “conducono fuori”, verso mondi da esplorare, verso altri punti di vista da cui osservare il presente.

Rime Rimedio - Bruno Tognolini
Cinquanta filastrocche chieste dai grandi per i bambini che hanno accanto, o dentro
Salani 2019

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MADELAINE MILLER - CIRCE

Martedì, 30 Luglio 2019 11:31

 Maga, incantatrice, trasformatrice di uomini in bestie: solo questo rimane di Circe, personaggio complesso ed evocativo, erede della potnia theròn, Signora degli animali.

Madelaine Miller prova a ri-narrare il mito, dando un passato e nuove dimensioni a questo personaggio. Un esperimento riuscito, visto che il libro ha scalato le classifiche dei libri più venduti del New York Times e del Sunday Times, avvalendosi dell'appellativo di “Libro dell'anno”.

Circe viene raccontata a partire dalla sua infanzia solitaria, dal suo rapporto freddo e distante con il padre, il titano Elios, il Sole, e con la madre Perseide, l'evanescente e fluida ninfa delle acque. Nasce con voce stridula Circe, nasce già “difettosa” rispetto alla perfezione dei fratelli, Eete e Pasifae.

“La sua voce è stridula come quella di una civetta. La chiamano Sparviera, ma dovrebbero chiamarla Capra per quanto è brutta”.

L'episodio fondante della sua infanzia è l'incontro con Prometeo, già incatenato e condannato da tutti gli Dei per aver aiutato la specie umana; Circe trasgredisce di nascosto l'ordine divino e aiuta il titano portandogli dell'ambrosia. Le poche parole che scambia con il Dio saranno un faro nella sua vita e l'inizio della sua vicinanza con i mortali.

Si innamora di un mortale, Glauco il pescatore, e per lui intercede spesso. È grazie a questo amore (non corrisposto) che la Dea scoprirà i suoi poteri con le erbe, e riuscirà a dare a Glauco l'immortalità. Ma l'altra faccia della medaglia vede Circe fare i conti anche con la sua gelosia, quando Glauco sceglierà la bella Scilla. E la Dea ricorrerà di nuovo ai suoi poteri, stavolta, per fare del male: Scilla verrà trasformata in un mostro divoratrice di marinai.

Una trasformazione che mette in allarme di Dei: un potere nuovo è quello di Circe, una forza che nasce dall'unione di erbe, canti e parole antiche, una capacità finora sconosciuta, un potere in grado di restituire a chi lo riceve la sua vera natura. Un potere pericoloso, dunque, che va recintato e tenuto a bada.

Ed è per questo che Circe viene relegata in esilio sull'isola di Eea , un'isola selvaggia dove approdano per sbaglio solo navi di marinai. Gli stessi marinai che, davanti ad una donna sola, le faranno violenza, e da questa violenza Circe trarrà la forza per diventare quella che è: la Dea degli animali e degli incantesimi.

Ha per compagnia una leonessa, e i marinai appena giunti vengono tutti trasformati in porci, in via preventiva, e a causa della cicatrice non rimarginata.

Circe scoprirà l'erba che protegge, il Moly dalle radici nere e dal fiore bianco.

Solo Odisseo non verrà trasformato e con lui Circe ritrova fiducia negli uomini, pur sapendo che una moglie lo aspetta a casa.

Dal loro amore nasce Telegono, che Circe proteggerà nell'isola finché le sarà possibile, finché il figlio non vorrà andare incontro a se stesso, ad incontrare il padre.

Il finale del libro mostra una Circe capace di perdonare e perdonarsi, una Circe che apre il suo mondo a Penelope e al figlio di Odisseo, Telemaco, mentre sarà Telegono il prescelto da Atena per fondare una nuova stirpe.

Una ri-narrazione che dà corpo e sostanza a una figura antica: perché in Circe, come spiega Momolina Marconi nel libro “Da Circe a Morgana” confluiscono le Dee antiche degli animali che nel centro Italia prenderanno il nome di Feronia, Marica, Fauna, Angizia.

Una Dea che per scoprire la sua potenza, deve impegnarsi in un apprendistato continuo a contatto con le erbe e con le sue cicatrici.

“La magia deve essere creata e plasmata;pianificata e investigata, estratta,essiccata,sminuzzata e macinata, bollita, evocata con parole recitate e cantate. E ancora; può fallire. Se le mie erbe non sono abbastanza fresche, se la mia attenzione cala, se la mia volontà' vacilla,le pozioni evaporano e inacidiscono nelle mie mani.
Ogni erba deve essere trovata nel suo ricettacolo, raccolta nel momento giusto, liberata dalla terra; selezionata e mondata,lavata e preparata. Giorno dopo giorno, con pazienza, bisogna scartare gli errori e ricominciare da capo”.

MADELAINE MILLER  -   CIRCE
SONZOGNO 2019

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Howard Gardner Cinque chiavi per il futuro

Domenica, 07 Luglio 2019 17:10

Pioniere nell’ambito delle scienze cognitive e dell’educazione, Howard Gardner è ricordato soprattutto per aver messo in crisi il concetto monolitico di intelligenza grazie alla sua teoria delle intelligenze multiple che ha dato un apporto importante alla didattica inclusiva.

In questo saggio l' autore prosegue la strada di approfondimento delle intelligenze andando ad indagare quali tipi di strategie cognitive sono necessarie per il futuro (un futuro che e' già presente), un tema che non riguarda solo la didattica ma anche la formazione permanente.

La prima intelligenza ad essere trattata è quella disciplinare: una disciplina è un modo di guardare il mondo ed è costituita da un insieme di esperienze, non solo di informazioni sedimentate.

“La conoscenza dei dati è un utile ornamento, ma imparare a pensare in modo disciplinare è tutt'altra impresa”.

Il pensiero disciplinare identifica gli argomenti focus nella disciplina e dedica un tempo ragguardevole ad ogni argomento ma senza sforzo perché “chi ha assaggiato l'autentica comprensione è improbabile che in futuro si accontenti di una comprensione superficiale “.

L'intelligenza disciplinare ha anche un lato negativo caratterizzato dall’eccesso che porta a chiusura mentale.

L'intelligenza sintetica è necessaria per far fronte all'esposizione continua di input che caratterizza il mondo contemporaneo. Filtrare l' informazione è il primo passo, seguito poi dalla capacità di tessere in un insieme coerente gli input provenienti da fonti diverse.

Due tipi di intelligenze vengono in aiuto per questo scopo, l' intelligenza laser che penetra l' informazione e l' intelligenza riflettore che scorge le connessioni tra le cose.

L' intelligenza creativa nasce dall’interazione di tre elementi: individuo, campo culturale (su cui la persona ha lavorato con l' intelligenza disciplinare ) e ambiente sociale (necessario quest’ultimo punto perché l'atto creativo deve portare un beneficio alla comunità (anche se molte intuizioni creative in principio non sono state accettate dalla società stessa).

Un eccesso di intelligenza disciplinare può bloccare la creatività.

L' intelligenza rispettosa si collega all’intelligenza interpersonale (che l'autore aveva indagato nel libro “Formae Mentis”) e indica come superare il concetto di tolleranza volgendosi verso un piano costruttivo e simpatetico che si basa sulla sospensione del giudizio (il pregiudizio è una variante dell’apprendimento ed ha radici emotive).

Connessa alla precedente, l' intelligenza etica presuppone un gradino in più di astrazione e si collega al proprio ruolo nel mondo, come cittadino, lavoratore, essere umano.

Sarebbe utile sviluppare tutte e 5 queste intelligenze per riuscire a sopravvivere oggi e a prendersi cura del bene comune della terra.

Un compito che spetta a tutti gli attori dell’educazione a partire dalla famiglia passando per la scuola, per diventare poi un impegno costante con sé stessi.

Howard Gardner
Cinque chiavi per il futuro
Feltrinelli 2007

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Maura Gancitano e Andrea Colamedici: Liberati della brava bambina

Domenica, 16 Giugno 2019 22:23

I due ideatori del progetto di filosofia Tlon tornano in libreria con un ultimo libro dal titolo accattivante.

Le donne sono state nutrite di stereotipi cristallizzati basati sulla sottomissione, sull'obbedienza, sull'abbassare la testa, sul non alzare la voce. Storie di principesse da liberare, giochi di bambole perfette e sempre sorridenti hanno caratterizzato la nostra infanzia fino a destinarci nell'archetipo della brava bambina. Provare a scardinare questa immagine plastificata è un dovere morale e civile, necessario e urgente in vista delle ultime questioni sociologiche che rimettono in discussione il concetto di corpo femminile e di autodeterminazione.

8 storie che sono 8 lezioni per le donne, 8 figure femminili che celano insegnamenti importanti per rifondare il concetto di femminile e di maschile.

Alcune di esse vengono dalla mitologia classica come Era, che da Dea Madre primigenia diviene moglie gelosa e costretta in un ruolo che non gli appartiene fino in fondo, passando per Elena di Sparta (anche se tutti la ricordano solo come Elena di Troia), che insegna a non considerarsi mai come proprietà di qualcuno, per arrivare a Medea che, sotto la crosta di matricida, nasconde la necessità di ritornare a se stesse, recuperando una sacralità naturale che è stata cancellata e addormentata per favorire l'eroe e il suo scopo di potere. Spostandoci sulla mitologia nordica troviamo Morgana ( qui ritratta partendo dal libro “Le nebbie di Avalon”), che agisce per uno scopo superiore, nonostante la situazione esterna vada a cozzare con quella interna che la contraddistingue e la rende portavoce dei culti della Dea.

Interessanti sono i riferimenti a 2 figure contemporanee, perché, come ricordano gli autori, la narrazione mitica si sposta oggi nelle serie tv, eredi dei racconti primigeni; tra queste eroine contemporanee incontriamo Difred, protagonista del romanzo distopico di Margaret Atwood “Il racconto dell'ancella” che insegna il valore della libertà e dell'autodeterminazione del corpo femminile e soprattutto ricorda come ogni piccola libertà che viene tolta potrebbe far parte di un progetto dittatoriale più ampio e spesso nascosto, e Daenerys eroina della serie tv “Games of Throne” appena conclusa, che non sa superare il suo orgoglio e non sa imparare l'umiltà e l'arguzia creativa sopraffatta da un desiderio di potere.

Il personaggio di Malefica non riceve la giusta considerazione dalla favola della “Bella addormentata” mentre il film (e il libro di Maura Gancitano uscito per edizioni Tlon) le rende finalmente giustizia: la rabbia del tradimento va accettata, lavorata affinché si trasformi in forza vitale e rigenerativa.

Malefica è una storia ri-narrata secondo un punto di vista che è anche una presa di posizione, così come accade nella storia di Dina, protagonista del libro di Anita Diamant “La tenda rossa”: la figura di Dina è appena accennata nell'Antico Testamento, è l'unica figlia femmina di Giacobbe, e la sua storia sottolinea il valore sacro della sorellanza (non è un caso che da questo libro siano nate le esperienze collettive delle tende rosse, momenti di condivisione e di racconto personale tra donne).

L'ultima parte del libro prende in esame l'aspetto maschile del “problema senza nome”, e indaga il ruolo dei padri, il corpo e la ferita degli uomini, perché è essenziale includere in questa mutazione psicologica, culturale e sociale anche l'uomo, partendo dal “riconoscere il desiderio di costruire relazioni paritarie, autentiche, in cui non c'è una guerra da combattere, ma una direzione comune”.  

Un libro da leggere ad alta voce per ridefinire ciò che significa essere umani, per trovare la chiave e la via d'uscita dalle gabbie delle etichette che costringono e destinano, perché il pregiudizio è sempre un apprendimento emotivo, e quindi radicato e antico, che può, però, essere ri-educato e soprattutto ri-narrato.

“Ti auguriamo di non sentirti più sbagliata, isterica, anormale, ma solo una donna che si sta liberando dai condizionamenti sociali, a volte con facilità, a volte con grande difficoltà”.

Di grande interesse sono il progetto “Raccontarsi, storie di fioritura personale “ Con la collaborazione di diversitylab e akra studio su youtube.

È possibile seguire il progetto Tlon sul sito http://tlon.it/ .

Maura Gancitano e Andrea Colamedici 

Liberati della brava bambina

Harper e Collins 2019

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La Transiberiana e Alessandro Magno, le ultime due fatiche di Vittorio Russo, intervista

Mercoledì, 05 Giugno 2019 15:43

Vittorio Russo, capitano di lungo corso, è giornalista, viaggiatore e scrittore di saggi e racconti. Ha pubblicato ricerche e studi sulle origini delle religioni e del cristianesimo tra cui II Gesù storico (Editrice Fiorentino, 1978), vin­citore del premio Montecatini 1980 per la saggistica. È autore di antologie narrative e romanzi come La decima musa (M. D’Auria Editore, 2005), Quando Dio scende in terra (Sandro Teti Editore, 2011) e La porta degli esili sogni (Cairo Editore, 2017). Dai suoi viaggi sono nati libri che intrecciano geografica, mito e storia, tra questi India mistica e misteriosa (2008), Sulle orme di Alessandro Magno (2009) e L’India nel cuore (2012) premio letterario Albori 2012 e finalista al premio Rea 2013.

Le sue ultime fatiche sono “Transiberiana” e “l’Uzbekistan di Alessandro Magno”, ambedue edite dalla “Sandro Teti”. Il primo è il reportage ricco di foto e illustrazioni di un viaggio lungo 12 mila chilometri che valica i confini geografici e culturali che separano Occidente e Orien­te. Lo scrittore ci fa strada tra le sconfinate terre russe e la civiltà mongolica e ci por­ta con lui nei vagoni della ferrovia più lunga del mondo, l’infrastruttura faraonica che fu costruita anche grazie al contributo delle maestranze friulane, fatto noto più in Russia che in Italia e sul quale si sofferma e rievocato in queste pagine. Luoghi e popoli così distanti non sono mai stati tanto vicini. Un libro dal linguaggio evoca­tivo. Un libro carico di immagini poetiche. Un libro alla scoperta dell’esotico e più autentico Oriente. “L’Uzbekistan di Alessandro Magno” invece è un viaggio alla ricerca dei luoghi del tempo e della memoria dove la storia di Alessandro sfuma nel mito. Emerge da queste pagine il personaggio storico del conquistatore nella sua prospettiva umana più attendibile. L’eroe invincibile immortalato nei marmi di Lisippo cede il passo all’ubriacone omicida, al borioso, al superstizioso e cinico sterminatore di popoli. Ma con i difetti dell’uomo si profila anche il volto più autentico di un nuovo Ulisse che vuole conoscere per possedere, sognatore tenace, unificatore di genti.

D - Il motivo che l’ha spinto a visitare terre così lontane?

R - Il viaggio, nella mia interpretazione, s’identifica con ricerca, con scoperta motivata da curiosità. Questa curiosità, poi, è normalmente generata da letture, studi, approfondimenti e da tutto il corollario di ricerca di fonti in grado di appagare il bisogno di conoscenza. Viaggiare quindi è la conseguenza di uno stimolo potente. Il mio viaggio in Uzbekistan e Tagikistan si colloca in questa prospettiva, non meno degli altri, d’altronde. Letture annose di scritti su Alessandro Magno e poi analisi dei testi canonici, come mi piace definire le biografie sul Macedone degli autori più antichi, hanno finito per creare una molla propulsiva che ha reso irriducibile il bisogno di andare, di recarmi nei luoghi sperduti che egli percorse con le sue armate e trovarvi tracce che confortassero l’idea del personaggio, ormai già formata nel mio immaginario. Scontato però, che la scoperta della storia sotto la pelle della geografia, trovasse riscontro nella figura creata dalle letture e un po’ anche dalla fantasia.

Quando ad animare un desiderio è la voglia forte di vedere, di scoprire, di svelare, nessun orizzonte è lontano, non ti scoraggiano prevedibili difficoltà di attraversamento di terre sconosciute, senza collegamenti di strade, senza mete definite. Vai, perché scoprire significa diventare creatori di cultura, significa sottrarre gli eventi alla dimenticanza del tempo e dare loro una continuità di vita che accenderà la curiosità di quelli che verranno dopo.

Il viaggio, per quanto riguarda me, si snoda in una prospettiva bidimensionale: storica la prima, la seconda geografica. Ed ecco pure come da viaggiatore, con questi obiettivi, mi scopro storico secondo l’etimo più coerente di histor, che è colui che viaggia, che vede e racconta. Il mio modello ideale in quest’ottica è Erodoto, il padre della storia. È lui il viaggiatore per antonomasia, il cronista che osserva e riporta, il narratore di fatti ed eventi che danno senso al tempo. E il tempo diventa storia quando è denso di avvenimenti che sottratti all’oblio sono consegnati alla memoria perché degni di essere ricordati.

D - Cosa vuole trasmettere al lettore? sensazioni, cultura, curiosità, legami che ha il nostro paese con le terre visitate, o cos’altro?

R - Gli orizzonti entro i quali mi piace racchiudere quello che scrivo sono sfumati. Mutuando le parole dall’archeologo Andrea Carandini, io ritengo che il viaggiatore-scrittore, mosso dagli obiettivi di cui ho detto prima, sia acceso da una febbre, quella della conoscenza, che si identifica col bisogno di coinvolgere nella scoperta i suoi lettori. La scoperta è pure coincidente con il disvelamento prezioso di qualcosa di nascosto. Svelare significa togliere il velo del mistero, rimuovere la polvere che appanna l’oggetto della scoperta, portare alla luce ciò che non è noto. Mi piace identificare il percorso del viaggiatore-cercatore con quello del sole: hanno entrambi come scopo quello di scacciare il buio, il primo quello della notte, il secondo quello dell’ignoranza. C’è un termine greco, alétheia, che traduce il senso del disvelamento. Alétheia corrisponde a verità, ossia a ciò che non è nascosto, a ciò che viene svelato, appunto. Forte è il bisogno di leggere lo stupore nel volto di chi partecipa a questo disvelamento. E proprio questo stupore mi piace trasmettere al lettore coinvolgendolo con immagini e riflessioni, sollecitando emozioni e, naturalmente, sperimentando forme di scrittura capaci di produrre questi risultati. Scrivere diventa perciò bisogno di de-scrivere. Lo scrittore si fa de-scrittore di ciò che osserva per catturare la curiosità e l’interesse del lettore. Chi viaggia per raccontare deve fare dei propri sensi gli strumenti di una percezione totale attraverso cui consentire a chi legge di vedere, sentire, toccare, annusare e di esaltarlo delle sue stesse emozioni, di fargli vivere il suo stesso panico, le sue ansie, le sue armonie, il suo stesso entusiasmo, nel senso etimologico più autentico di benessere e possessione divina. Questa possibilità di congiungere i sensi in una comune contaminazione percettiva, cioè di renderli capaci di “sentire insieme”, si chiama sinestesia. In questo libro su Alessandro e l’Uzbekistan, come in tanti altri, ho cercato di rendere quello che ho percepito proprio con sinestesia.

D - È stato difficile dialogare con le popolazioni visitate?

R - Il viaggio nell’ottica che le ho detto presenta infinite incognite che alla partenza possono solo essere messe in conto, ma non immaginate. Guai poi se non fosse così perché il senso stesso del viaggio è dato dalle sue incognite. Una fra quelle immaginabili è la difficoltà rappresentata dalla lingua e dal dialogo con genti diverse. Ho scoperto però che il viaggiatore motivato dalle mie curiosità non ha bisogno che di conoscenze linguistiche epidermiche, specialmente per viaggi di “lungo corso” di questo genere. Anche perché le lingue, in longitudini geografiche così remote, sono strumenti spesso insufficienti. Fatti salvi i termini per le esigenze essenziali, occorre più che un vocabolario di tante lingue quello del buon senso, occorre un franco sorriso e il ponte levatoio della disponibilità abbassato. Quando si riesce a coniugare queste condizioni capisci, come ho scritto da qualche parte, che le distanze fra gli umani sono più nelle geografie che li separano che non nel comune sentire. Viaggiare alla luce di queste premesse ti fa capace di interpretare e tradurre quasi per istinto, perché in fondo poi le parole, quando sono tradotte, hanno significati epidermici. Le lingue che parliamo quando sono diverse da quella materna, sono lingue sostanzialmente tradotte, perciò tradite. Ogni parola appartiene alla cultura che l’ha generata e quella cultura si porta dietro. Tradotte, le parole hanno significati oscillanti e non sempre riflettono il principio razionale secondo cui esprimono una cosa e solo quella. Ha spiegato bene questo concetto Umberto Galimberti.

D - Cosa l’ha colpito maggiormente nei suoi viaggi?

R - La diversità. La diversità, che d’altronde è quello che io normalmente cerco nel viaggio. Viaggiare significa, come ho detto prima, scoprire, svelare e, soprattutto, essere stupito da quello che scopro. La cosa più sorprendente è scoprire quello che meno ti attendi di trovare. Il termine serendipità dà bene l’idea di quello che intendo dire. Serendipità vuol dire fare scoperte impreviste, trovare per caso cose e svelare conoscenze di eventi ignorati ricchi di fascino, anche più delle cose e degli eventi di cui hai conoscenza. Il viaggiatore, come io lo intendo, non distingue le diversità perché delle diversità del mondo nutre la propria voglia di conoscenza. Il sipario del viaggiatore si apre non sulla scena, che è il luogo della rappresentazione di quello che si conosce, ma sulla platea che è il luogo delle mutevolezze cromatiche, delle emozioni che si leggono nei volti del pubblico, negli sguardi che esprimono attesa, curiosità, meraviglia. La diversità è la ricchezza stessa del viaggio. Quale molla spinge l’uomo a muoversi, ad andare: l’avventura, il bisogno di essere stupiti, l’urgenza di avvicinarsi all’ignoto, la curiosità? Questo, certamente, e altro ancora. Ecco, credo sia questa la ricchezza autentica del viaggiare. Una vita senza curiosità, ha scritto Platone, non è degna di essere vissuta e chi non riesce a stupirsi vive come un albero che muore dove è nato. Perché in fondo noi esistiamo rapportandoci agli altri, esistiamo perché gli altri ci riconoscono, esistiamo grazie a una relazione e nella misura in cui ci sappiamo raccontare. La nostra identità è un prodotto sociale non un dato anagrafico o biologico. Viaggiare è una chiave che svela la nostra identità.

                                   

D - Una curiosità per tutte, cosa l’ha colpito di più?

R - In questo viaggio nell’Asia Centrale sulle orme di Alessandro Magno, le curiosità sono le mille piccole tessere del mosaico quotidiano dell’avventura che formano eventi indimenticabili per colore e calore. Una curiosità, in particolare, m’è rimasta impressa e ne ho parlato nel mio libro: quella dei dentini da latte. Un tempo in una regione dell’Uzbekistan, il Surkhan Darya, erano conservati, con altri ricordi di famiglia, i dentini da latte dei propri figli, in castoni di metallo, che venivano poi portati al collo dai genitori. Secondo la mia amica e guida in Uzbekistan, Halima, questa consuetudine risale a un peculiare ricordo dell’infanzia di Alessandro Magno. Secondo lei, il piccolo Efestione, avrebbe donato ad Alessandro, suo compagno di giochi e di studio, un suo dentino da latte quale testimonianza di duraturo legame. Alessandro, a sua volta, avrebbe risposto a questa prova di devozione cavandosi un dente e offrendolo al coetaneo confermandogli così un pari impegno di amicizia e affetto. Da quel giorno, entrambi, avrebbero portato al collo, sospeso a una catenina, in un castone d’oro, ciascuno il dentino dell’altro, pegno di un patto devoto e silenzioso. Fu da allora forse che sarebbero stati uniti, come noto, da un legame forte e definitivo ben oltre i valori che l’accezione del termine amicizia comporta.

Diverse

 popolazioni della Sogdiana e della Battriana (attuali Uzbekistan e Afganistan), educate alla maniera greca, avrebbero adottato quest’abitudine. Essa sarebbe diventata presto una consolidata tradizione e sarebbe sopravvissuta fino ai tempi nostri. Per amore di precisione devo aggiungere che non ho trovato alcun riferimento al dettaglio dei castoni e dei dentini da latte nelle più antiche biografie del Macedone. Mi ha tuttavia colpito per la sua trasognata delicatezza quest’immagine tratteggiata dalla mia amica uzbeka. Per quanto scaturita da tradizioni popolari leggendarie, essa riflette appieno il carattere di Alessandro e la morbosa devozione di Efestione. Per quello che ne so, questo dettaglio così singolare e assolutamente coincidente nel suo svolgimento con quello della tradizione uzbeka, appartiene solo alla felice inventiva di Valerio Massimo Manfredi che l’ha riportato nel suo Aléxandros. Quando gliene parlai si sorprese non poco, egli per primo, di questa curiosa concomitanza e per aver involontariamente accreditato e “storicizzato” con la sua narrazione una leggenda locale che non conosceva.

D – Ci spostiamo sull’altro suo libro, Transiberiana. Le sarebbe risultato monotono il viaggio in Transiberiana senza scendere mai dal treno?

R – Non saprei dire. È vero che specificamente, per ciò che attiene il viaggio transiberiano, il treno ne è l’assoluto protagonista. Il treno non è solo il veicolo che ti trasferisce da un angolo all’altro del Pianeta ma diventa il luogo della conoscenza, il luogo degli incontri, il luogo di un altro disvelamento: quello di te a un altro te stesso, sostanzialmente sconosciuto. È nel treno che incontri le espressioni di tante culture ed etnie siberiane, è nel treno che schiudi veramente le porte su un mondo misterioso e inesplorato, su una geografia sterminata di popoli e ti piace naufragare in una babele di lingue, fra sguardi curiosi e interrogativi di persone che si aprono alla tua esplorazione e che hanno le tue stesse curiosità di conoscenza. Il treno, insomma, si fa motore di civiltà. È straordinaria soprattutto l’esperienza del contatto col volto ingenuo e sorridente di bambini con occhi dal taglio obliquo perduti nella plica mongolica. In essi squilla la luce dell’innocenza comune a tutti i bambini della Terra che si mescola con quella della curiosità propria dell’età. Il viaggio transiberiano più autentico è perciò quello che fai nel treno, prima di quello che fai col treno: un viaggio la cui destinazione sfuma in orizzonti confusi tra cielo e terra, oltre i finestrini rigati da strie di pioggia che corrono via cancellate dal vento della velocità. È un percorso odeporico che fai, come ho detto, principalmente da un te stesso a un altro te. È un te talvolta sconosciuto, che mette a nudo la propria interiorità in queste coordinate geografiche lontane che hanno per protagonisti l’azzurro di fiumi smisurati come oceani e il bianco delle cortecce delle betulle nei silenzi sterminati che dominano e diventano lingua madre. No, affrontato con lo spirito giusto, non ravviso nulla di monotono in un’esperienza in Transiberiana. Nel corso di giornate intere di viaggio, nel susseguirsi di centinaia di stazioni dai colori squillanti, non ho percepito né monotonia, né malinconia, né nostalgia. Riesci per lunghe ore a dialogare proprio col silenzio che si sovrappone addirittura allo sferragliare della ruote su binari ghiacciati o roventi e al loro stridio tagliente al passaggio su ponti senza fine. Lo puoi ascoltare in silenzio, perché parla, dà rilievo alle cose come una sonorità capovolta. Su un treno della Transiberiana lo spazio sembra fatto espressamente per i cercatori di silenzio perché si fa apprezzare, perché ti lascia in compagnia di te stesso, senza porti domande e senza importi risposte.

D - Ha mai sentito parlare degli Hunza, che pare siano anch’essi discendenti dei soldati di Alessandro Magno il quale si spinse fino alle pendici dell’Himalaya?

R - Sì, però non ne ho parlato nel mio libro perché l’avrei affollato di leggende e racconti fantastici. Gli Hunza, dal nome della valle e del fiume lungo cui vivono in alcune migliaia, sono noti anche con altre denominazioni fra cui quella di Burusci. Sono famosi per la loro singolare longevità e altre inconsuete caratteristiche antropologiche. Quella degli Hunza è un’etnia che vive nella cuspide confinaria, molto contesa, fra Pakistan, India e Cina, ai piedi dell’Himalaya. Si distinguono, oltre che per la longevità, per una lingua che non ha legami con nessuna di quelle parlate nella regione e perché (senza molto fondamento, in verità) ritengono di discendere dalla gente al seguito delle falangi di Alessandro Magno. Si sa che i soldati del Macedone, non più in grado di combattere, venivano lasciati a presidiare roccaforti e città di confine, costruite a decine lungo i percorsi della conquista.

A dare corpo a questa leggenda della discendenza macedone degli Hunza ha contribuito non poco il viaggio, di non molto tempo fa, di una loro autorevole delegazione in Macedonia accolta con grandi onori dalle autorità di questo Paese.

Non dissimili tradizioni di antica discendenza dagli opliti di Alessandro riguardano altre etnie della regione, come quella delle poche migliaia di Kafiri, per esempio, che si distinguono per la carnagione e gli occhi chiari e vivono nel Kafiristan, al confine settentrionale tra Pakistan e Afganistan. Kafir equivale in arabo a non credente e i Kafiri sono così conosciuti perché, rispetto a tutte le altre

 
 Vittorio Russo (a sin.)

popolazioni di quell’area geografica, non si sono mai convertiti all’Islam.

Ho trovato curiosa la storia di un gruppo di questi Kafiri che, intorno all’anno 1000, al seguito degli Omayyadi, giunsero in Spagna prima e poi in Italia Meridionale distinguendosi come abili navigatori, mercanti e importanti armatori dei tempi più recenti. Il loro cognome è oggi Cafiero che riflette quello antico di Kafir, probabile progenie dei guerrieri di Alessandro. È difficile stabilire linee di discendenza dai macedoni di Alessandro, a distanza di 23 secoli dall’epoca della conquista di queste regioni. Va considerato che durante questa fase della guerra di conquista asiatica (siamo intorno al 320 a.C.) l’esercito del Macedone era composto forse solo da una minoranza di soldati macedoni e greci. In larga parte era formata dalle nuove leve dei popoli conquistati, Persiani, Sogdiani, Battriani, Ircani, Drangiani etc. A presidio delle terre conquistate venivano lasciate persone non più idonee alle armi, verosimilmente genti delle stesse regioni conquistate, talvolta mercenari, più spesso disertori, insomma i peggiori, che non erano normalmente i Macedoni e i Greci molto meglio educati al mestiere delle armi. Le terre dove vivono queste rare popolazioni che vantano la discendenza macedone sono ubicate in aree geografiche montagnose e talvolta perfino inaccessibili, decisamente fuori dal percorso seguito dall’armata di Alessandro nel suo spostamento dalla Sogdiana (Uzbekistan) verso l’India.

D - Cosa pensano del nostro paese, in genere, le persone che ha avuto modo di incontrare?

R - L’Italia è molto apprezzata anche se nota più spesso per luoghi comuni e sentito dire. Fanno la gloria del nostro Paese famosi giocatori del calcio, qualche cantante alla moda non meno dei prodotti tipici della nostra cucina e dell’abbigliamento. A tessere le lodi patrie sono persone di limitata cultura che finiscono per mettere sullo stesso piano Leonardo e Al Capone. Gratifica molto invece sentir parlare con competenza e quasi venerazione dell’Italia da chi ha una più approfondita conoscenza della cultura occidentale.

Nell’ O’zbekiston Davlat San’at Muzeyi, il Museo di Belle Arti di Tashkent, ha suscitato tutta la mia meraviglia una sala ricchissima di opere d’arte dedicata in prevalenza ad artisti italiani del Rinascimento e dell’Ottocento. Mai mi sarei aspettato di trovare in quel luogo qualcosa del genere. Fra originali e copie di grandi maestri, mi ha colpito in special modo una sensualissima statua di Frine, incantevole capolavoro giovanile del milanese Francesco Barzaghi in un marmo levigato come avorio che si fa quasi carne viva ed esprime in uno slancio di puro dinamismo un’incredibile vitalità statica.

D - Dopo tanto viaggiare si sente più cittadino del mondo o italiano?

R - Beh, da tempo sono cittadino del mondo; amo tuttavia orgogliosamente e cocciutamente le mie radici italiane ben abbarbicate nel Sud del Paese. Sarebbe un’anomalia se non fosse così. Vi sono sottili capillari di sangue vivo e irriducibile che mi legano come cordoni ombelicali ai luoghi dove sono cresciuto, dove ho imparato a leggere negli orizzonti fra cielo e mare non linee di confine ma traguardi da raggiungere. E quando questo è avvenuto, quando ho smarginato per la prima volta oltre le righe della lettura abituale, allora mi sono ritrovato nelle glosse e nelle pagine a cercare ciò che avrei voluto esplorare per possederlo per farlo mio, perché si possiede veramente solo quello che si conosce. Ecco, in questo senso mi sento cittadino del mondo e a mio agio quando sono appagato e vinto da quello che mi stupisce. Capisco, forse per istinto, che il giorno in cui non mi sorprenderò più di nulla sarà pure quello in cui la vita diventerà un percorso piatto di abitudine e quotidianità senza stimoli di interesse: un vita amorfa. Perché, come ho detto prima, solo una vita fitta di curiosità è veramente degna di essere vissuta. In questo credo fermamente.

Grazie

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LUNA, UNA BAMBINA FILOSOFANTE - Intervista all'autrice Marcela Variani

Sabato, 01 Giugno 2019 06:47

Marcela Variani è una filosofa, scrittrice, viaggiante e ricercatrice educativa. Laureata in Filosofia presso la Pontificia Università Cattolica del Rio Grande do Sul (Brasile), con mobilità accademica presso l'Università di Jaén (Spagna) e laureata in Pedagogia dell’Espressione presso l’Università di Roma Tre (Italia). Sua formazione complementare avviene attraverso corsi nazionali e internazionali, tra cui i corsi di Pedagogia di Reggio Emilia e altre influenze italiane, come le proposte di Segni Mossi. Il libro è stato pubblicato per la prima volta in Brasile nel 2017 con il titolo “Luna, uma Menina Filosofante”. Tiene laboratori di scrittura creativa a Rebibbia, nel riparto dei transessuali.


 

 
 Foto di Davide Marzattinocci

Luna, una Bambina Filosofante è una collezione di preziosi frammenti di un cofanetto di ispirazioni che nasce dal dialogo e dall’ascolto dei bambini, sviluppato in piccoli racconti che toccano la sensibilità dell’infanzia, in un linguaggio semplice e divertente e, allo stesso tempo, sensibile e accattivante.

Le domande di Luna si spiegano e si intrecciano, tracciando un percorso di infinite possibilità, in un invito alla riflessione. Da uno sguardo di meraviglia a ciò che è nascosto dietro le domande, il lettore è anche invitato a mettere in gioco la sua interiorità, potendo intravedere ciò che non può essere visto con gli occhi, ma che è ancora lì: l’invisibile che è ovunque, che coinvolge tutti i misteri.

Marcela, come nasce questo libro?

Questo libro è nato in un periodo della mia vita in cui, per la prima volta, mi sono imbattuta in un senso di vuoto, di incertezza e fragilità: era il periodo in cui sono tornata da uno scambio di studio che ho fatto in Spagna. Dopo lo scambio, nella piccola città chiamata Jaén, in Andalusia, ho iniziato un viaggio da sola che è durato dieci settimane, per tante città in Europa.

In questo viaggio, sono rimasta sempre ospite nelle case degli amici che avevo conosciuto in Spagna e, quando andavo in un posto dove non conoscevo nessuno, usavo il "couchsurfing"; il mio obiettivo (e scelta) era uscire dalla mia zona di comfort e aprirmi al mondo invece di “viaggiare convenzionalmente”.

Grazie a questo viaggio, e ad ogni persona che ho incontrato sulla mia strada, il mio cuore si è aperto come non mai nella mia vita. Mentre viaggiavo, ho avuto la vera sensazione che tutte le cose fossero in perfetta armonia, persino il caos. Potevo sentire ciò che provano molte persone quando affermano di essere in connessione con l'Universo, l'inseparabilità tra l'interno e l'esterno, e il fatto che tutti, come esseri della natura, siamo uno.

Quando le persone sconosciute mi accoglievano nelle loro case, oppure quando un passante si fermava per darmi le informazioni corrette, in modo da non farmi perdermi, quando qualcuno mi offriva un caffè o solo un sorriso, ricevevo qualsiasi azione come un dono dall'universo. Indubbiamente, questo è stato il periodo più magico della mia vita, in cui tutto pulsava nella mia pelle.

Ritornare in Brasile, dopo aver vissuto tutto questo, è stato come lasciare la mia anima separata dal mio corpo. Ricordo ancora le mie lacrime mentre guardavo fuori dal finestrino dell'aereo. Non volevo tornare indietro, ma in quel momento non avevo altra scelta: il mio visto era già scaduto, dovevo laurearmi, tornare a vivere insieme alla mia famiglia.

Luna è nata lì: in questo periodo di ritorno in Brasile, quando nella mia anima tutto era notte, quando l'oceano che avevo attraversato sembrava più piccolo di tutte le lacrime che avevo pianto. Luna nasce da un sentimento di coraggio e dalla vulnerabilità di permettersi di sentire la vita in tutta la sua bellezza: sia nel dolore che nella felicità.

Questo libro, così, è stato una via di ritorno a me stessa, sono tornata ai ricordi della mia infanzia. Ho anche guardato alla vita degli altri bambini, per riscoprire la felicità genuina che esiste in questo periodo della vita, domandandomi come potrei ritrovarla, un’altra volta, nella vita adulta. Scriverlo è stato come trovare nella mia anima un antidoto alle mie proprie cicatrici: riscoprire la forza nel sentire, essere goccia, lasciar scorrerre l’acqua e ritornare all’Oceano di chi ero io.

Le risposte sono la strada già fatta, solo una domanda può puntare oltre: questa frase, tratta da libro di Josteen Gaarder, invita il bambino, ma anche l'adulto a farsi domande. Quali sono le domande alla base di questo libro?

Le domande alla base di questo libro sono le domande dei bambini a cui gli adulti difficilmente danno una risposta. Sono le domande nate da uno spazio di silenzio, di un spazio che non cerca di risolvere il mistero, ma di abitarlo. Lo spazio del gioco, in cui la vita accade come la rivelazione dell'interiorità del nostro essere.

Le risposte ci chiudono in gabbie di ciò che è già inteso come “giusto” e “conosciuto”. Le domande, invece, aprono le porte che ci portano a sentieri ancora da scoprire, in una specie di “Filosofia del Viaggio”; e queste sono le domande alla base di questo libro: domande che cercano l’intendere (tendere-in, andare verso), anzi che il “conoscere”, che ci ‘chiude’ in una risposta.

Quali autori e libri hanno dato una direzione alla tua vita e quali autori hanno influenzato la tua scrittura e il progetto di questo libro?

Gli autori e i libri che diedero direzioni alla mia vita sono stati molti. Ma quelli che diedero indicazioni alla mia umanità e alla scoperta di me furono, principalmente, il filosofo Viktor Frankl, con il suo libro "L'uomo in cerca di senso", il poeta e filosofo Rainer Maria Rilke, con il suo libro “Lettere a Un Giovane Poeta" e, se “L’Alchimista”, di Paulo Coelho. Tutti questi libri mi hanno fatto vedere un nuovo modo di concepire il mondo e la vita.

Mi preme consigliare, soprattutto, Viktor Frankl che fu uno psicologo ebreo che, avendo vissuto nei campi di concentramento di Auschwitz, è stato in grado di dare un senso alla sua vita, nonostante tutto il dolore che aveva provato, creando la logoterapia che, più tardi, avrebbe aiutato tantissime altre persone a trovare un senso per la loro vita. Infatti, una delle lezioni più sorprendenti di Frankl, secondo me, è quella che dice: “Tutto può essere tolto ad un uomo ad eccezione di una cosa: l'ultima delle libertà umane - poter scegliere il proprio atteggiamento in ogni determinata situazione, anche se solo per pochi secondi.”

In particolare, in relazione al progetto di questo libro, gli autori che più mi hanno ispirato, senza dubbio, sono stati i filosofi latinoamericani Sérgio Sardi, brasiliano, e Walter Kohan, argentino che, attraverso i loro lavori ed opere, hanno influenzato, in America Latina, e principalmente in Brasile, la filosofia con i bambini.

Due esponenti che ho avuto la fortuna di conoscere: Walter a Rio de Janeiro, nel 2016 in un Congresso di Filosofia, e professor Sergio in Brasile, dal 2013 al 2017, nella facoltà.

Il nome della protagonista, Luna, si ricollega al nostro pianeta, simbolo di riflessione, del femminile, dell'emozione che muove le acque della nostra interiorità, un nome, dunque, che è già un “manifesto”: cosa ti ha spinto a dare questo nome alla protagonista?

Ciò che mi ha ispirato nel dare questo nome alla protagonista del libro è stata la ricerca della connessione con il femminile, non scelta casualmente. “Luna” rappresenta, in generale, il bambino interiore che esiste all'interno di ogni essere umano, ma il fatto di essere la protagonista, e di essere una bambina, mostra l'importanza di vedere le donne come figure centrali in relazione al mondo della filosofia. Poiché poche volte, nella storia della filosofia, le donne hanno avuto voce. E quindi "Luna" può essere intesa anche da questo punto di vista.

Inoltre, nella natura, la luna era sempre l'astro celeste con cui “parlavo” da sola. Raramente ho trovato in me stessa, e nella mia vita, la profondità che ho trovato guardando la luna. Ho sempre trovato le "domande" per le "risposte" che avevo: la luna mi riempiva di silenzi. Nella sua presenza, ho imparato ad amare il divenire e il Mistero. Ho imparato a capire che non sempre sarei riuscita ad ottenere la risposta che cercavo nella mia vita. A volte, il massimo che possiamo fare è imparare ad amare l'esistenza come essa si presenta, accettandola così com’è e non come vogliamo che fosse.

“Luna, una Bambina Filosofante” nasce dalle mie silenziose conversazioni con la luna, con la mia anima e la mia interiorità.

Questo libro nasce come crowdfunding, come auto-produzione dal basso. Cosa ti ha portato a questa decisione e quali sviluppi prevedi per questa pubblicazione?

(https://www.produzionidalbasso.com/project/pubblicazione-del-libro-di-filosofia-per-i-bambini-luna-una-bambina-filosofante/ ).

Ciò che mi ha portato a questa decisione è credere che un progetto possa essere sostenuto dalla collettività e che sia possibile concretizzare e manifestare un sogno più rapidamente con l'aiuto di “molti”. Il crowdfunding è un mezzo per raggiungere un obiettivo che si basa sulla solidarietà e la collaborazione tra le persone ed è quindi uno strumento utile che deriva dalla logica dell'economia collaborativa, in cui credo personalmente.

La tecnologia può essere un fattore sociale che oggi separa le persone, ciascuna sullo schermo del proprio smartphone. Ma senza dubbio ha anche i suoi meriti, e la possibilità di connettere rapidamente le persone in una logica di collaborazione, e il crowdfunding, è una di queste.

“Tutto è così misterioso. Alcune cose sembrano anche essere segrete. Cosa nascondono gli occhi? Ogni sguardo ha un mondo dentro?”

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Tristemente famosi. Cronache

Martedì, 28 Maggio 2019 06:05

 
Oggi le vere star sono i criminali.


Il libro Tristemente famosi (Cronache) è la storia di una giornalista pentita, Laura Dani, meglio conosciuta come Lory Dan che per anni, per fare carriera, è stata complice di un giornalismo che specula sui vizi, che da' fama a personaggi negativi,che mette sotto i riflettori criminali incalliti, anime perse facendone personaggi di successo mediatico. E' quando tutto questo la disgusta che decide di cambiare radicalmente, di lasciare il giornalismo  e di iniziare  a raccontare alcuni casi di cronaca a cui ha assistito. Attraverso queste narrazioni la giornalista ottiene una nuova consapevolezza perché impara dagli errori e a poco a poco riprende in mano la sua vita. L'autrice di questo libro è Paola Galligani. Nata a Firenze nel 1964 è stata attrice di   teatro per dieci anni, ha poi lavorato in tv e al cinema. Scrive narrativa, poesie, opere teatrali e testi di canzoni.
Ora vive e lavora a Roma.


Ciao Paola, ma come ti è venuta in mente l'idea di scrivere questo libro?


Da un altro libro "La via della felicità" e soprattutto da uno dei precetti descritti in quel libro: Da' un buon esempio. Applicandolo nella propria vita uno va verso una vita migliore. Leggendo i giornali, invece, ho notato che sono i criminali quelli che vengono osannati. I Mass Media danno valore non alla capacità umana, al bello ma ad azioni criminali.
Comunque quel libro, oltre al precetto che mi ha ispirato, ne contiene altri 20 che hanno lo scopo di tratteggiare quella che può essere considerata una vera guida basata sul buon senso e ad indicare all'uomo come ripristinare la sua integrità e come riacquistare fiducia in se stesso. Tutto il contrario, insomma, delle storie raccontate nei Mass Media che turbano, creano ansia e ti danno l'idea che puoi ottenere visibilità solo se commetti delle illegalità. Io penso che vogliono documentare il degrado per creare ulteriore degrado. La Via della Felicità è stata scritta
da L.Ron Hubbard, il fondatore della Chiesa di Scientology, ma è un lavoro indipendente. Non fa parte di alcuna dottrina. Lui voleva veramente offrire una soluzione efficace al degrado dell'odierna civiltà e non si può negare che questa non sia sotto gli occhi di tutti. Si può visitare il sito www.laviadellafelicita.org per rendersi conto di persona dell'efficacia di quel  messaggio.


Lo faremo senz'altro, ma tornando al libro: le storie che racconti sono vere o sono inventate?


Sono totalmente inventate, anche se ho preso spunto qua e là da personaggi  che sono diventati appunto tristemente famosi e che sinceramente non si meriterebbero questa fama. Ci sono persone o artisti che invece meriterebbero questa visibilità ma non ce l'hanno. Questa giornalista si rende conto che sta collaborando al successo di qualcosa che è deleterio ed inizia a scrivere alcune storie.


E dov'è il cambiamento? Dov'è la presa di coscienza?


Eccolo! A questi personaggi, infatti, ad un certo punto gli scatta qualcosa, si riprendono, cambiano punto di vista e fanno qualcosa di valido per se stessi o per la società e qui mi rifaccio a La Via della Felicità ed al suo messaggio. Si può invertire il degrado personale e, di riflesso, quello sociale.


Qual è il tuo prossimo progetto?


Non è ben definito ancora, ma voglio continuare a portare avanti questa cosa. Non sono d'accordo, infatti, che vengano premiati personaggi negativi. Voglio far capire che bisogna mettere  in risalto persone che hanno un messaggio di valori positivi. Bisogna diffondere il messaggio de La Via della Felicità per contrastare questo tipo di giornalismo gretto.

Grazie Paola.

 


Questi i siti del libro
www.amazon.it
www.mondadori.it
www.feltrinelli.it
www.ibs.it
www.bibliotecauniversitaria.it

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"Ettore il riccio viaggiatore", alla scoperta del Patrimonio Artistico del nostro Paese

Lunedì, 06 Maggio 2019 22:53

Il simpatico Riccio viaggiatore approda quest'anno a Milano nel terzo libro della collana ideata dalla storica dell'arte Camilla Anselmi

Roma, 6 maggio 2019. È stato presentato oggi ad Euroma2 il libro "Ettore il riccio viaggiatore, un'avventura a Milano" di Camilla Anselmi (Scalpendi Editore), promosso e sostenuto da Euroma2 per favorire la conoscenza della Storia dell'Arte fin dalle scuole primarie. La pubblicazione è la terza edizione, dopo Roma e Venezia, della collana di libri per bambini ideata da Camilla Anselmi ed illustrata da Valentina Fontana, dedicata alle città d'arte italiane, che vede il simpatico protagonista, Ettore il Riccio viaggiatore, accompagnare i piccoli lettori alla scoperta dei luoghi d'arte e storia delle più importanti città italiane. I luoghi visitati da Ettore vengono ricreati ad Euroma2, dove, dal 6 al 12 Maggio, è allestito un percorso espositivo dedicato alla città di Milano e dove gli alunni delle terze e quarte elementari coinvolte nel progetto assisteranno a lezioni di storia dell'arte, inerenti i monumenti del libro, tenute dagli studenti dei licei artistici di zona.

Quest'anno aderiscono all'iniziativa oltre 20 Scuole primarie degli Istituti Comprensivi dell'VIII e IX Municipio: in totale oltre 1.200 alunni. I bimbi che partecipano all'evento, dopo aver percorso l'itinerario didattico ad Euroma2, riceveranno in regalo una copia ciascuno del libro "Ettore il riccio viaggiatore, un'avventura a Milano", uno strumento didattico per sensibilizzare ed educare le nuove generazioni alla conoscenza e al rispetto del patrimonio culturale delle città italiane.

"L'amore per l'arte - ha dichiarato Camilla Anselmi nel corso della conferenza stampa presentata dall'attore Paolo Romano e che ha visto la partecipazione speciale della Prof. Maria Rita Parsi,

psicologa, psicopedagogista, giornalista, scrittrice - ha fatto nascere in me l'idea di questo progetto per generare nei più piccoli la conoscenza ed il rispetto per il patrimonio del nostro Paese. Oggi sono lieta di poter affermare che il personaggio di Ettore è diventato in breve tempo il compagno di viaggio di migliaia di bambini che attraverso le avventure del piccolo riccio, scoprono i monumenti delle più importanti città italiane. Tutto ciò anche grazie ad Euroma2 che ha creduto in questo progetto, contribuendo in questo modo alla formazione dei più piccoli sulle inestimabili ricchezze dell'arte e della storia italiana".

E sono sempre i giovani a far scoprire ai più piccoli i monumenti e le bellezze storico-artistiche di Milano: oltre 30 studenti del Confalonieri - De Chirico (Istituto Professionale Servizi Commerciali Tecnico Tecnologico Liceo Artistico) attraverso allestimenti scenografici ricreati nella Galleria di Euroma2, dal 6 al 12 maggio, tengono brevi lezioni di storia dell'arte agli oltre 1.200 bambini che hanno aderito all'iniziativa, illustrando e spiegando loro la storia e l'importanza dei monumenti milanesi.

Generazioni vicine che si incontrano per condividere un'esperienza formativa che coinvolge i piccoli visitatori e gli studenti delle superiori che possono testare sul campo le conoscenze apprese nel proprio piano di studi, acquisendo così i crediti formativi indispensabili per completare il percorso di alternanza scuola-lavoro.

L'evento sarà riproposto ad ogni pubblicazione della collana e avrà lo scopo di fornire ai giovani un bagaglio di conoscenze tale da renderli, un giorno, cittadini consapevoli sul ruolo primario che l'Italia ha ricoperto nella storia e nella cultura e che, ancora oggi, la rende grande agli occhi del mondo.

L'impegno di Euroma2 verso le nuove generazioni si estende, per la seconda volta, nel supporto dell'Associazione Peter Pan Onlus, che da 25 anni offre sostegno ed accoglienza gratuita nelle sue Case ai bambini malati di cancro ed alle loro famiglie. Le avventure di Ettore terranno compagnia ai piccoli meno fortunati che arrivano da tutt'Italia e dall'estero per potersi curare a Roma in un viaggio di fantasia ed immaginazione per mano ad un nuovo amico.

L'autrice Camilla Anselmi, già nota nell'ambito della letteratura per l'infanzia per essere stata, nel 2012, co-autrice del testo "Raccontami il Duomo. Storie del Duomo di Milano", nato dall'esperienza maturata in anni di attività come co-responsabile dei Servizi Educativi del Museo del Duomo, ha pensato di avvicinare all'arte i più piccoli servendosi del racconto ludico, prendendo spunto dalle loro domande più frequenti e curiosità principali, dal loro approccio ricco di prospettive inedite.

Per l'alto valore culturale dell'iniziativa, "Ettore il riccio viaggiatore, un'avventura a Milano" è patrocinato dalla Regione Lazio, dalla Città Metropolitana di Roma Capitale ed alla Conferenza sono intervenute importanti personalità istituzionali: la Dott.ssa Germana Paoletti - Assessore alle Politiche Sociali ed Educative -X Municipio e la Prof.ssa Daniela Marziali - Dirigente rete scolastica Istituti VIII e IX Municipio.

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La Serbia è stata condannata a morte, dice Gianni Viola, leggenda del giornalismo libero italiano.

Lunedì, 29 Aprile 2019 09:48

Il lavoro del giornalista Gianni Viola è stato indebitamente e da troppo tempo trascurato nella pubblica opinione serba. Nel Suo libro “Il soave profumo dell’imperialismo”, Viola ha completato l’intera base dei dati a proposito delle vittime e dei crimini commessi, con tanto di nomi e cognomi di coloro che li hanno commessi, come d’altronde dei danni materiali provocati alla Serbia e al Montenegro, durante i bombardamenti della NATO, non omettendo nemmeno un minimo dettaglio. Soprattutto è importante che Viola, con vari argomenti, abbia sistematicamente smontato le bugie mediatiche, fra le quali quelle poste in essere in primis dagli USA e dalla NATO, durante le guerre nei territori della ex Yugoslavia. Il fatto che il suo lavoro sia stato riconosciuto alla Facoltà di scienze politiche a Roma, come tesi verificata, evidenzia il valore di questo libro, la cui credibilità è dimostrata anche dagli eventi successivi. Allo stesso tempo, poiché non esiste un testo di base simile in lingua serba che raggruppi tutte le varie informazioni al riguardo, non è esagerato affermare che il lavoro di Viola sia, finora, la più importante opera letteraria sul tema della sofferenza serba negli anni ’90 e sulle relative verità nascoste. In ogni caso, non è stato possibile, in Italia, passare inosservati per aver svolto una tale ricerca, né evitare che l’Autore avesse a subire delle conseguenze per tale motivo.

“Magazin Tabloid” è il primo organo di stampa serbo che ha proposto ai lettori una esclusiva intervista con Gianni Viola, giornalista Italiano, il quale da trent’anni ormai, da giornalista indipendente, è stato coinvolto nel periodo estremamente nebuloso e politicamente oscuro, della storia serba contemporanea, e ciò soprattutto nella percezione dell’Occidente. E bisogna tener conto che questo non sarebbe stato, certamente, un compito facile, nemmeno per delle istituzioni prestigiose.

 

Intervista di Ivan Maksimovic (corrispondente di Kosovska Mitrovica)

 

 

1) Quando è sorto in lei l’interesse riguardo ciò che stava accadendo nei Balcani?

I miei rapporti con il mondo dei Balcani datano sin da quando mio padre, Carmelo, scomparso nel 2012, era direttore di “Previsioni”, una rivista internazionale che era distribuita in tante parti del Mondo. Tuttavia il motivo scatenante del mio particolare interesse per la Jugoslavia, ha una data ed è legata ad una circostanza ben precisa: il rapporto segreto della Cia del 1990, reso pubblico il giorno della festa nazionale della Jugoslavia, il 29 Novembre! In quel rapporto - quasi come un macabro segnale del tipo “vi spaccheremo”, era presente una previsione in base alla quale entro 18 mesi, sarebbe avvenuto uno smembramento della Jugoslavia, con esplosioni di violenze che - affermava il documento - hanno “molte probabilità” di trasformarsi in guerra civile. Il documento, stilato dalla Cia, precisava che “l’esperimento jugoslavo è fallito e il Paese sarà smembrato” e aggiungeva che tutto ciò “sarà molto probabilmente accompagnato da esplosioni di violenza etnica e disordini che potrebbero portare ad una guerra civile”. Il rapporto giungeva a definire con precisione che il presidente Slobodan Milosevic era da ritenere come “il principale istigatore” dei predetti conflitti jugoslavi.

Questo rapporto “segreto”, faceva seguito all’approvazione delle legge 101-513 da parte del Congresso degli Stati Uniti, il 5 Novembre del 1990. Tale norma prevedeva lo stanziamento di fondi per le operazioni internazionali e nella fattispecie essa distribuiva fondi oppure li erogava alle dirigenze delle varie repubbliche jugoslave in base a criteri politici, con la regola dell’appoggio ai secessionisti! Una legge che praticamente segnò la condanna a morte della Jugoslavia.

2) Quale fu il momento - e per quale ragione – quando lei comprese ciò che stava realmente succedendo nella Jugoslavia?

Il momento preciso in cui compresi ciò che stava realmente accadendo in Jugoslavia, mi giunse dal rapporto pubblicato durante i colloqui di Dayton (1995) dal Dipartimento di Stato Usa, “Bosnia Fact Sheet: Economic Sanctions Against Serbia and Montenegro”, dove era spiegato che “Le sanzioni hanno contribuito a un significativo declino della Jugoslavia. La produzione industriale e il reddito effettivo sono calati del 50% dal 1991”. E più avanti si leggeva che: “Ottenere un allentamento delle sanzioni è diventata una priorità per il governo jugoslavo". In pratica, il ricatto aveva funzionato e ora si poteva agire!

Nei dettagli, nell’attuazione pratica di questo piano, gli USA intervennero attraverso la fornitura di armi ai nazionalisti anti-serbi, la copertura mediatica di crimini commessi dai nazionalisti allo scopo di far ricadere le responsabilità sui serbi, infine, l’organizzazione e la copertura del traffico di armi e droga i cui profitti erano destinati al finanziamento delle guerriglie anti-serbe.

Da notare che in questo caso fu adottato lo stesso meccanismo utilizzato in Nicaragua dove i contras venivano finanziati dal commercio di droga fiorente in California. E non sarà inutile aggiungere che nel Kosovo agirono – addirittura – alcuni fra gli stessi personaggi con la busta paga della Cia, fra cui lo statunitense Walker, già organizzatore degli squadroni della morte in San Salvador!

Leggiamo sempre nell’articolo di Gaiani (37) che “Considerati gli stretti rapporti tra i guerriglieri kosovari e il Dipartimento di Stato di Washington è possibile ritenere che la “strage” di Racak sia stata messa in scena dalla CIA e dall’UCK con la complicità di Walzer, raccogliendo in un unico luogo cadaveri provenienti da diverse zone del Kosovo e appartenenti a guerriglieri (le prove effettuate da medici serbi e bielorussi riscontrano tracce di polvere da sparo sulle mani della gran parte dei cadaveri) o persone uccise in circostanze diverse, sfigurate e mutilate per rendere più difficili i rilievi medico-legali e più efficace la messa in scena a suscitare orrore e indignazione nell’opinione pubblica occidentale per preparare il terreno all’intervento militare della NATO”.

3) Quali scoperte ha effettuato tramite le indagini che ha condotto nei suoi studi? Di che tipo di crimini si tratta, secondo la sua valutazione?

La prima scoperta rilevata dalle ricerche condotte in relazione a ciò che stava accadendo in Jugoslavia, fu che l’opera di disinformazione era volta sia a creare prove false su fatti mai accaduti (ad es. la pianificazione degli stupri etnici realmente mai avvenuti), sia a sfruttare a proprio vantaggio fatti realmente accaduti, verosimilmente compiuti da controparti dei serbi (croati, bosnjak, cioè musulmani bosniaci, e skipetari o albanesi del Kosovo, ecc.), mediaticamente attribuiti ai serbi (ad es. la strage del pane a Sarajevo realmente compiuta dai bosnjak). Tutto ciò, dunque, allo scopo, sia di alleggerire le parti in conflitto con i serbi, in relazione a crimini realmente commessi, sia utilizzare i medesimi crimini per aggravare la posizione “criminale” dei serbi.

Emblematico il caso del “Newsweek” del 4 gennaio 1993 (4) che usò fotografie di serbi morti facendole passare per “vittime musulmane” e ancora nel numero del 7 agosto 1993 il “New York Times” riportava una fotografia che voleva rappresentare dei croati che si disperavano per le atrocità serbe, mentre in effetti gli assassini in questione erano stati commessi da musulmani bosniaci.

Ovviamente la stessa tattica è stata in seguito adottata nei confronti della questione del Kosovo. Spuntarono mano a mano i termini “pulizia etnica”, “genocidio”, “stupri etnici”, “campi di concentramento”. Diecine e diecine e poi centinaia di notizie false costruite su commissione degli USA ad uso e consumo di croati, bosniaci, e kosovari. Fra le molte “notizie” poi risultate del tutto fasulle, citiamo a caso: i campi di concentramento serbi di Trnpolje del giornalista-cecchino Roy Gutman, premio Pulitzer!, il bombardamento di Lubiana (1991), la distruzione del centro storico di Dubrovnik (1991), l’occupazione serba della Bosnia (1992), gli stupri di massa in Bosnia (1993), i bombardamenti al napalm su Bihac da parte dei serbi (1994), le varie stragi vere con attribuzioni false o stragi “gonfiate” avvenute in Bosnia: la strage del “mercato” di Sarajevo (1992) e quella del “pane” (1995), le fosse comuni di Orahovac in Kosovo (1998).

Con riferimento a tutto il territorio dell’attuale Jugoslavia, gli obiettivi colpiti sono stati per l’80 per cento civili (1.000 obiettivi privi di importanza militare): così contro tre o sette carri armati completamente distrutti (ed una ottantina colpiti) e 5 aeroporti civili, abbiamo 328 scuole elementari, 25 facoltà universitarie, 15 collegi, 20 case degli studenti, 50 ospedali, 23 monasteri, 32 chiese, 4 cimiteri, 15 musei, 5 sedi di televisioni, 44 ripetitori, 61 ponti, 19 stazioni ferroviarie e le principali linee ferroviarie, 34 stazioni di pullmann, 13 aeroporti, 200 industrie, 23 tra raffinerie e depositi di carburante, 28 centri agricoli e industrie agroalimentari, 21 tra ambasciate e consolati; il 62% delle strutture stradali e 15 strade principali, il 70% della produzione di energia elettrica, l’80% della capacità di raffinamento del petrolio.

I danni inferti alla Serbia ammontano a 200.000 miliardi di dollari, il calo della produzione è calcolato nel 27%. I disoccupati in conseguenza delle distruzioni sono 500.000. Nel solo Kosovo le bombe della Nato hanno causato la distruzione di 47 mila case con la conseguente creazione di 720.000 senzatetto.

Le vittime: la guerra è stata condotta contro la popolazione civile. I morti civili sono stati circa 1.800 (erano 1.200 già alla fine d’aprile, secondo una comunicazione di Zivadin Jovanovic, ministro degli esteri della Jugoslavia), secondo dati minimi ufficiali di fonte jugoslava. Le fonti ufficiose (stampa) serbe parlano di 2-3.000 morti. La Nato, che in questo caso anziché gonfiare minimizza i dati già di per sé non esagerati, parla di “soli 400 morti civili”. Il 30% fra essi sono bambini. Nel totale dei morti bisogna includere anche 200 soggetti morti calpestando bombe a frammentazione inesplose lanciate dalla Nato.

I feriti civili, secondo fonti ufficiali jugoslave, sarebbero almeno 6.000, di cui duemila rimasti invalidi a vita e il 30-40% fra questi sono bambini. Una fonte non serba parla di 15.000 feriti serbi (I morti militari sarebbero fra i 5.000 (secondo stime della NATO) e 6.000 (fonte ufficiosa serba), su un totale di 40.000 soldati jugoslavi in Kosovo.

4) Ha incontrato difficoltà nel reperimento delle notizie e della documentazione raccolte?

Ricercare e raccogliere documenti relativi ad una situazione politica di un Paese sottoposto a pressioni di tipo imperialista, è sempre difficile, perché bisogna tener conto del ruolo fondamentale demandato ai servizi segreti (Cia).

I servizi segreti non agirono direttamente – se non in taluni casi – ma sempre sotto la copertura di agenzie create per l’occorrenza. Una di queste è la “Ruder&Finn Global Public Affair”, il cui direttore Mr. James Harff (intervistato da Yohanan Ramati, direttore del “Jerusalem Institute for Western Defense”) disse che “Per 18 mesi (in altre parole per l’esatto periodo previsto dal rapporto della Cia redatto nel 1990 (cui facevo cenno in precedenza), abbiamo lavorato per la Repubblica di Croazia e per la Bosnia-Erzegovina, così come per l’opposizione in Kosovo. In tutto questo tempo abbiamo ottenuto molti successi, guadagnandoci una immagine internazionale formidabile. Intendiamo avvantaggiarci di ciò e sviluppare accordi commerciali con questi paesi. La velocità è essenziale, perché bisogna impiantare nell’opinione pubblica argomenti favorevoli ai nostri scopi. E’ la prima frase che conta. Le smentite non hanno effetto”.

Con tali premesse era logico diffidare di tutte le notizie che apparivano sulla stampa asservita alla Nato, e nel contempo ottenere le notizie autentiche solo tramite fonti alternative che giungevano direttamente dalla Jugoslavia, senza il passaggio della censura occidentale. In tale contesto, il primo documento organico che riuscì ad ottenere, mi giunse direttamente dal Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Federale di Jugoslavia, per il tramite dell’Ufficio Militare dell’Ambasciata Jugoslava di Roma. Altri documenti importanti mi giungevano da una efficiente agenzia di informazioni , il “Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia”.

5) Qual è stata la reazione del pubblico in relazione all’uscita del Suo libro e del contenuto delle ricerche presentate? Qual è stata la reazione dei mass media?

Il testo ha ricevuto una entusiastica approvazione da parte della generalità dei soggetti e della stampa periodica in genere, soprattutto da parte di alcuni gruppi impegnati nella lotta contro l’imperialismo – il Gamadi ad esempio – che ha provveduto a farne una presentazione video trasmessa per la tv Teleambiente di Roma. Ha avuto anche dei riconoscimenti a livello letterario, come ad esempio, da parte dell’Associazione Culturale Pegasus Cattolica, con il “Premio Letterario Internazionale Città di Cattolica”, assegnando al testo il “Premio Speciale Saggistica” (2011). Il testo inoltre è stato spesso citato (anche a motivo del primo censimento delle basi militari americane ivi presenti), nel sito ComeDonChisciotte (forum), Il Faro sul Mondo (rivista di politica internazionale), Il Buio, Il Giorno 24 Ore, Agenzia Russa Sputniknews, Sito librieidee (ottimo accenno al libro), Sitomontedragone, Il Simplicissimus (forum), Scintilla Rossa (forum) WikiVividly, L’altraversionedeifatti (blog), Le fortificazioni militari, Ilblogdilameduck, Il Nuovo Mondo, Skyscrapercity.com, Ayruzacheal, ecc.

Citiamo una sola eccezione negativa, secondo cui “L’autore, rispetto alla tematica, non esita a schierarsi in una posizione piuttosto impopolare e poco obbiettiva. Conseguentemente tutti i dati raccolti sono passibili di critica ed inutilizzabili per uno studio sistematico.” Tale giudizio è la sintesi delle valutazioni effettuate dai lettori della Rete Bibliotecaria Bresciana e dalla Giuria del Premio di Qualità nell’ambito della 9ª Rassegna di Microeditoria Italiana (novembre 2011 – Chiari – Brescia). Tale posizione peraltro priva di qualsiasi elemento a prova di quanto affermato, è indice del profondo torpore in cui è sprofondato il mondo della cosiddetta cultura istituzionale, ormai priva di qualsiasi aggancio con la realtà e posta su un piano di pura reazione politica. Invero il testo è stato definito - nel sito “Contro” - “un capolavoro straordinario di controinformazione”! e la ricerca è stata adottata nell’ambito di una tesi di laurea della Luiss – Libera Università Internazionale degli Studi Sociali – Guido Carli, di Roma, in una dissertazione accademica della Facoltà di Scienze Politiche.

Da aggiungere, inoltre, che nel 2016, quindi 17 anni dopo la guerra del Kosovo, il Tribunale internazionale dell’Aja ha riconosciuto la innocenza di Slobodan Milosevic, peraltro liquidato nel 2006 durante il processo farsa posto in essere dal giudice Carla del Ponte (successivamente pentita della posizione assunta nell’ambito del dibattimento giudiziario!). Ciò vale a dare lustro e dignità di documento, al libro in questione, oltre ogni ragionevole dubbio!

6) Ha avuto dei problemi in relazione alla ricerca condotta e alla stampa del libro?

Nel periodo in cui svolsi la ricerca, la mia corrispondenza (cartacea) era permanentemente controllata e mi veniva consegnata a mano, non dal postino, ma direttamente in un ufficio postale (dopo formale invito telefonico!). La corrispondenza mi giungeva dopo essere stata sbrindellata – e in alcuni casi inspiegabilmente danneggiata dall’acqua - poi riconfezionata alla meno peggio e ogni volta dovevo dichiarare – per iscritto – di aver preso visione dello stato in cui si trovava la corrispondenza indirizzata al mio nominativo e dovevo dichiarare altresì che “avevo accettato di ritirarla” nello stato in cui mi veniva consegnata.

7) Quali sono i progetti relativi, in particolare, al testo che le è stato pubblicato, e in generale, al suo lavoro di ricerca storiografica? Ha intenzione di approfondire ancora il tema dei crimini commessi sulla popolazione Serba?

Ho intenzione di completare (nell’ambito della medesima tematica) una mia breve ricerca sulle azioni militari americane in tutto il Mondo (dal 1783 ad oggi), e conto di approfondire l’analisi della presenza militare americana in Italia, partendo dal censimento presente nel testo.

 

 

Ivan Maksimovic (note biografiche)

Dopo diversi anni di collaborazione con le principali riviste e i media serbi, con l'inizio della crisi nel nord del Kosovo (Giugno 2011), iniziò a lavorare indipendentemente come reporter. Il motivo di ciò derivò dal fatto che tutti i media hanno riportato questi eventi solo in parte e in maniera totalmente erronea. Venne soprannominato "giornalista del popolo", in seguito al suo modo di fare informazione. All'epoca pensava che il suo impegno sarebbe durato fino alla fine della crisi. È rimasto operativo fino ad oggi. È nato e vive in Kosovo a Metohija, in Serbia.

L’Autore dell’intervista ringrazia la signora Gordana Soprana per l’assistenza tecnica e la traduzione dalla lingua serba alla lingua italiana e viceversa; nella traduzione dalla lingua inglese in italiano, ha collaborato Lisa Russo, segretaria e traduttrice di Gianni Viola.

Speciale per Tabloid Magazine, di Kosovska Mitrovica (Kosovo, Serbia), in lingua serba (21 Marzo 2019), apparsa sempre in lingua serba anche sul periodico “FBReporter” (23 Aprile 2019).

L’intervista è apparsa inoltre in versione inglese, su “KM Novine” (di Ponedeljak, Serbia) del 15 Aprile 2019.

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Soave cultura: arrivano gli asini a far la parte dei maestri protagonisti

Martedì, 23 Aprile 2019 13:51
 
   Alessandra Giordano ( a destra)  e Luciana Bertinato

Questo è il racconto di un fine settimana prezioso, che ha visto asini, umani, libri e poesia uniti a esprimere i nostri sogni e i più importanti impegni per un mondo che vorremmo autentico, limpido, onesto, dialogante e di scambio anche delle più profonde emozioni, nel rispetto tuttavia dei silenzi e delle nostre individuali intimità. Questo, che appare come utopia, è avvenuto in questi giorni, e ne riferisco in prima persona, nella fortuna di avervi partecipato insieme a gente straordinaria.

Do un veloce sguardo indietro, ai giorni subito precedenti il magico scenario di Soave (nomen omen, per questo borgo in provincia di Verona), per un prologo che solo apparentemente sembra riferire d’altro, ma che conferisce alla poesia il giusto ruolo trainante che avrà anche successivamente, in questi complessivi tre giorni che sembrano una mezza vita, tanto son stati intensi. Vi chiedo di seguirmi, ripercorrendo questo viaggio insieme a me. Tutto inizia da Roma, dove una mia poesia sugli ultimi del mondo guadagna una menzione di merito al Premio Don Luigi Di Liegro. Là, nelle ore della cerimonia in Campidoglio, faccio scorta di parole alte, ascolto chi esprime in versi la vicenda umana, in quella forma letteraria che le parole ti costringe a sceglierle bene, perché sono poche, devono andare al dunque, e fermare il nostro sguardo mentre il cervello lavora, insieme al cuore. Non posso non vedere l’asino, già lì. L’asino nella sua soavità ferma, di riflessione. Ha inizio in quel momento la costruzione di un ponte, che attraverserò subito dopo, già con la mia borsa piena di emozioni e pensieri nuovi. E mentre in treno mi sposto verso Verona succedono due cose.

La prima: una ragazza sale a Bologna, fa avanti e indietro per un po’ lungo il corridoio, poi si siede accanto a me. Inizia subito a piangere, si chiede “E ora come faccio?”. La invito a dirmi. Ha sbagliato treno, doveva andare a Milano, alla Scala. Per la prima volta, lei che danza, avrebbe voluto incontrare Alessandra Ferri, aveva comprato un biglietto costoso sì, ma un po’ meno del solito per una promozione colta al volo. Aveva scelto gli abiti migliori, per l’occasione, aveva studiato il tragitto dalla stazione al teatro, aveva pianificato tutto e poi… Una distrazione, forse data dall’emozione, e il primo treno rosso le era parso quello giusto, e invece no. Inconsolabile, spaventata, non riusciva a capire come fare. La aiuto nelle questioni pratiche, ma il sorriso vero le tornerà quando le mostro il muso d’asino che campeggia sull’adesivo di Asiniùs, che le offro invitandola a scoprire gli asini. Finalmente respira, si calma, ora ride: perderò il primo tempo del balletto, ma avrò conosciuto l’asino, mi dice.

La seconda: guardo i messaggi sul cellulare; Davide Giovannini, poeta che ho avuto l’onore di premiare lo scorso anno a La Spezia al Premio Altre Maternità, mi dice che sta viaggiando verso Soave. La poesia mi segue, gli incontri si annunciano felici. Saranno questo, e molto di più.

E dunque inizia SoaveCultura.

Grazie alla sensibilità della Maestra Luciana Bertinato, e alle cento persone che con lei hanno anche quest’anno organizzato il festival, nel borgo arrivano gli asini a far la parte dei maestri protagonisti: mentre dialogo con un caloroso pubblico dell’”Asino sulla mia strada”, Massimo Montanari sta girando per le vie antiche con Greta, Giuseppa e Libera (quest’ultima, un’asinella nata il 25 aprile…). Il paese accoglie gli asini, gioca, ride, ragiona con loro. Gli asini incorniciano i pensieri di tutti, ogni cosa sembra riportare oggi a loro, al loro insegnamento per tutti noi. Monica chiede un adesivo di Asiniùs: vuole subito attaccarlo alla porta del suo bar. Per strada, tra le orecchie lunghe, vengo fermata più volte (neanche fossi Fabio Volo!): lo scambio di riflessione asinina cammina nelle vie, calpesta i ciottoli, avanza. Mai così la presenza dell’asino aveva permeato un incontro di cultura, quella fatta di pensieri e atti concreti, tra immagini, parole, laboratori di costruzione, in un mix di età e visi con sguardi destati dal desiderio della conoscenza. Orecchie d’asino spuntano sulle teste di tutti, e il loro messaggio passa, si insinua, scuote.

Qui sotto, per gli amici che me l’hanno chiesta, la poesia letta a Roma. E per chi non era a Soave una videointervista con qualche raglio.

Dunque cosa posso fare io ora, che ho solo un grazie? Aggiungere questo: torno a casa con le tasche piene di zecchini d’oro; ogni zecchino un incontro, ogni incontro immensa gratitudine e

smisurata possibilità. Occasione. Ponte. Grazie alle voci raglianti. Grazie a donne e uomini di Soave che hanno accolto, ascoltato e fatto proprio il dirompente pensiero asinino.

Qualche grazie speciale: a Stefania, per quell’abbraccio; a Michele, per il suo splendore dappertutto, a Davide, per la poesia che porta nelle scuole, a Simonetta che lo ama e che è bellissima, a Luciano il mio editore: abbiamo venduto tutte le copie! Con la cultura si mangia! A Rita che era in Umbria ma era lì.

Luciana Bertinato, la Maestra che sussurra ai bambini e Giovanna Zago, che donna: anima di tutto ciò, per me.

Agli asini.

Videointervista qui: https://www.facebook.com/593685177666007/videos/274700333254366/

E la poesia:

“SENZA POESIA”

E cosa possiamo dire

noi ora qui

Padre,

di questo vecchio.

Che senza dimora

asciuga la sua giacca

sulla grata del metrò.

Lungo e nero e sottile

è il suo consunto abito

e il suo viso

e lui

che sembra già disteso

mentre in piedi guarda giù.

Gli alberi del parco,

dietro,

gocciolano immoti e stanchi

pensieri sempre uguali

dei loro cento anni.

La giacca intanto vola

tenuta per due lembi

da braccia come rami

e a noi di qua ora sembra

che il vento porti via

da lei tutti gli affanni.

Ah ingannevole e falsa

Poesia.

Chi t’ha portato?

Mentre drogata respiro e vedo luce

nell’immagine che da te rischiara

il vecchio sta soffocando un’altra sera.

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Il monastero delle monache senza volto di Silvio Foini

Lunedì, 11 Marzo 2019 18:41

Dopo la caduta dell'impero romano d'occidente i romani cercarono di arrestare in qualche modo l'ingresso delle orde barbariche dai confini del nord Italia costruendo sbarramenti difensivi detti castrum. Castelseprio, località in provincia di Varese ne è un magnifico esempio. La torre di guardia posta sulle mura dell'avamposto, con l'andar degli anni perse la propria funzione e, convertendosi al cristianesimo i longobardi insediatisi nella zona, divenne sede di una piccola comunità di monache benedettine. Questa l'origine del famoso monastero di Torba (oggi del F.A.I.). Le vicende qui raccontate si svolgono prevalentemente fra le sue mura. Assistiamo così all'avventura del longobardo Wilfredo che, coadiuvato da tre monaci che dopo aver perduto il proprio monastero in territorio svizzero dato alle fiamme dai Geti, altra stirpe barbara, si fermarono in queste lande. Il periodo è quello dell'anno 1.000 d.C. e dell'attesa della fine del mondo preannunciata dalle sacre scritture. Il popolo si prepara all'infausto evento ed il terrore regna nel contado detto del Seprio. (dal nome romano Siprium, il centurione che difese il castrum.) I popolani si disfano dei loro beni materiali e la notte del 31 dicembre si radunano nella spianata che si apre ai piedi della torre in attesa dell'evento.

Solamente i tre monaci e la badessa del monastero vicino, quello di Santa Maria Assunta di Cairate dubitano che il Signore abbia veramente in cuore di distruggere ciò che aveva creato. Quando spunta l'alba del nuovo millennio e tutto è rimasto come era prima la vita del contado riprende con maggior entusiasmo e fiducia nel futuro. Una delle monache, Brenda è posseduta da un demone che da tempo immemorabile regna su queste terre. La monaca, ovviamente su comando del suo signore, si adopera in tutti i modi per diffondere il male fra le sue consorelle e fra la povera gente del contado riuscendovi egregiamente. Dopo molti misfatti giungerà persino ad insinuare nelle menti delle monache quanto sia normale e divertente offrire oltre all'ospitalità ai mercanti ed ai viaggiatori che si fermano al monastero, anche il piacere della carne. Scoperte dalla badessa Geltrude, succeduta alla precedente mitica Aliberga (Il ritratto di costei è ancora ben visibile in un affresco all'interno della torre) per timore di venire denunciate all'arcivescovo di Pavia, cui faceva capo il contado, non trovano di meglio che assassinarla gettandola dalla finestra della torre. La donna morente scaglierà su di loro una tremenda maledizione: il loro volti ritratti nel piccolo oratorio svaniranno dalla parete ove sono stati dipinti assieme a quelli delle altre consorelle e solo dopo che avranno espiato la loro millenaria pena per l'omicidio essi riappariranno. Le monache assassine fuggono poi dal monastero e cadono preda di una banda di malfattori che le violentano e le uccidono. Solamente Brenda, l'indemoniata sarà salva proprio grazie al suo diabolico protettore che la farà tornare in vita circa 120 anni più tardi proprio nell'altro monastero di Cairate prima della battaglia di Legnano fra il Barbarossa ed il carroccio ove seguiterà nella propria infame opera demoniaca.

 

Il monastero delle monache senza volto  - Silvio Foini
2019  Giallo storico (alto medioevo)
Newton Compton

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"La tenda rossa" di Anita Diamant

Venerdì, 01 Marzo 2019 16:12

Il libro “La tenda rossa”, pubblicato per la prima volta nel 1997, in Italia è stato tradotto nel 2001 ma è poi uscito dal catalogo ed ora è stato finalmente ristampato dalle edizioni Tlon: è la storia di Dinah, unica figlia femmina di Giacobbe, della quale appena si accenna nella Genesi, ed è un affascinante punto di vista femminile su una storia biblica molto conosciuta.

“Forse potreste immaginare che sono stata qualcosa di più che una sigla senza voce nel testo. Forse lo avrete captato nella musica del mio nome: la prima sillaba alta e limpida, come quando una madre chiama la figlia al tramonto; la seconda sommessa, per scambiarsi sottovoce dei segreti sul cuscino”.

È Dinah a raccontarci un'altra storia, rispetto a quella canonica, nella quale ben si delinea il rapporto tra una visione religiosa maschile in contrapposizione ad una visione religiosa e mistica femminile che trova il suo spazio sacro nella tenda rossa, antica pratica, diffusa in numerose etnie, che vedeva le donne di una stessa famiglia o clan raccogliersi in un luogo intimo e protetto, per scandire e onorare il ritmo ciclico del proprio corpo, aderente a quello della Luna e delle stagioni, oltre che per celebrare importanti riti di passaggio (nascita, menarca, menopausa, matrimonio, morte ecc.).

Questo libro che è stato propulsore di un vero e proprio movimento, poiché le donne, su ispirazione di questa storia, hanno iniziato ad organizzarsi per ricreare l'atmosfera della tenda rossa, luogo cronologico e fisico di condivisione e narrazione.

Un rito che era appannaggio anche dei nativi americani, dove la tenda rossa era chiamata la tenda della luna, nella quale le donne erano dispensate dai lavori familiari per onorare la Madre creatrice di vita. Nelle donne che vivono a stretto contatto il ciclo mestruale tende a sincronizzarsi, e viene spesso a coincidere con alcuni momenti lunari, in particolare con la luna nuova, o luna nera. Luna nera, luna di sangue, un sangue che è premessa di vita e dunque di per sé sacro. L'aspetto più affascinante nel libro è il rapporto tra il culto del Dio degli uomini, celebrato alla luce del sole, e quelli delle Dee delle donne, Dee della civiltà sumera, accadica e babilonese, che vengono celebrate nella morbida luce della tenda rossa.

“Rachele era fedele a Gula, la guaritrice. Le offerte di grano di Bila erano tutte per Uttu, la tessitrice, Lia aveva un attaccamento speciale per Ninkasi, la dea della birra, che preparava usando un tino fatto di lapislazzuli chiari e un mestolo d'argento e d'oro”.

Alle donna della stirpe di Giacobbe è richiesto di adempiere soprattutto ad una funzione generatrice, da qui il contrasto e l'invidia tra Lia, che ha avuto molti figli, (inclusa la protagonista) e Rachele, che dopo molti aborti riuscirà a generare Giuseppe, il prescelto per continuare la genealogia del Dio di Israele e Beniamino, che la porterà alla morte durante il parto.

Interessante è la figura di Rebecca, la matriarca, la nonna di Dinah, famosa veggente e devota ad Inanna, che vive da sola con le sue schiave, mentre il marito, Isacco, ormai cieco, passa i suoi ultimi anni distante dalla moglie.

A colpire l'attenzione è la descrizione del rito del primo menarca, quando la bambina diventa donna. Durante quella cerimonia Dinah viene abbracciata, baciata e massaggiata dalle donne della tribù, beve il vino rosso e viene accompagnata nel cuore del campo coltivato a frumento, dove Rachele porta i terafim (idoli delle Dee protettrici) e ne sceglie uno, la Dea-rana in questo caso; Dinah viene invitata ad abbracciata la terra e a donare a lei il primo sangue, non solo quello mestruale, ma anche quello della verginità: l'imene viene così donato alla Grande Madre Inanna insieme al primo menarca. “Quando gridai, non fu tanto per il dolore quanto per la sorpresa, e forse anche per il piacere, perché mi sembrava che la regina giacesse sopra di me, con il consorte Dumuzi al di sotto”.

Ma il patriarcato inizia ad incombere e quel rito così segreto e sacro non è accettato dalle future mogli dei fratelli di Dinah che confidano a Giacobbe e ai loro mariti le segrete cerimonie, provocando l'ira degli uomini, perché la verginità, nel patriarcato, era un requisito dovuto alla sposa, da mostrare attraverso il lenzuolo macchiato di sangue della prima notte di nozze.

La storia offre sviluppi inattesi che svelano la sottesa guerra contro le donne libere e indipendenti come Dinah, una storia che soppianta il calice a favore della spada (citando l'importante libro di Riane Eisler “Il calice e la spada”), una guerra che il monoteismo cristiano tenderà a giustificare con mitologie sempre più delineate.

Il libro, finalmente ristampato, è una pietra miliare della storia femminile e anche nella veste romanzata offre uno spaccato di realtà su una storia mai raccontata.

“Il mio nome non significa niente per voi. Il ricordo di me è diventato polvere. Non è colpa vostra, né mia. La catena che univa madre e figlia si è spezzata e la parola è passata sotto la tutela degli uomini che non avevano modo di capire. Ecco perché sono diventata una nota a piè di pagina e la mia storia è solo una breve digressione inserita tra la storia ben conosciuta di mio padre, Giacobbe, e la saga gloriosa di Giuseppe, mio fratello”.

 

Il libro verrà presentato da Silvia Pietrovanni a Roma alla libreria teatro Tlon, a via Nansen 14 giovedì 21 marzo alle ore 18.30, ingresso libero. Letture drammatizzate a cura di Cristiana Saporito, ingresso libero.

 

LA TENDA ROSSA
ANITA DIAMANT
TLON 2019

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Maurizio Bettini - Il grande racconto dei miti classici

Venerdì, 22 Febbraio 2019 03:23

Sallustio nel IV secolo d.C. aveva scritto che il mito riguarda storie che non accaddero mai ma che sono sempre. Questo libro di Bettini ben incarna l'enunciazione di Sallustio perché in questo viaggio nella mitologia classica l'autore trova sempre un collegamento con l'attualità.

“Il mito ci mette di fronte ad eventi incredibili, che, però, inseriti nel racconto mitologico, diventano credibili, non perché ci si creda davvero ma perché, li si ascolta, li si legge o li si osserva pronti a diventare più saggi”.

Tutto comincia dal Caos, questo abisso nero e smisurato da cui nascono Urano, Gea ma anche Eros, e la narrazione si fa da subito poliedrica, ed è attraverso un incastro di storie che l'autore conduce il lettore in un universo di simboli interiori, proprio come sapevano fare gli antichi cantastorie che riunivano le genti intorno a dei racconti comuni.

“Se vogliamo riscoprire la natura più autentica del mito greco, dobbiamo immaginarlo non come qualcosa di scritto, ma come una parola che viaggia, che comunica dei racconti, degli intrecci, delle verità, e poi si perde nel vento”.

La particolarità di Bettini è quella di focalizzarsi spesso su personaggi minori e meno conosciuti della mitologia greca come Ascalafo, che viene trasformato in allocco, o sulla fine che fecero le ancelle che non tennero d'occhio Persefone quando fu rapita da Ade, sul primo apicoltore Aristeo etc.   La parola si fa lente per ingrandire un dettaglio, un oggetto o un animale, per poter cominciare una narrazione alternativa che si incastra come un puzzle su fili narrativi precedentemente dipanati.

L' attualità che l'autore inserisce nella narrazione tende ad indagare alcune anche mitologie di oggetti comuni come l'anello, simbolo della catena di Prometeo o sull'origine mitica di alcuni uccelli come l'usignolo, il gabbiano, l'aquila marina...Siamo circondati da simboli, e dietro o dentro ognuno di essi si cela una storia capace di farci evolvere, e di portarci a nuovi libelli di comprensione della realtà.

Interessanti sono gli scorci che l'autore apre su alcuni topoi mitologici come la discesa nel mare che accomuna Dioniso, Aristeo, Teseo, Efesto, una profondità che è sempre una ricerca interiore di nuovi significati da dare alla vita quotidiana

"Il mito anche un modo per dare un senso un significato profondo alla natura che ci circonda: ecco perché per il canto di un uccello può essere capace di resuscitare il ricordo di un evento mitico".

Per ogni racconto il testo presenta una stupenda collezione iconografica che spazia dalla scultura antica passando per i mosaici fino ad arrivare alla contemporaneità cinematografica.

Un libro adatto sia per chi ha approfondito i miti e vuole leggerli secondo altri punti di vista, sia per chi si approccia per la prima volta a queste misteriose e affascinanti narrazioni.

Maurizio Bettini
Il grande racconto dei miti classici
Il Mulino 2018

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"Dona un sorriso" di Giuseppe Catapano

Giovedì, 14 Febbraio 2019 04:37

Con questa sua ultima fatica Giuseppe Catapano esce dal campo delle sue abituali competenze professionali che pur gli hanno fruttato numerosi riconoscimenti editoriali, sia nel campo dell’economia, che in quello della finanza, del marketing no profit e in materia fiscale, per donare a cuore aperto quelle pillole di saggezza delle quali l’intera umanità ne bisogna. Dona dei consigli di vita preziosi perché torni a tutti noi la voglia di sorridere. Lo fa sottolineando che” il futuro è nostro e non dobbiamo farcelo rubare...”, l’antica sagezza dei cinesi contempla 5 punti cardinali, nord, sud, est, ovest e centro, il che vuol dire che dobbiamo volgere l’attenzione non all’esteriorità bensì al nostro centro, alla padronanza di noi stessi, la “grande meta della vita non è la conoscenza, bensì l’azione”, la parola diavolo, dal greco espresso in caratteri latini “Dia-ballo” sta a significare la dualità, ovverosia il dubbio nell’agire che attanaglia la persona preda della paura e la rende oggetto di infelicità, in casi estremi di patologie che possono diventare sempre più significative, ed ecco che soccorre la pillola di saggezza dell’autore che consiglia decisamente l’azione. “l’uomo non è figlio delle circostanze, bensì sono le circostanze le creature dell’uomo...”. Altra massima da non sottovalutare: c’è un detto popolare: ”cuor allegro il Cielo l’aiuta” che conferma la giustezza di questo assunto: il positivo richiama il positivo e… se riusciamo a liberarci dai pensieri negativi il positivo che esiste ci soccorrerà, in tutti i sensi.

A ben scandagliare le argomentazioni che il nostro adduce non si può far altro che concordare, il libro dona la possibilità al cercatore di ritrovare la “via che è smarrita” e affrontare le tortuosità della vita con più serenità.

 

 

 

 

 

Grausedizioni


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Sarà presto Film il quinto romanzo “la cura della vergogna” della scrittrice Marilù S. Manzini

Mercoledì, 13 Febbraio 2019 12:00
 
 Lino Patruno, Marilù S. Manzini e Mita Medici

Sarà presto Film il quinto romanzo “la cura della vergogna” della scrittrice Marilù S. Manzini presentato a Roma presso l’hotel Époque di via Nomentana.

 

Tra gli invitati all’evento numerosi partecipanti del mondo dello spettacolo e la cultura.

Si legge tutto di un fiato, arriva dentro, ti fa piangere, ti fa ridere come fossi tu il protagonista, un libro di circa 170 pagine edito da Bietti, tridimensionale,come fossi al buio a vedere un film nella sala di un cinema: “La cura della vergogna”. Un saggio psicologico sulla timidezza, denso di strategie per come superarla, presentato i primi di febbraio presso l’hotel Époque. “questa opera è pronta – chiosa la scrittrice Manzini – per un film” . Le parole del libro ti accarezzano, sono sincere, una chiamata ad indagare sul tema della timidezza. A chi non è capitato una volta nella vita di imbattersi nell’ impaccio. Non riuscire a parlare, magari davanti ad un pubblico, sentire un pugno nello stomaco e il sudore trasudare dal corpo. In quei momenti vorresti scomparire. Come nasce il peso di non riuscire a comunicare con gli altri? A sentirsi inadeguato o nel posto sbagliato?


Aver sopportato nell’età della tenerezza un peso troppo grande sulle proprie spalle racconta il libro (la


 
 Marilù S. Manzini e Nadia Bengala

sofferenza genera altra sofferenza ndr). Gli eventi drammatici della vita possono creare un prigione da cui non è facile evadere. Succede al protagonista strappato alla madre da piccolo. Nasce quel senso di orfanezza, di separazione, di vuoto che non si riesce a gestire. La separazione non è contemplata e se non superata nasce un disagio, la prigione. E allora qual è la cura? Come si può guarire, come riprendere la strada per godere dell’esistenza?. La vita è un dono va vissuta bene. Nell‘epistolare tra il nonno e il nipote vi è tracciato un percorso da seguire per guarire: esercizi e saggezza. Come Pollicino, il l’anziano lascia le molliche di pane sul sentiero e permette così al nipote di ritrovare la strada di casa. Ma l’insegnamento più grande è il perdono. Perdonare se stessi e gli altri per evadere dal carcere della vergogna. Amare è donarsi incondizionatamente anche se può succedere di soffrire. Mi dono comunque , con coraggio. Vivere è audacia. Il messaggio arriva: trasformare i propri errori in punti di forza. Il nipote DJ allora decide di raccontare agli ascoltatori della sua radio dei buffi episodi

 
 Giovanni Brusatori,Lino Patruno, Mita Medici, Marilù S. Manzini e Deborah Bettega,
sotto Gianni Franco

accaduti (infondo qualsiasi cosa facciamo siamo ridicoli) raccogliendo uno share inaspettato.


Questo è superare le colonne di Ercole. Accorgersi che al di là del confine c’è altro da scoprire. Così si diventa Eroi, valicando le difficoltà e costruendo un armatura invincibile. Un libro-psicologico da rubare

 
 Giovanni Pocaterra, Marilù S. Manzini e Maria Monsè

per conoscere se stessi con esercizi pratici. Certo ci vuole coraggio per sostenerli. Ma il compito dell’uomo non è quello di scendere dall’albero dove stanno le scimmie e diventare un uomo eretto, un uomo armonico, con un intelletto e un sentimento sviluppati? Nelle vistose sale di Versailles e Borghese stile époque la serata si è conclusa, con brindisi e un ricco buffet. Numerosi gli invitati tra cui la sociologa Deborah Bettega, il noto musicista Lino Patruno con Giovanni Brusatori, attrici e attori come Mita Medici, Valentina Chico, Franco Gianni, Steffan Jinny, Domenico Fortunato, Alex Partexano, Gianfranco Phino, Gaetano Russo, Roberto Calabrese, Giovanni Visentin, Emilia Verginelli, Fabio Ciani, Rita Carlini, Andrea Menaglia, Mirella Pamphili, Elena Presti, Sabrina Crocco, Marika Pace e volti televisivi come Maria Monsè. Presenti i produttori Roberto Bessi e Massimo Spano, l’ex calciatore della Lazio Renato Miele, il notaio Rai Giovanni Pocaterra, la nota ex Miss Italia Nadia Bengala, la giornalista televisiva Antonietta Di Vizia, il principe Fulvio Rocco De Marinis.

 
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La coscienza. Un dialogo interdisciplinare e interculturale a cura di Domenico Fiormonte

Mercoledì, 30 Gennaio 2019 23:09

Domenico Fiormonte è ricercatore in Sociologia della comunicazione presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Roma Tre. Dal 2008 collabora a progetti formativi e culturali fra India e Nepal con la Onlus Centro Studi Platone . Nel 2014 si è diplomato insegnante yoga della tradizione viniyoga di TKV Desikachar con Antonio Olivieri.

Fra i suoi libri: Manuale di scrittura (con F. Cremascoli), Bollati Boringhieri, 1998; Scrittura e filologia nell’era digitale, Bollati Boringhieri, 2003; e con Teresa Numerico e Francesca Tomasi, L’umanista digitale, Il Mulino, 2010. Un’edizione aggiornata e ampliata di questo volume è apparsa in inglese nel 2015 con il titolo The Digital Humanist. A Critical Inquiry.

Come nasce questo libro? E quale è l'obiettivo di questa ricerca?

L’origine di questo libro è una sfida culturale, professionale e personale iniziata più di dieci anni fa. Tra il 2005 e il 2006, constatando l’impossibilità di poter incidere in modo positivo sul corpo agonizzante dell’università (non solo quella italiana), iniziai a interessarmi di pensiero orientale. Grazie a un’amica e collega spagnola, per la quale conservo un’immensa gratitudine, conobbi un personaggio straordinario: Wayne Liquorman. A mio parere Wayne è il massimo rappresentante della tradizione Advaita-Vedanta (il pensiero non-dualista che trae origine dalle Upanishad). Da quel momento la mia vita cambiò. Iniziai un percorso che mi portò non solo ad allargare la frattura con i saperi accademici, ma a tentare di costruire, fra margini e interstizi del sistema, delle “alternative”: punti di fuga, esperimenti ed esplorazioni che riportassero un po’ di speranza e immaginazione nelle mie attività di ricerca. In questo lungo viaggio ho incontrato tantissime persone (oltre agli autori del volume, naturalmente!) che mi hanno ispirato e aiutato a costruire ponti. Senza di loro non avrei mai tentato l’impresa: mettere insieme yoga, fisica quantistica, filosofie orientali, scienze cognitive…

Ma l’occasione per rendere visibile questo percorso venne con la creazione all’Università Roma Tre del gruppo di ricerca interdisciplinare New Humanities. Fu in questo contesto che organizzammo insieme ai colleghi il convegno del settembre 2013 intitolato Il contributo della fisica quantistica all’idea di coscienza: un’ipotesi a cavallo fra le culture. L’obiettivo di New Humanities era ed è tuttora quello di far dialogare insieme scienze umanistiche e scienze naturali su tematiche specifiche: in questo caso la coscienza.

Mi preme infine aggiungere che il libro non nasce solo da uno sforzo intellettuale e di ricerca, ma anche da articolate esperienze “formative” avvenute fuori del contesto universitario. Prima con lo yoga e poi a partire dal 2011 attraverso una collaborazione con un’associazione culturale e azienda agricola biologica nel cuore della Sardegna.

La fisica quantistica sembra essere una disciplina che ultimamente viene citata spesso, anche a sproposito. Da dove viene secondo te questo rinnovato interesse?

Credo che le ragioni di questa riscoperta siano molto complesse e difficili da decifrare senza sconfinare nella superficialità o, al contrario, in un atteggiamento condiscendente nei confronti di sperimentazioni non “canoniche”. Ma non voglio eludere la tua domanda: penso semplicemente che molti si rivolgano alla fisica quantistica perché, in un certo senso, essa è in grado di sostenere

 
 Domenico Fiormonte

punti di vista non incompatibili con la ricerca spirituale e con visioni metafisiche della realtà. Consapevole dei rischi di entrambi gli approcci abbiamo tentato un’operazione prudente, innanzitutto costruendo un dialogo “dal vivo” . La parte centrale di questo incontro fu l’interazione fra due talenti della divulgazione, un fisico quantistico e grande affabulatore come Emilio Del Giudice e un orientalista e psicologo come Mauro Bergonzi. Nel suo saggio ha ampliato e notevolmente approfondito l’intervento orale del 2013, donandoci un lungo e articolato testo che costituisce, oltre che il nucleo portante del volume, anche uno dei primi contributi organici al rapporto fra fisica quantistica e pensiero non-dualista.

Tuttavia chi si aspetta convergenze fra pensiero mistico e fisica leggendo il testo rimarrà deluso. Anche se in modo spesso provocatorio, Emilio del Giudice si dichiarava ateo e razionalista, ma allo stesso tempo sosteneva che “il posto del razionalista è al centro dell’irrazionale”, perché irrazionale non è sinonimo di impossibile, ma è qualcosa che non capiamo con la ragione corrente… e che dunque è compito dello scienziato studiare e spiegare con gli strumenti della razionalità. Questo ragionamento non è per nulla comune negli scienziati e in generale negli intellettuali, perché presuppone un atteggiamento di umiltà nei confronti della realtà che ci circonda. Esattamente il contrario di ciò che fanno oggi la scienza e le accademie, anche quando trattano fenomeni “di moda”, come la fisica quantistica.

Il libro è dedicato ad Emilio Del Giudice e Paolo De Santis. Chi erano?

Emilio è scomparso poco meno di un anno dopo il nostro convegno, privandoci di un sostegno fondamentale. Come Antonella De Ninno, che ha firmato la prefazione, apparteneva alla scuola di Giuliano Preparata che nei primi anni Novanta replicarono nei laboratori dell’Enea di Frascati gli esperimenti sulla cosiddetta “fusione fredda” di Martin Fleischmann e Stanley Pons. Ricordo ancora la gioia incontenibile quando accettò di far parte del nostro gruppo di ricerca. Grazie a lui il progetto New Humanities prese il volo, perché non era solo un grande scienziato e intellettuale, ma cosa estremamente rara nel nostro paese, un pensatore libero. Emilio adottava un metodo di indagine contrario al senso comune perché partiva quasi sempre con un atteggiamento di curiosità nei confronti di ciò che non capiva o che gli era estraneo. Aveva cioè sostituito lo scetticismo con l’ascolto. E sentirsi parte di questo scambio era qualcosa di straordinario. Con  la sua consueta e provocatoria ironia, scrive Antonella De Ninno nella prefazione, Emilio “descrive il percorso della scienza moderna come una serie di inciampi”, di incongruenze che costringono la scienza a mettere in discussione i propri principi. Ed “è proprio con la nascita della meccanica quantistica che la fisica perde il suo principale connotato di ‘misura del mondo’ per confluire (di nuovo direi) nell’ambito della filosofia, ovvero dell’amore per la conoscenza.” Questo era Emilio: amore per la conoscenza. Mentre Paolo… Bè Paolo De Santis era dietro a tutto questo. Era l’eminenza grigia, l’uomo invisibile delle connessioni. Se la scomparsa di Emilio fu un grande dolore, la sua, avvenuta nel novembre 2017, è stata una catastrofe. Paolo De Santis non era solo il collega fisico di Roma Tre che rispettava e ascoltava noi umanisti (cosa che di per sé ci sembrava già un miracolo…), ma ci guidò nei meandri della fisica, presentandoci Emilio, Antonella e più avanti Peppino Vitiello. Paolo non era interessato a mettere la sua intelligenza al servizio dell’ego, ma la travasava, con una virtù quasi magica, negli altri. Era un costruttore di ponti che mediava, connetteva, univa le persone, le idee, i contesti. Mentre tutti salivano sul palco (e non è che lui non ne avesse le capacità, tutt’altro), Paolo era lì, dietro le quinte, che sorrideva silenzioso e pensava, studiava e lavorava al suo prossimo matrimonio fra persone e saperi. Dopo la sua morte ho capito che è solo grazie a uomini come lui se nella nostra vita alcuni dei nostri sogni riescono, con grande sforzo, a diventare realtà.

Uno dei capitoli è sul rapporto il vuoto nella fisica quantistica e nello yoga, disciplina che ha preso molto piede in Occidente e di cui probabilmente c’è un gran bisogno proprio per fermarci e prendere coscienza delle meccaniche interiori ed esteriori. Di che cosa parla la tua ricerca?

Innanzitutto vorrei dire che il mio non è un contributo accademico, ma una riflessione che nasce da una esperienza concreta (la malattia e il recupero) e successivamente dallo studio dello yoga che intrapresi a partire dal 2009 con Antonio Olivieri, insegnante della tradizione Viniyoga di T.K.V. Desikachar. Il vuoto nello yoga è una sorta di interfaccia, un confine dove avviene un passaggio di energie. Collegata alla parte teorica di questo testo vi era originariamente anche una pratica yoga che avevo ideato proprio a partire dalle pause del respiro, cioè le ritenute (a pieno o a vuoto, appunto) che possiamo inserire fra inspiro ed espiro. La ritenuta a vuoto è anche un canalizzatore dell’attenzione, uno spazio dove si attutisce l’attività mentale e si avvia un processo di purificazione energetica. Descrivere che cosa avvenga è molto complesso, forse impossibile. Eppure come ricordiamo nell’introduzione, anche un grande filosofo occidentale come Michel Foucault, alla sua prima esperienza di meditazione, dirà di aver fatto esperienza di “qualcosa”. Foucault non parla di coscienza (una parola che in Occidente si presta a molti fraintendimenti) ma dice: “penso si tratti della possibilità di far esistere dei nuovi rapporti tra lo spirito e il corpo e, oltre a ciò, dei nuovi rapporti tra il corpo e il mondo esteriore.” Bingo! Per lo yoga l’esperienza del corpo è il punto di partenza per arrivare allo spirito, ma soprattutto è il supporto di qualsiasi cambiamento, che deve avvenire necessariamente attraverso la materia. Chissà tale consapevolezza dove avrebbe condotto Foucault, se solo fosse vissuto più a lungo.

Tornando al vuoto, l’ipotesi che faccio nella mia ricerca è che vi sia un legame fra l’emergere della coscienza – intesa nel senso orientale del termine – e il vuoto. Ma che cosa è questo vuoto? Leggendo gli scritti di Del Giudice rimasi colpito proprio dalla sua definizione; in particolare quando scrive che il vuoto quantistico è il luogo dove avverrebbe una sorta di “contrabbando energetico”. Antonella De Ninno nella sua prefazione ha riassunto meglio di me la correlazione che ho tentato di stabilire: “Il nuovo, grande soggetto della meccanica quantistica è proprio il vuoto che viene rivestito di qualità e dinamica (…). È un vuoto creatore molto simile, concettualmente, alla Coscienza divina del prāṇa.”

 

 

La coscienza. Un dialogo interdisciplinare e interculturale
a cura di Domenico Fiormonte

Istituto Italiano di Studi Germanici, Roma, 2019

Disponibile su http://www.liberdomus.it/

 Silvia Pietrovanni

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Intervista a Roberto Fantini per il suo libro su Aldo Capitini

Martedì, 27 Novembre 2018 00:23

Emancipatore di coscienze, il pensiero di Aldo Capitini si può definire con 3 aggettivi: libero, puro e spontaneo. Un punto di vista, il suo, che è anche una presa di posizione più che mai attuale, per ricominciare a ripensare l'uomo prima come singolo e poi come “Noi”, una pluralità oggi più che mai modellabile dai poteri palesi o occulti, siano essi economici, politici o religiosi.

Come ricorda Bobbio, “la ragione per cui, in Capitini, la battaglia contro la chiesa e la battaglia contro lo Stato si confondono, si sovrappongono, è che il nemico è sempre lo stesso: il potere che viene dall’alto, anche se viene esercitato là con la coercizione spirituale, qua con la coazione fisica".

Attraverso l' “atto di unita’ amore”, cellula primaria del suo pensiero, Capitini si fa portavoce di una dimensione sociale non contaminata da aggressione e violenza, un atto d'amore che fa dell'uomo una creatura in connessione non solo con i suoi simili ma anche con il creato.

Nella sua messa in atto di un antifascismo non violento Capitini elenca i suoi 12 “No” più che mai attuali:

NO:

  1. 1.al nazionalismo;
  2. 2.all’imperialismo;
  3. 3.al centralismo assolutistico e burocratico;
  4. 4.al totalitarismo;
  5. 5.al prepotere poliziesco;
  6. 6.all’esaltazione della violenza;
  7. 7.al finto rivoluzionarismo attivista;
  8. 8.all’alleanza con il conservatorismo della chiesa;
  9. 9.al corporativismo;
  10. 10.al rilievo forzato e malsano di un solo tipo di cultura e di educazione;
  11. 11.all’ostentazione delle poche cose fatte, dilapilando immensi capitali, invece di affrontare il rinnovamento del Mezzogiorno;
  12. all’onnipotenza di un uomo, di cui era facile vedere quotidianameute la grossolanità, la mutevolezza, l’egotismo, l’iniziativa brigantesca, la leggerezza nell’affrontare cose serie, gli errori e la irragionevolezza impersuadibile, mentre ero convinto che il governo di un paese deve il piú possibile lasciare operare le altre forze e trarne consigli e collaborazione, ed essere anonimo, grigio anche, perché lo splendore stia nei valori puri della libertà, della giustizia, dell’onestà, della produzione culturale e religiosa, non nelle persone, che in uniforme o no, nel governo o a capo dello Stato, sono semplicemente al servizio di quei valori.

Con questo libro su Aldo Capitini, Roberto Fantini riscopre l'attualità e la necessità del suo pensiero, un sistema filosofico (di prassi filosofica) che è luce nell'oscurità moderna, è bellezza che trasforma.

 

Come hai scoperto Aldo Capitini e che ruolo ha svolto il suo pensiero nella tua formazione?

Sono arrivato a Capitini quasi per caso, quando un mio ex editore mi suggerì di dedicarmici, in vista del cinquantesimo anniversario della morte. Ne sapevo già qualcosa, ma soltanto indirettamente e in maniera frammentaria. Accostandomi alle sue opere, mi si sono aperti orizzonti meravigliosi. La sua produzione filosofica, pedagogica, politica e letteraria è vastissima e ruota intorno ad una ricca gamma di questioni. Ma la cosa più bella e ricorrente è percepire, in ogni sua pagina, uno slancio interiore autentico, una venatura di afflato mistico che ti fa respirare sempre aria fresca del mattino e immergerti in dirompente luce aurorale … Insomma, per me è stato come incontrarmi con un amico che attendeva da tempo che io stendessi una mano. Ed è stata (ed è tuttora) una gioia immensa sentirmi in piena armonia con il pensiero di un’anima così grande.

Critico del cattolicesimo Capitini e’ un “non cristiano” fautore di una religione aperta, capace davvero di cercare e incontrare l'essere vivente nelle sue forme, umana, animale, vegetale. Trovi che ci siano dei punti di contatto tra il pensiero di Aldo Capitini e il riformismo di Papa Francesco?

Il centro profondo del pensiero capitiniano è rappresentato dall’elaborazione di un’ originale religiosità, intesa da lui come un “nuovo modo di sentire”, come una visione della realtà imperniata su quello che viene chiamato Unità-amore, ovvero la consapevolezza del legame indissolubile che tutti ci lega al Tutto e ai Tutti. La sua è una religiosità libera, bruniano-spinoziana, o, ancor meglio, teosofico-gandhiana. Una religiosità che rinnega e combatte tutto ciò che chiude, isola e separa e che ci spinge a instaurare rapporti di collaborazione con tutto ciò che vive e ci circonda, compresi gli esseri non umani e le cose stesse (l’acqua, l’aria, la pietra …)

Sicuramente tanti possono essere i punti di contatto con quanto papa Francesco ci sta proponendo da qualche anno oramai. Ma, nonostante i notevoli e talvolta rivoluzionari passi compiuti da papa Francesco, la dottrina cattolica e l’istituzione ecclesiastica restano pur sempre espressione di quella che Capitini definiva la “parrocchia totalitaria”. Papa Francesco ha scritto cose bellissime sul rispetto che si deve alla natura, ma non mi sembra che stia portando avanti battaglie a favore del vegetarianesimo, del veganismo, o combattendo vivisezione, caccia e ogni tipo di sfruttamento e sofferenza nei confronti del regno animale.

Papa Francesco dice e ridice che Dio è infinitamente misericordioso, ma non ha ancora ripudiato la dottrina dell’eternità delle pene infernali. Dice tante cose - anche imbarazzanti e scabrose per molti credenti - contro il clericalismo e i privilegi della Curia vaticana, ma non mi sembra che abbia sposato le tesi del sacerdozio universale o, almeno, aperto al sacerdozio femminile.

Insomma, Bergoglio sta facendo passi titanici, in un certo senso capitinizzandosi sempre di più (no alla pena di morte, sì alla nonviolenza, condanna ferma della guerra, attenzione verso gli ultimi, ecc.), ma la strada è ancora lunga …

 

Nell'”Atto di educare” Capitini invita ad una pedagogia di ribellione tenedo ben saldi quei valori che dovranno liberare la realtà dalla violenza e dall’oppressione, che la trasformeranno nella “realtà di tutti”. Quali critiche potrebbe muovere il suo pensiero alla realtà scolastica italiana di oggi?

Tutto il pensiero e tutte le innumerevoli iniziative portate avanti da Aldo Capitini sono caratterizzati dalla convinzione viscerale che il mondo “così com’è” non meriti di esistere e che debba, quindi, essere radicalmente cambiato. Andrebbe rifiutata, innanzitutto, la cosiddetta legge del “pesce grande che mangia il pesce piccolo”, la logica, cioè, del dominio della forza, dei privilegi per pochi, delle gerarchie, delle esclusioni, delle disparità dei diritti. Il compito più importante dell’uomo, per lui, dovrebbe essere di rendere la realtà migliore, in tutti i suoi aspetti e in tutti i suoi ambiti, favorendo l’incontro pacifico e costruttivo e valorizzando massimamente le intime risorse che vivono in ciascuno di noi. Per cui, credo che alla nostra scuola molto probabilmente rimprovererebbe di adeguarsi troppo alla realtà contingente, di essere troppo conformista, chiusa ed ubbidiente, di fare troppo poco per affermare una visione del mondo pienamente e concretamente democratica e uno stile di vita alternativo, basato sulla nonviolenza, la nonmenzogna e la noncollaborazione.

 

Immigrazione e accoglienza: quale parte del pensiero politico di Capitini può essere di consiglio su queste tematiche importanti?

Senza alcun dubbio, Capitini può rappresentare una miniera inesauribile di insegnamenti utili ad affrontare le innumerevoli problematiche dei nostri tempi. Capitini ci invita continuamente e insistentemente ad aprirci al “tu”, sempre e in ogni caso, nessuno escluso. Anzi, imparando a scoprire, rispettare ed apprezzare proprio le vite di coloro che sono relegati ai margini della scena, oppressi dai vari poteri, considerati inutili, perdenti e ingombranti.

La strada da seguire è quella dell’”apertura”. Apertura della mente e del cuore. Apertura che ci conduce oltre le barricate ottuse e pavide delle nostre cittadelle psicologiche individuali e collettive, che ci spinge ad un incontro fondato sul sentimento della “compresenza”, del sentirci, cioè, elementi vivi di un’unica realtà vivente, operante e in continua crescita.

“Bisogna - scrive - (…) muovere da ogni essere a cui possiamo dire un tu, dargli un’infinita importanza, un suo posto, una sua considerazione, un suo rispetto ed affetto. Finora non si è mai fatta veramente questa apertura ad ogni essere, un singolo essere e un altro singolo essere, con l’animo di non interrompere mai.” (Omnicrazia, ne Il potere di tutti, Guerra edizioni, 1969, p.86).

“Questa apertura verso tutti - aggiunge - è un atto libero che nessuno può dare o togliere. Soprattutto è importante, nell’esperienza della vita, non dipendere in questo atto da nessuna istituzione, associazione, organizzazione, setta; che tutti gli Stati e Chiese e sette non contino proprio nulla, perché l’Atto è aperto alla compresenza, e nella compresenza sono tutti in quanto sono nati, in quel Natale che è sempre in atto nel mondo per ogni essere che nasce alla vita.” (ivi, p.88)

 

 

Roberto Fantini è professore di Filosofia e Storia al Liceo, da anni è attivista volontario, di Amnesty International, di cui è, attualmente, referente EDU per il Lazio.

Sui diritti umani ha curato le pubblicazioni: “Pena di morte: parliamone in classe”, EGA Editore, 2006, “Liberarsi dalla paura. Tutela dei diritti umani” e “guerra al terrore”,EGA Editore 2007; in collaborazione con Antonio Marchesi, “Una giornata particolare”, ed.Sinnos, settembre 2010; “Il cielo dentro di noi: conversazioni sui diritti umani (sul mondo che c’è e su quello che verrà)”, ed. Graphe.it 2012.

Pittore, autore e ricercatore poliedrico, ha scritto saggi di filosofia come “La Morte spiegata ai miei figli” (ed. Sensibili alle foglie), aprile 2010, saggi poetici e filsofici come “Odisseo e le onde dell’anima” (Graphe 2013).

Nel 2015, con le Edizioni Efesto, ha pubblicato “Vivi o morti? Morte cerebrale e trapianto di organi: certezze vere e false, dubbi e interrogativi”, “Aldo Capitini. La bellezza della luce. Invito a (ri)scoprire il pensiero di un profeta della nonviolenza, antifascista, eretico, vegetariano”, e, in collaborazione con Cesare Maramici, “Esperienze di Meditazione. 54 praticanti si raccontano.” É responsabile della sezione “Dirittti umani” per la Free Lance International Press.

 

 

Aldo Capitini
La bellezza della luce
Edizioni Efesto

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L'INCANTO E L'ARCANO. Per una antropologia della Befana

Martedì, 06 Novembre 2018 19:07

La befana vien di notte con le scarpe tutte rotte...

Cosa si cela dietro l'immagine/archetipo contenuto nell'Epifania che tutte le feste porta via?

La Befana è una figura universale, presente pur con notevoli differenze, di forme e di tempi, anche in zone lontanissime rispetto alla cultura indoeuropea e al mondo Mediterraneo.

In questo saggio unico nel suo genere gli autori portano avanti una ricerca approfondita nel tempo e nello spazio, un libro importante per chi studia le origini dei culti antichi, o per chi vuole comprendere meglio quali riti vengono messi in atto, ogni anno, nei momenti di passaggio.

La funzione principale che la Befana svolge da secoli è quella di mediatrice culturale tra il mondo dei vivi e l'aldilà, tra la nostra vita quotidiana e il tempo degli antenati.

Ha una natura complessa e ambivalente, la vecchia sulla scopa, che ha ben poco di infantile e che pone in risalto la funzione protettiva dell'antenato che ritorna nella famiglia portando doni ai bambini.

Le feste antiche di Roma come i Divalia,   i Matronalia, i Compitalia, erano tutte feste dedicate agli antenati che si svolgevano nei momenti di passaggio dell'anno in modo da sottolineare sempre il contatto diretto ma definito nel tempo con lo spirito degli antenati.

Il nucleo originario della figura è antichissimo e va ricercato nel mondo dei cacciatori paleolitici nel quale avevo un ruolo essenziale la grande antenata del clan, che era signora degli animali e delle foreste ma anche la “nonna fuoco”.

Nel tempio di Vesta, a Roma, il fuoco era custodito dalle vergini vestali; il fuoco era un elemento essenziale per la vitalità della tribù antiche e non è un caso che il Dio che parteggia per gli uomini sia Prometeo che ha nascosto una scintilla di fuoco dentro un nartece per donarlo agli uomini.

Il fatto che la Befana esca fuori da un comignolo ricorda l'antico rito della profusio che nell'antica Roma consisteva nel versare cibo e bevande in un canale sotto la casa per nutrire gli antenati.

La figura della Bertha della Germania meridionale ha molte cose in comune con la Befana, a partire dalla scopa come emblema. Bertha ha le spalle coperte da una pelle di mucca, che poi sarà sostituita da rattoppi alla “Arlecchino”.

La mucca è un animale che ritroviamo in moltissime feste agrarie come quella di Bacugno che si svolge il 5 agosto, Festa della Madonna della Neve, nella quale si svolge il rito della genuflessione del bue aratore; con il nome di korovai si indica in Russia il pane natalizio, l'etimologia del nome significa “mucca”: nel Salento si chiama Vaccarella una pagnotta di pane per gli amici, in Calabria Vaccarella è una schiacciata di pane per i bambini.

La befana è la nostra “strega buona”, infatti Babayaga, la strega delle fiabe russe, vola sulla scopa, ha con sé un mortaio di ferro e incita il suo volo con un pestello e spazza via le sue tracce con la scopa.

La scopa è un elemento sciamanico poiché nelle antiche feste greche, come ad esempio nelle Tesmoforie, si usava alla fine della festa spazzare via i resti, implicando così la fuoriuscita delle impurutà.

Una scopa realizzata anticamente con rami di betulla o salice, due alberi legati alla Grande Madre nel suo aspetto di portatrice di vita e di morte.

La calza della befana si ricollega antico rito della tessitura: le tre Parche o Moire, infatti, detenevano il potere sulla vita e sulla morte, la tessitura è strettamente legata quindi sia all'incarnazione dell'anima che alla sua morte.

La vecchia sulla scopa richiama anche l'immagine di Diana – Erodiade, la dea delle streghe che, con il suo volo notturno, raggiungeva luoghi sacri, definiti dalla presenza di un albero come il noce, sotto le cui radici albergavano le tre keres, personificazioni delle Parche o Moire.

La Befana porta il carbone ai bambini che non sono stati diligenti: la cenere è un altro elemento antico presente alla fine di ogni festa agricola che si chiudeva con un falò collettivo, le cui ceneri venivano gettate nei campi per propiziare la fertilità futura.

“Il bambino non può più fare a meno di quel rapporto con la vita che continua anche oltre la morte, di riprendere quel legame con il mondo spirituale degli antenati, lasciando aperte quelle porte che sono in grado di mettere in contatto questi due mondi e lasciandosi ancora incantare dalle fiabe dal mito della befana, da quel millenario patrimonio di tradizioni e conoscenze che da sempre fanno parte della vita dell'uomo nella sua dimensione personale e sociale.”

Claudia e Luigi Manciocco: L'INCANTO E L'ARCANO.
Per una antropologia della Befana
Armando editore 2006

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COSA POSSIAMO SAPERE SULL’ ALDILA’?

Venerdì, 26 Ottobre 2018 23:32

 Non è facile parlare della morte. Nessuno sembra volerne più parlare. Il nostro tempo appare sempre più come il tempo dell’avere avido, del continuo rincorrere sogni proibiti, del continuo darsi nuovi inarrivabili obiettivi, del perenne dilatarsi dell’esistenza terrena, del sistematico rinviare al domani ogni pensiero che riguardi il nostro (ineluttabile) andar via da questo mondo, ogni riflessione sul “dopo”, su quello che potrebbe essere la sorte che ci attende e che, magari, ci stiamo preparando. Forse dobbiamo ancora liberarci da secoli di terrori infernali e di visioni cupe e angoscianti dell’oltretomba … O forse siamo semplicemente succubi del dominio delle paranoie consumistiche e di un edonismo volgare e insaziabile …

Fortunatamente, ci sono ancora fra noi pensatori e ricercatori che continuano a ritenere assai utile, se non addirittura necessario, il continuare ad interrogarsi sull’evento della morte e su cosa siamo e saremo mai in grado di sapere o almeno di ipotizzare in merito al mare sconfinato dell’aldilà.

Paolo Ricca, teologo valdese di statura internazionale, dopo essersi cimentato su simili tematiche con un piccolo lavoro, una quarantina di anni fa (Il cristiano davanti alla morte), è tornato sull’argomento con un libro ben più corposo, apparso nella passata estate, sempre per i tipi della torinese Claudiana.

Scrive Paolo Ricca che oggi “il tema dell’aldilà e di un’ipotetica vita futura non interessa più nessuno, o quasi.” (p.9) E ciò perché la speranza sempre più diffusa e condivisa risulta essere quella del prolungamento massimo dell’esistenza terrena. E anche le chiese ne parlano sempre meno, “praticamente mai”, come se la stessa trascendenza fosse stata “autorevolmente declinata come ‘trascendenza nell’al di qua’” (p.15), come se la questione dell’aldilà fosse stata estromessa dagli orizzonti delle problematiche degne di attenzione.

Ricca ci invita, invece, con ragionamenti limpidi e un bell’argomentare privo di pregiudizi ideologici e confessionali, a sentire la questione della morte come uno dei compiti (o addirittura dei doveri) che non andrebbero mai elusi, perché parte sostanziale del nostro essere uomini nel mondo. Perché riflettere sul nostro comune destino mortale ci può permettere di acquisire una più robusta coscienza della nostra finitudine, obbligandoci, in un certo senso, a doverci fare i conti, senza scappatoie o sotterfugi.

“La coscienza del limite può dunque svolgere un ruolo decisivo sul modo di impostare e vivere questa nostra vita unica, ma non infinita.” (p. 13)

Occuparci della morte dovrebbe, di conseguenza, indurci ad affrontare il problema della “preparazione alla buona morte”, costringendoci a porci prioritariamente, con la massima serietà e sincerità, il problema della “buona vita”.

In merito, poi, al problema del “dopo”, Paolo Ricca puntualizza che all’impossibilità di tutti noi di dimostrarne l’esistenza corrisponde in maniera antinomica l’impossibilità di dimostrarne la non esistenza. Navigando, pertanto, senza apriorismi di sorta e facendo anche a meno di “prove certe”, servendoci dell’umile ma intraprendente vascello della ragione, ci resterebbe sempre possibile condurre una stimolante opera di esplorazione nell’ambito del pensiero umano, esaminando e valutando con cura le tesi che, nella storia, sono state sostenute. Tesi che vengono ridotte a tre:

               “la prima è che con la morte tutto finisca definitivamente e di chi è morto non rimanga più nulla;

la seconda è che tutto finisca solo provvisoriamente, solo per un tempo più o meno lungo (…). Dopo di che chi è morto tornerà in qualche modo in vita – molto diversa dalla precedente, ma pur sempre ancora vita (…);

la terza è che con la morte non tutto finisca, perché c’è nell’uomo una componente immortale, qualcosa che non finisce con la fine del corpo, qualcosa che non muore perché non può morire.” (p. 17)

E sono proprio la presentazione e l’accurata analisi critica di dette tesi a costituire il vero cuore dell’opera.

L’ A., così procedendo, passa in rassegna una ricca gamma di posizioni filosofiche e teologiche, da Platone ai Padri della Chiesa, da Agostino a Tommaso d’Aquino, da M. Lutero a G. Calvino.

Di particolare interesse l’ampio capitolo dedicato all’ipotesi reincarnazione, in cui, fra l’altro, si affronta il problema della presenza o meno di credenze reincarnazionistiche sia nella Bibbia che nel cristianesimo storico. Capitolo questo particolarmente degno di attenzione perché il Ricca, senza rinunciare affatto alla propria identità culturale e dottrinale, nell’affrontare una teoria tanto convintamente rifiutata dalle varie teologie cristiane, e spesso combattuta con aspra durezza (stile Piolanti) o svilita con grossolana altezzosità (stile Messori), mette in luce grande serenità di giudizio e di chiarezza intellettuale. Della teoria reincarnazionistica, infatti, vengono colti (e anche apprezzati) alcuni aspetti fondamentali, quali la valenza pedagogica e quella emendatrice (la molteplicità delle vite implica molteplicità di occasioni per comprendere, maturare, crescere spiritualmente e liberarsi gradualmente dai propri limiti ed errori) immanente alla dottrina del karma, nonché il forte effetto eticamente responsabilizzante (impossibilità radicale di condoni, indulgenze, assoluzioni e salvazioni vicarie).

“Si tratta dunque, - scrive il teologo valdese - sostanzialmente, di un processo di redenzione, di cui l’anima stessa è protagonista. E’ sua la presa di coscienza iniziale (il “risveglio”), è sua la fatica del progressivo apprendimento delle lezioni di vita, è sua la piena assunzione di responsabilità del proprio destino fino alla sua conclusione in Dio. Si tratta dunque di un processo di auto redenzione, nel senso alto e nobile del termine.” (p. 101)

Molto di più e di meglio, invece, si sarebbe potuto fare nel toccare il tema della presenza della teoria della reincarnazione nel moderno Occidente, non limitandosi ad un fugace cenno all’antroposofia steineriana, ma dedicando doverosa attenzione alla fondamentale opera di elaborazione concettuale e di appassionata divulgazione realizzata dalle grandi personalità della Società Teosofica delle origini, prime fra tutte Helena Petrovna Blavatsky e Annie Bésant.

Meritevoli di menzione, infine, sono le suggestive esperienze di pre-morte relative ad un amico e collega e al padre dello stesso autore (intese non come “prove” ma almeno come indizi e spiragli verso l’esistenza di un’altra vita), nonché le preziose appendici, con testi poco noti di Lutero, Calvino e Bonhoeffer.

In conclusione, non abbiamo esitazioni nel riscontrare con piacere come Paolo Ricca sia felicemente riuscito nel suo intento, riuscendo a costruire un libro che, pur approdando fideisticamente alle tesi cristiane incentrate sulla resurrezione di Gesù, sa trattare, esaminare e confrontare altre visioni dell’aldilà con intelligente rispetto e stimolante desiderio di conoscenza, suscitando nel lettore, di qualsiasi fede o di nessuna fede, interesse vivo e sincera voglia di approfondimento.

 

 

Dell’aldilà e dall’aldilà

sottotitolo

Che cosa accade quando si muore?

autore

Paolo Ricca

editore

Claudiana

Indice testuale


Introduzione

1. Che cosa succede quando si muore?
2. Immortalità dell’anima e teologia cristiana
2.1 Giustino Martire (ca 100-165 d.C.)
2.2 Tertulliano (ca 155-dopo il 220)
2.3 Agostino (354-430)
2.4 Tommaso d’Aquino (1225-1274)
2.5 Il Concilio Lateranense V (1512-1517)
2.6 Martin Lutero (1483-1546)
2.7 Giovanni Calvino (1509-1564)
2.8 Karl Barth (1886-1968)
2.9 La voce dell’Ortodossia

3. L’ipotesi «reincarnazione»
3.1 Reincarnazione e Bibbia
3.2 Reincarnazione e cristianesimo storico
3.3 Che cos’è la reincarnazione?

4. Concezioni cristiane
4.1 La risurrezione di Gesù
4.2 Che cos’è la risurrezione?
4.3 Le vie dell’aldilà

Conclusione
Appendici
Martin Lutero, Sermone sulla preparazione alla morte
Giovanni Calvino, Meditazione sulla vita futura
Dietrich Bonhoeffer, Due tipi di morte



Biografia dell'autore

Paolo Ricca
ha insegnato storia del cristianesimo presso la Facoltà valdese di Teologia di Roma.
Per Claudiana dirige la Collana «Opere scelte – Lutero», di cui ha curato alcuni volumi. Fra le molte pubblicazioni ricordiamo: Le dieci parole di Dio. Le tavole della libertà e dell’amore(Morcelliana, 1998), L’Ultima cena anzi la Prima. La volontà tradita di Gesù (Claudiana, 2014) e Dal battesimo allo “sbattezzo”. La tormentata storia del battesimo cristiano (Claudiana, 2015). 

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"Strisce di stelle", raccolta di racconti di Dario lo Scalzo

Martedì, 16 Ottobre 2018 14:09

"Strisce di stelle",  raccolta di racconti del  giornalista Dario lo Scalzo sui temi di nonviolenza, solidarietà internazionale, ambiente, dialogo interculturale e interreligioso 

 Alla libreria Feltrinelli di Viale Libia, a Roma,  è stata  presentata  "Strisce di stelle", di Dario Lo Scalzo, giornalista, scrittore e videomaker, redattore dell' agenzia stampa internazionale "Pressenza" , collaboratore della tv svizzera italiana RSI. Una raccolta di racconti (Firenze, Multimage ed., 2018) che - ha rilevato la giornalista e scrittrice Susanna Schimperna - "vuole ricordarci che ognuno di noi, nel suo piccolo, può fare qualcosa, ogni giorno, per rendere migliore il mondo; cercando di cambiare situazioni anche minime che, in realtà, hanno sempre una loro importanza". Lo fa, l' Autore, con una serie di racconti che, muovendo da una visione di base nonviolenta, olistica, umanistica, affrontano temi come guerra e pace, ambiente, inquinamento, migrazioni, diritti e doveri dell' uomo, evoluzione dei costumi sessuali.

    "Questo libro di Dario Lo Scalzo - ha sottolineato il prof.Foad Aodi, medico fisiatra, presidente dell' AMSI, Associazione Medici di origine Straniera in Italia, e del movimento internazionale e interprofessionale "Uniti per Unire - è in piena sintonia con i fini che da sempre perseguono le nostre associazioni: e cioè anzitutto il dialogo interreligioso e interculturale, e un approccio ai problemi politico-sociali in chiave nonviolenta e solidaristica, volta a valorizzare lo scambio internazionale di esperienze e conoscenze nella medicina e in tutte le altre professioni. E' per questo che, a nome dell' Ufficio di Presidenza di "Uniti per Unire", conferisco a Dario lo Scalzo la nomina di socio onorario di Uniti per Unire: al cui interno abbiamo appena costituito un apposito "Dipartimento Scrittori".  Visto il contributo dei più di 25 scrittori aderenti al movimento U. x U. e l' importanza della scrittura come mezzo di dialogo e conoscenza interculturale e interreligioso, e come cura per la crisi sociale e le guerre tra i poveri, basate sui pregiudizi e sulla  paura della diversità",  conclude Aodi invitando tutti ad investire nella lettura e nella conoscenza della diversità e delle altre civiltà.

"Questa presentazione del mio libro - aggiunge Dario Lo Scalzo - dimostra come siano ancora in tanti a credere nei valori del rispetto, della solidarietà e della dignità umana. E' stato un incontro con la partecipazione di quasi 50 persone, che rincuora e dà un forte segnale di speranza, e sostegno all 'affermazione dei diritti umani. Un libro come questo, che non parla contro qualcuno ma prova ad indicare costruttivamente le vie dell' amore e del risveglio spirituale, trova il consenso  di chi crede proprio in una trasformazione sociale sulla strada della nonviolenza. E accolgo così con fierezza la nomina, da parte del Prof. Aodi, a membro di Uniti per Unire": 

     “L’ iniziativa di creare un dipartimento interamente dedicato agli scrittori , all’interno del movimento Uniti per Unire", commenta Nicola Lofoco, giornalista, portavoce nazionale di U.x U.,   "è senz’altro positiva . Tutti coloro che si sono cimentati nell’ opera della scrittura possono dare un positivo contributo intellettuale all’ interno del movimento, da anni  impegnato nel sensibilizzare l’opinione pubblica su temi  come la solidarietà tra i popoli, il rispetto dei diritti umani e il dialogo inter-religioso. Accolgo quindi con gioia la proposta del presidente Aodi di esserne coordinatore nazionale “.

    "Gli scrittori- aggiunge Salameh Ashour, portavoce della Comunità palestinese in italia, coordinatore del Dipartimento Dialogo interreligioso delle Co-mai, Comunità del Mondo Arabo in Italia - devono sempre esprimere quella che è l'anima e la cultura d'un popolo: portando i lettori a  riflettere sui temi fondamentali della vita e della società. Altrimenti, la letteratura diventa vuota esercitazione, o al massimo narcisistica esternazione della psicologia dell' autore".

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Il Dragone del Colosseo di Roma apre con il XXIV Festival del Romics e la biblioteca digitale YEP

Giovedì, 04 Ottobre 2018 05:49

Fumetto, animazione, games e cinema: attese 200 mila presenze tra ragazzi e famiglie. 100 eventi in calendario in quattro giorni. Anteprima di “Predator” e “Mirai”. Live con lo storico autore di Disney Marco Gervaso.

                                                                                                                                                 

Mancano pochissimi giorni all’inizio della XXIV mostra di Romics dal volto del Dragone sul Colosseo del designer Paolo Barbieri, evento sul fumetto attesissimo dal 4 al 7 ottobre. Una kermesse ricca di rendez-vous trasversali ed emozionanti: cartoni animati, immagini, cinema, games, moda e illustri personaggi per un pubblico adolescente e adulto. Una grande manifestazione fitta di momenti live e laboratori per grandi e piccini. Gli artisti, in duetto, mostreranno la loro arte su dei grandi pannelli giganti. Scoprire attraverso Romics come si muove il mondo attuale, così come ad XFactor cade la pioggia dorata sui premiati, al Comic ci sono i Romics d’Oro, come quello riconosciuto a Charlotte Gastaut, illustratrice tra magia e poesia di progetti e moda o al romano Marco Gervaso, laureato in economia e storico disnelliano, notato dal maestro Carpi viene introdotto nell’accademia Walt Disney Company Italia, diventa disegnatore delle indimenticabili storie di Topolino e Fantomius, dei dollari di Paperone e crea la copertina di Papertotti l’ater ego papero di Francesco Totti, capitano della AS Roma. “Con un titolo di dottore in economia e commercio in tasca, nessuno poteva disegnare meglio di me i dollari di paperone - scherza Gervaso –al Romics sarò presente con 60 tavole di Fantomius , rappresentativo di un grande lavoro svolto fino ad oggi. Metterò in scena anche un comic live per mostrare come nasce un disegno, dal bozzetto a matita – continua il fumettista - alla china fino alle tavole colorate”. Un altro super Gold è Chris Warner 30 anni , carriera fumettista made in USA ,sceneggiatore con competenze trasversali, ha lavorato con grandi brand, Dark Horse, Batman e Predator .

Un saluto particolare arriva da Pietro Piccinetti Direttore Generale della Fiera di Roma che ospita il Romics e dal Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. “Questa 24ma mostra si fortifica di anno in anno – spiega il Direttore - per il talento e la cultura in senso lato”. In piedi tante novità: l’ingresso economico e la fila veloce per le famiglie, gli special guest delle anteprime, la presenza del mondo giornalistico, autori ed editori diversi. Percorsi visivi esperienziali di cinema nei padiglioni (ndr padglione n.5). Omaggio a Sergio Zaniboni autore di Diabolik, scomparso lo scorso anno, con una grande mostra di originali dedicata al ladro più spietato e amante appassionato di Eva. Uno spazio dedicato per omaggiare i 25 anni della Scuola Romana dei Fumetti, un incontro-dialogo tra lo scrittore Marcello Simoni e Stefano Caselli disegnatore di Spider-Man. Gara Cosplay mondiale che coinvolge 40 paesi, due rappresentanti per ogni paese, da Singapore all’Africa. Comic City Romic, la casa del fumetto, dedicato a laboratori di disegni live, murales dedicaces e due enormi padiglioni riservati al game video. Come supporto alla didattica il Miur lancerà nei prossimi giorni la terza edizione del Concorso i linguaggi dell’Immaginario per la Scuola. Con Sci-fi Anime Attack si inaugurano le rassegne per il ventennale del mondo manga e mondo anima prediletto dagli adolescenti. Giornate open con panel sull’ eredità del ‘68 con particolare attenzione al cambiamento del linguaggio, memoria per i giovani su un periodo significativo della storia italiana: 12 artisti internazionali daranno vita a esibizioni in progress come l’incontro con tra gli scrittori Stefano Casini e Gianfranco Manfredi, intervistati da Luca Valtorta di Repubblica. “E’ un momento molto vivace per il fumetto - spiega il direttore artistico di Romics Sabrina Perucca – presente, ormai, nelle librerie made in Usa. L’Italia ha molto da offrire da questo punto di vista, infatti, in aprile ci sarà il concorso Romics sulle grandi opere dell’anno precedente, interventi significativi come quello di Francesco Cattani vincitore del Gran Premio”. Dunque oltre 100 eventi in programma tra i panel e il lancio, a fine ottobre, della terza edizione del concorso sull’immaginario di 700 elaborati degli alunni delle scuole materne, elementari e medie con la narrativa fantasy per i ragazzi. Tante domane e richieste per il cinema il Romics apre, infatti, con i film noir, di genere, horror, fantascienza e new cult. Al cinema Adriano il 4 ottobre esce “The Predator”, IV episodio di Shane Black, il 15 novembre “I Crimini di Grindewald” e il 15,16,17 ottobre arriva l’attesissimo film di animazione “Mirai”. Ma esiste anche il Cinema anni ’80 , per mostrare alle nuove generazione, film cult degli anni ’80: the Wall. Presente al festival anche Alessandro Siani attore comico con la commedia all’italiana, panel speciali A-X-L robot e intelligenza artificiale. Ma la vera novità di questo anno è Yep , biblioteca digitale dedicata a centinaia di fumetti visibili on line o off line su smarthphone e tablet.

www.romics.it

info: 069396007-0693956069

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Editoria - "Io, Antonella, amata da Franco" intervista a Diego Verdegiglio

Lunedì, 01 Ottobre 2018 09:49

Scritto a quattro mani dalla stessa Antonella Lualdi con lo scrittore e regista Diego Verdegiglio, sarà presentato il prossimo 4 ottobre presso la casa del cinema di Roma jl libro “Io Antonella, amata da Franco” edito da Manfredi Edizioni.

Un libro ricco di storia, di aneddoti e di foto che ci riportano a quel meraviglioso quanto complicato Cinema del Novecento. Il libro parte da una giovanissima Antonella Lualdi che si teneva un po’ in disparte rispetto allo star system che già a quei tempi cominciava a serpeggiare tra star come Gina Lollobrigida, Silvana Mangano, Silvana Pampanini, Lucia Bosè. Lei, Antonella, appariva più riservata, più introversa, preferendo l’impegno all’apparenza.

Poi l’incontro con Franco Interlenghi che aveva appena debuttato nel film “Sciuscià” del Maestro Vittorio De Sica, primo film italiano ad aggiudicarsi l’Oscar.

Racconta Antonella: “Dalla mia famiglia di origine sono passata a vivere con mio marito e, quando il nostro matrimonio è entrato in crisi è stato più onesto separarsi. Di lui apprezzavo soprattutto la sincerità. Non mi importava nulla che fosse un divo. Ne ammiravo le qualità umane, quelle che mi hanno fatto compagnia per tanti anni colmando i vuoti d’affetto presenti in me fin dall’infanzia.”

D. Diego Verdegiglio, attore e scrittore anche con esperienze da regista. Come nasce la tua collaborazione con Antonella Lualdi per questo libro?

R. Come scrivo nell'introduzione del volume, l'attrice e giornalista Olga Bisera - con la quale avevo collaborato a tre suoi libri autobiografici - mi propose di incontrare Antonella per raccontare insieme la sua vita. Per me fu un sogno che si realizzava, perché fin da ragazzo ero rimasto letteralmente "stregato" dalle stupende fattezze di un'attrice che era sulle copertine dei rotocalchi. Riviste che io ovviamente acquistavo tutte.

D. Com'è stato il lavoro di scrittura?

R. La vita di Antonella è stata ed è ancora ricchissima di incontri, sorprese, cambiamenti, alti e bassi di tutti i tipi. Un suo amico, Lino Belleggia, aveva raccolto dalla sua voce l'enorme quantità di "materiale grezzo" che ho avuto il compito non facile di riordinare, limare, sistemare cronologicamente. Ci siamo accordati con Antonella nell'eliminare o ridurre episodi e persone della sua esistenza che nulla avrebbero aggiunto di fondamentale alla storia. Particolarmente curata è stata infine la scelta delle tantissime fotografie che arricchiscono i capitoli.

D. Antonella è soddisfatta del risultato che avete raggiunto?

R. Si, molto. E lo sono anch'io. Paola Poponi della Maretti Manfredi Edizioni ci è stata vicina e si è confrontata con noi in ogni fase della scrittura, con suggerimenti, correzioni e idee sempre condivisibili per migliorare il volume.

D. Il libro è dedicato a Franco Interlenghi.

R. E non poteva essere diversamente. Il grande divo del neorealismo italiano, scomparso da alcuni anni, ha lasciato in tutti noi un ricordo indelebile, ma per Antonella è qualcosa di più: è l'amore della sua vita che lei porterà nel suo cuore fino alla fine dei suoi giorni. E quindi credo ancora a lungo, perché Antonella ha fatto sua la massima di Marcello Marchesi che inorridiva all'idea di finire i suoi giorni in un letto di ospedale privo di forze e di memoria: "Bisogna che la morte ci trovi vivi", cioè in piena lucidità e attività.



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Editoria - Il ruolo dell'Intelligence nella costruzione della pace - di Antonella Colonna Vilasi

Lunedì, 24 Settembre 2018 21:31

Cosa sarà nel futuro globalizzato e nell’era del cyberspazio dei Servizi informativi? Alcuni sostengono che la Rete sia già uno dei maggiori teatri di guerra esistenti e c’è chi parla di cyber intelligence affidandole il compito di sviluppare competenze e capacità operative in grado di raccogliere, decodificare, analizzare e disseminare i segnali provenienti dalla rete stessa, e che potrebbero rivelarsi di una minaccia (carattere difensivo), oppure di un vantaggio tecnologico, economico o politico (offensivo) agli interessi nazionali.

Per essere davvero funzionale, in un’era d’incertezza quale quella che stiamo vivendo, l’intelligence deve essere in grado di sviluppare e sostenere una strategia per gestire la conoscenza a livello globale, visto che la conoscenza e la copertura informativa costituiscono un’esigenza vitale per la sicurezza e la prosperità di qualsiasi Paese.

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LA PEDAGOGIA DI ALDO CAPITINI PER UNA DEMOCRAZIA “OMNICRATICA”.

Martedì, 11 Settembre 2018 10:22

 
 Aldo Capitini

Una illuminante ricerca di Livia Romano.

 

 

                   Nell’ambito della ormai ricchissima bibliografia relativa ad Aldo Capitini, ritengo meriti un posto di particolare rilievo il bellissimo libro di Livia Romano La pedagogia di Aldo Capitini e la democrazia. Orizzonti di formazione per l’uomo nuovo (Franco Angeli, Milano 2014), illuminante ricerca che ruota intorno alla ferma convinzione che l’intera opera di Capitini sia sorretta da un forte progetto pedagogico e debba essere considerata, pertanto, una vera e propria “filosofia paidetica” (p.13) avente come obiettivo la costruzione di una democrazia capace di spingersi oltre i propri limiti, facendosi “omnicrazia”.

La natura della democrazia - infatti - essendo necessariamente dialogica, implica e impone il rispetto di sé e degli altri, e la democrazia, di conseguenza, per potersi realmente affermare, non dovrà essere semplicemente “insegnata”, bensì occorrerà educare ad essere democratici. La democrazia, infatti, non è cosa su cui potersi limitare a riflettere, bensì cosa da vivere.

Alla base di tutto il pensiero di Capitini   sarebbe possibile riscontrare la presenza di una vigorosa esigenza educativa che, prendendo le mosse da una coscienza appassionata della finitezza, intenda produrre un processo di “crescita eterna” mirante al raggiungimento dell’”omicrazia”, “attraverso la costruzione di una democrazia comunitaria che afferma la centralità di un soggetto relazionale e aperto”, apertura di credito verso chiunque, in quanto ritenuto sempre capace di operare radicali cambiamenti evolutivi (pp.14-15).

Ed educazione democratica, per il filosofo perugino, “ mosso com’è dalla preoccupazione di dare voce agli esclusi dalla storia, alle minoranze che si trovano in una condizione di svantaggio e di emarginazione” significa - sottolinea opportunamente la Romano - innanzitutto educazione alla differenza, “un’educazione che si propone di superare l’angoscia dell’alterità, l’idea che gli altri rappresentino una forza di aggressione di fronte a cui l’individuo si chiude in se stesso come un atomo, non riconoscendosi nella comunione con i tutti” (p.14).

Ma l’educazione democratica è anche vera pratica religiosa e la riforma religiosa rappresenta in Capitini la premessa ineludibile di una efficace riforma sociale e politica. (p.16)

Il mondo intero, infatti, viene sentito come laboratorio in cui il “persuaso” è chiamato a mettere alla prova, realizzandola praticamente, la propria religiosità, in una sorta di “misticismo militante”, in cui l’impegno pratico prevale su quello contemplativo, venendo così ad annullare il dualismo fede-politica.

Quello di Capitini sarebbe un vero “misticismo pratico”, frutto di un attento e meditato confronto fra tradizione mistica occidentale e grandi maestri spirituali orientali.

La democrazia profetizzata da Aldo Capitini è una democrazia planetaria rivolta all’”uomo nuovo”, protagonista di una civiltà cosmica, in un mondo senza confini fondato sull’amore. E ciò sarà reso possibile solo grazie ad una educazione alla democrazia incentrata sul valore della “compresenza” (p.19), intesa come apertura al “tu-tutti” e implicante una conversione del cuore in interiore homine (p.24), “come atto religioso che naturalmente conduce ad una realtà diversa e liberata”, nella prospettiva della creazione di una democrazia pienamente realizzata: l’ “omnicrazia”.

Aprirsi alla compresenza significa che l’io non è più solo, ma con altri, con i tutti, ivi inclusi (ed è senz’altro uno degli elementi più originali del pensiero capitiniano) i morti.

“Apritevi e muterete la vostra vita, - scrive il filosofo della nonviolenza - accorgendovi che la compresenza c’è.” (Ed. ap. 1, cit. p.73)

Lo sguardo di Aldo Capitini è quello di un acuto (e scomodo) “maestro del sospetto”, con forti affinità soprattutto con Schopenhauer, per la cruda e onestissima consapevolezza dei limiti, del male e della sofferenza presenti nella natura. Ma la “disperanza” del filosofo tedesco si trasforma, in lui, in luminosa speranza, incentrata sul concetto di compresenza, ovvero nella convinzione di poter ritrovare Dio nell’intimo della coscienza e viverlo nell’incontro corale fra tutti gli esseri.

Riconoscimento della finitezza, quindi, senza rimanerne intrappolati. E coscienza del limite non disperata ma appassionata, facendo sì che la tensione religiosa si aggiunga positivamente sia all’appello leopardiano all’affratellamento solidale che alla nirvanica aspirazione schopenhaueriana (p.32), ricomponendo “nella compresenza la lacerazione tra realtà contingente e realtà trascendente” (p.33), e dando vita ad un movimento continuo e aperto tra finito e infinito. E ben fa la Romano ad evidenziare le non poche affinità, soprattutto per quanto attiene all’apertura verso il pensiero orientale, con Pietro Martinetti, altro grande pensatore del nostro primo Novecento ancora troppo poco conosciuto e studiato. (p.37)

Capitini, in quanto “mistico militante”, si fa quindi continuamente e insistentemente “filosofo della prassi” (p.94) in cui la relazione con Dio si configura come

“ incontro dinamico che avviene con un tu che è insieme Dio e tutti gli esseri, viventi e non viventi, che partecipano alla stessa comune realtà della compresenza”. (p.96)

Il suo Dio non è un Dio che si rivela, ma un dio che “si dà nella compresenza” e di cui sentiamo la massima vicinanza vivendo la realtà di tutti e l’apertura alla realtà liberata. Dio è infinita possibilità e apertura, “perciò è atto di unità amore con tutti, verso l’intimo, e aggiungente una realtà liberata.”

E il dio capitiniano è un dio deinfernizzato che “salva tutti”, che esclude categoricamente la possibilità di distinguere, separare e contrapporre eletti e dannati. Un dio che potrebbe essere inteso come la raffigurazione suprema della triade di:

libertà – gratuità – amore.

“Il “mistico pratico,” - scrive Livia Romano - grazie all’incontro con il divino, sa di appartenere a un’altra dimensione, la realtà della compresenza”.

In Capitini è fermissima e irrinunciabile l’esigenza di affermare una dimensione religiosa liberata da ogni tendenza alla separazione, in modo tale da far coincidere educazione religiosa con educazione democratica. E ciò non in una prospettiva utopica che rinvii ad un domani che potrebbe rivelarsi un “mai”, bensì in quella di una tramutazione che comincia oggi. (p. 101)

Perché Capitini

“vuole indicare all’essere umano la via per uscire fuori dalla storia, cioè dall’insieme di tradizioni, guerre, violenze, soprusi, ingiustizie, e creare le condizioni necessarie per fare posto ad un’altra storia, una storia i cui protagonisti non siano più gli eroi, i ricchi e i potenti, ma tutti, anche gli emarginati, gli umili, i folli, i derelitti, i poveri, i malati.” (p.157)

Il principale obiettivo è quindi una formazione “post-egoica” che sappia restituire l’uomo a se stesso.

“L’utopia di Capitini - conclude efficacemente la Romano - non è un sogno irrealizzabile, è molto di più, è una profezia per il nostro tempo, che è possibile realizzare attraverso un’ educazione democratica che si concretizzi nel rapporto reciproco e fruttuoso tra religiosità autentica e politicità consapevole. La sua profezia è quindi un’utopia pedagogica. Che ha in sé una progettualità educativa che la apre alla sua futura realizzazione concreta. E’ possibile, credo, nel tempo della liquidità e della post-democrazia, rileggere la compresenza come un principio pedagogico che ha il compito di aprire nuovi orizzonti internazionali: infatti l’omnicrazia, riconducendo tutti all’unità-amore, eleva la coscienza individuale e collettiva, portandola al massimo orizzonte possibile. L’educazione alla post-democrazia dà così vita ad una nuova comprensione e alla necessità di una collaborazione internazionale che, come pensa Capitini, non può limitarsi ad una conoscenza superficiale degli altri e delle istituzioni internazionali, ma deve muovere anche l’animo a sentire l’unità con tutti.”

(p.217)

 

 

Livia Romano

La pedagogia di Aldo Capitini e la democrazia. Orizzonti di formazione per l'uomo nuovo

Franco Angeli, Milano 2014

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Gareth Knight: Viaggio iniziatico nei mondi interiori - un corso in magia cabalistica cristiana

Lunedì, 03 Settembre 2018 19:11

“Ho scritto questo libro con lo scopo di presentare un sistema di insegnamenti e di pratiche dell'occulto che affondano le radici nel contesto della tradizione e della fede cristiana.”

Con questa premessa l'autore compie un vero e coraggioso atto letterario: trovare un collegamento tra occultismo e cristianesimo, considerati spesso incompatibili.

Per capire meglio l'impostazione del libro è di notevole aiuto la prefazione, nella quale si indaga la biografia dell'autore, il suo rapporto con il cristianesimo (il sodalizio con il reverendo Duncan), e dalla quale emerge un concetto di “magia” inteso come sviluppo dell'immaginazione creativa.

I capitoli seguono un percorso ben preciso che segue un cammino personale simbolico, affondando però le conoscenze in situazioni storiche, religiose o letterarie ben precise.

In chiusura ogni capitolo presenta delle meditazioni molto interessanti, che possono essere eseguite anche in pochi minuti, che sostengono la vitalità e la concentrazione.

I primi capitoli offrono un excursus storico che va dal regno alessandrino (Alessandro Magno con le sue conquiste apportò un sincretismo religioso e l'idea dell'unico Dio), al rapporto iniziale tra ebraismo e cristianesimo, passando per Gioacchino da Fiore e l'eresia francescana, i Templari, il ciclo arturiano e l'amor cortese, l'alchimia, la cabala, la Divina Commedia...

Un concentrato di conoscenze che a volte rende difficile la lettura, che deve avere il tempo per “sedimentarsi”.

Un libro per “cercatori”, per chi si pone in un percorso di auto-conoscenza che unisca studio, impegno e creatività, un libro che rispecchia l' impegno editoriale di Spazio Interiore, attento da sempre alle tematiche spirituali affrontate con studio e originalità di punti di vista.

 

 

Gareth Knight

Viaggio iniziatico nei mondi interiori:
un corso in magia cabalistica cristiana
Spazio interiore 2018

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Silvio Sposito: gli Ultimi Re di Roma

Domenica, 05 Agosto 2018 01:03

Il potere e la magia dei tarquini nella città eterna con il libro sulla monarchia dei Re di Roma di Sposito e la mostra della civiltà etrusca ai Musei Capitolini aperta fino a gennaio 2019: un periodo storico del governo di Roma poco studiato ma affascinante.

 

Il mondo etrusco, contaminato con quello romano, raccontato dal libro di Silvio Sposito : gli Ultimi Re di Roma (Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo), un finestra aperta sulla monarchia etrusca (616 a.c. fino al 509 a.c.) che governò la città eterna (edizioni Cangemi). Un popolo, i Tarquini, diluito con i romani, conquistatori, ma rispettosi della cultura altrui, fino a promuovere cittadino romano (Civis Romanus) lo straniero. E mentre noi alziamo muri gli avvenimenti ci insegnano di un’osmosi tra la cultura greca, romana ed etrusca presente oggi nei nostri luoghi come le tombe dipinte della necropoli dei Monterozzi a Tarquinia, i resti di Norchia, Roselle, Populonia, Vetulonia, del Foro Romano e del Palatino oppure negli affreschi della tomba di Francois di Vulci. Un tomo di 352 pagine presentato presso il Circolo del Ministero degli Affari Esteri a Roma, durante un luglio infuocato, così come lo è stata la conquista del potere dall’ultimo Re etrusco, Tarquinio il Superbio, tanto crudele quanto astuto. Il suo potere dura 40 anni, e prende il comando al Senato gettando il predecessore e suo suocero, Servio Tullio, dalle scale. La figlia, Tullia, in perfetta in sintonia con il marito Tarquinio Il Superbio, pone fine alla vita del padre, investendolo con un carro. Insomma non si facevano poi tanti problemi all’epoca, ma tutto sommato pensandoci bene, neanche oggi. Le pouvoir pour le pouvoir, tante è che anche l’imperatore Claudio (etruscologo ante litteram) viene avvelenato dalla moglie con un piatto di funghi e al suo alter ego, un ipotetico bibliotecario dell’Imperatore, viene affidata la narrazione del libro (ndr avendo a disposizione molti testi antichi del suo erudito padrone).

 

Il libro presentato nella Sala della Musica del Circolo, da autorevoli personaggi del mondo accademico artistico e culturale, come l’ex ambasciatore Umberto Vattani, classe 1938, noto per aver ricoperto diversi incarichi di governo, per le sue decisioni non sempre condivise ma uscito indenne dal mondo della politica. Forse l’amore per l’arte lo ha salvato è , infatti , un’ affezionato socio del circolo del Ministero Affari Esteri e promotore del libro sugli Ultimi Re di Roma di Silvio Sposito medico e scrittore originario di Tarquinia. Un testo stuzzicante, sugli eventi culturali e politici etruschi, dove la donna aveva gli stessi diritti dell’uomo mentre i sogni erano presi in seria considerazione per interpretare i fatti presenti e futuri, e avevano anche un potere onirico curativo e lenitivo (ndr l’oniromanzia – incubatio – praticata dal medico greco Ermocrate sull’isola Tiberina, sorta di antecedente classico della moderna psicoterapia). “ L’On. Vattani (profusore di energie per migliorare il Circolo) - racconta lo scrittore – ha veramente letto il mio libro, lo si capisce dalla padronanza che ha del testo. Un giudizio critico e lusinghiero – continua Sposito - mi è giunto dal prof. Paolo Carafa, archeologo della Sapienza di Roma. E’ un libro di facile lettura ma di vicende importanti. Lo scopo del testo non vuole essere un mero intento commerciale ma prevalentemente culturale e, spero, artistico. I fatti e gli episodi più salienti sono accompagnati da riproduzioni di celebri opere d’arte, sia antiche che moderne e contemporanee, ad essi ispirate”.

 

La dinastia degli Etruschi si chiude con una fatto tragico l’episodio della morte di Lucrezia, la bella e virtuosa matrona collatina, moglie del suo primo e unico marito, Spurius Lucretius Tricipitinus, prefetto dell’ urbe, violata dal tracotante e viziato Sextus, figlio del Re, ammaliato dalla bellezza pudica della donna. Lucretia non regge al disonore , si sente contaminata (ndr da una tintura maleodorante e indelebile), e alle conseguenza di una possibile gravidanza, si uccide…si trafigge il cuore, confessando, però, prima al marito e al padre il gravissimo misfatto. Inizia così una rivolta per vendicarla e per togliere il potere tirannico alla dinastia di Tarquinio il Superbio. La prepotenza del Principe come i fatti del Circeo dove ragazzi ricchi e viziati abusano di due ingenue giovani donne, ecco, questo succede quando la ricchezza e il potere non sono bene orientati.

Hanno introdotto l’evento anche la Prof. Luisa Chiumenti architetto e docente, coordinatrice di mostre a Valle Giulia e altre importanti città italiane, film e immagini di Roma con le musiche di Moricone. Viviana Vannucci storica dell’arte, giornalista, promotrice di rassegne organizzate a Castel Sant Angelo di Roma nascosta. Giuseppe Sartori, storico e archeologo. Adelaide Paolini insegnante e attrice in una serie di episodi ed eventi. “Silvio Sposito – chiosa la Chiumenti - mi colpi subito per come proponeva gli eventi ai soci del circolo, trasmettendo l’eredità della storia ,con le sue stratificazioni e comunicandola fuori dagli ambienti circoscritti. Portare la cultura fuori dai luoghi ristretti - continua l’architetto - mostrare una città in miglioramento, all’epoca furono fatti importanti opere, vedi, la cloaca massima, ed oggi con il consiglio nazionale degli architetti, l’obiettivo è di costruire ambienti felice e luoghi belli”

Per chi vuole toccare con mano il vicus cuscus, così chiamato dagli emigrati dell’Etruria in seguito all’ascesa dei re tarquini, vi segnaliamo l’esposizione archeologica inedita sulla civiltà etrusca aperta fino al 29 gennaio 2019 presso i Musei capitolini di Roma. In ottobre invece in una location autorevole, il Campidoglio, nuova introduzione del libro testè descritto.

 

 

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CHIARA MERCURI - FRANCESCO D'ASSISI: UNA STORIA NEGATA

Mercoledì, 18 Luglio 2018 02:22

Il Papa attuale ha riportato in primo piano la figura di Francesco d'Assisi, nome scelto per “ricordarsi dei poveri” come lui stesso ha sottolineato.

Ma la storia di Francesco ha subito stravolgimenti importanti che il libro ben documentato di Chiara Mercuri espone con una scrittura scorrevole.

La biografia ufficiale di Francesco è stata scritta da Bonaventura da Bagnoregio. Ufficiale per ordine del papa e dello stesso Bonaventura che, durante il capitolo generale, tenutosi a Parigi nel 1266, ordinò di distruggere tutte le precedenti biografie di Francesco, affinché non vi possano essere confusioni nell'interpretazione della volontà del Santo, questa la “scusa ufficiale” mal' intento programmatico era quello di nascondere le vere intenzioni di Francesco, la cui storia, dunque, è stata “negata”.

Perché questo accanimento contro gli scritti precedenti? Cosa contenevano quella biografie molto più veritiere di quella ufficiale perché scritte dai suoi contemporanei, fratelli che avevano condiviso con lui la vocazione iniziale?

Forse perché quegli stessi insegnamenti di Francesco non si conciliavano con una Chiesa che era a tutti gli effetti una Stato, arricchitasi tramite riscossioni di tributi, un Chiesa lontana dagli ideali pauperistici del Santo, per il quale tutto doveva basarsi sul lavoro manuale, senza accumulare ricchezze. Il movimento francescano è stato utile alla Chiesa che si è rifatta, tramite gli ordini mendicanti, un'immagine di istituzione vicina agli ultimi. È pur vero che Francesco ha sempre manifestato un'obbedienza alle istituzioni ecclesiastiche, ma forse era proprio l'esempio della sua vita a risultare “scomodo” alle gerarchie ecclesiastiche.

Il Francesco di Bonaventura è un asceta, un mistico, e nel ripercorrere la sua vita l'autore cancella la parte “umana” con lo scopo di rendere il santo qualcosa di difficilmente imitabile. Persino lo scritto più famoso di Francesco, il “Cantico delle creature” viene omesso dalla biografia.

Sparisce l'uso della lingua francese, lingua dell'affettività e dell'autenticità dell'uomo Francesco, che si ricollegava anche alla sua cultura cavalleresca, lettore e buon conoscitore delle saghe in lingua d'oil, sparisce il rapporto di Francesco con Chiara, la sua “prima pianticella”, spariscono le tensioni avvenute nell'ordine già mentre Francesco era in vita, sparisce la “grande tentazione”da lui avuta negli ultimi anni di vita, di ribellarsi.

L'immagine che Bonaventura vuole dare è quella di un santo da non imitare, senza cultura, con tratti quasi misogini, senza esitazioni.

Il santo che ebbe l'ardore di andare a parlare con il sultano durante la quinta crociata, aveva invece un'altra storia, che Sabatier riscopre nel 1997. Sono gli scritti di Frate Leone, confinato a Greccio, convento che ha ospitato i primi compagni di Francesco, allontanati proprio perché “scomodi”.

La corrente degli “spirituali”, ala del movimento francescano che voleva un ritorno al “Testamento” di Francesco e alle sue esplicite volontà (censurate nella biografie ufficiali) sono stati fatti tacere.

In pochi sanno che un secolo dopo la morte di Francesco 4 frati francescani saranno arsi vivi a Marsiglia per aver diffuso le idee di un altro francescano scomodo Gerardo da Borgo San Donnino, seguace di Gioacchino da Fiore il quale aveva annunciato un'epoca nuova, quella dello Spirito Santo. L'età dello Spirito ricomprende le età precedenti in un regno dove i conflitti sono pacificati, le guerre eliminate e l'uomo rigenerato dallo svelamento dei misteri, una teoria che poco piaceva alla Chiesa del tempo, caratterizzata da concubinato, simonia e ricchezza.

Il libro apre gli occhi sulla figura di Francesco, stimolando la curiosità di conoscere anche le altre correnti cristiane condannate e sterminate dalla chiesa, correnti che proponevano un ritorno alla povertà, e un rapporto con il Vangelo senza intermediari.

Chissà se Francesco sarebbe stato contento di vedere il suo nome all'apice delle cariche ecclesiastiche...

 

 

CHIARA MERCURI
FRANCESCO D'ASSISI: UNA STORIA NEGATA
Laterza 2018

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Roma - la scrittrice Margo Jefferson al Maxxi

Domenica, 08 Luglio 2018 10:52
 
 Margo Jefferson

Una serata, il 4 luglio giorno dell’indipendenza americana, dove ti aspetti al Maxxi di Roma, di ascoltare il racconto di un libro singolare sul’Africa autobiografico della scrittrice Margo Jefferson, caldo, intimo e sorprendente, ed invece ti ritrovi a mettere insieme i pezzi di un periodo della nostra storia da Obama a Trump dove il razzismo è tornat . Le vicende dolorose del passato sull’intolleranza non hanno insegnato abbastanza e senza consapevolezza siamo ricaduti in una nuova ondata di apartheid. “Sarà la crisi economica - spiega il Direttore di Repubblica Mario Calabresi - intervenuto all’incontro, o perché i sacrifici dei padri non servono più a portare benessere ai figli, e abbiamo paura dell’altro perchè ci ruba il lavoro”. Infondo Obama, non era visto perché nero come il ladro della Presidenza degli Stati Uniti all’uomo bianco?

 

Interviene alla prefazione del libro anche la ex Ministra Govanna Melandri , e ci racconta di un Italia, secondo una ricerca sociologica di Bruxelles, come primo paese razzista in Europa. Melandri è nata negli Stati Uniti, ha doppia cittadinanza, italiana e americana, ha partecipato alla campagna elettorale di Obama ed è proprio a Filadelfia, durante l’incontro con i democratici, nota uno strisciante razzismo all’interno di quel partito. “I neri d’America devono dimostrare di più di quello che valgono, la campagna elettorale di Obama era misuratissima, lui non poteva permettersi sbavatura nel parlare o nei gesti come fa oggi Trump” I neri per essere accettati devono dimostrare di più e Obama per i Democratici non poteva essere il loro Presidente poiché non era nato in America. Un Italia con vicinanze a impensabili organizzazioni, come ci racconta Calabresi quando incontra in Florida, anni fa, dei membri del cucuKlan, e li scopre amici dell’Italia perché simpatizzavano con un partito nostrano, La Lega, con cui trascorrevano le vacanze a sciare in montagne. Basta con le quote dedicate alle minoranze dicevano i signori del cucuklan, per vincere dobbiamo infiltrarci nel partito repubblicano.

 

Di cosa abbiamo oggi bisogno quindi per uscire da questo impasse? Si chiede la scrittrice Margo Jefferson. “creare alleanze ed organizzare tutto quello che può essere fatto, anche attraverso la scrittura. Oggi vengono lanciati degli attacchi contro le donne, vedi quello che è successo in America, ai bambini allontanati dai loro genitori i quali non torneranno più con le famiglie di origine. (Il danno è fatto come diceva una madre a cui avevano tolto la figlia al confine con gli Stati Uniti). Combattere insieme e in tutti i modi, contro questa cultura dell’intolleranza che presto arriverà anche in Italia. I modi da bullo di Trump i suoi show-televisivi, entusiasmano la gente, ma non sarebbero mai stati perdonati ad Obama, anzi sarebbe stato subito cacciato dalla Casa Bianca”. “Obama ha dovuto dimostrare – chiosa la Melandri - durante il suo mandato, di essere quel tipo di nero che non urla e non gesticola, un nero occidentale impeccabile, era costantemente sotto osservazione per vedere se usava toni elevati.” Insomma come dice John Waider, Obama non è un vero nero perché non parla come un nero.

 

E se il Presidente Trump posta su twitter che il primo Ministro canadese è weak=debole mentre il dittatore della Corea del Nord di 28 anni incontrato a Singapore responsabile di purghe e stragi nel suo paese, è cool=fico, un bravo ragazzo, intelligente come dice Trump che ha ereditato dal padre la guida della Corea, come se fosse normale ereditare un paese. Questo vuol dire che la democrazia liberale è fiacca, mentre le dittature sono a posto. Il Presidente di una delle nazioni più forti del mondo è libero di dire quello che vuole anche gli altri quindi si sentono liberi di spararle grosse. Se lo fa il Presidente Trump lo faccio pure io. Libero lui Libero anche io. Il linguaggio ha perso il valore dell’umanità quando il viceministro italiano scherza mentre si fa un selfie con le gondole e dice” non sono però le barche degli immigrati” mentre il presidente ungherese manda ai confini del suo paese i cani e caccia i siriani.

 

Poi se vai a chiedere ad alcune persone perché - racconta Calabresi – mi coprono di insulti sui social, come succede anche alla onorevole Boldrini, non ti sanno rispondere e mi dicono, non so perché l’ ho fatto, non ero io”.

 

Il razzismo è alle porte, chiediamoci se è mancata una visione, se abbiamo crato le condizioni per far crescere estremismo. La politica deve reinventarsi per evitare un escalation di intolleranza verso le minoranze, i deboli e il diverso. Le due mostre presenti in questi giorni al Maxxi fino al 4 novembre organizzate in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale “african metropolis. Una città immaginaria” e “Road to Justice” ed il libro “Come raccontare l’Africa” di Margo Jefferson, con i 40 artisti in mostra, raccontano la voglia di superare i muri e spostare lo sguardo sulle trasformazioni sociali e culturali in atto in Africa, di come riorganizzare gli spazi e utilizzare le memorie, la rabbia, il dolore senza farsi imprigionare ma e per riconciliarci e guardare al futuro di un Africa nuova con nuove interpretazioni e prospettive.

 

Maxxi orario di apertura mart-dom. dalle 11.00 alle 19.00 giov. 11.00-22.00 info 39 063201954

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Filomena Pucci: Quello che ti piace fare è ciò che sai fare meglio. Come ogni donna può far fiorire (e fruttare) la propria passione

Venerdì, 22 Giugno 2018 03:10

“Come facevano le altre, quelle che riuscivano ad essere felici con il loro lavoro?

Cosa dovevo fare più che investire tutta me stessa, ogni giorno, nella mia passione?

E come potevo trasformarla in un bonifico mensile sul mio conto?

Insomma cosa dovevo inventarmi per vivere la mia vita ed essere felice?”

 

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         La domanda è la strada che può portarti oltre, lessi in un libro di Jostein Gaarder, con queste 4 domande che aprono percorsi, l'autrice si porta “oltre”, 4 domande da far radicare dentro per far fiorire i propri talenti.

Filomena Pucci, è ideatrice del progetto “Appassionate”, che si snoda tra editoria, conferenze e workshop.

Dopo averci raccontato la sua storia l'autrice ci accompagna in un percorso di individuazione dei propri talenti, diviso in 9 tappe.

Si parte dal piacere, un piacere da scoprire prima e da strutturare poi, per uscire dalla zona di comfort fatta di doveri e, perché no, disillusioni.

“Siamo abituati a farci guidare dal dovere, educati a credere che la certezza della ricompensa stia nel sacrificio”.

Dal piacere al potere passando per il desiderio, potere che etimologicamente ci riporta al “potis esse”, poter essere: “potere significa poter essere se stessi”.

C'è differenza tra piacere e desiderio, sottolinea l'autrice, se il primo è innato, il secondo implica una scelta, e un ascolto profondo di sé, è necessaria una ri-educazione all'atto del desiderare, soffocato da anni di sottomissione al dovere (e questo soffocamento del desiderio di autoaffermazione, al femminile, è stato potenziato da una secolare lotta contro l'istinto primario all'aggressività, intesa come difesa del proprio spazio vitale, come sottolinea la psicanalista junghiana Marina Valcarenghi nel libro “L'aggressività femminile”).

Tra le pagine incontriamo storie di donne che si sono messe in gioco e sono riuscite a seguire la propria passione e in chiusura di capitolo degli esercizi per mettere a fuoco ed esercitare la propria determinazione.

Si percepisce che questo libro è frutto di fatica, di ricerca, di amore, si avverte l'autenticità delle parole scelte con cura; come lettori non possiamo che accogliere questo libro come un dono, per noi stessi, prima di tutto.

 

 

Filomena Pucci:
Quello che ti piace fare è ciò che sai fare meglio.
Come ogni donna può far fiorire (e fruttare) la propria passione
Fabbri 2018

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Editoria - "Stelle cadenti" di Maria Foffo

Giovedì, 21 Giugno 2018 19:58

Storia di una donna, di bambini, di Gnomi e di Folletti, Rina, nella sua attività di volontariato, con un approccio alla vita da “adulta”, dovrà modificare il suo punto di vista nei confronti della realtà che la circonda.

Grazie alle storie della piccola Gioia e ai comportamenti dell’iperattivo Gianni, si rifarà viva in lei, più forte che mai, la parte perduta di bambina che è ed è sempre stata.

L’autrice, con uno stile semplice e lineare, propone un racconto che assomiglia ad una fiaba, con caseggiati che diventano castelli, di Gnomi e Folletti che accompagnano nella vita di tutti i giorni bambini che riescono ad accorgersi di loro. Un astoria che, da semplice finzione, arriva a toccare i temi più complessi, portando il lettore a riflettere su tanti aspetti della vita quotidiana.

 

 

Maria Foffo è nata a Roma, dove vive tutt’ora. Laureata in Pedagogia, con i suoi figli presenti, ha insegnato lettere nella scuola statale Primaria poi nella Secondaria Superiore. Ora è in pensione. Dal 1992 è nel Terzo Settore (volontariato) dedicato ai bambini che soffrono in difesa dei loro diritti. Circa 45 anni fa ha pubblicato alcune poesie in due antologie di giovani poeti; al pubblico si presenta come “Aspirante scrittrice”.

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Atlante delle Guerre: sempre dalla parte delle vittime

Mercoledì, 13 Giugno 2018 12:15

 L’Atlante delle guerre è all’ottava edizione e si presenta come uno strumento indispensabile per chi vuole studiare il fenomeno della guerra. Ma Atlante delle guerre non è solo un libro ma anche un sito (partner di Pressenza) e molte altre cose. Ne parliamo con Emanuele Giordana, che affianca, come direttore editoriale del sito, il lavoro dell’Associazione 46° Parallelo fondata e diretta da Raffaele Crocco che del quotidiano online è il direttore responsabile.

 

Non solo un atlante, puoi fare un quadro della vostra proposta globale?

L’Atlante cartaceo e il sito web atlanteguerre.it sono due facce della medesima medaglia. l’Atlante è uno strumento di studio e consultazione. Il sito, a parte la sezione che consente di leggere le vecchie edizioni cartacee in versione telematica, è un luogo di approfondimenti che, in un certo senso, aggiornano ogni giorno l’edizione cartacea che esce una volta all’anno. Il mondo, anche quello delle guerre, corre veloce e dunque era necessario accompagnarlo con un sito web, un quotidiano che stesse al passo con l’evoluzione dei conflitti e delle situazioni di crisi che possono trasformarsi in una guerra. In redazione ci sono Alice Pistolesi, che cura i dossier settimanali del martedi, e con Andrea Tomasi, che produce anche la trasmissione “Caravan”, gli aggiornamenti quotidiani. Beatrice Taddei Saltini, una delle colonne con Raffaele Crocco dell’intero progetto, è la persona che cura la relazione tra il cartaceo e il web. Giorgia Stefani ha un ruolo di coordinamento generale (e fondamentale) e Daniele Bellesi, che ha curato l’intera impostazione grafica sia dell’Atlante sia del sito, è la persona che è riuscita a tradurre graficamente un percorso di aggiornamento sui conflitti. Infine ci sono una serie di collaboratori fissi, giovani e pieni di idee: Elia Gerola e  Lucia Frigo – che seguono la parte social – Edward Cucek, Claudia Poscia e Teresa Di Mauro che sono in giro per il mondo… Li cito tutti perché il sito è un lavoro collettivo e non solo un insieme di collaborazioni. Quanto all’Atlante cartaceo, le schede sono invece affidate ad esperti d’area che comunque ci danno un contributo anche durante l’anno. Non credo di sbagliare se dico che attorno a questo progetto lavorano oltre cinquanta persone.

 

Un atlante della guerra per studiosi ma che prende posizione sui conflitti, come è nata questa iniziativa e come si è sviluppata?

Vorrei rispondere in breve con la frase che ci connota di più e che è il nostro chi siamo: “Noi rivendichiamo il diritto ad essere partigiani, cioè di parte. Siamo e saremo sempre contro la guerra”. In due parole volevamo fare una scelta di rigore professionale – ossia essere imparziali nel riferire le notizie – ma conservando il diritto di non essere neutrali. Di restare sempre dalla parte delle vittime.

 

Un’inziativa che parte dal basso e non conta su grandi finanziamenti istituzionali. Come funziona l’Atlante? Che si può fare per appoggiarlo?

Si possono fare dei versamenti individuali dal sito ma anche partecipare offrendo una collaborazione volontaria. Con fatica riusciamo ad ottenere alcuni finanziamenti a progetto ma è ovvio che i denari non bastano mai se uno cerca di lavorare con qualità e, appena ne ha la possibilità, di allargare il numero di collaboratori. Anche un versamento di 10 euro però può aiutarci ad andare avanti.

 

La sensazione è che ci sia uno stretto legame tra il fatturato dell’industri bellica e le guerre in corso: secondo te è possibile rintracciare questo legame?

Ci stiamo provando anche se è un lavoro complesso e non solo di natura industriale. E’ anche una questione culturale perché tanti sono ancora convinti che le guerre siano necessarie. Lavoriamo anche per cambiare quest’ottica.

 

A occuparsi delle guerre da un punto di vista pacifista si riesce a scorgere il momento in cui le guerre cesseranno di far parte del fare dell’Umanità?

E’ una marcia in salita inevitabilmente con un obiettivo lontano ma non impossibile. La guerra è ancora un fatto diffuso ma, fortunatamente, fa sempre meno vittime. E il movimento pacifista, comunque lo si intenda, è molto  più vasto di quanto non si creda. Non vedrò un mondo senza guerre molto probabilmente, ma sono certo che ogni cucchiaino che provi a svuotare il mare servirà persino in un’impresa che sembra impossibile. E che per adesso magari si limita solo a frenare la forza delle onde…

 

Recenti studi delle neuroscienze hanno escluso la  “naturalità” della violenza nell’essere umano: possiamo dare, anche dati alla mano, un messaggio di speranza alle nuove generazioni?

Il mito del guerriero è duro a morire così come l’ineguaglianza di fronte ai diritti universali, il limite all’accesso ai beni primari, l’ineguale distribuzione della ricchezza. Ma io vedo svilupparsi molte tendenze positive che dipendono da una maggior diffusione dell’informazione, da nuovi strumenti che consentono di organizzare lotte e proteste contro patenti ingiustizie,  dal fatto che oggi è più facile andare a scuola e dunque è più facile sviluppare un senso critico perché studiare significa conoscere ed avere più strumenti per capire, giudicare, reagire. Anche la nuova coscienza ambientalista va nelle direzione di un rispetto sempre maggiore non solo dell’uomo ma del mondo animale e di quello vegetale. Esistono guerre per l’acqua, contro lo sfruttamento dissennato della terra, per un maggior controllo della filiera alimentare e per una maggior attenzione a come vivono gli animali di cui (ancora) ci nutriamo. Sono segnali e che, alla fine, hanno sempre a che vedere coi conflitti. Superare la guerra come strumento di negoziato, richiederà anni ma questi segnali fanno ben sperare. L’uomo può vivere in pace, accogliere, condividere e lasciare la clava in cantina? Penso di si. Direi che ho una sorte di certezza di fondo che stiamo andando in quella direzione. Vedo un mondo dove la guerra sarà solo un fatto museale per ricordarci che un tempo, anziché parlarci, ci uccidevamo. Utopia? Le utopie cambiano il mondo. E non bisogna mai smettere di sognare.

 Per gentile concessione dell'agenzia di stampa Pressenza

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NADIA LUCCHESI: ANNA. Una differente trinità

Sabato, 26 Maggio 2018 08:44

 La figura di Anna è raccontata soltanto all'interno dei Vangeli apocrifi, nel Vangelo di Giacomo, la sua storia non compare nei testi canonici. Perché? Si chiede l'autrice e in questo libro prova a rispondere.

Il concepimento di Maria è un miracolo per Anna che è in età avanzata e da tempo desidera avere un figlio. Un Angelo le annuncia la maternità futura. A tre anni, Anna e Gioacchino, suo marito, tuttavia, lasciano la bambina al Tempio, e quando Maria diventerà donna è sempre l'Angelo a imporre ai vedovi di riunirsi, per scegliere a chi andrà in sposa. Dal bastone di Giuseppe si leva una colomba, segno che sarà lui lo sposo di Maria.

Da questo momento Anna e Gioacchino spariscono dalla scena per lasciare il posto ad altre narrazioni accettate.

Di Anna si tornerà a parlare solo durante la “caccia alle streghe” quando diverse leggende e riflessioni tornano a colmare le lacune sulla sua figura come faranno S. Brigida di Svezia, Maria de Agreda e Caterina Emmerick.

Il nome Anna è uno dei più diffusi nel mondo così come anche la sua devozione, dunque perché escluderla dai testi canonici?

È grazie alla figura di Anna e della sua trinità (Anna, Maria e Gesù bambino) che le popolazioni amerinde del Canada hanno abbracciato il culto cristiano, perché Anna aveva attributi simili a quelli di Nogami, la Nonna.

Lo studio di Nadia Lucchesi parte dalla controversa figura di Giacomo, autore del vangelo apocrifo. Il papa Benedetto XVI considera Giacomo il cugino di Gesù, ma per la tradizione ortodossa è il fratello del Cristo, figlio di un matrimonio precedente di Giuseppe. Eisemann porta avanti la tesi secondo la quale Giacomo il Giusto e i suoi seguaci erano in contrasto con Paolo e Pietro. “Giacomo è un personaggio scomodo: la visione del Cristianesimo che emerge dalla sua Lettera mette in primo piano l'importanza delle opere e della coerenza di vita nella realizzazione della fede, in una prospettiva di concretezza molto vicina al sentire e alle pratiche femminili della carità e della cura” (Cit.)

Anna ha un nome che rimanda alla dea celtica Ana, che significa “donna vecchia” ma anche ai culti di Anna Perenna, Annona, Angerona e Angitia, ma il nel suo nome riecheggia anche a Anat, Dea degli ugariti il cui nome antico era Iahu, la più antica divinità ebraica prima di Yaheweh.

Anna in sanscrito significa “nutrimento”, cibo. La veggente Caterina Emmerick sostenne che i genitori di Anna fossero Esseni, un gruppo di eremiti.

Da Ur parte il racconto di Abramo, gli ugariti veneravano Inanna/Ishtar, una delle Dee doppie, archetipo che viene affrontato da Viki Noble: la coppia Anna /Maria si pone dunque come speculare a molte dee doppie precedenti, tra cui ricordiamo, tra le più conosciute, Demetra e Kore.

Maria nasce l'8 di settembre alla settima ora. Otto è il numero di Maria, concepita l'8 dicembre, ma è anche il numero di Inanna e Ishtar, cui era associata la stella a 8 punte, che richiama il ciclo di 8 anni del piante Venere. 4 è la femminilità raddoppiata e l'8 apre all'infinito la spazialità del 4 (i punti cardinali, i 4 elementi..).

Perché dopo aver desiderato tanto la bambina Anna sceglie di affidarla spontaneamente a questo “collegio di vergini”? nelle religioni antiche le Dee preindoeuropee sono state tutte vittime di un Dio, mentre nella storia di Anna il divino torna nel mondo senza violenza, “rendendo sacri il concepimento, la nascita, la vita, la natura, il corpo” (Cit).

Maria scende i 15 gradini del Tempio, e anche 15 è un numero appartenente alle Dee antiche: la città di Ninive devota a Ishtar aveva 15 porte e 15 sacerdoti, 15 è il risultato del 7, numero umano più 8 numero divino; il rosario oggi si compone, infatti, di 15 Ave Maria.

Un testo essenziale per far luce sull'aspetto femminile insito nel Cristianesimo, aspetto che nonostante l'occultamento iniziale, è alla base del culto.

“Ho scritto questo libro perché sono convinta sia necessario che ogni madre, carnale e spirituale, ritrovi il proprio valore e la consapevolezza che la sua integrità, la sua verginità, può essere trasmessa alle figlie, così che loro stesse conservino la relazione con le altre, ma soprattutto con gli altri”. (Cit.)

 

NADIA LUCCHESI:

ANNA. Una differente trinità

Luciana Tufani editrice

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ERIKA MADERNA - “Per virtù d'erbe e d'incanti: la medicina delle streghe”

Lunedì, 30 Aprile 2018 02:17

 

Erika Maderna, autrice di “Medichesse: la vocazione femminile alla cura” (edizioni Aboca) torna in libreria approfondendo un tema affascinante già iniziato nel libro sulla medicina delle donne: le guaritrici medievali e rinascimentali.

Il libro ripercorre l'origine della figura della strega, partendo dalla mitologia.

Santa o strega, un filo rosso lega queste due figure, un filo rosso che si innesta nella radice religiosa ma si dipana poi in direzioni opposte.

È Demetra la prima ad officiare riti che poi saranno appannaggio delle streghe, quando decide di donare l'immortalità a Demofonte ungendolo d'ambrosia, sussurrando incantesimi e purificando la sua parte mortale nel fuoco: unzione, soffio e parole magiche li ritroveremo anche nei verbali del Cinquecento. Ma la Dea delle streghe per eccellenza era Ecate, colei che assiste all'unione dell'anima col corpo durante il parto e all'ultimo respiro di vita, due momenti di passaggio presieduti da sempre dalla donna, sia essa ostetrica o accabadora.

Le attività femminili si intrecciano attorno alla Dea Iside: tessitura, ostetricia, conoscenza delle erbe e magia.

Circe e Medea gestiscono i “Farmakis” ma sono ricordate però solo come protostreghe.

Canidia, strega citata da Orazio nelle “Epodi” ha capelli simili a serpi, riecheggiano in lei gli attributi di Medusa, il poeta la descrive mentre officia al sacrificio di un infante mischiando erbe, uova di rospo, piume di civetta, ossa di cagna, tutti animali molto simbolici.

Apuleio descrive Panfile mentra si unge dell'unguento che la trasformerà in uccello per librarsi nel volo magico, altro elemento ricorrente nei processi alle streghe.  

“Herbae e cantus, carmina et venena” sono gli strumenti di chi opera la magia.

L'etimologia linguistica della strega, tuttavia, rimanda a caratteri di saggezza: witch in inglese deriva da wicca, saggia, mentre sorciere in francese rimanda a sortilega, colei che sa interpretare il destino. Saga in latino identificava la maga e l'indovina, mentre strix assume i caratteri nefasti dell'uccello rapace notturno.

Le donne sono sempre state curatrici, anche se la loro attività è stata spesso osteggiata, come ci ricorda Igino, quando narra l'episodio di Agnodice che celò la sua identità dietro abiti maschili, un'ostilità che si ritrova anche nel caso di Jacqueline Felicie de Almania nel 1322, processata perché sprovvista di licenza ma stimata da molti.

Nel Rinascimento, si ha l'inasprirsi delle condanne e delle torture, soprattutto nei confronti delle guaritrici, perché viene condannata la medicina popolare che si discostava dalla medicina ufficiale professata dai Dottori; molte donne, esperte nelle erbe, preferirono darsi la morte piuttosto che affrontare un ingiusto processo e torture indescrivibili.

L'ultima parte del libro si incentra sulle biografie di alcune guaritrici: ognuna di loro rivela particolari interessanti, come Gabrina, che stregò il poeta Ariosto, Benvegnuda Pincinella che univa preghiere cristiane a rituali con la ruta, Clara Botzi, levatrice che parlava con le piante...

A chiudere la trattazione alcune delle erbe che ricorrono nella medicina delle streghe come l'aconito, la cicuta, l'elleboro, la mandragora, ma anche piante meno pericolose come la camomilla, la malva, la menta, il finocchio.

Un libro che colma una lacuna bibliografica e che unisce l'immaginario antico a quello moderno, valorizzato anche dalle immagini di dipinti ed erbari antichi.

 

 

 

ERIKA MADERNA

“Per virtù d'erbe e d'incanti: la medicina delle streghe”

Aboca 2018

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FRANCESCA SERRA - Le donne aprono il cielo. Sulle tracce di Ildegarda di Bingen

Domenica, 25 Marzo 2018 01:55

“Questo libro nasce come una lunga lettera d'amore” afferma l'autrice nella prefazione, una lettera d'amore verso Ildegarda ma ancor di più verso il potere di trasformazione declinato al femminile.
Parola chiave attorno a cui ruota il pensiero di Ildegarda è la viriditas, termine mutuato dalla botanica, è la forza che si cela nella pianta prima di diventare verde, “la viriditas è movimento, è parola, è sangue del sangue delle nostre madri e delle nostre nonne ”; è alla viriditas che dobbiamo e possiamo attingere per ritrovare la creatività e la guarigione.
Una verità verde, germogliante, desiderante, che troppo spesso viene soffocata da una orizzontalità narcisistica, da una “trama del pensiero unico” che appiattisce piuttosto che elogiare alla differenza: “abbiamo voltato le spalle al bosco per non sporcare un paio di scarpe nuove e stringate”.
Se si voltano le spalle alla viriditas ben presto busserà alla porta il sintomo, il “male a dire”, la malattia. Ma la stessa malattia può rivelarsi segno iniziatico, apertura di una via di conoscenza. Ildegarda, infatti, è ricordata anche per i suoi trattati di erboristeria e alimentazione, nei suoi trattati c'è un'attenzione alla cura nei suoi molteplici aspetti, un percorso di guarigione e consapevolezza indirizzato alla ricerca della causa primaria, anticipando le scoperte della psicosomatica.

Il libro tratteggia con affetto la figura di Ildegarda sin dalla giovinezza, ma amplia i resoconti con accostamenti unici e contemporanei: interessanti gli appunti sull'infanzia che spaziano da Dolto, alla pedagogia nera, passando per i costumi degli aborigeni australiani.

Nella ricerca del proprio “daimon” dobbiamo fare i conti anche con gli antenati,con il sistema familiare, con i nodi da sciogliere “mettendo in atto” i conflitti, così come accade nelle costellazioni familiari.

La scrittura per Ildegarda è autocoscienza, accesso ai propri mondi interiori e all'indicibile, la scrittura si fa alchimia , rito, “liturgia femminile di redenzione”. Oltre all'inchiostro, la liturgia femminile comprende l'erborizzazione, la raccolta delle piante curative, e Ildegarda usciva scalza per unire raccolta e preghiera.
“La scrittura e la pratica erboristica si nutrono degli stessi processi investigativi e immaginativi della composizione musicale e pittorica”: comporre una tisana è un atto di devozione personalizzato. Ma non solo dalle piante Ildegarda raccoglieva la forza vitale, nei suoi medicamenti erano compresi anche i minerali, i cristalli.

“Sibilla del Reno” così viene definita Ildegarda: ricerche etnologiche confermano una linea (anche geografica) che unisce i culti della Sibilla in Italia a quelli della Vergine: un inserto interessante che l'autrice indaga e amplia connettendosi al potere taumaturgico della parola che salva, quando viene tirata fuori dalle profondità :“parlare, pregare, sibilare i salmi significa dunque aprire le porte e le vie”, e Ildegarda si fa sibilla di se stessa.

“Aprire il cielo” richiama l'opera delle “segnatrici” galiziane, donne del popolo capaci di guarire attraverso gesti e invocazioni antiche dette appunto “aberturas”.

Un libro che sa accarezzarti come una poesia, ma anche scuoterti come una favola antica, e quando si chiude l'ultima pagina, si ha la consapevolezza che ogni passo futuro sia verso la viriditas, la forza che fa germogliare.

FRANCESCA SERRA
Le donne aprono il cielo
Sulle tracce di Ildegarda di Bingen
San Paolo 2018

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MARTIN LUTERO – RIBELLE IN UN’EPOCA DI CAMBIAMENTI RADICALI

Sabato, 03 Marzo 2018 17:21

Sulla figura e sull’opera di Martin Lutero, da sempre gli storici hanno formulato giudizi contrastanti: per alcuni avrebbe incarnato l’animo torbido della sua gente e della sua epoca e sarebbe stato vero e proprio figlio dell’angoscia teutonica di fronte al timore della fine della storia terrena; per alcuni (come il Denifle), poi, sarebbe stato un monaco abietto, fortemente passionale e presuntuosamente privo di umiltà, oppure un nevrotico, totalmente assorbito dalle sue imprese e incapace della più elementare pratica religiosa (Maritain e Grisar); per altri (Lortz e Adam), invece, la sua personalità sarebbe caratterizzata dal sentimento della propria nullità, da una sincera consapevolezza della realtà del peccato e da un forte senso della carità cristiana. Per altri ancora, sarebbe stato una sorta di superuomo, a seconda dei casi, protonazionalista o protomarxista, mentre per Giovanni Paolo II avrebbe fornito, grazie alla sua profonda religiosità e al suo bisogno di verità, un positivo contribuito al radicale cambiamento ecclesiale e secolare.

 

Sta di fatto, comunque, che, fino alle soglie del Concilio Vaticano II, nel mondo cattolico è prevalsa in maniera schiacciante l’immagine proposta da Leone X, quella del cinghiale, cioè, invasore e devastatore della vigna di Cristo, simbolo pertanto di eresia, di morbosità e di fanatica arroganza. Ma molto è cominciato a cambiare soltanto grazie alla Unitatis Redintegratio (Restaurazione dell'Unità), il decreto sull’Ecumenismo a firma di Paolo VI (1964), in cui si sostiene la necessità, da parte cattolica, di riconoscere e stimare i valori veramente cristiani presenti fra coloro che si inizierà, da lì in poi, a chiamare “fratelli separati”, quali, in particolar modo:

l’ anelito verso una religiosità più pura ed intima;
il senso del mistero davanti a Dio;
l’ austerità di vita, il culto e la frequente lettura della Scrittura;
l’ importanza attribuita alla grazia;
la partecipazione più attiva alla liturgia;
la maggiore coscienza del sacerdozio dei fedeli;
l’ incremento dato agli studi storici e della Scrittura.

 

E certamente di grande efficacia è risultata, nell’anno del cinquecentenario della nascita (1983), la copertina a lui dedicata dal Time, con la dicitura: “Lutero – un giovane di 500 anni”. Iniziativa salutata con compiaciuta soddisfazione da molti suoi estimatori, fra cui Paolo Ricca, il quale poté affermare che, dopo mezzo millennio sulle spalle, nessuno era ancora riuscito a relegare il monaco agostiniano “nel museo della storia.” Scomuniche, maledizioni ed anatemi abbattutisi per secoli su di lui, infatti, non lo hanno affatto indebolito. E la Chiesa, anzi, ha dovuto inesorabilmente arrendersi all’evidenza:
“Lutero non lo si può ridurre al silenzio con un atto d’autorità, e non basta censurarlo: con lui bisogna confrontarsi, quindi dialogare.” (Il Messaggero, 9 nov.1983).

 

Tant’è vero che, ad un Convegno promosso lo scorso anno dalla Pontificia Università Lateranense per celebrare l'anniversario dell’inizio della Riforma (1517-2017) , monsignor Galantino è giunto ad affermare che "La Riforma avviata da Martin Lutero 5 secoli fa è stata un evento dello Spirito Santo”! E papa Francesco, in più circostanze, ha avuto modo di pronunciare parole di elogio nei confronti del monaco ribelle, invitando tutti ad “abbandonare gli antichi pregiudizi” in nome di una maggiore onestà storica.
E proprio nello scorso anno non sono certo mancate le pubblicazioni in grado di favorire l’ auspicato punto di vista maggiormente povero di apriorismi faziosi e maggiormente ricco di conoscenza rigorosamente documentata. All’interno di questa vivace fioritura editoriale, merita senza alcun dubbio un posto di centrale rilevanza il Martin Lutero di Heinz Schilling, pubblicato dalla torinese Claudiana, una corposissima biografia edita in Germania nel 2012 (dove è già uscita in quarta edizione) e tradotta in molti paesi, frutto di lunghi anni di studi, efficacemente testimoniati dalla monumentale bibliografia di ben 31 pagine.
L’autore è un importante storico tedesco, già presidente del Verein ed editore dell’Archiv für Reformationsgeschichte (Archivio per la storia della Riforma) il quale, ad un’attenta e approfondita conoscenza degli scritti luterani (anche quelli meno conosciuti e celebrati) affianca una vasta ed ariosa conoscenza del mondo politico-sociale e dell’ambiente culturale dell’epoca in cui si è prodotta la straordinaria vicenda teorico-pratica della Riforma. Il carattere spiccatamente indipendente della sua ricerca e della sua scrittura (fermamente difeso da Schilling) fa di quest’ultimo suo lavoro (lontanissimo da sbavature ideologiche e da intenti di carattere apologetico) un’ opera di grande e indiscutibile pregio.

 

"Nel corso dei secoli - leggiamo, a questo proposito, nel Prologo - l'uomo di Wittenberg è stato ritratto come il precursore di ogni singola epoca e come l'antesignano dei tempi moderni. Negli anniversari del passato ogni generazione si creò il proprio Lutero: nel 1617, alla vigilia della Guerra dei trent'anni, emerse la figura del Lutero combattente, che doveva difendere il mondo protestante in pericolo contro la controrivoluzione dei «romanisti»; nel 1717, all'epoca della nascente tolleranza e del secolarismo dell'illuminismo, si impose assai più il Lutero mite e aperto al mondo; nel 1817 e 1917 il Lutero nazionale, eroe della grandezza religiosa dei tedeschi e scudo contro l'inforestierimento dell'Occidente da parte di una civiltà romana accusata di essere superficiale e scialba. Con la figura storica di Lutero tutto ciò ha ben poco a che fare: ciò che i comitati preposti a queste celebrazioni festeggiavano era lo «spirito dei tempi».
"È tempo di rompere questo culto della memoria e di rappresentare Martin Lutero, il suo pensiero e le sue azioni, così come quelle del suoi contemporanei, per ciò che esse sono, in primo luogo e soprattutto, per noi oggi testimoni «di un mondo, che abbiamo perduto» o, meglio, che non è più il nostro e che, perciò, ci obbliga a confrontarci con qualcosa che è estraneo e del tutto diverso. Lutero pensava e agiva come un «uomo tra Dio e il diavolo» ed è pertanto necessario renderlo comprensibile al mondo contemporaneo, che non conosce più il diavolo, e Dio soltanto (semmai) in immagini che sarebbero risultate incomprensibili all'uomo di Wìttenberg".

 

Schilling ha saputo donarci, quindi, un’opera capace di restituirci l’uomo Lutero nella sua piena e sfaccettata personalità, con i suoi dubbi, i suoi timori, le sue ansie, le sue passioni, i travagliati percorsi di maturazione del suo pensiero e le sue scelte teologiche e politiche. Il tutto con una pittorica abilità nel collocare sempre il suo cammino umano e speculativo all’interno dell’ingarbugliatissimo periodo storico, fatto di innumerevoli fratture, innovazioni ed immani tragedie.
Qualche critico ha ritenuto opportuno sottolineare che il suo finisce per essere molto più un libro di storia piuttosto che di teologia. Osservazione senz’altro sensata, ma non certamente da intendere come un difetto. Il ciclopico e drammatico affresco costruito da Schilling ha il pregio di riuscire a tuffarci, con grande passione e ricchezza di informazione, all’interno del mondo in cui Lutero ha portato avanti il suo progetto riformatore, permettendoci di scoprire, della sua personalità e della sua vita, una colorita gamma di aspetti assai poco noti. A chi volesse poi penetrare maggiormente nei meandri delle problematiche teologiche affrontate nel corso di un’intera vita, non resta che inoltrarsi nella lettura delle opere di Martin Lutero (a cominciare, direi, dalle Resolutiones*), oppure in quella di studi di carattere più specialistico, come, primo fra tutti, il brillantissimo saggio di James Atkinson, Lutero - la parola scatenata (Claudiana editrice, Torino 1982).
Degna di essere evidenziata, infine, è sicuramente la gradevole ed elegante veste grafica.

*http://www.flipnews.org/flipnews/index.php?option=com_k2&view=item&id=6081:le-resolutiones-il-commento-di-lutero-alle-95-tesi-di-wittenberg

 

Indice testuale:


Prologo


Parte prima. Infanzia, studio e primi anni di monastero (1483-1511)
1483. La cristianità in fermento
Infanzia e giovinezza
Crisi e rifugio in monastero
Parte seconda. Wittenberg e gli inizi della Riforma (1511-1525)
Wittenberg
Eleutherios – La nascita del Lutero libero
Il Riformatore L’autoaffermazione nei confronti di chiesa, imperatore e impero
Comincia il lavoro del carrettiere
La lotta in campo protestante per imporre l’autorità della propria interpretazione
Nel mondo: matrimonio, famiglia, gestione domestica
Parte terza. Tra coscienza profetica e fallimenti terreni (1525-1546)
Rinnovamento evangelico di chiesa e società
«Ma noi cristiani ci troviamo ad affrontare un’altra battaglia». Di fronte alle sfide del mondo
Emozioni in conflitto. Tra gioia di vivere sottomessa alla volontà di Dio e ansie apocalittiche
Morire in Cristo. «Siamo dei mendicanti. Questo è vero»


Epilogo
Lutero e l’Età moderna: la dialettica tra fallimento e successo

 

 

Martin Lutero

Ribelle in un’epoca di cambiamenti radicali

Heinz Schilling

pagg.608, € 39,50
Claudiana

www.claudiana.it

 

 

 

 

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GENEVIEVE VAUGHAN - Economia del dono materno

Lunedì, 05 Febbraio 2018 19:09

kfiuii“Nella vita di ogni essere umano è incorporato il modello materno dell'economia del dono”

Genevieve Vaughan, filosofa e femminista americana, autrice dei libri “Per-donare. Una critica femminista dello scambio(Meltemi, 2005) e di “The Gift in the Heart of Language: the maternal source of meaning” (Mimesis International, 2015) concentra in in questo saggio i passi essenziali del suo pensiero.

Il patriarcato soggiace ad atteggiamenti ripetuti che vengono ritenuti normali, atteggiamenti che si ritrovano nello stato, nella religione, nelle università, ma soprattutto nel mercato.

Al lato opposto del patri-mercato si colloca l'economia del dono: il dono non è una merce, pertanto non è investito di valore; il dono non è scambio perché lo scambio ha bloccato il dono unilaterale e ha aperto la porta verso la trasformazione dei doni in profitto: il dare per ricevere qualcosa in cambio, infatti, nasconde come unica mira il «dono di profitto». L'economia di scambio crea, dunque, mancanza di risorse e porta alla disuguaglianza.

La bestia imperialista occidentale ha predato e messo in vendita anche l' acqua, l'aria, i semi, i geni.

Da quale pulsione nasce questa predazione? Dal desiderio di essere il primo, l'uno, concetto estendibile anche alle nazioni. Una struttura piramidale che si delinea già nella famiglia patriarcale, dal padre si estende alle figure religiose e che ha come conseguenza l'atomismo sociale dell'homo economicus che dà senza donare.

“Come specie noi siamo homo donans, homo materno. Il patriarcato e il mercato sono state delle deviazioni antimaterne che attraverso la loro logica dannosa ci hanno portato fuori strada”.

Tuttavia frammenti di economia del dono sopravvivono e si ibridizzano nel contemporaneo: basta pensare alle forme di volontariato o di attivismo politico. (la stesa autrice ha dato vita alla “Foundation for a Compassionate Society” fondazione composta da donne che si è occupata di antinucleare, pace, antirazzismo...).

In principio c'era l'economia delle madri, gratuita e tesa a soddisfare bisogni, basata sul valore distributivo e qualitativo, un'economia relazionale che implica il valore dell'altro, una sfera economica che vive e struttura le prime fasi di vita del bambino.

Per secoli è stato l'ordine simbolico del padre a imperare mentre quello della madre non è stato elaborato collettivamente (in riferimento al libro da tempo fuori commercio di Luisa Muraro “L'ordine simbolico della madre”).

Uno spunto interessante si riferisce all'inclusione nella comunicazione verbale all'interno del sistema del dono materno:

Dal latino “munus”, dono, derivano sia “comunità” che “comunicazione”: che cosa mettiamo in atto quando comunichiamo? Doniamo parole e discorsi affinché altri possano riceverle. Chomsky aveva parlato di una “grammatica universale” data dai meccanismi di base del linguaggio che sono innati; tale linguaggio viene potenziato dalla comunicazione materna e dalle relazioni.

La cultura diventa natura: le cure materne sono incorporate nella fisiologia del cervello del bambino. Se alla base c'è il dono e la madre, conclude l'autrice, “le interazioni del dare e ricevere costituiscono il substrato per la nostra esperienza in generale”.

 

GENEVIEVE VAUGHAN
Economia del dono materno
Castelvecchi 2018

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E SE PROVASSIMO DAVVERO AD ESSERE FELICI?

Giovedì, 25 Gennaio 2018 17:22

 igyiiuPensa a tutta la bellezza intorno a te, e sii felice!

                                                                                             Anna Frank

        Paola Giovetti, vulcanica indagatrice dei misteri dell’anima, dopo innumerevoli articoli e saggi dedicati ad una gamma vastissima di problematiche, che vanno dalle biografie dei grandi “Iniziati” alle esperienze in punto di morte, dagli studi sugli Angeli a quelle sullo sconfinato campo del paranormale, ecc., ci regala ora una Piccola antologia della felicità, un rilucente scrigno traboccante di tanti piccoli e grandi tesori di saggezza, una vera miniera di insegnamenti per leggere la nostra esistenza in maniera positiva e costruttiva, per affrontare i suoi ineliminabili scogli con la forza di un sorriso che nasce dal profondo. La sua è una antologia “piccola” sì, ma assai ricca e ben ragionata, che, prendendo le mosse dal mondo greco-romano (con particolare attenzione alla filosofia stoica ed epicurea), arriva ad abbracciare personaggi del mondo moderno e contemporaneo, come Pietro Verri e l’amatissimo Goethe *, Tolstoj e Maria Montessori (altro suo grande amore), chiamando in causa anche intellettuali del nostro XX secolo meno noti e ingiustamente trascurati e dimenticati, come Nino Salvaneschi e Angelo Fortunato Formiggini.

     Un itinerario filosofico, il suo, che non nasce certo da semplici intenti eruditi, bensì da un desiderio forte e sentito di offrire al lettore semi di luce e fiori di speranza, al fine di aiutare, attraverso le grandi esperienze spirituali del passato, a comprendere di più, a vedere più in profondità, ad elaborare salutari strategie per affrontare il “male di vivere” senza mai rinunciare alla dimensione della gioia, senza mai abbandonare la capacità di dare più sapore ai nostri giorni, senza mai perdere la fiducia nelle nostre reali possibilità di rendere migliori il nostro cuore e il cuore del mondo.

       “E’ vero - leggiamo alla fine della Premessa – che la vita riserva difficoltà e dolori che prima o poi colpiscono tutti, ma è anche vero che da ogni situazione c’è modo di emergere, che ogni condizione – anche la più umile – cela in sé aspetti apprezzabili, che la ricchezza interiore dell’essere umano è potenzialmente tale da renderlo capace di occuparsi sempre e comunque del benessere della propria anima e di quella del suo prossimo e, come diceva Epicuro, di far sua la felicità.” (p.10)

     Molte le pagine indimenticabili racchiuse in questa antologia. Molti i consigli e i suggerimenti preziosi, e molti gli aneddoti, le curiosità, le riflessioni gravide di una sapienza senza età, senza parrocchie e senza bandiere.

Bellissime, in particolare, le parole con cui si apre il capitolo dedicato a Maria Montessori, parole che credo esprimano in maniera efficacissima la sostanza profonda ed autentica della filosofia di vita di Paola Giovetti, infaticabile entusiasta ricercatrice che sempre continuerà ad amare e a far amare la vita, scandagliandone i suoi infiniti misteri:

    “Credo che non esista felicità maggiore di quella di chi sa di lavorare per un mondo migliore.” (p. 125)

Paola Giovetti

Piccola antologia della felicità

Edizioni Mediterranee

INDICE

Premessa

  • La felicità dei filosofi
  • La felicità dei popoli
  • La felicità dei consacrati
  • La felicità degli illuministi
  • La felicità dei pessimisti
  • Johann Wolfang Goethe: massime per essere felici
  • L'inno alla gioia: la felicità dell'artista
  • La felicità eroica
  • La felicità che libera dalla paura: il nome della rosa di Umberto Eco
  • La filosofia del ridere di Angelo Fortunato Formiggini, "uno dei meno noiosi uomini del suo tempo"
  • Maria Montessori: la felicità di lavorare per un mondo migliore
  • La felicità dei giovani e quella dei vecchi

Qualche parola di conclusione

Bibliografia

Autrice

Paola Giovetti, nata a Firenze, risiede a Modena. E' laureata in lettere ed ha svolto attività di insegnamento coltivando al tempo stesso l'interesse per le tematiche di confine. Da alcuni anni si dedica esclusivamente alla ricerca e alla divulgazione in questo campo. E' redattrice di "Luce e Ombra", la più antica rivista italiana di parapsicologia, e svolge anche su riviste a larga diffusione la sua attività giornalistica. Paola Giovetti ha partecipato a programmi radiofonici e televisivi e a numerosi congressi, sia in Italia che all'estero.

*http://www.flipnews.org/flipnews/index.php?option=com_k2&view=item&id=5765:g

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LIV STROMQUIST IL FRUTTO DELLA CONOSCENZA

Lunedì, 15 Gennaio 2018 03:21

e13895d662c3da6c0f371646a88bd086 SUn libro fumetto sulla vulva. Ebbene sì, la disegnatrice svedese femminista in questo libro affronta l' argomento da un punto di vista “nuovo” e irriverente.

La sua denuncia comincia proprio dagli uomini che si son dedicati (sin troppo) all'organo femminile, svalorizzandolo e penalizzandolo, come Kellogg (sì, l'inventore dei cornflakes), medico ossessionato dall'impedire la masturbazione femminile elencandone gli effetti patologici, passando per Sant'Agostino, fino ad arrivare a barone Cuvier con le sue teorie razziste sull'equivalenza tra grandi labbra e sessualità dirompente, quindi immoralità nefasta.

Uno spazio vuoto a forma di “V”: in questo modo la vulva è stata raffigurata. Un vuoto che nel tempo non poteva non traslarsi su un piano psicologico, andando ad avvalorare la tesi espressa nel prezioso libro di Marina Valcarenghi “L'aggressività femminile”: la donna che si sente “mancante” colma questo vuoto con l'aggressione (e non con l'aggressività, istinto naturale positivo).

Una confusione semantica ha attraversato i secoli: la vulva non è la vagina. La vulva è l'esterno dell'organo sessuale femminile, la vagina è l'interno. L'autrice sottolinea come si è sempre parlato di “vagina” dimenticando la parte esterna, la vulva, un'assenza non senza ripercussioni psicologiche come sottolinea la psicologa Harriet Lerner.

Ma “c'era una volta” un tempo che non nascondeva la vulva: così l'autrice ci accompagna nella scoperta del mito classico di Baubo o dei riti egizi in onore di Bastet, nei quali la vulva era investita da un ruolo magico e potente. Essa torna a mostrarsi nella scultura medievale proprio nelle chiese con funzione apotropaica, mentre, procedendo indietro nei secoli, arriviamo fino alle iconografie della cultura matrifocale catalogate e studiate da Marija Gimbutas.

Da una condizione di inferiorità dettata dall'assunto fisiologico del “buco” o del “pene mancato” la condizione della donna ha visto una eradicazione della sua sessualità: a farne le spese soprattutto la masturbazione, attività “inappropriata” per la donna adulta (ad essere determinante era solo l'orgasmo raggiunto con la penetrazione maschile). Tra il 1900 e il 1950, infatti, la parola “clitoride” fu nominata pochissimo e le dimensioni di quest'organo furono scoperte solo nel 1998.

Di forte oscurantismo è stato oggetto la mestruazione, tanto da essere diventata un tabù, e lo è tutt'ora (l'autrice elenca le parole usate nelle pubblicità degli assorbenti), mentre nell'antichità era un evento sacro in ogni suo aspetto.

L'ultima parte del libro prende in rassegna la fase pre-mestruale con annotazioni interessanti come: “l'antropologa Emily Martin ha mostrato come la discussione sulla sindrome premestruale sia diminuita nei periodi in cui la forza lavoro delle donne era necessaria, ad esempio durante le guerre, per poi tornare in voga nei periodi in cui voleva che le donne fossero casalinghe”. Insomma uno sguardo a parte merita il meta-discorso storico sugli aspetti del femminile, che è orientato sempre e comunque da obiettivi maschili.

Attraverso le illustrazioni (che richiamano la matita della Satrapi) l'autrice ci regala un libro molto utile (soprattutto alle adolescenti di oggi) e capace di legare aneddoti, storia e prese di posizione in modo mai scontato.

 

 

LIV STROMQUIST
IL FRUTTO DELLA CONOSCENZA
Fandango 2017

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Miguel Benasayag e Gerard Schmit “L'epoca delle passioni tristi”

Mercoledì, 27 Dicembre 2017 21:30

dfgdFilosofo e psicanalista di origine argentina, il libro di Benasayag non smette di essere attuale.

Edito in Francia nel 2003 il libro affronta la “crisi nelle crisi” : ovvero la crisi sociale nella quale si incastra e si alimenta la crisi personale dell'individuo con particolare attenzione all'età delle passioni, quella adolescenziale.

Il positivismo di fine Ottocento era animato da una sorta di messianesimo scientifico, che assicurava un domani luminoso e felice grazie ai progressi della scienza ; la rottura dello storicismo teleologico enfatizzata dal motto del “posso tutto” ha portato al crollo delle promesse e alla crisi del principio di autorità.

Non si crede più nel genitore, nel maestro, nel professore, un'autorità/ anteriorità ripudiata come valore,e percepita come limite.

La mancanza di un futuro come promessa non conferisce ai genitori e agli insegnanti l' autorità di indicare la strada.

Il desiderio si spegne in voglia, e il futuro da promessa si volge in minaccia.

Minaccia che si traduce già nel percorso scolastico in “se non ti impegni in un percorso di studi concreto non avrai lavoro”: l'utile soppianta il piacere, e il daimon, la vocazione,come la descrive Hillmann nel “Codice dell'anima” si nasconde nel corpo per farsi sintomo.

Come rapportarsi dunque ad un adolescente che in psicoterapia è un “produttore di sintomi”?

Cercando di non incasellarlo in griglie diagnostiche, attuando una “clinica della situazione” e andando a nutrire il desiderio, quella pulsione epistemofilica che sin dall'infanzia caratterizza il genere umano, pulsione di scoperta, ossigenata dalla curiosità e caratterizzata anche dal non sapere dove porterà il percorso.

Un testo essenziale per chiunque operi in ambito educativo, un punto di vista filosofico e psicologico per provare a recuperare la “passione gioiosa” della vita e della scoperta.

 

Miguel Benasayag e Gerard Schmit
“L'epoca delle passioni tristi”
Feltrinelli

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Non sono 007, le verità nascoste - Hamid Masoumi Nejad

Martedì, 21 Novembre 2017 07:20

NON SONO 007 la copertina nov 2017 جلد کتاب photo 2017 11 20 17 13 15Mercoledi 22 nov 2017. Non sono 007 – Le verità nascoste, è il titolo del libro verità di Alessandra Mulas, giornalista e scrittrice che ha raccolto la storia di Hamid Masoumi Nejad, giornalista iraniano, corrispondente della Radio Televisione iraniana Irib, arrestato in Italia nel 2010 con accuse gravissime. Hamid è un uomo molto riservato, convinto di riuscire subito a dimostrare la sua innocenza; passano  invece sette lunghi anni in cui comunque lui mantiene un “religioso” silenzio nel rispetto delle indagini da parte dell’apparato giudiziario dal quale spera di ottenere giustizia. L’autrice analizzando gli elementi sino ad allora conosciuti con sapiente attenzione è riuscita ad ottenere una intervista in esclusiva dalla quale emergono molti aspetti della vicenda che danno una visione nuova dei fatti.

«Ho ripercorso con lui quel lontano passato, rileggendo tutta la documentazione che lo riguarda circa le accuse che gli erano state attribuite, ossia di far parte di una organizzazione che aveva posto in essere una serie di fatti illeciti tra cui quella di spionaggio “di alto livello”». Dice l’autrice che su quest’ultimo aspetto riesce a costruire la trama reale di una storia che merita davvero di essere raccontata attraverso la lente specifica dell’accusato che, dopo essere stato arrestato e tenuto in isolamento ai limiti del rispetto dei diritti umani, per un tempo infinitamente lungo, ha elaborato pensieri ed emozioni che finalmente trovano spazio in questo libro, che evidenzia la tragedia di chi si sente innocente ed è costretto a misurarsi con la crudeltà di un carcere triste ed impietoso. Ancora oggi le ripercussioni di questa pendenza  producono effetti nella vita del reporter, il processo è ancora aperto e continua a essere rinviato adducendo ai più disparati motivi.

photo 2017 11 20 10 19 16 
 Hamid Masoumi Nejad

Tra le altre, poco tempo addietro, la unilaterale chiusura del suo conto  corrente storico, da parte della Banca Nazionale del Lavoro, senza evidenti motivi, mentre la Banca Popolare di Sondrio, che collabora con le Banche iraniane da tanti anni, gliene ha negato l’apertura di uno nuovo, per motivi che ad oggi nessuno ha saputo spiegargli.

Hamid Masoumi Nejad nonostante tutto è rimasto in Italia e continua a fare il suo lavoro di corrispondente, molto amato nel suo paese dove viene riconosciuto e trattato come una vera star. A dir il vero anche in Italia gode di una certa fama e trova il consenso di tanti colleghi della stampa italiana ed estera, come possiamo riscontrare in interventi che alcuni di loro si sono prestati a rilasciare per descrivere un personaggio dalla trama tanto complicata ed interessante allo stesso tempo.

Oltre all’intrigante e rocambolesco racconto del reporter all’interno di questo saggio ci si può inoltrare nelle vicende della Rivoluzione Islamica dell’Iran, guardandola per la prima volta attraverso gli occhi di una occidentale che photo 2017 11 20 10 18 56posiziona il suo obiettivo dalla parte del popolo che ha vissuto quello scorcio di storia e che, dopo circa quarant’anni, continua a tutelare la propria identità e a difenderne i valori che ne hanno ispirato i principi e che hanno poi portato alla fondazione della Repubblica Islamica come la conosciamo oggi.

Un libro completato da tante foto raccolte dall’autrice nel lungo periodo che ha dedicato alla ricerca e comprensione di una verità che però ancora attende di essere attestata dalla giustizia italiana.

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“LA LUCE DELL’ IMPERO” L’ULTIMO EPICO ROMANZO DI MARCO BUTICCHI PRESENTATO A ROMA

Giovedì, 09 Novembre 2017 04:57

IMG 74691Un altro tour di grande successo quello di Marco Buticchi che, nei giorni scorsi, alla libreria “Nuova Europa” di Roma è stato accolto con estremo calore dai suoi molti appassionati fans. Un entusiasmo che ha accompagnato tutte le tappe, nelle principali librerie italiane, nelle quali il nostro “Maestro dell’avventura” ha presentato “La luce dell’Impero”, un volume già avviato al successo come tutti i precedenti. E forse … anche di più.

Anche questa volta Marco Buticchi, riesce a trascinarci nella vorticosa, rutilante atmosfera che sempre sa creare nei suoi straordinari “racconti d’avventura”.

E “rutilanti” più che mai sono i passaggi – tra il XIX secolo e i giorni nostri - che tessono le trame di un romanzo che sembra percorso dalle fiamme degli inferi. Bagliori sinistri, emanati da una preziosissima e maledetta pietra la cui violata sacralità provocherà una serie di eventi e di vendette, che colpiranno ciecamente colpevoli ed innocenti, scatenate dalla mostruosa sete di potere e di ricchezza di esseri malvagi ed immorali.

Una ricerca approfondita quella di Marco Buticchi, tra precisi riferimenti storici puntigliosamente documentati e intrecciati con cura al costrutto della sua creativa fantasia.

Sullo sfondo del romanzo i giochi di potere e le sottigliezze politiche che sempre hanno condizionato i destini dei popoli. La feroce inimicizia che contrappose Francia e Austria nel XIX secolo … ma che portò inaspettatamente – per volere di Napoleone III – il giovane Massimiliano d’Asburgo a diventare Imperatore del Messico terra di rivolte nella quale trovò morte violenta . Perché il giovane sovrano, amante della Natura e dell’Arte portò nella tomba il segreto sull’acquisto di due preziosissimi diamanti ? Perché la grande pietra - 33 carati denominata Maximilian II – porta con sé una maledizione capace di oscurare persino “La luce dell’Impero”?

Un salto tra tempo e spazio ed ecco ai giorni nostri l’eroe di sempre, Oswald Breil e la coraggiosa e bellissima compagna Sara Terracini, costretti - causa una inopportuna avaria al loro lussuoso yacht - ad approdare nel porto di Tijuana (Messico) dove si trovano coinvolti nelle pericolose indagini sull’assassinio di un giudice loro amico ad opera della criminalità organizzata. Oswald e Sara diventano i bersagli dei pericolosi cartelli della droga che non perdonano intromissioni nei loro affari delittuosi. E i nostri eroi questa volta rischiano veramente grosso.

Le loro sorti attanagliano la mente del lettore trascinandolo in un vortice di paura per le sorti di Oswald e Sara … ma anche per la consapevolezza che dalle pagine del romanzo esce la realtà di un presente inquietante.

Marco Buticchi, a pieno titolo riconosciuto “Maestro italiano dell’avventura”, con queste avvincenti pagine, dà al lettore un’ulteriore lezione di stile e cultura.

“La luce dell’Impero” – Marco Buticchi
–edizioni Longanesi - 438 pag.
- euro 18.60

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“In capo al mondo” - Intervista a FRANCESCA DOMINICI

Venerdì, 06 Ottobre 2017 00:27

copertina libro dominici newsFrancesca Dominici è una giornalista reatina che ha collaborato con diverse emittenti radiofoniche, televisive e uffici stampa. Collabora con il “Corriere di Rieti e della Sabina”. Questo è il suo primo libro.

“In capo al mondo” racconta tredici storie di persone diversamente abili che hanno fatto della loro “diversità” un trampolino di lancio verso un futuro tutto da inventare.

“Se fossi, se potessi” sono forme verbali soppiantate da un presente volitivo e deciso che i protagonisti hanno accolto nelle loro vite e fatto sbocciare: “posso farlo, voglio farlo”.

Francesca come nasce questo libro?

“In capo al mondo” è la risposta a quella che per molti sarebbe dovuta essere una domanda retorica: “ma dove vai?”. Ci aspetteremmo, come risposta, “da nessuna parte”. Invece ciascuna delle persone che sono dentro questo libro ha dimostrato che è possibile andare in capo al mondo, in capo al proprio mondo, che poi è un luogo terribilmente vicino, perché abita dentro di noi, nella nostra forza di volontà, in tutto quello che sappiamo tirare fuori di bello, anche e soprattutto nelle difficoltà. Io non mi sento autrice ma coautrice: ho ascoltato queste meravigliose persone raccontare le loro storie di vita e le ho tradotte in parole, mettendo al cuore le gambe per andare, spero, lontano. Sono andata in capo al mondo con Francesco, non vedente, che attraversa a bordo della sua bicicletta i passi delle Dolomiti, con Gabriele, affetto da sindrome di down, che è campione di hip hop, con Daniele, che non deambula e non parla, il quale mette le parole ai suoi amici di carta, i fumetti, sceneggiando le storie di “Topolino”. Ho scritto per custodire la loro esperienza, per bloccare e moltiplicare la bellezza che regalano. Sprecarla, la bellezza, è peccato mortale.

Come hai trovato le loro storie?

Una sera d’inverno, passeggiando sul fiume che attraversa la mia città, mi è venuta in mente Donatella. La sua storia è l’unica tra quelle che racconto che conoscevo già. Anni fa qualcuno le aveva detto che non ce l’avrebbe fatta a scrivere un libro. Invece Dona, aiutata da chi invece in lei ha creduto, ha trasformato decine di fogli protocollo scritti con la penna blu in un volumetto dal titolo “Specialmente io”. Pensando alla sua gioia nel vederlo pubblicato, mi sono chiesta quante persone che non conosciamo, che magari abitano sul nostro stesso pianerottolo, hanno vinto delle importanti battaglie, nella vita. Da quel momento non ho ancora smesso di contare. Donatella, insieme alla maggior parte dei protagonisti del libro, fanno parte di “Special Olympics”. Grazie a questa straordinaria associazione sono entrata in contatto con molti dei miei “ragazzi”.

Il tuo stile unisce poesia e cronaca, sai accarezzare con le parole creando attorno ad ogni storia il sospiro di una favola: quali scrittori e quali libri fanno parte della tua “biografia letteraria”?

C’è uno scrittore che amo particolarmente, Erri De Luca, che ha firmato la nota di accompagnamento del libro. Per Erri i limiti sono soglie calpestabili. I limiti esistono per essere abbattuti e ciascuno,

foto autrice
Francesca Dominici

nessuno escluso, ha i propri. Le persone che ho incontrato hanno messo allo specchio i miei deficit, lasciando a me la sensazione di essere diversa. Erri ha definito i protagonisti di “In capo al mondo” atleti della parola della felicità: “Tutti – ha scritto – sperimentano una felicità atletica”. Forse non esiste descrizione migliore. Loro sono, davvero, velocisti della vita.

Hai già in mente un prossimo libro?

Qualcosa in mente c’è. Storie, sempre storie vere, guardate da una angolazione particolare. Mi piace pensare che la vita sia un racconto a più voci.

FRANCESCA DOMINICI
“In capo al mondo"
Funambolo edizioni 2017

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Intervista all’ AUTRICE di “D”, ANGELA PROCACCINI: ”SONO VICINA ALLE DONNE, MI IMMEDESIMO NELLE LORO STORIE”

Giovedì, 05 Ottobre 2017 09:57

hjjjkjUna persona dalla forza straordinaria e dotata di una umiltà poco comune:dunque ,non è da tutti i giorni avere l’opportunità di confrontarsi con una Donna dalle qualità eccelse e dai grandi meriti che, con grazia e modestia, racconta di sé e del suo libro intitolato “D”, edito da Graus Editore e con la prefazione di Bianca Berlinguer. Ho avuto l’onore di poter intervistare per il quotidiano on-line “La Notte” la Prof.ssa e autrice

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Angela Procaccini

a seguito della partecipazione al talk show “Giudicate Voi”, in onda domenica sera,ore 20.00,ch. 274 d.t. Segue l’intervista.

“D”Un titolo apparentemente semplice che però riguarda una realtà complessa. Qual’ è il significato che ha attribuito a questa lettera?“Il titolo è emblematico,ho voluto mettere una sola lettera che fosse identificativa della Donna che è il perno attorno cui ruotano i sette racconti. “D”come dolore,dramma,disperazione ma anche dignità e determinazione aggettivi che connotano la donna, di oggi e di tutti i tempi .”

Ieri più di oggi,poiché la donna non sembra più disposta ad avvalorare la sua dignità. “Questo accade perché l’uomo non riesce ad accettare il fatto che la donna possa avere le sue stessa capacità ,non ha saputo reagire alla crescita della donna ma oggi ,più di ieri,l’uomo dovrebbe farsene una ragione.”

Mi ha appena detto che la partecipazione al talk show “Giudicate Voi” è stata per Lei un’ esperienza positiva. Quale dei sette racconti si avvicina più di altri al tema trattato,ovvero l’abuso sui minori? “Il bottoncino di madre perla bianca” è il primo dei sette racconti ed elabora la storia di un abuso sessuale. In ogni racconto comunque mi calo nella figura femminile come se stessi vivendo personalmente quel dramma,altrimenti non potrei parlarne con lo spirito giusto.”

Chi sono le protagoniste che hanno dato vita ai suoi racconti?”Sono tutte donne com’è chiaro,con caratteristiche differenti e soprattutto di diversa età e estrazioni sociali,accomunate da un dramma che ha segnato la loro vita. In particolare i lettori ,nel libro D,incontreranno :la diciottenne vanitosa, la ragazza anoressica, la bambina violata, la donna tradita, la donna sofferente per una scelta difficile, l’immigrata dalla Tunisia che esprime la sua odissea per mare… tutte, ripeto, tutte hanno profondità di sentire, esperienza di dolore, capacità di résilience, desiderio di riscatto e di rinascita, luce di amore. E variegato è anche il panorama di sentimenti che riempiono la vita di queste protagoniste: amore, solitudine, abbandono, violazione, ricordo, depressione, speranza, riscatto.”

 La Prof.ssa Procaccini si apre poi all’intervista parlando del suo immenso dolore,ovvero la perdita della figlia Simonetta Lamberti (Napoli, 21 novembre 1970 – Cava de’ Tirreni, 29 maggio 1982)  uccisa da un sicario della camorra nel corso di un attentato il cui obiettivo era il padre, il giudice Alfonso Lamberti, procuratore di Sala Consilina, con il quale stava rincasando in auto a Cava de’ Tirreni dopo una giornata trascorsa al mare. L’unico sopravvissuto del commando Antonio Piganataro aveva fatto riaprire le indagini confessando modalità, finalità e nomi degli esecutori materiali del delitto, tutti deceduti.

“La morte di Simonetta è stato un duro colpo. Nessuna madre al mondo dovrebbe poter provare una tale dolore. Non avevo idea di come affrontare la perdita di una figlia, pensavo che l’unico modo per uscirne fosse chiudermi in me stessa ed invece ho trovato nella scrittura una valida ancora di salvezza:la poesia mi ha aiutato tanto,consideravo quest’ultima come una valvola di sfogo perché in effetti

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Maria Parente  (a sin.) con Angela Ptrocaccini

non avevo elaborato il dolore poi gradualmente e con il passare degli anni,sono riuscita ad affrontarlo grazie all’amore dei miei figli e dei giovani con cui sono stata a contatto: essendo una insegnante,posso affermare di aver trascorso la vita tra gli adolescenti. Chi mi conosce percepirà quanto di me c’è in alcuni racconti. La scrittura per me è, oltre che catarsi liberatoria, anche un tentativo di preservare la memoria. Il racconto intitolato “La fontana del cortile” ,aiuterà i lettori a capire chi è Angela oggi e quanto perdita di Simonetta ha inciso sulla mia esistenza.”

 

 

Angela Procaccini si è resa protagonista di un gesto coraggioso ed esemplare accogliendo la richiesta di perdono che Antonio Pignataro le aveva rivolto prima con una lettera, poi incontrando la donna nell’udienza di apertura del processo.

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“VITA NOVA” di Arturo Mariani

Domenica, 01 Ottobre 2017 08:50

copertina vitanova Arturo Mariani è un ragazzo romano, del 1993, nato senza una gamba. E’ cresciuto con la passione per il calcio (attualmente è calciatore della Nazionale Italiana Calcio Amputati con cui ha giocato nel 2014 i Mondiali in Messico), e per la scrittura.

“Nato così”, pubblicato nel luglio del 2015, è il suo primo libro autobiografico nel quale descrive la sua vita, partendo ancor prima di nascere, quando era ancora nel grembo della madre. Un libro ricco di valori e di forza di volontà, di esperienze e incontri; un messaggio di vita e speranza.

Lo ha presentato in giro per l’Italia in scuole, università, diocesi, carceri, ospedali, eventi culturali e in televisione.

E’ stato chiamato per parlare del suo libro anche due volte a “Domenica In”, a Rai1 nella trasmissione “Si è fatta notte” con Maurizio Costanzo, Rai cultura, Rai sport, Rai Storia, TGRLazio, Tg2, Tg5, Tv2000 e tante altre partecipazioni in TV e radio.

Ha ricevuto diversi riconoscimenti, l’ultimo dei quali a dicembre 2016: “Premio Letterario Internazionale – Antonio Proviero”.

“Vita nova” è il suo nuovo e secondo lavoro editoriale. Un viaggio nella storia, nel tempo e nella vita di 13 personaggi, famosi e non. Il libro si snoda alla ricerca di quel fatidico punto X che ha generato un cambiamento radicale nel percorso di ogni singolo personaggio.

L’autore è andato ad incontrare e intervistare i protagonisti del libro in giro per l’Italia, toccando diocesi, zone terremotate, carceri, campi di calcio, ring, fondazioni.

Con ciascuno di loro è riuscito ad intessere un rapporto sereno e fiducioso, che ha spalancato la via a ricordi lontani e spesso mai raccontati, emozionanti e intrisi di sofferenza.

Il libro non è un insieme di biografie tantomeno una serie di interviste fatte in modo “classico”.

I protagonisti aprono il cuore e raccontano quei momenti “difficili” o “determinanti” della loro vita, emozioni e stati d’animo di un attimo ma che di fatto hanno determinato un’inversione dello scorrere della loro stessa esistenza.

Nel momento X non si sono persi, non si sono arresi, non si sono lasciati travolgere, e questo ha reso la loro vita “speciale”, in tutte le specifiche varianti umane in cui dopo verrà vissuta.

Nelle testimonianze si plasmano e si intrecciano armoniosamente le riflessioni dell’autore, pillole motivazionali che fanno di questo volume una scuola di cambiamento, di rinnovamento, di rinascita, rivolta a tutti, perché la vita “va accolta” nonostante tutto, perché anche nella “sofferenza c’è vita”, perché “ognuno può trasformare la sua vita in Vita Nova”.

Un viaggio incontrando:

Nino Benvenuti: 17/9/1970  KO contro Monzon, e fine della sua gloriosa carriera pugilistica;

Alex Zanardi: l’incidente del 15/9/ 2001, in cui perse entrambe le gambe;

Massimiliano Sechi: nato senza braccia e gambe;

Marco Morandi: l’eredità del figlio d’arte;

Stefano Starvaggi, calciatore nazionale amputati: 3/9/2015, inizia la lotta contro il tumore;

Angelo Licheri: 12/6/1981 il tentativo di salvare il piccolo Alfredino nel pozzo di Vermicino;

Luca Parmitano: il 18/5/2009 la notizia di aver vinto il concorso per diventare astronauta;

Renato Vallanzasca, ergastolano: il 6/4/1958 prima esperienza carceraria;

Francesca Catricalà, regista e sceneggiatrice: nata con la sindrome di Rockytransky;

Gloria Polo: il 5/5/1995, viene colpita da un fulmine e per alcuni minuti rimane senza vita;

Francesco Acerbi, calciatore serie A: 10/7/2013, il tumore;

Mons. Domenico Pompili, vescovo di Rieti: 24/8/2016, il terremoto di Amatrice;

Maria Falcone: 23/5/1992, l’omicidio del fratello Giovanni Falcone.

 

 

Ed. Albatros

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IL VIAGGIO SEGRETO DI GESU’ - E se un antico manoscritto ci rivelasse la sua vera vita e il suo vero messaggio?

Venerdì, 08 Settembre 2017 01:12

ghjkgfDi lui sappiamo pochissimo. Quel poco che sappiamo o crediamo di sapere è fragile e sfuggente. Ci sono persino coloro che sono arrivati a mettere in dubbio la sua effettiva esistenza storica, pensandolo come mero personaggio mitologico (uno dei tanti dell’antichità, né più né meno …). Quel poco che sappiamo di lui lo dobbiamo quasi interamente ai 4 Vangeli riconosciuti dalla Chiesa Cattolica che, però, essa stessa, in tempi recenti, preferisce definire “testimonianze di fede” piuttosto che opere di carattere storico.

Su chi sia veramente stato, sul significato della sua predicazione, sul perché, soprattutto, abbia dovuto affrontare una fine tanto atroce, su questo e molto altro ancora si continuano a scrivere libri non soltanto di teologia o storia delle religioni, ma anche di filosofia e letteratura. E sempre più, negli ultimi decenni, dopo gli straordinari ritrovamenti del Mar Morto e di Nag Hammadi, i ricercatori tendono a fare riferimento a quella immensa miniera di letteratura definita “apocrifa” e messa da parte dalla Chiesa costantiniana, agli innumerevoli testi, cioè, che, prima di cadere in disgrazia, furono, in qualche luogo e in qualche tempo, considerati sacri da gruppi di credenti . Alcuni di essi ci sono, più o meno parzialmente, pervenuti, ma di molti altri sappiamo soltanto il nome, di altri ancora, molto probabilmente nulla mai sapremo …

E la conoscenza crescente dei testi “apocrifi” (Vangeli, Lettere, Apocalissi, ecc …) ci consente di comprendere molto più chiaramente quanto sia stata accentuata, nei primi secoli della storia del cristianesimo, l’eterogeneità dei movimenti religiosi che si ispirarono alla vita e al messaggio dell’enigmatico maestro crocifisso.

Scrive, a questo proposito, Bart D. Ehrman:

   “Nel II e nel III secolo c’erano cristiani per i quali Dio aveva creato il mondo e altri convinti che questo mondo fosse stato creato da una divinità subordinata e ignorante (altrimenti perché il mondo sarebbe stato così pieno di dolore e difficoltà?); secondo altri, le cose stavano ancora peggio, perché il mondo era un errore cosmico creato da una divinità malvagia come luogo di detenzione per imprigionare gli umani e soggiogarli al dolore e alla sofferenza.

Nel II e III secolo c’erano cristiani che credevano che le Scritture ebraiche, denominate dal Cristianesimo “Antico Testamento”, fossero state ispirate dall’unico vero Dio, ma per altri erano state ispirate dal Dio degli ebrei, che non era l’unico vero Dio, e per altri ancora da una divinità malvagia; altri, poi, credevano che non fossero affatto ispirate.

Nel II e III secolo c’erano cristiani che credevano che Gesù fosse sia divino sia umano, Dio e Uomo (per loro, divinità e umanità erano entità incommensurabili: Dio poteva essere un uomo non più di quanto un uomo poteva essere una pietra). Altri affermavano che Gesù era un uomo interamente di carne e ossa unito a un essere pienamente divino, Cristo, che aveva temporaneamente abitato il corpo di Gesù nel corso della sua missione per lasciarlo subito prima della sua morte, ispirandone gli insegnamenti e i miracoli ma evitando le sofferenze finali.

Nel II e III secolo c’erano cristiani che credevano che la morte di Gesù avesse comportato la salvezza del mondo, mentre altri pensavano che la sua morte non avesse nulla a che fare con la salvezza del mondo e altri ancora dicevano che Gesù non era mai morto.” *

Poi, da tutto questo coloratissimo e vivacissimo calderone di concezioni filosofico-teologiche e di pratiche religiose, una fazione riuscì ad emergere e ad imporsi vittoriosa, dedicandosi, con alacre determinazione, a riscrivere l’intera storia delle secolari controversie, facendo apparire le proprie posizioni dottrinali (in realtà solo alcune delle tante) come quelle che, fin dall’inizio, per divino disegno, si erano affermate nella stragrande maggioranza delle comunità cristiane. E così, soltanto 4 Vangeli e altri 23 scritti furono accolti nel Canone dei libri ritenuti autenticamente ispirati da Dio (il cosiddetto Nuovo Testamento).

Tutti gli altri “vennero rifiutati, disprezzati, biasimati, attaccati, bruciati, poco meno che dimenticati: perduti.” **

Ma qualche altro eccezionale ritrovamento potrebbe - chissà - gettare nuova luce su quel mondo ancora tanto poco conosciuto e tanto pregno di misteri, equivoci, contrasti, travisamenti e falsificazioni, magari mettendo in difficoltà le posizioni (e il potere!) di coloro che hanno vinto e che tuttora si attribuiscono il titolo di unici veri eredi, seguaci e interpreti della parola e dell’opera salvifica di Gesù.

E se qualcuno entrasse in possesso di qualche pagina che ci narrasse tutto quello che Gesù visse prima della sua pubblica predicazione? E se da tale racconto scaturissero informazioni scomode e imbarazzanti per la Chiesa di Roma, tali da gettare nel panico le gerarchie pontificie e in un pericoloso disorientamento tutte le centinaia di milioni di fedeli nel mondo?

Una simile eventualità, nelle mani di un abile scrittore, potrebbe diventare, senza alcun dubbio, un romanzo assai suggestivo.

Adriano Cioci, intellettuale raffinato e grande esploratore di mondi lontani, ci ha provato, regalandoci la sua ultima pregevole opera:

Il viaggio segreto di Gesù. Alla ricerca del manoscritto che cambierà la storia (Il Segno dei Gabrielli editori, San Pietro in Cariano-Verona, novembre 2015).

Ne è uscito fuori, così, un romanzo solidamente e intelligentemente costruito, con personaggi di spessore, protagonisti di una storia avvincente, ottimamente collocata geoantropologicamente, supportata da gustosi elementi culturali e vivacizzata da non pochi coups de théatre.

Ma particolarmente apprezzabile risulta il messaggio etico-religioso che, seppur indirettamente ed evitando toni didascalici, viene offerto al lettore con la determinazione di una forte ed efficace dicotomia:

-          da una parte, una aspra e netta critica nei confronti della Chiesa in quanto istituzione, immersa nelle tenebre della brama di potere e di gloria, fonte di guerre in nome di Dio e di divisioni fra nazioni, madre di “ministri non illuminati” che, avendo “smarrito il significato e la pienezza della prima parola”, si sono trovati a scrivere “cose non vere”, a creare “dogmi fondati sulla bugia”, ad occultare la verità, a distruggere le testimonianze, ad ordinare esecuzioni, a dividere le genti, a deridere gli umili e i deboli, macchiandosi, così, “di ogni crimine”; (p.205);

-          dall’altra, invece, l’auspicio gnostico-teosofico di una religione universale capace di abbracciare popoli diversi, una religione senza purgatori ed inferni, imperniata sulla “semplicità, il bene, la fratellanza, la libertà del cuore” (p.208), il cui insegnamento principale sia quello dell’Amore e del Perdono, nella convinzione filo-origeniana e, potremmo ben dire, profondamente bergogliana

   “Che la natura di ognuno di noi si può cambiare, che il pentimento e la carità sono in grado di aprire le porte del paradiso.” (p.207)

 

 

 

*Bart D. Ehrman, I Cristianesimi perduti. Apocrifi, sette ed eretici nella battaglia per le Sacre Scritture, Carocci editore, Roma 2016, pp. 18-19

**ibidem, p.20

***Adriano Cioci, giornalista e scrittore è nato a L'Aquila nel 1953. Si è laureato in Lettere all'Università di Perugia con una tesi di argomento g ografico. E' autore di romanzi ("La prima estate", 1979 e "Pareti di carta", 1986), biografie ("Francesco d'Assisi", 1995), monografie, reportage, saggi, guide storico-artistiche e testimonianze.
La sua passione per le ferrovie ha trovato concretezza in undici volumi sulle linee del centro Italia.
Sue opere sono state tradotte in numerose lingue. E' fondatore e direttore del Premio Letterario Fenice-Europa (Un Romanzo Italiano per il Mondo), giunto alla XX edizione.
Ha pubblicato i romanzi giallo-teologici "I custodi della verità. Intrigo in Terrasanta" (OGE, Milano, 2010), "Il custode del Settimo Sigillo (Il Segno dei Gabrielli, Verona, 2013) e "Il viaggio segreto di Gesù"  (Il Segno dei Gabrielli, Verona, 2015).

 

Adriano Cioci
Il viaggio segreto di Gesù.
Alla ricerca del manoscritto che cambierà la storia

Editore: 
Gabrielli Editori
Anno edizione: 2015

  

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ROB BREZSNY: PRONOIA è L'ANTIDOTO ALLA PARANOIA

Lunedì, 04 Settembre 2017 07:06

yuitPronoia è una parola inventata dall'autore che si colloca sul lato opposto della paranoia.

In stato paranoico si è succubi di pensieri e sensazioni negative, ansia e tensioni psicofisiche, lo stato “pronoico” invece si basa sull'apertura all'universo, un universo che addirittura “cospira” per riempirti di benedizioni.

Potrebbe sembrare l'ennesimo libro sul pensiero positivo e sulla legge dell'attrazione, ma in realtà il libro di Brezsny è approfondito, divertente e mai banale.

Un libro che offre ben 888 trucchi per diventare un maestro della “scalmanata felicità”.

Uno stile che ricalca quello dei suoi oroscopi stravaganti per la rivista “Internazionale”: un'astrologia che si esprime per aneddoti, storie al limite tra fantasia e realtà, curiose notizie recuperate chissà dove.

“Pronoia” è un libro a più direzioni, che si può leggere dall'inizio alla fine oppure seguendo l'istinto, un libro che invita il lettore ad essere co-autore perché in molte parti c'è lo spazio bianco necessario per avere il suo contributo, l'ultimo capitolo è addirittura caratterizzato da “istruzioni” che il lettore può seguire per disegnare o scrivere la vera “fine” a questo saggio.

Il lettore è invitato per prima cosa a “rendersi conto”: delle piccole gioie e benedizioni, dei miliardi di cellule e microrganismi che vivono nel nostro corpo e ci permettono anche solo di respirare o alzare un braccio, dei miracoli che si nascondono nel quotidiano.

Le pagine scorrono e con esse ci troviamo a riflettere su archetipi e miti antichi, su come armonizzare le parti discordanti del nostro essere per liberare il potenziale creativo.

I capitoli accolgono intermezzi poetici, “pubblicità sacre” e “ il network notizie” che regala fatti di cronaca o dati di realtà a sostegno dell'obiettivo “pronoia”.

Una serie di esercizi che accolgono anche il libero lamento, anzi invitano a a circoscrivere il dolore e il buio dell'anima ad un'ora infelice a settimana o al mese.

Una ri-educazione alla meraviglia che passa attraverso un addestramento alle giuste domande, alle quali rispondere, nello spazio bianco che chiama in causa l'inchiostro del lettore.

I titoli dei capitoli sono già di per sé manifesti di vita:

“Prometto di interpretare ogni esperienza come un'interazione diretta della Dea con la mia anima”, “Ognuno è nessuno – e nessuno è perfetto”, “Stiamo cercando le risposte, così potremo distruggerle,per poi sognare domande migliori”, “Non annoiare Dio, Non annoiare te stesso” “Solo voi potete prevenire il genocidio dell'immaginazione”,”Da quando ho imparato a vedere tre punti di vista per ogni storia, trovo storie sempre migliori”, “Siate creatori prolifici”...

Un libro da regalarsi, scartandolo piano piano, parola per parola, senza ordine e regola, un libro da tenere sul comodino per assaporarne un po' al mattino, prima che la mente razionale ci scaraventi in una giornata apparentemente uguale a quella passata.

 

ROB BREZSNY:
PRONOIA è L'ANTIDOTO ALLA PARANOIA
edizioni Spazio Interiore 2017

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SUL LIBRO-DOCUMENTO DI ENRICO MALATESTA PER IL CENTENARIO DELLA STRAGE DEL FORTE DELL’ « ACQUA SANTA » PARLA IL GENERALE LUCIANO IANNETTA

Martedì, 08 Agosto 2017 14:37
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 Il Gen. Luciano Iannetta

Dopo aver pubblicato in assoluta anteprima, la notizia dell’uscita del libro del giornalista d’inchiesta ENRICO MALATESTA, “ORRORE E SANGUE SU ROMA, LA STRAGE DELL’ACQUA SANTA - 24 agosto 1917 / 24 agosto 2017”

con i documenti segretati sulla morte innocente di 240 giovani soldati di cui ancor oggi non si conosce il luogo della sepoltura, abbiamo rivolto al generale LUCIANO IANNETTA, che ha visionato i documenti pubblicati in assoluta esclusiva nel libro di Malatesta, questa semplicissima domanda :

- Generale, qual è, in breve il suo giudizio su questa sensazionale quanto terribile scoperta:

     «  Dall’esame degli atti che comprendono: il rapporto ispettivo del tenente colonnello Gloria, la relazione del maggiore Tealdi, l’interrogatorio del maggiore Bontempelli e il rapporto d’indagine della commissione affidata al Tenente Generale GUZZO, ritengo che i contenuti degli stessi collimino e siano ripetitivi per taluni aspetti.

Due errori, però, sono emblematici perché mettono in risalto l’incongruenza che c’è fra gli stessi e, in particolare:

-    il maggiore Bontempelli, nel suo interrogatorio del 20 settembre 1917, fa riferimento al promemoria della commissione d’inchiesta e, ad alcuni argomenti specifici, ma quest’ultima chiuderà i suoi lavori solo il 30 settembre, allora come poteva conoscere i contenuti dell’operato di tale commissione ben 10 giorni prima del termine dei lavori, essendo, peraltro, egli stesso un probabile indiziato?

-    come detto, il maggiore Tealdi asserisce che il rinforzo di 52 soldati giunse il 3 settembre 1917 mentre la commissione d’inchiesta colloca, invece, l’arrivo di tali rinforzi nella sera del 23 agosto 1917.

-    Il chiarimento di tale   discordanza è importante nell’economia del discorso perché, purtroppo, i 52 soldati sarebbero morti con lo scoppio, quindi come potrebbe considerarsi veritiera la collocazione temporale in una data successiva all’evento?;

-    Non voglio tralasciare di sottolineare un particolare che ho notato scorrendo le carte che ho visionato: la macchina da scrivere. A mio modesto avviso sia il rapporto del Tenente Colonnello Gloria sia la relazione della commissione di inchiesta che seguirà, pare siano state scritte utilizzando la stessa macchina da scrivere, stante l’estrema similitudine dei caratteri e la ripetuta imperfezione di alcune lettere, e, per cose che dovrebbero essere state scritte da persone diverse, ciò appare, quantomeno, inverosimile e porta a pensare che tali documenti potrebbero essere stati stilati da stesse persone ed epurati, quindi, dalle notizie che avrebbero potuto, forse, danneggiare “qualcuno”.

-    esistono elevate probabilità, quindi, che la macchina da scrivere utilizzata per trascrivere i rapporti e le relazioni di cui si è abbondantemente parlato sia stata sempre la stessa, cosa che farebbe ritenere che gli estensori degli scritti potrebbero essere le stesse persone, situazione che fa molto, molto pensare sulla loro attendibilità e porrebbe un macigno sulla realtà, ovvero sulla dinamica e le conseguenze degli eventi.

Si è compreso che la famosa scritta a sfondo terroristico doveva essere una “messa in scena”, un modo per distogliere l’attenzione sulle vere cause della strage. Un fatto così grave ed acclarato da sovvertire tutti i vertici dell’amministrazione della difesa quindi, forse fu ritenuto opportuno farlo considerare conseguenza di un atto terroristico. Infatti, come ritengo, sarebbe stato troppo grave sia per i vertici della Difesa, Ministro e Sottosegretari, sia per i militari ivi in servizio ma pare essere stato concertato il tutto per gettare solo fumo negli occhi, per far soffermare tutta l’attenzione su un fatto accidentale senza, quindi, responsabili.

        Da un’analisi obiettiva dell’intera vicenda mi viene da pensare che l’unica cosa vera sia il rapporto del maggiore Bontempelli che, mettendo nero su bianco, tutte le lacune evidenziate nei periodi antecedenti la strage, portò a conoscenza di chi aveva potere decisionale e responsabilità, della cruda, pericolosissima e, come si vedrà poco dopo, tragica realtà in cui versava la polveriera dell’Acqua Santa.

L’ufficiale, purtroppo, non ebbe al riguardo alcuna risposta fino al verificarsi dell’incidente che, pur essendo prevedibile, arrivò in un momento inatteso ( ma quando potrebbe essere attesa una strage?), facendo esplodere non solo tutto il comprensorio, polveriera e deposito carburanti, ma anche tutta l’organizzazione che vi aveva messo sopra i tentacoli. A questo punto i vertici, primi responsabili della tragedia, dovettero “pensare bene” che sarebbe stato, opportuno insabbiare il tutto a salvaguardia di se stessi e delle loro “poltrone” organizzando, a tavolino, tutta una “copertura cartacea” da porre a corredo dell’intera vicenda, ivi compresa la sentenza “farsa”, quindi, alla fine, fare come se nulla fosse accaduto.

A noi posteri l’eredità di non lasciare sopita e nascosta questa brutta e vergognosa pagina di storia che ci deve far sentire coinvolti tutti, in modo totale.

Pertanto ribadisco - come in una Sentenza (morale) - ed esprimo il mio pensiero:

a.   la polveriera è nata dal nulla, in una sede inopportuna, benché avrebbero potute essere adottate e scelte altre soluzioni infrastrutturali molto più consone e già esistenti nel presidio romano;

b.   al maggiore Bontempelli direttore dell’ente, venne affidata la responsabilità della polveriera che doveva essere solo un capannone ubicato nelle vicinanze del forte Acqua Santa e che doveva essere utilizzato solo per immagazzinare materiale inesploso al fronte;

c.   il maggiore, in realtà, non si arroga il diritto di scrivere direttamente alla direzione generale armi e munizioni, ma risponde ad una lettera verosimilmente scrittagli, direttamente, dallo stesso sottosegretario, primo organo di vertice ad aver ignorato la catena gerarchica;

d.   Dal 1915 fino al 1918 al vertice della Direzione Generale armi e munizioni vi fu sempre la stessa persona, prima come Sottosegretario del Segretariato e poi, dal 16 giugno 1917 addirittura come Ministro, in conseguenza alla riconfigurazione dello stesso ministero, quindi si tratta della persona che era al vertice di quella amministrazione la notte dell’esplosione del 24 agosto 1917;

e.   la relazione sull’ispezione alla polveriera del 7 agosto 1917 (tenente colonnello Gloria) appare, ai miei occhi, un falso, perché, ritengo, potrebbe essere stata scritta dopo l’incidente, scritta a corredo delle altre solo per depistare la realtà dell’accaduto e non far evidenziare le vere cause del sinistro, nonché per giustificare alcune probabili concause connesse all’incidente;

f.   anche la relazione del maggiore Tealdi pare essergli stata indotta per alcuni aspetti, perché si rifà, in parte, a quella redatta dal vice questore intervenuto sul posto in seguito all’incidente di cui tratteremo in seguito;

g.   la relazione della commissione Guzzo, infine, pare essere stata scritta con il preciso intento di riassumere in essa tutte le altre, sotto un’unica regia, finalizzata a nascondere i lati oscuri e pericolosi sia per la catena di comando che per i vertici politici.

h.   La sentenza, infine, mi appare come l’atto finale più aberrante di tutta la vicenda! leggiamo l’intestazione della stessa: “la Commissione di Inchiesta…ha pronunziato la seguente sentenza”; da quando una sentenza viene promulgata da una commissione di inchiesta?

i.    Scorrendo i documenti, fino ad un certo punto avevo pensato che il maggiore Bontempelli fosse rimasto vittima dell’incidente ma guardando e ritenendo autentiche le firme vergate dallo stesso in momenti successivi, come si evince dalle date, sono entrato nell’ordine di idee che la motivazione della sua assenza è, verosimilmente, riconducibile al fatto che, pur di salvaguardare (anzi, direi, salvare ) “qualcuno”, si rese indispensabile salvaguardare anche il maggiore che, comunque, guardando l’evento asetticamente, proprio per il ruolo che rivestiva, doveva essere considerato il primo anello della catena, e, quindi, il diretto responsabile della strage.

j.    Quindi la strada più semplice da seguire, probabilmente, potrebbe essere stata quella di calmierare il tutto e nascondere il maggiore Bontempelli, aiutandolo a rimanere in incognita al fine di non coinvolgere altri.

            L’amara conclusione dunque, da parte di chi ne aveva titolo: non è successo nulla e, quindi, non è necessario cercare colpevoli per qualcosa che non si è mai verificata per colpa ma è solo dovuta al fato (questa ovviamente è solo la tesi dei relatori). A mio modesto parere la verità è in tutt’ altra direzione e, si potrebbe/deve anche oggi “approfondire“ ! »

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CONOSCERE L’ ISLAM: MA QUANTO E’ FACILE SBAGLIARE …

Venerdì, 04 Agosto 2017 03:03

 Viviana Isernia
 Viviana Isernia

Conversazione con l’islamista Viviana Isernia, autrice de I mille volti dell’ Islàm


               Sono molti anni, oramai, che seguo da vicino l’impegno assiduo e generoso di Viviana Isernia nel campo dei Diritti umani, in particolar modo attraverso l’attività educativa svolta all’interno di Amnesty International. Negli ultimi tempi, però, sto scoprendo e apprezzando soprattutto le sue non comuni competenze in ambito islamistico, espresse, seppur solo parzialmente, nel recente prezioso volumetto I mille volti dell’ Islàm.

Proprio ispirandoci ad alcuni temi affrontati nel suo libro, con il chiaro obiettivo di invitare a diffidare dei tanti luoghi comuni e dei tanti veri e propri strafalcioni ampiamente in circolazione, è nata fra di noi la conversazione che segue.

 

-       Nella Premessa al tuo Mille e un volto dell'Islàm, scrivi che "E' facile credere di conoscere l'Islàm o l'islamismo: in realtà esiste una notevole confusione ...".

Intorno a quali aspetti della cultura islamica hai avuto modo di riscontrare maggiormente la presenza di lacune, incomprensioni e fraintendimenti?

Le prime lacune sono nell'uso della terminologia, dal semplice aggettivo italiano "musulmano" o "islamico", per cui ho inserito precise domande e risposte. Altre lacune riguardano la cornice storico-politica che è essenziale conoscere per comprendere molti versetti del Corano, ogni singola azione di un fedele della religione islamica e le nuove ideologie sorte in seno ad essa.

-       Potremmo dire, quindi, che l' idea del tuo libro è scaturita dal fastidio che ti procura il ricorrente uso approssimativo e impreciso del lessico relativo alla cultura islamica?

Potresti farci alcuni esempi particolarmente significativi?

Gli esempi possono essere tanti, alcuni di essi sono ben spiegati nel libro, a partire dal termine Islàm, che si pronuncia con l'accento sulla a, semplicemente perché il termine con l'accento sulla prima vocale nella lingua araba non ha significato.

Un altro esempio che mi preme sottolineare riguarda l'accezione negativa che si dà al termine “islamista”. Nelle notizie che circolano riguardo agli attacchi terroristici compiuti da musulmani, si abbina il termine "islamista" al concetto di "militante dell'integralismo islamico", riprendendo tra l'altro in modo errato il termine islamiste dal francese.

In italiano, e qualsiasi vocabolario lo può attestare, islamista è colui che si occupa di studiare gli aspetti strutturali del pensiero, della storia e della spiritualità della religione islamica, ovvero colui che si occupa di Islamistica. Un sinonimo è "islamologo" (in francese, difatti, usano islamologue).

-       Non si potrebbe obiettare, però, che, nella drammaticità della situazione internazionale delineatasi in questi ultimi anni, il soffermarsi su questioni così strettamente di ordine filologico possa apparire come  una raffinatezza comprensibile soltanto agli occhi degli "addetti ai lavori", sembrare, cioè, una sorta di giochino intellettuale godibile solo per pochi eletti?!?

Sicuramente gli "addetti ai lavori" percepiscono maggiormente tali peculiarità, ma è importante - a mio avviso - che chiunque conosca il significato delle proprie parole.

Molto spesso, e in ogni lingua, vengono utilizzati degli stranierismi, ovvero termini di prestito straniero che possono più o meno essere adattati (ad esempio hennè)o dei realia, cioè parole della lingua popolare che rappresentano concetti tipici di un ambiente geografico, di una cultura o di peculiarità storico-sociali di un popolo e che sono portatrici di coloriture nazionali, locali o storiche che non hanno corrispondenze precise in altre lingue (ad esempio imàm).

Tra l'altro il termine imàm ha un diverso significato se si parla di musulmani sunniti e musulmani shi'iti.

L'uso approssimativo e impreciso del lessico relativo alla cultura islamica sta conducendo ad una serie di stereotipi che difficilmente si potranno eliminare velocemente nel tempo se non si inizia a diffonderne l'uso corretto, seconda motivazione per cui mi sono cimentata in questo lavoro. L'uso approssimativo dei termini conduce anche ad una scarsa volontà di comprendere il significato originario del termine. Un esempio è quando si parla di gihàd riducendolo al solo e unico concetto di "guerra santa".

-       Sicuramente, il termine/concetto più equivocato (con conseguenze di grosso rilievo) è quello di   "gihàd". Qual è la sua origine e qual è il suo vero significato?

Il termine gihàd per un musulmano ha due significati e per tale motivo si distingue in gihàd minore e gihàd maggiore.

Il maggiore è quello che ha più rilievo nella quotidianità di un musulmano e della umma (termine arabo per indicare la comunità) intera poiché gli viene richiesto di "sforzarsi a combattere il male", ovvero combattere i propri vizi e difetti per il bene stesso della società.

Poi vi è il gihàd minore che equivale a " lottare" contro i nemici della comunità musulmana", ovvero contro coloro che minano il concetto di monoteismo (i politeisti).

Il gihàd minore viene effettuato a mo' di difesa, come citato nel Corano "combattete per la causa di Dio contro coloro che vi combattono, ma non eccedete perché Dio non ama chi eccede" (Cor. 2,190).

A partire dalla prima Crociata di Papa Urbano II contro i musulmani, il gihàd inizia ad essere difensivo, ma il concetto religioso del termine viene meno, diventando più strettamente politico.

-       Il ritenere giusto, anzi doveroso il combattere coloro che meritano di essere considerati "nemici della comunità musulmana" non è, però, pur con tutti i distinguo possibili e necessari, un pericoloso spalancare le porte ad un impiego pressoché incondizionato della violenza?

La lettura di un qualsiasi versetto del Corano deve essere sempre accompagnata dalla lettura del versetto precedente e di quelli successivi e possedere una minima conoscenza del quadro storico in cui tale versetto è stato rivelato.

In ogni modo, nel versetto sopracitato, in ogni caso, si sottolinea che il gihàd minore ha da essere solo difensivo e fatto senza eccessiva crudeltà e si fa riferimento ai politeisti quali "nemici della comunità musulmana", in quanto la loro dottrina semplicemente contrasta l'Unicità di Dio, la shahada (professione di fede) stessa che recita così: "Attesto che non c'è divinità all'infuori di Dio, e Muhammad è il suo Profeta".

 

Le violenze di cui si sente notizia contro cristiani, ebrei e altri musulmani (tra cui donne e bambini) non derivano da nessun precetto islamico.

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24 agosto 1917 - 24 agosto 2017 CENTO ANNI DI SILENZIO SU L’ “ORRORE E SANGUE SU ROMA” DEI 240 E PIU’

Mercoledì, 02 Agosto 2017 07:53

NR3R24 agosto 1917 - 24 agosto 2017

CENTO ANNI DI SILENZIO SU

L’ “ORRORE E SANGUE SU ROMA”

DEI 240 E PIU’,

GIOVANI MORTI SENZA NOME E SENZA SEPOLTURA !..

DEL FORTE DELL’ “ACQUA SANTA”.

         Eravamo preparati, a che nelle celebrazioni per il centenario della Grande Guerra qualcosa di poco “ortodosso“, prima o poi, dai polverosi archivi della Storia sarebbe saltato fuori. Eravamo preparati a che quella terribile parola - tanto spesa e pronunciata dai generali di Cadorna - “decimazione” non volesse significare l’annientamento del nemico ma l’inutile massacro dei propri soldati, atterriti dagli orrori in trincea.   Ma allo sterminio in suolo patrio di giovani militi, lontano dal fronte e per scopo di biechi “interessi”, no !… A questo proprio, non eravamo preparati.

E’ la storia che stiamo per raccontare.

         Una vicenda assurda, di giovani vite massacrate e nascoste non dal furore della guerra ma dal freddo calcolo di pochi. Da chi, per dovere ed amore patrio, invece, ne avrebbe dovuto custodire l’affidamento e l’identità.  

         A farla scoprire è il recente libro “ORRORE E SANGUE SU ROMA - LA STRAGE DELL‘ACQUA SANTA“ del giornalista d’inchiesta, Enrico Malatesta.

         Come succede per le vicende che gridano giustizia, è stato un documento: un memoriale di un giovanissimo fante. Rimasto sepolto nella polvere del tempo, il testo dettato da un mutilato a Gorizia e trasportato all’ospedale Sales di Napoli, è raccolto da un altro giovane commilitone vicino di branda del primo, proprio al Sales. Qui, l’autore del racconto, disperato e stravolto perde la fede in Dio.

Ma la ritroverà grazie proprio ad un santo frate, cappellano militare nella Sanità, ispiratore del “Memoriale”.   Il documento rimasto sepolto nella polvere del tempo per decenni, rivive ora nella ricostruzione dei fatti così come accaduti, nel racconto documentato di Malatesta.

Questi i fatti. E’ il 24 agosto 1917 e da poco sono scoccate le 20 e trenta, quando a Roma una micidiale esplosine riecheggia violentemente in tutta la capitale. L’immane fragore è così intenso da essere udito fino in centro, al palazzo della Regia Questura, dove il vibrare dei vetri dell’ufficio del questore, ricordano all’alto dirigente un’altra precedente vicenda. Una bomba nemica aveva distrutto nel 1916 la Polveriera di Roma in via Terme di Tito al Colosseo. Il primo pensiero del questore dunque, per la portata dell’onda d’urto, corre subito sul filo dell’angoscia, alla possibile esplosione della polveriera di Centocelle.   Solo più tardi si scoprirà che quell’immensa sciagura riguarda invece la Caserma dell’Appia Nuova.   
         Già a partire da qui c’è la prima scoperta. La Caserma Appia, altro non è che il Vecchio Forte dell’Acqua Santa, ovvero il deposito carburanti per Aerostati e Dirigibili. In estrema segretezza e fuori del recinto murario del Forte, sono stati approntati due enormi capannoni che rilevati da privati, dopo lavori di ampliamento, erano stati attrezzati per la fabbricazione di bombe da lanciare proprio da mezzi d’aria come aerostati o palloni, sulle trincee nemiche.

         Tutto quindi coperto dal più stretto riserbo, tanto da richiedere l’applicazione del “Segreto Militare di Stato”.   E fin qui gli imposti “omissis” ci starebbero pure se, all’improvviso, non emergessero incredibili contraddizioni. Come a tal punto (queste poi emergeranno come giustificazioni addotte), di richiedere l’ausilio di militari ordinari e manovali al posto di personale competente come artificieri specializzati, proprio al fine di non attirare le attenzioni del controspionaggio nemico.

         Una serie in somma, di “omissis” più utili a coprire “segreti” nostrani che la pericolosa azione di arguti “007” degli imperi Germanico ed Austro-Ungarico.

Ed a caratterizzare questa assurda storia, saranno proprio quelle menzogne camuffate da ridicole giustificazioni che alla futura inchiesta del Regio Tribunale Militare faranno emergere le peggio perplessità e saranno consacrate da una sentenza militare estremamente “equivoca”.

Come ad esempio la lista dei caduti, che non compare nella sentenza del Tribunale Militare ma al contrario è resa pubblica da una sentenza del Tribunale civile, finalizzato alla “sola trascrizione” dei morti, dichiarati nel numero di 79 caduti tutti, Aerostieri e Dirigibilisti. Ma colpo di scena: tra questi 79 c’è anche l’autore del memoriale che non è aerostiere ne tanto meno dirigibilista ma un semplice fante, ferito e mutilato a Gorizia che finisce al Sales di Napoli per finire i suoi giorni e restituire la salma ai genitori catanesi. Ma la caparbietà a salvargli la vita del capitano medico Digiannattasio, lo spedisce a Roma e dopo una nuova operazione che gli salva la vita, lo appoggiano per la convalescenza alla Caserma Appia, famosa per essere un posto tranquillo. Il giorno dopo il suo arrivo, la base militare esplode. E’ proprio dai riscontri effettuati dal bravo autore del libro “Orrore e sangue su Roma - la strage dell’Acqua Santa - che appunto Enrico Malatesta scopre che la presenza del fante mutilato, e fatto passare per essere un dirigibilista, rende quella lista “dei 79” un documento non rispondente al vero. Ma Malatesta fa di più, incrociando i documenti militari con altri altrettanto sconosciuti e segretati della Questura di Roma, scopre che i morti del Forte dell’Acqua Santa, alias Caserma Appia, sono più di 240 e sono tutti ragazzi tra i diciassette ed i  vent’anni, analfabeti e soldati di bassa forza, senza la minima cognizione di competenze di artificieri, cui invece segretamente era ciò che facevano per armare bombe, granate ed altri proietti, con polveri anche scadenti.  
         Ma non vogliamo però svelare tutte le verità di questa storia assurda che invece meritano l’approfondita lettura di un libro zeppo di notevoli documentazioni inedite ed occultate, per nascondere la verità all’Italia di allora e presentate in questo libro con le trascrizioni integrali dei documenti e le fotografie degli originali. Ma non basta. Malatesta ha intervistato il Generale Luciano Iannetta il quale esaminando tutti i carteggi ha rilasciato una conferma sconcertante.

         Concludiamo però, questa galleria di “orrori” voluti, della Grande Guerra con un “paradosso” agghiacciante: l’Italia di oggi è piena di Sacrari di morti della Prima Guerra Mondiale con tanto di nomi e gradi …. e allora perché si è dovuto proprio nascondere i nomi di questi caduti cui non si conosce neanche la doverosa sepoltura delle loro spoglie .… senza ne nome, ne bara ….. ?

                                                                

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L’ASINO SULLA MIA STRADA

Martedì, 18 Luglio 2017 09:02

dh6hQuasi tutto quello che abbiamo e siamo lo dobbiamo a loro. Senza di loro non avremmo imparato nulla, saremmo ancora una strana specie, indecisa su cosa essere e cosa diventare. O, cosa assai più probabile, non saremmo più, da molto tempo …

Sono stati i nostri grandi maestri in tutto. Tutto abbiamo imparato da loro: immensamente più forti, più silenziosi, più rapidi, più astuti, più perseveranti, più resistenti, più collaborativi, più ingegnosi, più coraggiosi, più generosi, più affettuosi …

Ma non c’è vergogna rimasta incompiuta. Non c’è viltà non praticata. Non ci sono abusi, vessazioni, incatenamenti, ingabbiamenti, attacchi, soprusi, violenze inenarrabili e massacri spietati da noi umani non attuati.

La nostra gratitudine si è fatta freccia, coltello, veleno, fuoco devastatore, piombo assassino …

Ma gli spiriti migliori da sempre hanno compreso la grandezza, non soltanto fisica, degli animali. Scrive Schopenhauer che

“Nella pacatezza dello sguardo degli animali parla ancora la saggezza della natura.”

E di sguardi degli animali (asini, soprattutto, ma anche cani) e di saggezza della natura molto efficacemente ci parla Alessandra Giordano nel suo delicatissimo L’asino sulla mia strada.

Qui, tra frammenti di itinerari autobiografici, di sottili personali riflessioni e di erudite solleticanti citazioni, si costruisce un vero e proprio inno all’incontro fra uomo e animale, una toccante “apologia del buon ciuchino”, un’ode, un’elegia dedicata al saggio Pablo, compagno di viaggio dell’Autrice … Ed è proprio lui, Pablo, il protagonista principale del libro. Anzi, il vero protagonista è l’amore raro, sconfinato, che ha allargato il cuore di Alessandra, che ha permesso a fiumi di calda felicità di entrarle dentro, facendole provare esperienze di lirica pienezza emotiva. Cambiandole la vita, cambiando lei stessa, rendendo la sua esistenza imprevedibilmente più rilucente di fiducia e di gioia. Perché quando Amore si fa strada fra i rovi spinosi della nostra anima, finalmente impariamo a vivere non più al di qua dei muri e delle cancellate, ma volando in cieli senza recinti.

L’asino sulla mia strada, libro denso di pensiero e di poesia, ci lancia un messaggio di affratellamento col mondo animale intriso di un

“senso di gratitudine estrema verso tutti gli animali del mondo, per quanto hanno fatto in termini di lavoro concreto in nostro aiuto, per quanto hanno dovuto accettare nel farsi vittime sacrificali ai nostri piedi, per quanto ci hanno dato in termini di insegnamento, compassione e amore senza condizioni …”

Chissà se questo libro riuscirà mai ad arrivare nelle mani di papa Francesco. Certamente gli piacerebbe.

Come piacerebbe moltissimo all’ ereticissimo Bruno …

L' asino sulla mia strada. Un libro del cambiamento

Alessandra Giordano

Editore: Edizioni del Gattaccio

Collana: Il nostro maggio

Anno edizione: 2016

Alessandra Giordano

è nata nel 1965 a Milano, un pomeriggio di fine settembre. Vive ancora là: le manca solo il mare e l’aria pulita; per il resto sembra ok.

Giornalista pubblicista e addetto stampa presso una casa editrice, ha da sempre lavorato con i libri e per i libri: la biblioteca e le bibliografie, le recensioni, le interviste a lettori illustri, l’editoria.

Ha pubblicato la raccolta di racconti “Cadorna non è una fermata. Momenti Metropolitani” (Viennepierre Edizioni, 2009) e la raccolta di tweet in eBook “Momenti Metropolitani” (BaccarinBoox Editore, 2013).

Ama gli animali. Oltre a cane e gatti ha un asino, Pablo, che le ha cambiato la vita. Con lui lavora: attività culturali per bambini e adulti. Ha fondato e dirige la prima rivista dedicata esclusivamente all’asino: Asiniùs.it

Per guardarla in faccia e sapere di più:
www.alessandragiordano.com dove si parla di parole e ragli.

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MILLE E UN VOLTO DELL’ISLAM UNA GUIDA PREZIOSA CONTRO I DIFFUSI TRAVISAMENTI E BANALIZZAZIONI

Martedì, 11 Luglio 2017 08:31

gfghhvCredo sia un dato di fatto indiscutibile che, negli anni successivi all’11 settembre 2001, il panorama editoriale relativo all’Islàm - pur continuando ad imperversare a livello mediatico non pochi deliri islamofobici - si sia vivacemente arricchito sia in quantità che in qualità.

Ciò nonostante, un libro come Mille un volto dell’Islàm, della giovane islamologa Viviana Isernia (ottimamente curato dalla Efesto di Roma), merita di essere notato ed apprezzato per ben precisi meriti e peculiarità:

  • perché riesce ad affrontare con esemplare rigore scientifico questioni di grande peso e di rara complessità;

  • perché sa offrire, sia al ricercatore sia al semplice lettore intellettualmente curioso, una ampia gamma di informazioni non sempre facilmente rintracciabili;

  • perché presenta con incisività e chiarezza (per quanto umanamente possibile) una rosa molto variegata di aspetti della cultura islamica, dalle sue origini storiche alle sue fonti sacre, dal concetto di sha’ria a quello di gihàd, dalle differenze fra sunniti e shiiti ai vari scismi e alle neocorrenti dei tempi vicini, ecc.

Il libro, quindi, pur non essendo certo un saggio ponderosissimo, né una compendiosa enciclopedia dell’Islamismo, si rivela essere uno strumento di conoscenza pregevole, sia per snellezza di stile, sia per l’accuratezza filologica, sia per la linearità della struttura e per l’attendibilità dei contenuti, mai contaminati da atteggiamenti ostilmente prevenuti o apologetici.

Particolarmente apprezzabile è, in particolare, il continuo invito che l’Autrice ci rivolge a rifuggire da banalizzazioni grossolane e da espressioni approssimative, fuorvianti e, come tali, offensive. L’Islàm è un universo sterminato, non meno di altre grandi tradizioni religiose. I suoi volti sono mille e forse anche più di mille. Alcuni luminosi, altri decisamente meno. Alcuni carichi di fascino, altri fonte di inquietudine e di problematicità.

Il libro di Viviana Isernia ci aiuta a penetrare all’interno di questo mondo, offrendosi a noi come guida dal passo paziente e sicuro, mettendoci efficacemente in guardia dagli errori più facili e sempre invitandoci a non scivolare nel “sentito dire” e nelle tante rappresentazioni stereotipate oggi sfortunatamente ricorrenti.

Viviana Isernia

Mille e un volto dell'Islam

Editore: Edizioni Efesto

Roma, giugno 2017

Viviana Isernia

 kdws

Nata a Formia (LT) nel 1980, ha conseguito due lauree in Italia (“Studi Arabo-Islamici e del Mediterraneo” e “Teoria e Prassi della Traduzione Araba”) e una all’estero (“Lingua Araba Standard”) con il massimo dei voti. Da 10 anni collabora come traduttrice di lingua araba (settore letterario, giuridico, tecnico-commerciale) per case editrici, tribunali e agenzie di traduzione italiane ed estere. Ha pubblicato per Faligi Editore la traduzione dall’arabo all’italiano del romanzo “L’amante segreto” e per il Centro Italia-Asia e il portale telematico "Historia Regni" una serie di saggi su cultura e filologia arabo-islamica.

  Dal 2005 è impegnata nel volontariato per Amnesty International, assumendo sin da subito il ruolo di Responsabile di Gruppo, Formazione Nuove Risorse e Organizzatrice eventi; da marzo 2013 ha ottenuto il ruolo – nella medesima Associazione – di Referente Attivismo della Circoscrizione Lazio, mentre attualmente ricopre l’incarico di Responsabile regionale. Ha, inoltre, conseguito l'attestato di Kartabianca in “Organizzazione Eventi & Ufficio Stampa”. In passato ha svolto consulenza in organizzazione eventi (presentazioni libri, spettacoli teatrali, cene solidali) per altre associazioni del territorio laziale e ha collaborato con guide locali per organizzazione tour in Tunisia. Al momento, è in fase di aprire una Azienda Agricola dedicata alla scoperta della natura per grandi e piccini.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Demoni, mostri e prodigi: L'irrazionale e il fantastico nel mondo antico

Martedì, 20 Giugno 2017 10:03

jkyklk“Tutto il mondo è pieno di Dei” così scrive il filosofo Talete.

Demoni: da daimon che significa “colui che divide, che fa a pezzi” ma anche “colui che illumina”, già all'interno della prima parola del titolo si apre un ossimoro semantico che ben condensa il pensiero greco, che Dodds in un suo celebre libro aveva definito “irrazionale”.

Dio e demone in questa accezione luminosa possono essere quasi sinonimi, è lo stesso Omero a definire “daimones” gli stessi Dei greci.

Mostro da “monstrum”, che si connette al latino” richiamare alla memoria” ma anche “ammonire” e rimanda all'apparizione di qualcosa di insolito che non è necessariamente legato all'orribile, anzi, si collega più al prodigio che al brutto.

La genesi del soprannaturale non poteva che partire dalla coppia Echidna, la donna serpente e Tifone, uomo serpente ma con le dita che finivano a loro volta in teste serpentiformi.

Una coppia prolifica che darà vita alla Chimera sputafuoco, alla Sfinge, al leone di Nemea.

Chimera verrà sconfitta dall'eroe Bellerofonte a dorso del cavallo Pegaso, immagine che ricorda il mito di San Giorgio che uccide il drago.

Creature a metà che inglobano in un unica vita il regno animale e umano, trickster in bilico tra mondi, ma anche tra azioni nefaste o benevole, come nel caso delle ninfe e dei Centauri.

I Centauri, metà uomini e metà cavalli sono intemperanti, irascibili, sessualmente molto attivi.

Sono figli di Issione, un uomo davvero spregevole, che è riuscito a uccidere il suocero al banchetto di nozze per evitare di pagare la dote, e che avrà l'ardire di sedurre niente di meno che Era.

Zeus gli darà una nuvola a forma si Era con la quale si accoppierà dando vita a queste creature di sogno e di incubo. Ma tra i Centauri si esalterà il buon Chirone, saggio guaritore che sarà maestro dei più grandi eroi greci e dello stesso dio Esculapio, eccezione che sarà ricordata nella costellazione del Sagittario.

Una ambivalenza, quella tra bene e male che si ritrova anche in Pan, divinità visibilmente ibrida nel Pantheon greco divinità silvestre il cui corteo è così simile a quello dionisiaco.

Luce ed ombra si confondono in queste creature che solcano anni e e Paesi, tanto da far dire al filosofo Eraclito “ Lo stesso dio è Ade e Dioniso”: i riti in onore di Bacco si svolgevano di notte, nelle Antesterie dionisiache il confine tra vivi e morti si faceva labile, così come nelle feste Lemuria a Roma.

E che dire delle ninfe? Esse sono la natura, tanto da avere nomi differenti a seconda del luogo dal quale provengono: ninfe delle montagne, delle sorgenti, dei fiumi, dei mari, delle querce, dei frassini...Da una ninfa, Egeria, verrà saggiamente consigliato il re Numa Pompilio, per una ninfa, Calipso, si perderà Ulisse, figlio di una ninfa, Teti, è Achille.

Ai bambini deceduti troppo presto si dirà che sono state le ninfe a portarli via.

Il saggio di Ieranò ci accompagna poi ad esplorare le creature dell'Oceano, i demoni dell'Oltretomba, per presentarci i primi vampiri della storia e le creature che hanno incarnato l'inquietante femminile: Empuse,Lamie e Mormolykia.

Un viaggio dentro lo stupore nell'incontro con i fantasmi e con le prime fattucchiere dell'antichità.

Dove è finita la magia? Una parte è stata assorbita dalla religione, con importanti differenze.

Interessante è la presentazione nel libro di Apollonio di Tiana, che, come Cristo, faceva miracoli, esorcismi, resuscitava morti, accaparrandosi anche lui molte ostilità. Apollonio è di poco successivo a Gesù.

L'ultimo capitolo ci porta nei luoghi fantastici di creature monstruose e in rimpianti come Atlantide o l'Età dell'Oro.

“Anche noi, per il breve tempo di questo libro, torneremo a credere alle Ninfe e ai Minotauri, ai Satiri e ai Centauri, ai draghi e ai giganti, alle magie e ai prodigi. E poco importa se sono solo inganni. (…) Perché, dietro il velo egli inganni mitologici si nasconde il senso della nostra vita. Perché il mito, con le sue storie di ninfe e mostri, ci fa intuire qualcosa di profondo che non siamo capaci di esprimere altrimenti”. (cit).

Giorgio Ieranò
Demoni, mostri e prodigi:
L'irrazionale e il fantastico nel mondo antico
Sonzogno 2017

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Le streghe d'Italia e il bosco esoterico e letterario del Montecchio Intervista a Fefè Editore (Roma)

Venerdì, 16 Giugno 2017 11:13

 dgtrL'avventura di Fefè Editore nasce nel 2005 e ha preso ormai diverse direzioni, spaziando dalla saggistica psicopedagogica, all'alimentazione, alla narrativa, alle “curiositates” rinascimentali, all’attualità sociale; un amore per il libro in ogni sua fase perché Fefè Editore è anche agenzia di servizi editoriali e promuove corsi di Scrittura Collettiva (che ha “resuscitato” contaminando con dinamiche di gruppo e tecniche teatrali quella che faceva Don Milani sessant’anni fa).

Il filone psicopedagogico presenta sette titoli di ispirazione montessoriana, ma non solo; la sezione “Nutrizione” unisce a ricette culinarie anche intriganti sfumature3 letterarie; la sezione “Streghe” consta di saggi storico/antropologici insieme con racconti e romanzi; la collana “Superfluo Indispensabile” si snoda tra saggio e inchiesta giornalistica e tratta argomenti insoliti come la storia del pelo, la mitologia del serpente Uroboro, un’interpretazione di Geppetto come padre di Pinocchio, un Elogio del gatto nero etc...

La scorsa domenica si è aperta la quinta edizione del Premio “Streghe di Montecchio” che prende spunto dal libro e dalle ricerche di Pier Isa dalla Rupe sulla collina del Montecchio a Bagnaia, vicino Viterbo; attraverso i racconti degli anziani e attraverso ricerche documentaristiche antiche, Pier Isa ha dato inchiostro alle “Figlie della Luna”, donne bellissime che abitavano il suddetto colle.

Ma l'impegno e l'attenzione di Fefè su questo argomento è diventata un vero e proprio cavallo di battaglia. Non solo Fefè ha ha pubblicato tutti i libri di Pier Isa dalla Rupe e creato un premio letterario legato al luogo e al tema delle streghe d’Italia, ma si è concretizzata proprio la scorsa domenica di maggio con l'inaugurazione del “Bosco esoterico e letterario del Montecchio”, primo e unico in Italia ad essere riconosciuto tale dal Comune di appartenenza; tanto che il taglio del nastro è stato fatto dal Sindaco di Viterbo in persona.

Su tutto ciò poniamo qualche domanda a Leonardo de Sanctis, tra i soci fondatori di Fefè Editore e attuale Direttore editoriale.

Quando avete sentito l'esigenza di creare un nuovo marchio editoriale e perché?

Come spesso accade è stata una somma di “coincidenze” a indurci alla creazione di Fefè Editore: la chiusura di un ciclo, l’incontro tra persone, l’esigenza comune di creare qualcosa di personale quindi unico… In più il passaggio alla nuova attività venne facilitato dal fatto che personalmente avevo sempre avuto a che fare professionalmente con la scrittura: prima di creare la casa editrice per 25 anni sono stato giornalista quindi ho scritto, fatto scrivere, guidato altri a scrivere, creato prodotti editoriali di tipo giornalistico… Il passaggio è stato quasi naturale e mi ha consentito di portare con me l’esperienza e i contatti di qualche decennio di attività.

2Streghe – Alimentazione – Psicopedagogia sono le macro-aree intorno a cui si muove la sezione saggistica: quali sono stati i libri che hanno “fondato” questi argomenti?

Per la serie “Streghe e mondo parallelo” è stata certamente la raccolta di racconti “Le Streghe di Montecchio” di Pier Isa della Rupe, che è stato l’inizio della ormai lunga “mitologia” legata al colle di Montecchio ed a Bagnaia.

Per la serie dedicata all’alimentazione, il via è venuto dalla richiesta dell’illustre nutrizionista Prof. Antonio Migliaccio di pubblicare con noi il suo “Manuale di Nutrizione Umana”. Ne abbiamo stampate tre edizioni che hanno aperto un filone legato al cibo dal punto di vista anche letterario e storico.

Per la psicopedagogia – a parte i legami familiari con la psicologia e la psichiatria dell’età evolutiva (di cui si occupavano mia madre, mio nonno e mio bisnonno) – fatale è stato l’incontro con due donne: Maria Montessori, che tutti conosciamo, e Giovanna Alatri, montessoriana atipica, che dopo anni continua ad essere la “suggeritrice” di tutte le nostre pubblicazioni delle serie.

Avete in mente altri progetti riguardo alla valorizzazione di luoghi magici come quello del Montecchio?

Ci concentriamo sul Montecchio: dopo aver ottenuto il riconoscimento ufficiale dal Comune di Viterbo di “Bosco esoterico e letterario del Montecchio”, e dopo quattro edizioni di Premio Letterario e una decina di libri legati a quel posto magico, desidereremmo veder nascere il “Monumento Naturale del Montecchio” (con la collaborazione del Comune di Viterbo e della Regione Lazio). Con l’aiuto e in collaborazione con altri, vorremmo creare una struttura di visita e promozione di quel luogo che ritengo straordinario perché assomma due, anzi tre “magie”: quella delle streghe, quella dello splendido ambiente naturale, quella della scrittura a quel luogo legata.

Come piccolo editore siete soliti trovare spazi d'ascolto all'interno delle grandi catene commerciali?

Direi che ci ignoriamo (o quasi) tranquillamente, senza sentire troppo la mancanza noi di loro e (suppongo) loro di noi. I canali (di diffusione, di commercializzazione, di conoscenza) di un editore indipendente come Fefè Editore e di un editore commerciale sono del tutto diversi, anche se formalmente coincidono e si ritrovano in alcune librerie di catena che prendono i nostri libri (ma poi li mettono nello scaffale, senza esporli neanche per qualche ora…).

Come vi rapportate al fenomeno e-reader, e-book?

Anche questo è un canale che ritengo sia o meglio debba essere estraneo ad un editore indipendente che punta a costruirsi e ampliare la propria nicchia di qualità. Il libro elettronico mi sembra, oltre che una contraddizione in termini, congeniale solo ad una editoria commerciale e – peggio che mai – all'auto-pubblicazione o 4all’editoria a pagamento.

Quali sono le prossime uscite editoriali?

Per il reparto “Streghe” abbiamo il saggio di Claudio Bondì “Le donne, la morte, il diavolo” su sei streghe storiche d’Italia, con prefazione di Elena Gianini Belotti. Per la psicopedagogia (in questo caso, intesa in modo particolare) abbiamo in uscita “Bambini e erbe medicinali” di Paola Beria con prefazione di Marco Sarandrea. Per la serie “Superfluo Indispensabile” dopo il successo del pamphlet “Peli” di Francesco Forlani, proseguiremo con “Mani” di Lucio Saviani e “Cuore” di Claudia Pancino. Per la narrativa presto uscirà una raccolta di racconti siciliani di memoria con prefazione di Franco Ferrarotti.

Buona lettura!

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intervista allo scrittore albanese Qani Kelolli

Martedì, 13 Giugno 2017 21:24

natoperarrivarelontanoQani Kelolli scrivere per essere d’aiuto ai giovani

In un romanzo a quattro mani la storia vera di un artista del narcotraffico mondiale.

 

‘Nato per arrivare lontano’ edito da Bibliotheka Edizioni segna l’esordio letterario di due autori: Qani Kelolli e Nazareno Caporali. Il libro è da considerarsi un’operazione particolare ed interessante: non è facile unire due stili di scrittura diversi e riuscire a raccontare con un buon ritmo narrativo la vita di un personaggio come Lushi Kaja, che diventerà un boss del traffico di droga internazionale. Sbarcato in Italia dall’Albania in cerca di fortuna si troverà coinvolto in situazioni complesse e pericolose. Tra crimini e illegalità prende forma una trama mozzafiato che proietta il lettore in uno stile di vita all’eccesso, dove potere e successo sembrano l’unico obiettivo da raggiungere ad ogni costo. Con un linguaggio semplice e scorrevole, gli autori ci fanno accedere in un mondo spietato e crudele, dove però tutto può cambiare all’improvviso.

Qani Kelolli, come è nata l’idea di scrivere un romanzo a quattro mani con Nazareno Caporali?

“Tutto è nato perché molte mie idee, vissute personalmente, combaciano perfettamente con il personaggio in questione, sia per la provenienza sia per il suo coinvolgimento nella narrazione. Nazareno e io abbiamo concordato, non nascondo il suo aiuto tecnico, un volere, cioè quello di offrire ai fruitori una storia avvincente e allo stesso tempo pericolosa. Questa bilateralità è servita ad unire la mia visione individuale e interna con il suo sguardo esterno, oltre a quello di terzi: i lettori”.

Avete avuto delle difficoltà nel coordinare la stesura del libro?

“Naturalmente urgeva una stima del tempo che avremmo impiegato per finire il lavoro. Abbiamo ragionato a lungo su alcune questioni, ma alla fine dopo varie riflessioni, siamo riusciti a trovare un punto d'incontro”.

Lushi Kaja il protagonista, lascia l’Albania in cerca di fortuna, ma si troverà coinvolto nel mondo del narcotraffico. Questa storia affronta il distacco dalle origini e la lotta per affermarsi in una nuova realtà, alla ricerca della felicità, è così?

“Tutti coloro che lasciano il proprio paese vogliono trovare condizioni migliori da quelle in cui hanno vissuto. La storia ci insegna che spesso nelle migrazioni accadono dei fatti dove una minoranza si trova costretta a fare delle scelte sbagliate per poter sopravvivere, provando gusto e piacere, scordandosi del passato e trovandosi in una sorta di felicità illusoria”.

Come siete riusciti a farvi raccontare nel dettaglio certi aspetti di questa rete internazionale alquanto pericolosa?

“Noi abbiamo avuto, purtroppo o per fortuna, esperienze vicine a questi mondi ‘paralleli’, non volevamo mettere in silenzioso questi fatti, ma appunto gridarli con una velata critica di lettura”.

Nel libro vengono descritte le regole del Kanun, il codice arcaico albanese. Cosa è rimasto oggi di quei valori simbolici e sociali?

“Il Kanun è un codice di leggi consuetudinarie che si sono trasmesse oralmente per secoli. Venne creato intorno alla metà del 1400 per dare una legislazione e tradizione propria al popolo albanese. Quei valori del Kanun, come la vendetta, si stanno frantumando grazie alla legge e agli interventi di varie associazioni. Negli ultimi anni diverse realtà si sono occupate della questione. Cito: Operazione colomba e Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, che dal 2010 è presente a Scutari, in Albania, per sostenere le famiglie sotto vendetta”.

Qani Kelolli 
 Qani Kelolli

Nella tua realtà di autore che significato ha il successo?

“Espandere le mie idee positive e cercare di essere d’aiuto ai giovani è una realtà che vorrei passasse come qualcosa di non illusorio, ma questo tipo di successo raccontato nel libro è soltanto una bellezza effimera. Per quanto mi riguarda condivido il pensiero di Pasolini quando dice: “Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta, a costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati”.

‘Nato per arrivare lontano’ è il primo volume. Qualche anticipazione del secondo?

“Nel secondo volume entriamo nelle viscere più interne e vere di una cultura ancora da scoprire. A due mani...”.

Gli autori

Qani Kelolli nasce a Berat, città albanese patrimonio dell’UNESCO, chiamata la città dalle mille finestre. Ha sempre amato le arti, ha letto con passione e questo gli ha consentito di imparare bene la lingua italiana fino ad arrivare a conseguire una laurea all’Accademia di Brera; ha scritto brevi racconti e poesie, cimentandosi infine in un romanzo completo che narra vicende incredibili. Ha partecipato a diversi concorsi letterari ricevendo numerosi premi e riconoscimenti.

Nazareno Caporali nasce in Toscana nel 1961. Da sempre appassionato di scrittura, ha scelto di mettersi in gioco con un romanzo. Ha partecipato e vinto numerosi premi di scrittura per racconti e poesie, nazionali e internazionali.

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"Il Cammino di Chiara" di Monica Cardarelli e Francesco Gallo arriva a Torino

Giovedì, 25 Maggio 2017 17:54

Sabato 27 maggio alle 16h30 presso il Museo Diocesano di Torino, piazza San Giovanni n. 4, si svolgerà la presentazione del libro/guida “I passi e il silenzio. A piedi, sulle strade di Chiara d’Assisi”, di Monica Cardarelli e Francesco Gallo, edizioni Porziuncola.

 

jtukik“Caminante, no hay camino, se hace camino al andar” scriveva in una celebre poesia Antonio Machado e ne sanno qualcosa Monica Cardarelli e Francesco Gallo che hanno sperimentato il passo dopo passo del Cammino di Chiara che, lentamente ma tenacemente, ora giunge fino a Torino.

Il cammino si fa camminando, e non si tratta solo di un cammino fisico ma anche umano, esperienziale e spirituale. Il cammino ti porta sempre a uscire da te stesso e ad incontrare la natura, l’altro e l’Altro.

Nel caso del Cammino di Chiara è andata proprio così: tutto è nato da una prima esperienza di cammino in solitario di Monica, appassionata di scrittura e affascinata dalla figura di santa Chiara, che con la Legenda di Santa Chiara di Tommaso da Celano è andata alla ricerca dei luoghi in cui la Santa avrebbe vissuto prima di arrivare a San Damiano. Fin qui nulla di strano. La curiosità nasce invece quando, una volta rientrata da questo piccolo e breve itinerario ma estremamente intenso e significativo per lei, le è stato chiesto di scrivere una guida sul cammino appena fatto.

A una simile richiesta da parte dell’editore, sembrava le mancasse il terreno sotto i piedi, ma la sfida e il desiderio di scrivere e raccontare la sua esperienza di cammino e di Chiara sono stati più forti della paura. Il destino ha voluto che le sia venuto in soccorso Francesco Gallo, una guida ambientale escursionistica umbra, con due lauree di cui una in teologia e uno spiccato interesse per il cammino, alla ricerca di nuovi itinerari francescani da proporre.

Da questo inaspettato incontro è nata la collaborazione tra Monica e Francesco che si sono subito messi a lavorare a quattro mani e a quattro piedi.  

Il Cammino di Chiara, proposto con il libro, si snoda per circa 24 km intorno ad Assisi sulle strade che la giovane santa avrebbe percorso prima di giungere a San Damiano: dalla fuga dalla casa paterna alla Porziuncola; da lì al monastero benedettino di San Paolo delle Abbadesse, a Bastia Umbra; poi fino alla chiesetta di Sant’Angelo in Panzo, alle pendici del Monte Subasio, per giungere infine a San Damiano dove Chiara sceglierà di restarvi in clausura per più di 40 anni. A chi macina chilometri e colleziona credenziali questo cammino apparirà infinitesimale e senza interesse ma se proviamo a chiedere ai pellegrini che fino ad oggi hanno percorso il cammino proposto, ci rendiamo conto che non si tratta solo di cammino fisico, c’è dell’altro. Niente di che, piccole cose: sensazioni, emozioni, pensieri, piccoli cambiamenti forse impercettibili o forse ben chiari, conferme di decisioni prese o di scelte fatte….tutto da sperimentare.

Così, passo dopo passo, il Cammino di Chiara arriva anche a Torino, al Museo Diocesano per la precisione, sabato 27 maggio, alle 16h30.

Pellegrini e non, curiosi o appassionati di francescanesimo, femministe e famiglie, tutti possono avere l’opportunità di conoscere, dalla viva voce dei pellegrini/autori, questo cammino e saperne di più sulla figura di Chiara d’Assisi che è stata la prima donna nella storia della Chiesa a scrivere una Regola per le donne, oltre al Testamento, quattro Lettere ad Agnese di Praga, una lettera ad Ermenntrude di Bruges e la Benedizione.

Piccolo particolare in linea con la povertà evangelica per cui Chiara ha così tanto lottato; Monica e Francesco devolvono i diritti d’autore della vendita dei libri alle Sorelle Clarisse del Monastero di Cortona.

 

Ingresso libero. Per info: tel 339.6424357, mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; [email protected]it; www.ilcamminodichiara.altervista.org

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MUSSOLINI E IL CASO SACCO - VANZETTI

Domenica, 14 Maggio 2017 11:37

Mussolini e il caso Sacco- Vanzetti è senza alcun dubbio un libro prezioso, perché ci consente di acquisire una più ampia conoscenza della complessa vicenda dei due anarchici italiani stoltamente LOPquanto crudelmente trucidati, quasi un secolo fa, tramite una delle più disumane invenzioni della morte di Stato. Lorenzo Tibaldo, che già in più occasioni si è dedicato alla tragica e appassionante vicenda, alla luce della documentazione consultata presso l’Archivio Storico Diplomatico di Roma eavvalendosi anche di un ottimo saggio dello storico americano Philip V. Cannistraro, riesce a ricostruire con illuminante efficacia il quadro politico entro cui collocare la controversa questione storiografica relativa al comportamento e alle scelte di Benito Mussolini. Le sue strategie oscillanti e spesso contraddittorie vengono infatti rese decodificabili da uno attento studio della sua personalità, della sua formazione culturale e politica, del suo travagliato percorso biografico, delle sue mutevoli e contrastanti istanze ideologiche, delle altrettanto cangianti operazioni tattiche. In questo modo, diventa possibile rispondere, in modo non superficiale e sbrigativo, a questi (e altri) interrogativi:

Quali furono le ragioni per cui Mussolini intervenne a favore di Sacco e Vanzetti dal momento della sua salita al potere alla morte dei due anarchici?

Fu per le sue radici anarco-socialiste?

O per la pressione a salvarli in quanto italiani?

Oppure per l’opportunità politica e propagandistica del regime fascista?

Quanto fu forte, convinto e sincero il suo impegno?

E ancora: come si mosse rispetto all’“amico” americano?

Il lavoro è inoltre arricchito dalla riproduzione, in Appendice, di un interessantissimo opuscolo dal titolo Le ragioni d’una congiura, curato dal SACCO-VANZETTI DEFENSE COMMITTEE (conservato presso il “Fondo Cavallini”, Biblioteca Comunale “Fabrizio Trisi”, Lugo-RA), nonché dalla riproduzione di documenti finora inediti o assai poco noti, fra cui lettere e telegrammi a firma del dittatore e una toccante lettera di Luisa Vanzetti, sorella di Bartolomeo.

Indice testuale

Mussolini, il caso Sacco-Vanzetti e gli anarchici: il contesto americano 
di Philip V. Cannistraro

Il caso Sacco-Vanzetti e le inquietudini di Mussolini 
di Lorenzo Tibaldo

1.Mussolini e l’“amico” americano

2.Inizia il caso Sacco-Vanzetti

3.Il fascismo e l’opposizione antifascista in America

4.Mussolini e l’anarchia

5.Mussolini e il caso Sacco-Vanzetti

 

Appendice

Regia Ambasciata d’Italia

Ministero degli Affari Esteri. Relazione a S.E. il Ministro

Le ragioni di una congiura di Sacco e Vanzetti

Biografia degli autori

Philip V. Cannistraro,

storico americano, è stato docente di Studi italiani al Queens College e alla City University di New York, nonché massima autorità nel mondo accademico statunitense riguardo agli studi sul fascismo. Tra le sue molte pubblicazioni, ricordiamo La fabbrica del consenso (Laterza, 1975).

Lorenzo Tibaldo,

professore di lettere, filosofia e storia, e studioso del Novecento. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: La religione non è una fiaba (Kosmos, 1995), Leggere, scrivere e far di conto (Alzani, 1999), Una società giusta (Alzani, 2002), Democrazia e solidarietà (Centro Studi Piemontesi, 2003), Gli italiani (non) son tutti fatti così. Le speranze deluse nella storia d’Italia (Petite Plaisance, 2017), e per i tipi Claudiana: Sotto un cielo stellato. Vita e morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti (2008), Il viandante della libertà. Jacopo lombardini (1892-1945) (2011), La Rosa Bianca. Giovani contro Hitler (2014), Willy Jervis (1901-1944). Una vita per la libertà (2015).

Mussolini e il caso Sacco-Vanzetti

Philip V. Cannistraro, Lorenzo Tibaldo

Editore: Claudiana

www.claudiana.it

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Daniela Ippoliti: “La storia di ciascuno di noi è legata a quella di altri viaggiatori”

Giovedì, 11 Maggio 2017 00:42

Da un tragico incidente tante altre storie si intrecciano tra loro e ne esce un romanzo carico di emozioni che porta il lettore a confrontarsi con la vita e la morte.

coverilgiardinoDaniela Ippoliti inizia il suo percorso letterario con un romanzo intenso e davvero profondo per le tematiche che affronta. “Il giardino di Mattia” edito da Bibliotheka Edizioni parte da un avvenimento doloroso: un giovane ragazzo muore in un incidente stradale e gli amici rimangono sconvolti. Purtroppo è un fatto che accade di frequente sulle strade e che coinvolge molti ragazzi. La scrittura dell’autrice però non si ferma all’aspetto tragico con la scomparsa del protagonista, ma cerca di trovare un senso che porti ad una sorta di positività che si rinnova in altre cose. Così in un giardino, luogo dell’impatto, prendono forma incontri e storie che parlano di speranza, di nuova luce. La vita e la morte vengono messe a confronto con uno stile semplice, adatto alle corde di chi vuole cercare di capire meglio cosa significa esistere in quel transito che è l’esperienza terrena. La Ippoliti ci conduce in un viaggio di costante riflessione, dove il pensiero diventa strumento indispensabile per scendere nelle fragilità umane prendendo consapevolezza di quanto sia complessa e misteriosa l’esistenza.

Daniela Ippoliti, che cosa rappresenta per lei la scrittura?

“La scrittura per me è il metodo più naturale ed istintivo per esprimere emozioni. Quando leggo mi immergo nella lettura e, soprattutto se ciò che leggo mi piace molto, non mi sento mai sola. Scrivere è ancora più rilassante, divertente e coinvolgente di leggere. Si può scoprire molto della personalità di un individuo in base a quello che scrive, anche solo fosse il verbale di una riunione di condominio!”

Come è nata l’idea del romanzo ‘Il giardino di Mattia’?

“L’idea è nata dopo un incidente in cui è rimasto coinvolto un giovane ragazzo con il suo scooter. Il tragico fatto è avvenuto vicino casa mia. Ogni giorno passavo accanto al giardinetto…e da lì è partito tutto”.

La vita e la morte, lei come le considera?

“Considero la vita come un viaggio per il quale ci hanno regalato il biglietto di andata e di ritorno. Quello che succederà durante il viaggio, chi saranno gli altri viaggiatori lo vedremo strada facendo e se è vero che molte delle cose che ci capiteranno dipenderà dalle nostre scelte, le tappe del tour non dipendono solo da noi. Alla fine del viaggio si torna a casa, quella da cui proveniamo, dove rincontreremo chi ci ha preceduto e potremo stare di nuovo insieme. Questa è la morte”.

Oriana Fallaci scrisse: “La vita è un arcobaleno inesauribile di colori, un concerto interminabile di rumori, un caos fantasmagorico di voci e di volti”. Perché ha scelto questa citazione?

“Ho scelto questa frase primo perché adoro la Fallaci, di cui ho letto praticamente tutto o quasi, e poi perché riassume in poche parole ciò che penso dell’esistenza, ossia che la storia di ciascuno di noi

Daniela Ippoliti
Daniela Ippoliti

è legata a quella di tanti altri ‘viaggiatori’.

Da un tragico evento parte l’intreccio narrativo che si apre ad una serie di storie. Come è riuscita a strutturare e a sviluppare la trama?

“Ho immaginato la trama del libro come fosse un grande disegno in cui al centro c’era la morte di Mattia e tutto intorno tanti altri individui la cui vita, in un modo o nell’altro, veniva influenzata dall’incidente del ragazzo”.

E’ stato facile trovare l’incipit per questa sua prima esperienza editoriale?

“Credo che chi scrive lo faccia per essere letto da qualcuno, a meno che non si scriva un diario personale, specialmente se si crede in quello che stiamo scrivendo. Per questo, una volta terminato il lavoro, e dopo aver ascoltato il parere di parenti ed amici che lo hanno letto, ho cercato una casa editrice che lo pubblicasse. E alla fine sono approdata a Bibliotheka Edizioni.

Perché un lettore dovrebbe acquistare il suo romanzo? Secondo lei, cosa lo rende interessante rispetto ai titoli che ci sono in libreria?

“Penso sia una lettura piacevole, scorrevole e che in modo semplice e diretto dice che l’aiuto che ci serve può arrivare da ogni direzione, anche la più impensabile.”

Qual è il primo romanzo che ricorda di aver letto?

“E’ stato ‘Piccole donne’ di Luisa May Alcott. Avevo 6 anni”.

L’autrice

Daniela Ippoliti è nata a Roma nel 1964, dove vive attualmente insieme a suo figlio. Laureata in medicina e chirurgia presso l'Università di Roma La Sapienza e specializzata in dermatologia, lavora da molti anni presso un famoso istituto dermatologico della capitale. “Il giardino di Mattia” è il suo primo romanzo.

 

Il giardino di Mattia

di Daniela Ippoliti, Bibliotheka Edizioni      

pagg. 160, 11 euro

Michela Zanarella

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"Anima Persa, Anima Ritrovata" - Un viaggio nel verde dei papi con il nuovo libro di Anna Bruno

Venerdì, 05 Maggio 2017 15:28

Mercoledi 03 maggio scorso si è svolta a Roma la presentazione del testo Anima Persa Anima ritrovata, periegesi all’interno dei giardini vaticani di Anna Bruno, edito dalla Palombi editori.. Sono intervenuti la dott.sa Maria Serlupi Crescenzi, responsabile della didattica ai Musei Vaticani e padre Guido Innocenzo Gargano, professore della Pontificia università Urbaniana e Pontificio Istituto Biblico.

Nel testo, l’autrice prende per mano il lettore trascinandolo in un percorso viatico, in un itinerum in mentis deum, all’interno di un giardino di tanti giardini, di gusto eclettico: i giardini vaticani appunto. E allora autrice e lettore si immergono amorevolmente amorevolmente nella storia e nella simbologia di questo verde e immaginifico luogo concluso vaticano, usando ogni fonte possibile: dalla letteratura, alla memoria dei sensi, dalla poesia ai versetti biblici e coranici, dall’ arte antica a quella contemporanea, invitando il lettore-visitatore-cercatore di profumi nonché pellegrino in una sorta di piccola“convivialità delle differenze”, per usare le parole tanto famose di don Tonino Bello.

“Un racconto come una visione in cui tutto scorre gustosamente davanti agli occhi in uno scenario di grande suggestione” racconta Mons. Luigi Renzo nella sua presentazione e continua “(…) ed è come essere presi per mano e condotti in ogni angolo, anche il più segreto, di questi giardini che, nell'immaginario collettivo, restano un sogno e un arcano di bellezza inarrivabile. Invece lei con la semplicità del racconto, ce li rende avvincenti facendoci penetrare in ogni anfratto, come in un gioco di realtà e di fantasia.” E a mano a mano il giardino le porge la vita.

Il percorso trifasico, di dantesca memoria, approfitta di un giardino eclettico e, superato il frammento di muro di Berlino, offerto a papa Giovanni Paolo II nel 1989, attraversa il boschetto all’inglese, simbolo del mistero e perciò della perdita dell’anima. “Ma la perdita non è vuoto, non è assenza” assicura la “novella Beatrice dantesca”, la perdita è rinascita. Ed è proprio nel boschetto che gli incontri si fanno tappe necessarie al passaggio dal materiale allo spirituale e in aiuto a lei e al suo lettore, accorrono imperatori e dèi di pietra, animali veri e scolpiti, piante, fiori, fontane e papi protagonisti di questi giardini delle meraviglie. Ma soprattutto, accorrono protagoniste le piante e con esse i giardinieri del papa, che compaiono ora come precettore, ora come poeta, ora come esperto della potatura o della fioritura liturgica, o ancora come ortolano.

Tra un giardino e l’altro le soglie si trasformano in passaggi definitivi per nuovi ambiti del proprio sé. “L’autrice, a cui non sfuggono vibrazioni e sfumature, l’autrice è tutt’intesa a cogliere i significati profondi, quelli in cui i popoli, nella loro infanzia, hanno tradotto il bisogno del divino attraverso simboli, metafore, favole, istituendo con essi la religione.” E il giardino si propone dunque come nutrimento dell’anima, dell’autrice quanto del suo lettore che, di volta in volta, accumulano e assimilano e a mano a mano che risalgono il giardino, essa scende fino al punto più profondo del proprio sé. E parallelamente i giardini dei papi si rivestono di colori e essenze, ecletticamente così come li avevano progettato i suoi ultimi ideatori: Pio XI (1922-1939), il papa dei Patti Lateranensi (11 febbraio 1929) e il suo architetto Giuseppe Momo. Ma in chiave contemporanea rivisitati dall’autrice, guida vaticana dal 2006 e da Luciano Cecchetti fino al 2014 responsabile e giardiniere lui stesso dei Giardini Vaticani e delle ville Pontificie. Come è giusto che sia, perché la creatività e la fantasia continuino il loro corso!

La seconda soglia è la soglia della salvezza, la ripresa dopo la perdita, e consente all’autrice e al suo lettore di entrare nel giardino alla francese i cui viali confluiscono fino alla copia della grotta di Lourde, punto focale del giardino. Qui il giardino risveglia l’anima alla gioia e alla vigoria, rivestendosi nell’immaginazione della stessa autrice (e del suo precettore), come fosse tela nuda di forme, linee e colori prima di entrare nella terza e lunga tappa del giardino all’italiana, dove l’autrice si intrattiene con gli stili che si susseguono, dal tardo rinascimentale a quello settecentesco, dai non più esistenti giardini di Paolo III Farnese (1468 – Roma 1549) e Clemente VIII (1592-1605) a quello di papa Borghese, Paolo V, con le sue imponenti fontane, via via fino al giardino del cimitero teutonico e a quello giapponese in fieri.

Il percorso infine discende dal cortile della Pigna e, passando per quello del Belvedere, si ferma a piazza S. Pietro. Qui l’autrice e il suo lettore trovano il loro punto aureo, per tornare tra la folla, dopo aver congedato quanti l’avevano accompagnata. Le due anime, dunque, quella sua e del suo lettore, sono pronte a tornare nel limite che la vita sempre propone e con esso il suo superamento.

 

Titolo: Anima Persa, Anima Ritrovata

Sottotitolo: periegesi all’interno dei giardini vaticani

Progetto: l’arte pittorico-simbolica del giardino

Autore: Anna Bruno, sito www.periegeta.it

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INTERVISTA ALLA SCRITTRICE ERIKA MADERNA

Sabato, 18 Marzo 2017 17:19

Erika Maderna, laureata in Etruscologia e Archeologia Italica presso l'Università degli Studi di Pavia, scrive articoli, traduzioni e saggi di cultura e archeologia classica.

Ho conosciuto Erika Maderna attraverso uno dei suoi libri “Medichesse”, un libro che è andato a colmare una lacuna bibliografica: sono rari i testi che ripercorrono la medicina al femminile perché, tranne rare eccezioni, le guaritrici sono rimaste nell'ombra, essendo spesso donne del popolo, eredi di un sapere antico.

Medichesse è il terzo libro dell'autrice, preceduto da “Antichi segreti di bellezza” (Aldo Sara Editore, 2005); e da “Aromi sacri Fragranze profane: simboli, mitologie e passioni profumatorie nel mondo antico” (Aboca, 2009).

tuuiiSe il primo libro indaga la cosmesi antica, nel secondo il protagonista è il profumo: gli aromi sono strettamente legati sia all'esperienza religiosa che a quella profana, le essenze oscillano tra erotismo e magia, connettendo l'uomo alla sua parte più emotiva. Attraverso aneddoti, curiosità e mitologie l'autrice offre al pubblico un libro prezioso e di scorrevole lettura su un tema sempre intrigante.

Le protagoniste del quarto libro, “Le mani degli Dèi” (Aboca, 2016) sono le piante officinali raccontate nel loro aspetto mitologico e simbolico.

Il melo delle Esperidi, la viola di Attis, l'anemone di Adone, l'erba Moly di Circe, il giglio di Era, il mirto di Afrodite, la menta di Mintha e molte altre creature vegetali sono qui raccontate con eleganza e

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 ERIKA MADERNA

passione, restituendo a queste piante ed alberi, conosciute per la loro valenza fitoterapica, una dimensione narrativa. Erbe connesse alla Grande Madre antica, erbe capaci di guarire ma anche di uccidere, mitologie vegetali che l'autrice offre al lettore anche attraverso gli articoli scritti e pubblicati per il Wall Street International.

 

“Medichesse” declina il verbo “curare” al femminile ripercorrendo la storia della medicina dalle civiltà matrifocali fino a Isabella Cortese. Secondo te quale è stata la difficoltà più grande che le medichesse antiche hanno dovuto affrontare per ricevere la giusta considerazione?

Elencare le difficoltà affrontate dalle donne nella pratica della medicina ci riporterebbe a un’aneddotica curiosa e ricca di esempi. Ci sono state donne costrette a vestire abiti maschili per poter praticare la professione; altre che hanno sfidato divieti pericolosissimi, e hanno rischiato il rogo pur di non tradire la propria missione; altre ancora che hanno scelto la protezione del monastero per potersi dedicare in sicurezza alla ricerca e alla cura. Può sembrare strano, ma le epoche più antiche hanno mostrato maggiore apertura e tolleranza verso le medichesse; dopo il Mille, la misoginia e la paura atavica della magia diabolica delle streghe determinarono la brusca rottura di un già fragile equilibrio, e l’esclusione delle donne dalla pratica professionale divenne una battaglia ideologica perseguita con crudele caparbietà dalla medicina ufficiale.

 

Secondo te, oggi, è stata ottenuta la giusta considerazione delle donne curatrici o pensi che la figura maschile del medico adombri ancora quella femminile?

Negli ultimi decenni le presenze femminili all’interno delle facoltà di Medicina sono aumentate esponenzialmente, anche se alcune specializzazioni rimangono, più di altre, resistenti al cambiamento. Credo che le donne, dopo aver compiuto un lungo e faticoso percorso con la determinazione che le caratterizza, si stiano riappropriando finalmente del pieno riconoscimento del loro ruolo professionale. Certo, ora non sono più medichesse, sono donne medico; hanno colmato quel gap che nella parte più antica della storia ha differenziato fortemente il sapere maschile da quello femminile. Eppure, forse ancora portano traccia dell’antica vocazione di sacerdotesse...

 

Maghe pharmakìdes erano Elena, Circe, Medea... le herbarie medievali condannate come streghe curavano anche attraverso l'aspetto “simbolico” e vibrazionale delle piante: cosa ha perso la medicina sradicando la magia dai medicamenti?

Il mito e le fonti antiche ci riportano esempi straordinari di erbe o farmaci mistici o spirituali, spesso legati alle conoscenze mediche delle donne e alla sfera della cura dei mali della psiche. Questi esempi descrivono la funzione della malattia nel suo aspetto allegorico, ridotta alla semplicità del simbolo, e allo stesso tempo la ricerca, nelle piante curative (dette anche “semplici”), della purezza di ciò che ora la scienza chiama principio attivo, ma che allora era considerato forza divina. Ancora oggi questo aspetto è esplorato con grande interesse dall’approccio psicosomatico della medicina, che in realtà ripercorre intuizioni che vengono da molto lontano.

 

Le piante e la sfera del sacro erano indissolubilmente legate: i primi santuari furono le foreste, templi vegetali a tutti gli effetti; pensi che questo rapporto con il sacro “vegetale” sia andato del tutto perduto? Quale momento storico, secondo te, ha segnato la fine della sacralità vegetale?

Il senso del sacro legato alla percezione della natura era più forte quando l’umanità non comprendeva le leggi dell’universo, le temeva e le rispettava per non incorrere nella punizione divina. Abbattere una pianta significava violare lo spirito che vi dimorava e il timore della vendetta tratteneva la mano dell’uomo. Molti popoli, inoltre, erano convinti che la stirpe umana discendesse dagli alberi, e li onoravano come antenati. Con l’avanzare della civiltà del logos e della scienza, la devozione si è trasformata in volontà di dominio, certezza di superiorità, logiche che oggi sembrano prevalere nel nostro “uso” spregiudicato delle risorse naturali.

 

Nei tuoi tre libri compaiono spesso ricette di cosmesi femminile. Quale rituale antico è maggiormente connesso alla cosmesi?

La cosmesi è parte viva dell’approccio femminile alla salute, e lo dimostra il fatto che le ricette di bellezza tramandate dalle donne alle donne compaiono in tutti i trattati medici antichi scritti da mani femminili. Non si tratta di indulgere in frivolezze e vanità, bensì del lascito di una filosofia del benessere che non considera medicina soltanto ciò che è utile a curare il morbo, ma amplia la visuale alla cura di sé, alle pratiche igieniche, alla ricerca della bellezza come strumento di soddisfazione. Ogni epoca ha avuto le sue mode cosmetiche. Nelle culture mediterranee antiche, e poi in quelle classiche, la profumazione del corpo costituiva sicuramente il rituale più importante, e a questo interesse dobbiamo l’elaborazione di una tecnologica avanzata della produzione degli unguenti aromatici. La valenza della profumazione rispondeva a molteplici necessità: in origine l’olio aromatico aveva una funzione deodorante, emolliente, ma anche protettiva dell’epidermide, e solo col tempo prevalse quella cosmetica. In epoca rinascimentale, il paradigma della bellezza si spostò verso un ideale estetico femminile di candore e purezza; il “far bianco” divenne la pietra filosofale dell’alchimia cosmetica, e si moltiplicarono le ricette utili a illuminare l’incarnato del volto, a sbiancare le mani e i denti, a schiarire i capelli.

 

In “Aromi sacri Fragranze profane” e in “Le mani degli Dei” le protagoniste sono le piante (e gli alberi): quale rapporto ti lega al regno vegetale?

Il profumo ha costituito la prima forma di comunicazione tra l’uomo e la divinità; un linguaggio etereo e ineffabile quanto il destinatario del messaggio. Il mondo vegetale nasconde simboli profondissimi e scoprirli significa raggiungere le radici più antiche della religiosità. Sono proprio questi aspetti simbolici ad avermi affascinata, tanto da spingermi a procedere per successivi approfondimenti. In un mito vegetale possiamo rintracciare livelli di lettura interessantissimi: non solo la leggerezza dell’invenzione narrativa, ma informazioni botaniche e intrecci impensati tra archetipi sacri, vis terapeutica della pianta, natura umana. E la natura ha sempre qualcosa da suggerirci, se sappiamo scavare fra i significati.

 

Quale personaggio della mitologia antica senti più vicino a te? Quale medichessa?

Mi affascinano tutte le grandi figure dell’immaginario, per la loro capacità di evocare gli archetipi più profondi: Circe, Medea, che hai già citato, e in generale le grandi maghe conoscitrici di farmaci, splendide e terribili al contempo, che sono state il prototipo e il fondamento iconico dell’herbaria e della strega. Tra le medichesse della storia, invece, non posso non nutrire una profonda ammirazione per la figura di Ildegarda di Bingen, che dedicò parte della sua attività intellettuale all’approfondimento di una filosofia medica di grande impatto filosofico. A Ildegarda interessa l’uomo nella sua complessità e completezza di corpo, psiche e spirito, e da questo approccio olistico si sviluppa la necessità di ricercare nell’armonia fra queste componenti la chiave per il benessere. Ma la grande novità della medicina ildegardiana è l’interesse per la salute femminile, che la santa ha indagato con profondità di riflessione: la donna deve onorare e conoscere la propria femminilità se vuole essere felice, e deve avere un rapporto soddisfacente con il proprio partner se vuole prevenire i disturbi tipici dell’apparato ginecologico. Un personaggio così sfaccettato è difficile da riassumere in pochi tratti, ma mi piace quella definizione di “Sibilla del Reno” che fa di questa grande santa visionaria un anello di congiunzione tra la pratica sciamanica delle sacerdotesse pagane, l’approccio empirico tipico della tradizione medica femminile e la nuova indagine filosofica sulla salute.

 

Su quale ricerca ti stai concentrando in questo momento?

Sono tornata a studiare la storia della medicina femminile, questa volta dedicando un approfondimento alla cosiddetta “medicina delle streghe”. Moltissime delle donne bruciate sui roghi dell’Inquisizione, dal medioevo fino alle soglie del Settecento, erano curatrici empiriche, che praticavano i loro saperi nelle campagne attingendo a una tradizione ricchissima di medicina magica che si è tramandata rimanendo per secoli quasi immutata per modalità e contenuti. E’ importante riportare all’attenzione questi risvolti distruttivi del nostro passato, cercando di illuminare la prospettiva delle vittime, su fatti che sono stati raccontati solo dai documenti dei carnefici; è un tributo necessario al sacrificio assurdo di donne che hanno subito torture e atroci sofferenze senza comprendere quale fosse la propria colpa.

 

Per approfondire:

http://flipnews.org/flipnews/index.php?option=com_k2&view=item&id=7242:medichesse-la-vocazione-femminile-alla-cura&Itemid=123)

http://www.flipnews.org/publishing/erika-maderna-le-mani-degli-dei-mitologie-e-simboli-delle-piante-officinali-nel-mito-greco.html

Erika Maderna presenterà il libro “Medichesse: la vocazione femminile alla cura” Domenica 26 marzo alle ore 17 presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma, via della Lungara 19.

A seguire ci sarà lo spettacolo “Herbarie: le chiamavano streghe” a cura del progetto Anemofilia Teatro.

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DONNE: DI EDUARDO GALEANO

Martedì, 07 Febbraio 2017 11:06

 

“Io mi addormento sulle rive di una donna: io mi addormento sulle rive di un abisso” (cit)

 

Torna in libreria Galeano con il suo ultimo libro, voluto per raccontare le donne: 150 figure femminili note e meno note che hanno lasciato un segno, dando nuova forma al senso comune, ribellandosi a pregiudizi, cambiando, in alcuni casi, il corso degli eventi.

Eduardo Galeano è morto il 13 aprile del 2015. Ma molti dei suoi libri non sono stati più ripubblicati. Una scrittura gentile ed incisiva, che unisce poesia, epigramma e narrazione e che arriva diretta all'emozione, lasciando come un sussurro, una carezza, che ti fa chiduere gli occhi per assaporarla meglio.

Da giovanissimo scrive una delle opere per le quali, ancor oggi, è ricordato: “Le vene aperte dell'America Latina”, dove ripercorre lo sfruttamento e la messa in schiavitù di uno dei continenti più ricchi di risorse minerali: 500 anni di colonizzazione che han portato l'America Latina alla situazione economica e politica attuale. L'opera non poteva circolare durante la dittatura militare cilena e argentina perché strumento di corruzione della gioventù.

Il libro “Donne” inizia con Sherazade, “dalla paura di morire nacque la maestria del narrare” (cit), passando per Tituba, la schiava nera erede di una tradizione di griot, Tituba dava voce a“racconti di fantasmi e leggeva il futuro nel bianco di un uovo” (cit); stiracchiando secoli la penna di Galeano tocca Calpurnia, moglie di Giulio Cesare che in sogno vide la morte dell'amato, per tornare ad oggi con Rigoberta Menchù, nobel per la pace e voce del popolo maya sterminato dal governo del Guatemala, e con le madri di Plaza de Mayo, “coro greco di un'antica tragedia” ritratte mentre fissano l'ambasciatore della dittatura argentina che prende l'ostia in una chiesa di Madrid, un esercito silenzioso che combatte con sguardi che non perdonano.

Donne che si sono fatte strada a fatica, distruggendo l'idea che “nasce la donna per produrre latte e lacrime” come la poetessa Alfonsina Storni “i suoi versi più popolari protestano contro il maschio carceriere” (cit), donne meno conosciute ma che hanno fatto tremare le impalcature patriarcali come Susan Anthony che nel 1873 viene condannata perché si era avvalsa del diritto di voto, o come Elisa e Marcela che si sposarono travestendosi da coppia uomo/donna nel 1901, costrette alla fuga per lo scandalo.

Non solo donne di carne descrive Galeano, ma anche Dee, come Tlazolteotl, la luna messicana, unica dea del pantheon maschilista azteco, dea luna che proteggeva le partorienti e i semi delle piante, dea colpevole della perdizione degli uomini, come Pandora. Corre zigzagando nella storia la penna di Galeano, tesa all'ascolto della voce femminile e ci regala l'immagine di Trotula, medichessa della scuola salernitana mentre porge ascolto, erbe e massaggi alle donne, in tempi in cui il coltello e la chirurgia erano la moda.

Tra le figuri femminili meno conosciute galeano tratteggia Juana Manso che nella metà dell'Ottocento fondò scuole laiche e miste, biblioteche popolari e inaugurò, con i suoi scritti e con la sua biografia il divorzio e l'ipocrisia coniugale o come Manuela Leòn che nel 1872 venne fucilata dopo aver sobillato i villaggi dell'Ecuador a non pagare tributi.

Galeano ci ricorda dove nasce la ricorrenza del 25 novembre, giornata contro la violenza alle donne: è il 1960 e 3 militanti contro la dittatura di Trujillo, le sorelle Malabar, nella Repubblica Dominicana furono gettate in un burrone dopo essere state picchiate.

La tradizione messicana insegna a seppellire i cordoni ombelicali delle figlie femmine sotto le ceneri della cucina, Galeano, con questo libro pieno di poetica verità, fa volare in alto quei cordoni, alti come aquiloni, finalmente liberi di essere vento.

 

EDUARDO GALEANO
DONNE
SPERLING 2017

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A Pozzallo sbarcano anche i critici letterari e gli scrittori

Lunedì, 23 Gennaio 2017 10:08
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 I lavori presso la scuola "A. Amore"

« Il Premio Nobel della letteratura nel mondo » è il tema che i critici e gli scrittori dell’Associazione Internazionale dei Critici letterari hanno svolto nel loro convegno annuale che si è tenuto a Pozzallo, in provincia di Ragusa il 20 e 21 gennaio ultimo scorso.

Su invito ed organizzazione del prof. Corrado Monaca, Direttore Strategico per la cultura e il territorio, l’AICL è sbarcata per la seconda volta in Sicilia dopo il Convegno di Gela del 2001, in occasione del centenario della nascita di Salvatore Quasimodo.

Nel 2017 ricorrono i centociquanta anni dalla nascita del Premio Nobel Luigi Pirandello, del quale insieme al premio Nobel Grazia Deledda proprio nel 2016, appena trascorso, si sono celebrati gli ottanta

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 Alcuni dei delegati dell’Associazione Internazionale dei Critici letterari

anni dalla morte.

Per questo il Bureau Internazionale AICL, presieduto dalla professoressa Neria De Giovanni, ha invitato i delegati dell’Associazione a una riflessione sul valore dei Premi Nobel per la letteratura nei diversi Paesi del mondo.


Critici e scrittori provenienti da Spagna, Francia, Stati Uniti, Venezuela, Romania, Albania, Catalogna, oltre che da diverse città italiane; Roma, Taranto, Genova, Torino, si sono confrontati nella Scuola « A.Amore », presso l’Auditorium Paolo Monaca, appena inaugurato con la donazione da parte della famiglia Monaca di un busto di bronzo dell’artista Paolo Marazzi che con la sua arte unisce Baltico e Mediterraneo passando per Assisi.

Importante omaggio in apertura alla città che ospita il Convegno: la professoressa Grazia Dormiente ha intrattenuto gli ospiti relazionando sul carteggio inedito tra Giorgio La Pira e Salvatore Quasimodo.

Di indiscussa levatura gli interventi. Per la Francia, Andrè Ughetto ha parlato del Premio Nobel Federic Mistral e Jean Pierre Castellani di Albert Camus; per la Spagna Angel Basanta, Segretario Generale dell’AICL, ha relazionato su Camillo Josè Cela, mentre le catalane Josefa Contioch e Lulisa Julià hanno parlato della diffusione in Catalogna dei premi Nobel italiani Deledda, Pirandello e Quasimodo. Anche il romeno Horia Alupului ha omaggiatol’Italia con una sua relazione su Grazia Deledda in Romania, e Tudorel Radu ha offerto un parallelo tra il nostro Pirandello e il romeno Brancusi mentre Stefan Damian, vicepresidente dell’AICL, ha relazionato sui luoghi di Salvatore Quasimodo. L’albanese Arjan Kallco ha omaggiato anche la Sicilia, parlando di Quasimodo, mentre

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 Il museo della fondazione Giorgio La Pira a Pozzallo

Andrea Guiati, cattedratico statunitense, ha parlato dell’ultimo premio Nobel, Bob Dylan.

Nutrita la presenza italiana: Silvano Trevisani ha parlato di Quasimodo, mentre il Dante dei Premi Nobel è stato il tema svolto da Giovanna Ioli. Montale e Quasimodo sono stati all’attenzione di Rosa Elisa Giangoia, e Sabino Caronia ha parlato di Pirandello tra Sciasia e De Benedetti. Antonio Maria Masia ha incentrato il suo intervento su Dario Fo. Mentre Bruno Rombi ha parlato di Neruda in Sardegna in rapporto a Grazia Deledda, Franco Idone, invece, ha raccontato dei Nobel che salgono e quelli che scendono… Dal Venezuela Antonio Mendoza ha offerto un ritratto della polacca Wislawa Szybroska.

 

Il convegno è stato occasione anche per una visita dei luoghi di cultura del territorio: a Pozzallo, dopo l’incontro con il Sindaco, c’è stata la visita dei delegati al Museo di Giorgio La Pira  e alla mostra didattica “ Pozzallo nel vortice del tempo - Pozzallo dalla preistoria al XXI secolo” allestita presso l’Istituto Comprensivo “A. Amore” . A Ispica invece hanno incontrato il Sindaco e visitato i luoghi di ” Divorzio all’italiana”, di Pietro Germi e di Montalbano, il famoso commissario della penna di Andrea Camilleri. A Modica c’è stata la visita alla casa di Salvatore Quasimodo e al famoso Museo del 20170121 123231 resizedcioccolato.

A conclusione del Convegno, come d’uso per gli incontri Internazionali dell’Associazione, è stato consegnato il Premio Europeo Farfa di cultura e territorio, che quest’anno è andato a esponenti del territorio ibleo.

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Sul dorso di un'oca: il simbolismo inziatico del Grande Gioco

Venerdì, 13 Gennaio 2017 00:16

La sapienza iniziatica occidentale ha preso strade insolite: pensiamo ai tarocchi (sviluppatesi come gioco di carte nelle corti rinascimentali) o riflettiamo sul disegno della campana che da bambini disegnavamo per terra, linee così simili all'albero cabalistico delle Sephirot. Per non parlare dell'altalena, gioco che sembra riflettere la festa greca delle Aiorie (dal mito greco di Erigone e Icario).
Molti sono i significati esoterici nascosti all'interno del gioco dell'Oca.

“Il gioco dell'Oca è il gioco del pellegrino che si mette per via sognando il ritorno a casa, dove vivono il Padre e la Madre in beata unità: quella che si irradia nella molteplicità senza perdersi” (cit.). Ma partiamo dall'animale totemico che dà il nome al gioco.
È sul dorso di un'oca che Hansel e Gretel tornano a casa, sono le oche del Campidoglio a dare l'allarme per la sopraggiunta dei Galli invasori. L'oca ha una natura celeste e solare (in contrapposizione al cane, animale psicopompo), è un animale sacro per la tradizione nordica ( i Celti proibivano la caccia di uccelli nobili come l'oca e il cigno). Oca e cigno si equivalgono simbolicamente, per gli Egizi il cigno è “l'oca del Nilo”: 4 oche venivano lanciate ai 4 punti cardinali per salutare l'incoronazione del faraone, l'oca è il simbolo geroglifico dell'imperatore.
A Roma è l'uccello di Giunone (insieme al pavone), la moglie di Brahma,Sarasvati, avanza su questi due stessi uccelli recando fra le mani un fiore di loto.

Si lancia un dado: i giochi di dadi erano permessi solo durante i Saturnali nell'antica Roma, il dado, con i suoi 12 angoli, simboleggia l'ordine materiale del mondo che viene dinamizzato nel lancio nel quale ognuno “gioca i suoi dadi”.
La prima casella parte come Io e torna come Noi: la prima casella, infatti, è direzionata verso la meta finale. Il gioco si snoda su 63 o su 90 caselle, due numeri per nulla casuali: 63 è la moltiplicazione di 7 e 9 , 9 è il numero del compiuto, prodotto della perfezione trinitaria. “7 è il numero di un affinamento interiore sofferto e costante, vivificato dalla presenza di veder esaltata la propria umanità nella rivelazione divina” (cit).
“Sette per nove, carne e spirito, spazio profano e spazio sacro, tempo ed eterno” (cit).
Il viaggio sul dorso di un'oca passa attraverso caselle “feriali” e caselle iniziatiche, come il ponte, simbolo della vertigine del passaggio, del collegamento, e la locanda, simbolo del nutrimento fisico, ma anche luogo di scambio e di incontri, zona di confine nella quale è necessari avere fiducia per mettersi nelle mani di estranei che curino il tuo cibo e il tuo riposo. Il pozzo (casella 31) è una bocca spalancata sul cielo, è intimità, raccoglimento, ritorno al grembo e all'umidità della placenta; collegata al pozzo, ma con nota negativa, è la prigione (casella 52), simbolo della vergogna. La casella 42 è il labirinto, immagine ben espressa dalla mitologia di Minosse e il Minotauro, è labor intus, lavoro interiore; al n. 58, infine, troviamo la morte.
Il libro di Roberta Borsani, arricchito da citazioni letterarie antiche e moderne e da approfondimenti etnoantropologici, è unico nel suo genere, e ben inserito all'interno di una collana “Amore e psiche” dell'editore Moretti e Vitali che offre titoli di grande qualità e intraprendenza.

“Il gioco dell'Oca è una bella e complessa metafora per dire che scegliendo liberamente ciò che ci è stato dato da vivere noi possiamo farne un viaggio, un viaggio verso casa” (cit.)

Roberta Borsani
Sul dorso di un'oca:
il simbolismo inziatico del Grande Gioco
Moretti e Vitali editore

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INNO ALLA CORTESIA: OVVERO COME PRATICARE UNA SALUTARE GENTILEZZA

Martedì, 10 Gennaio 2017 14:21

   Elio Meloni è educatore, maestro di scuola elementare, formatore e pedagogista. Ha lavorato e lavora per scuole, enti locali, agenzie educative e formative, aziende, università, dedicandosi anche alla scrittura di articoli e saggi. L’editrice Claudiana ha recentemente pubblicato un suo gradevolissimo libretto dedicato al tema della “cortesia”. Più che una apologia di questo valore sempre meno facilmente rintracciabile nel nostro incupito mondo, il suo è una sorta di manuale per chi volesse aprirsi all’esperienza della gentilezza in modo ampio ed efficace, al fine di trarne giovamento interiore e al fine di costruire relazioni umane più ricche e più belle.

La gentilezza, dice Meloni, migliora le relazioni e “come l’olio ne tiene puliti gli ingranaggi”. La gentilezza è simile alle vitamine “piccole sostanze che tengono in salute l’organismo”, anzi, è paragonabile ai fiori che intelligentemente vengono fatti crescere negli orti: non come utile cibo per essere mangiato, ma per donare bellezza all’insieme, per rendere meno gravoso il lavoro quotidiano, per ricordarci che anche nel lavoro più faticoso è possibile incontrare piacevolezza. Ricevendola e comunicandola …

Meloni, quindi, ci propone una sorta di terapia dell’anima. Ispirandosi a varie fonti, da Paolo al buddhismo, da Ignazio di Loyola a Baden Powell, da Thich Nhat Hanh ad Anselm Grun, ci spiega che la gentilezza ci aiuta “ad allargare il cuore” e a rendere “più leggera la perseveranza”, e che ci

     “Rende grati per ogni cosa, ed è il risultato della gratitudine. Facilita il gioco e la messa in gioco, ed è il frutto di un gioco ben fatto!”

   Il libro di Meloni è un libro saggio e salutare. Ben vengano libri come il suo, capaci di insufflarci dentro sana e serena gioiosità, capaci di ricordarci il valore del distacco e la bellezza di un altruismo non nato “dallo sforzo titanico di essere buoni”, ma “dall’osservazione della comune appartenenza a una storia e a un luogo: la Terra”!

 

Elio Meloni
Cortesia
Pratiche di gentilezza quotidiana

Claudiana
Torino, ottobre 2016
www.claudiana.it

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Editoria - Maria Letizia Putti: “Questa storia è una rivincita”

Sabato, 10 Dicembre 2016 08:54

L’autrice romana Maria Letizia Putti torna ad affascinare i lettori con un nuovo romanzo dal titolo curioso ‘Lo scrittore non ha fame’ edito da Graphofeel, dopo il notevole successo della biografia romanzata de ‘La signora dei baci. Luisa Spagnoli’. Il libro è frutto di un percorso di scrittura in costante evoluzione. Una scrittura in movimento, che lascia intuire la volontà di mettersi in gioco partendo dalla storia di un uomo qualunque, un bibliotecario pendolare con due grandi passioni: la scrittura e la musica. La sua quotidianità divisa tra lavoro, famiglia e amici, prende una direzione insolita, quando l’ispirazione prende il sopravvento e le parole si susseguono tra i fogli, fino a dare forma ad un romanzo. Arriva il confronto con un editore, la pubblicazione e l’inaspettato successo. E si sa che non sempre è facile gestire qualcosa che non si conosce fino in fondo. L’autrice ci porta ad intuire i dubbi, le paure, le gioie e le ambizioni di uno scrittore che scopre il sapore della fama, fino a perdere i riferimenti del proprio equilibrio. Verrà il momento di fare delle scelte. Un viaggio interiore ed esteriore tra le emozioni, che rivela luci ed ombre di una realtà non facile da comprendere. Incontriamo la scrittrice proprio per capire meglio che cosa l’ha portata a pubblicare questo libro.