L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Politics (360)

    Carlotta Caldonazzo

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October 11, 2022

 Spesso si è sentito o letto, soprattutto negli ultimi mesi, che l’esplosione del conflitto tra Russia e Stati uniti in Ucraina ha frantumato le reti di interdipendenza economica tessute a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, con la globalizzazione a guida statunitense. Eppure, a lanciare il gioco delle esclusioni eccellenti è stato il blocco euro-atlantico; anzitutto, dopo il crollo dell’Unione sovietica, quindi con i partenariati economici degli anni 2010

 

«Guerra senza spari»

Il cambio di rotta nei commenti ufficiali di Kiev riguardo l’esplosione dell’8 ottobre sul ponte di Kerč, corretto pubblicamente dall’intelligence statunitense, che ne ha attribuito la responsabilità agli omologhi apparati ucraini, è emblematico del peso e delle insidie della narrazione. Un discorso valido per tutte le guerre, ma in modo particolare per l’attuale conflitto in Ucraina, attorno al quale la polarizzazione delle posizioni e delle propagande finora appare quasi totalizzante, coinvolgendo anche settori come la cultura e lo sport. Si pensi, ad esempio, al corso sullo scrittore russo Fëdor Dostojevskij, annullato agli inizi di marzo dall’università Bicocca di Milano (poi ripristinato per le polemiche suscitate da una simile decisione), o alla pressione subita da direttori d’orchestra come Valeri Gergiev, congedato dall’Orchestra filarmonica di Monaco per non aver condannato esplicitamente la guerra. Una polarizzazione analoga è sottesa al dossier «Disinformazione sul conflitto russo-ucraino», curato dalla Federazione italiana diritti umani e da Open Dialogue e presentato alla Camera dei deputati il 28 giugno su iniziativa di qualche deputato del Partito democratico e di +Europa: una lista di intellettuali e giornalisti giudicati simpatizzanti del presidente russo Vladimir Putin, tra i quali figuravano personalità quali Corrado Augias, Alessandro Barbero, Alessandro Orsini, Marc Innaro, Franco Cardini e Sigfrido Ranucci. Anche nello sport, del resto, si assiste a quella che si potrebbe definire con George Orwell una «guerra senza spari», combattuta a colpi di esclusione dalle competizioni internazionali non solo delle nazionali russe e bielorusse, ma anche di singoli atleti colpevoli di essere cittadini di questi due paesi, in barba al mito della neutralità dello sport. 260

 

Doppio standard

Eppure, negli ultimi anni la Federazione internazionale delle associazioni calcistiche (Fifa) aveva multato giocatori e club per aver lanciato messaggi «politici» in occasione di alcune partite. Com’era accaduto all’ex calciatore egiziano Mohamed Aboutrika, censurato dalla Fifa nel 2008 per aver esibito sulla propria maglia una scritta contro il blocco israeliano a Gaza. Per questo, lo scorso marzo aveva esortato la stessa Fifa, accusata di doppio standard, a estendere a Israele il divieto di partecipazione alle competizioni internazionali imposto a Russia e Bielorussia. A fine febbraio, invece, Aykut Demir, difensore della squadra turca di seconda divisione Erzurumspor, aveva rifiutato di indossare una maglia con la scritta «no alla guerra» in turco e in inglese, spiegando che un simile gesto è ammesso solo «quando si tratta di Europa», mentre migliaia di persone muoiono ogni giorno in Medio Oriente nell’indifferenza generale. Dall’inizio del conflitto ucraino, del resto, la stampa mediorientale tanto in arabo, quanto in inglese, ha parlato spesso di doppio standard a proposito della diplomazia euroatlantica, bollata, in modo più o meno esplicito, come incoerente e ipocrita. Soprattutto in materia di accoglienza dei rifugiati: ad esempio, l’emittente qatariota Al-Jazeera ha dedicato diversi articoli alle discriminazioni subite dai profughi africani in fuga dall’Ucraina (per lo più studenti) al confine con la Polonia, che, di contro, ha mostrato solidarietà ai loro omologhi ucraini. Il sito di informazione Middle East Eye, inoltre, ha riportato i commenti razzisti di giornalisti ed esponenti politici occidentali sui rifugiati africani, siriani e afghani, messi a confronto con gli ucraini. Spiccavano, in particolare, le parole del presidente bulgaro Rumen Radev, che ai giornalisti aveva detto: «questi sono europei… sono intelligenti, acculturati. Non è l’ondata di rifugiati cui siamo abituati, persone della cui identità non siamo sicuri, persone con un passato oscuro, che potrebbero anche essere stati terroristi».

 

Equilibri (e squilibri) mediorientali

Similmente, il sito Middle East Monitor, il 4 ottobre ha pubblicato un articolo di opinione intitolato «Perché a Israele è permesso di annettere territori occupati, ma alla Russia no», in cui si sottolinea come, a fronte della mobilitazione euroatlantica per Kiev, dal 1967 la comunità internazionale non abbia preso alcun provvedimento concreto per fermare l’espansione coloniale di Tel Aviv ai danni dei palestinesi, né per condannare l’occupazione israeliana delle alture del Golan o del Sinai. Una bella lezione, dunque, per quegli alleati degli Usa delusi da quello che reputano uno scarso impegno di Washington nel riconoscere un’adeguata remunerazione geostrategica al loro sostegno. Soprattutto dopo che l’amministrazione dell’ex presidente statunitense Barack Obama aveva optato per la linea dell’equilibrio regionale tra Turchia, monarchie del Golfo, Israele e Iran, siglando con quest’ultimo, nel 2015, assieme a Cina, Russia, Francia, Regno unito, Germania e Unione europea (Ue), il Piano d’azione globale comune, noto con l’acronimo inglese JCPOA, ossia l’accordo sul programma nucleare della Repubblica islamica. Al punto che, poco dopo l’inizio della guerra in Ucraina, non pochi dignitari di Arabia saudita, Emirati arabi uniti (Eau) e Qatar, come buona parte della stampa panaraba o egiziana, hanno esortato i governi arabi a trovare una propria linea emancipandosi da Washington (come sintetizza il sito di informazione Memri ). Un discorso analogo potrebbe valere per la Turchia, che dopo aver giocato, negli anni ‘90, il ruolo di alfiere regionale degli interessi geopolitici statunitensi (dalla guerra del Golfo del 1990 alla disintegrazione di Balcani, Caucaso e Asia centrale), dal 2020 subisce le sanzioni di Washington per aver acquistato il sistema di difesa antimissilistica russo S-400. Una rappresaglia che, di contro, non ha colpito l’India, che pure, anche per le storiche relazioni con la Russia nel settore della difesa, ha comprato lo stesso sistema antimissile. 296

 

Diplomazia fluida

In sostanza, gli Usa hanno di fronte alleati come Ankara, Riyadh e Abu Dhabi, che, soprattutto alla luce delle profonde mutazioni dell’assetto geopolitico globale, preferiscono temporeggiare, mantenendo un equilibrio pragmatico tra potenze. Anche per questo, intrattengono relazioni fruttuose con paesi come la Russia (cui, per sauditi ed emiratini, si affianca la Cina) e con Israele, ma non più solo per servire gli interessi strategici statunitensi in Medio Oriente, come auspicava l’ex presidente Usa Donald Trump con i cosiddetti Accordi di Abramo. Inoltre, Arabia saudita ed Eau stanno cercando di seguire ciascuna una propria linea autonoma, in particolare nei rapporti con Tehran: se Riyadh ne vuole, come Tel Aviv, la neutralizzazione geopolitica, Abu Dhabi ha recentemente aperto uno spiraglio di dialogo. In terzo luogo, le monarchie del Golfo perseguono i propri interessi anche per mezzo dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opep), allargatasi nel 2016 in Opep+ con l’inclusione di altri 10 paesi, tra cui la Russia. Quest’ultima, il 5 ottobre, ha deciso un taglio della produzione di petrolio di due milioni di barili al giorno a partire da novembre, suscitando l’irritazione di Washington (e non solo), che di conseguenza ha preso in considerazione l’ipotesi di alleggerire le sanzioni ai danni del Venezuela, in cambio di un impegno da parte del presidente Nicolas Maduro a dialogare con l’opposizione e a organizzare libere elezioni per il 2024. Un’irritazione tanto maggiore, se si tiene conto delle polemiche suscitate dalla visita del presidente Usa Joe Biden, lo scorso luglio, in Arabia saudita (a proposito di doppio standard in materia di rispetto dei diritti umani), che aveva l’obiettivo di ottenere dall’Opep+ un aumento della produzione di greggio per ridurre l’impatto delle sanzioni alla Russia sul mercato globale dell’energia. 283

 

Partenariato o dominio?

Sul fronte ucraino, intanto, Washington porta avanti la sua partita a scacchi, lanciando sporadici segnali a Kiev perché non esca dai binari degli interessi regionali del cuore dell’impero. I due casi eclatanti sono l’uccisione di Darya Dugina e l’esplosione sul ponte di Kerč, entrambe attribuite pubblicamente dall’intelligence Usa ai servizi segreti ucraini, malgrado i tentativi di smentita di Kiev. Gli Usa, infatti, mentre mirano a indebolire la Russia anche (o forse soprattutto) per le sue relazioni strategiche con la Cina, non sono disposti a rischiare uno scontro diretto né con l’una, né con l’altra potenza rivale. Meglio mandare avanti l’Unione europea, che durante la guerra fredda era stata un utile cuscinetto per arginare a Ovest la potenza sovietica. Parimenti, da oltre un decennio (forse con l’eccezione della presidenza Trump), Bruxelles è diventata un importante cuneo per insidiare le sfere di influenza russa e cinese dall’Europa orientale, ai Balcani all’Asia centrale, di pari passo con l’espansione economica di Pechino e con l’ascesa geopolitica di Mosca. La prima, realizzata mediante accordi bilaterali, sfociati dal 2013 nel progetto unitario delle nuove vie della seta (Belt and Road Initative, Bri), cui nel 2017 aveva aderito anche l’Ucraina. La seconda, invece, portata avanti con il sostegno, spesso in coordinazione con la Cina, a organismi regionali (come il Consiglio di cooperazione di Shanghai) e con accordi per la compravendita nei settori della Difesa e dell’energia (come quello storico con l’India). Per fronteggiare entrambe, soprattutto l’assertività dell’Impero del Centro, dalla fine degli anni Dieci, l’Ue ha lanciato due meccanismi di Ostpolitik, entrambi caldeggati da Washington: il partenariato orientale con Armenia, Azerbaijan, Georgia, Moldavia, Ucraina e Bielorussia (che ha abbandonato i negoziati a giugno 2021), e l’accordo di associazione con l’Ucraina. A quest’ultimo, in particolare, siglato a febbraio 2014, dopo il rovesciamento del governo ucraino guidato dall’ex presidente Viktor Janukovyč, Mosca aveva reagito annettendo la Crimea e sostenendo la proclamazione delle repubbliche di Donetsk e Lugansk.

 

 

 

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August 26, 2022
Luigi Di Maio

Di Maio cosa è andato a fare a Kiev  "di sorpresa" - come danno da intendere i media italiani? C'era bisogno di far spendere tanti soldi agli italiani per andare là a dire due ...menzogne?? Le conosciamo a memoria, sono vergognose. Di Maio è andato "a portare il sostegno dell'Italia", ma le armi che mandate a Kiev già di per sé non bastano a esprimere "il sostegno dell'Italia"?? La dica tutta Di Maio, cosa bolle in pentola, glielo hanno ordinato gli americani?  Le affermazioni che Di Maio ha fatto a Kiev sono gravissime: "tutti noi europei dobbiamo scegliere da che parte stare" e "il governo italiano ha scelto di stare dalla parte di questo popolo sovrano che ha tutto il diritto di difendere la sua integrità, dobbiamo augurarci che si continui a sostenere con tutte le forze questo Paese, che si trova alle porte dell'Europa e non sta difendendo solo se stesso, ma tutta l'Europa".  Il governo ucraino DIFENDE L'EUROPA??  Questa menzogna è il massimo.

Poi è andato anche a Irpin - dove gli ucraini hanno montato il secondo fake, dopo Bucha, che Di Maio sostiene in pieno: "Qui - ha detto - c'è una città completamente distrutta, rasa al suolo, ma in Italia c'è ancora chi nega i fatti che sono avvenuti in Ucraina ad opera delle truppe russe, ad opera di Putin (!!) "gli ucraini non stanno difendendo solo la loro integrità e sovranità ma la libertà di tutta l'Europa, stanno difendendo tutti gli europei: non possiamo che incoraggiarli a continuare". Di Maio a Kiev ha perfino detto "Fermare immediatamente questa atroce guerra, dobbiamo ricercare con tutte le forze la pace" Ma perché l'Italia non l'ha fermata 8 anni fa?  Dov'era Di Maio durante tutti questi 8 anni di guerra feroce??  Perché le morti e le distruzioni del Donbass NON lo hanno MAI minimamente interessato?

Perché durante questi 8 ANNI DI GUERRA DI KIEV CONTRO IL DONBASS nessun ministro italiano è andato a DONEZK o a LUGANSK A PORTARE IL SOSTEGNO DELL'ITALIA??  Nessuno gli ha mandato le armi per difendersi dall'aggressione di Poroshenko e di Zelenskij?

Di Maio adesso in Ucraina vede "Morte e crudeltà. Città distrutte, rase al suolo: questa è la verità. La guerra è vera, guardate queste immagini. Chi minimizza è complice del massacro".   Ministro Di Maio, anche chi non vuole vedere le immagini della guerra nel Donbass da 8 anni, chi ha "minimizzato"  tutti questi anni è complice del massacro, ma quello messo in atto da Kiev nel Donbass, condivide la colpa di Kiev per i corpi dilaniati per le strade, i villaggi distrutti della povera gente con le loro casupole sventrate, i bambini raggiunti dalle bombe ucraine mentre giocavano davanti a casa o nelle scuole, uccisi e rimasti mutilati, le fosse comuni, piene di corpi di donne violentate e poi trucidate dai soldati ucraini , E il rogo di Odessa, Di Maio?? Dov'era??  E ha il coraggio di dire : "Non potevamo ignorare il grido di dolore di un popolo coraggioso, che non ha rinunciato a difendersi e a difenderci. Il nostro sostegno al popolo di Kiev, a questa "resistenza europea", continua. Ed oggi sono qui in Ucraina per portare il sostegno del nostro Paese.  Capovolgere la verità, difendere gli assassini e nazisti ucraini.... merita solo biasimo.

Dato che si trova a Kiev, perché non va nel Donbass?  Gli farebbe più onore.

 

August 23, 2022

Sulla stampa italiana si trovano commenti di giornalisti italiani e interviste di specialisti di Russia sulla grande tragedia che ha colpito la Russia a dir poco immondi, ignobili. La verità viene sacrificata in nome del sentimento anti russo, russofobo, che lascia trapelare un atavico odio, disprezzo e risentimento verso la Russia.  Si cerca di addossare la colpa del delitto di Darija Dughina a una certa "parte di società russa contro Putin", una "azione interna per discreditare gli ucraini" (poverini, sono così' "innocenti" che da 8 anni massacrano la popolazione civile russofona del Donbass, ma su questo gli "anti Russia", i traditori che hanno anche sangue russo nelle vene, si guardano bene dal parlarne!) Si scrive anche di "provocazione orchestrata dal regime di Putin"! Addirittura Putin o la sua cerchia avrebbe ordinato il delitto, tanto c'è sempre il paragone con la Cecenia , "i due attentati spianarono la strada per la guerra in Cecenia". Senza alcuna vergogna viene ingannato il pubblico a suon di menzogne.  Mai campagna anti russa più sporca di questa è stata fatta negli ultimi tempi. 

Gli Stati Uniti commentando l'omicidio di Darja Dugina, non parlano di giornalista, attivista sociale, personaggio pubblico, filosofa ma di "civili uccisi".  I giornali italiani parlano di Darja solo come "la figlia dell'ideologo di Putin" - denigratorio prima di tutto per la figura di Darja e in secondo luogo falso il fatto che Dughin fosse l'"ideologo" di Putin. Non si sono nemmeno mai incontrati. Ma siccome Dughin è posto come "fascista", viene insinuato che anche Putin è "fascista".  La stampa ucraina , di cui si nutre quella italiana, scrive infatti così, che "Putin è fascista e nazista" - non so se mi spiego!  E non tocco poi altre aberranti affermazioni di campioni della disinformazione e istigazione all'odio contro la Russia su la stampa che parlano di  "vendetta del Cremlino" e di "uso del Covid da parte dei Dughin per tessere trame in Europa"!! Si sputa sul cadavere di una ragazza barbaramente uccisa dall'odio dei nazisti ucraini! Come quando i russi eravano venuti  ad aiutare l'Italia e poi ci hanno sputato sopra, insinuando che i russi in realtà eravano venuti "a spiare"!

Sono stati scritti articoli infamanti, dove Daria Dughina avrebbe fatto dichiarazioni contro il premier italiano Draghi, perfino intromettendosi nelle elezioni italiane. E' stata gettata insomma nel tritacarne dei deliri russofobi più beceri!

 

July 15, 2022


Come cittadino italiano non mi sono mai vergognato così tanto per l'operato all'estero a livello diplomatico (anzi, ANTIdiplomatico) mostrato dal mio Paese nei confronti della crisi e guerra Russa-Ucraina, che sarebbe potuta essere una straordinaria occasione per fare valere la storica vocazione diplomatica italiana.

Siamo diventati burattini e marionette al servizio di potentati di oltre Atlantico.

Inutile dire che se si vuole concretamente la pace non si inviano a una delle parti in causa belligeranti, obici a lunga gittata, munizioni, armi leggere e attrezzatura militare.

Ignorare o fingere di ignorare poi le ragioni del conflitto e della sofferta decisione di invasione da parte di Mosca (la strage dei civili russofoni nel Donbass con oltre tredicimila morti in otto anni di guerra civile dal 2014) e la stolta e irresponsabile decisione di allargare progressivamente la NATO a Est negli ultimi due decenni - accerchiando la Federazione Russa - significa porsi al di fuori di un dibattito critico, geopolitico e strategico-militare, e finire nell'arena dei clan o delle avverse bande ultra' da stadio (con tutto il rispetto per gli ultras non violenti - ve ne sono -  e che amano la propria squadra).

Demonizzare soltanto la Russia e continuare a sanzionarla economicamente - senza mettersi attorno a un tavolo con i rappresentanti diplomatici di Russia e Ucraina e ascoltare entrambi -  significa prolungare la guerra e l'agonia del popolo ucraino, impoverire l'Europa, seminare odio fra i popoli, e spingere le lancette dell'orologio del "Doomsday Clock" un po' più vicine alla mezzanotte della apocalisse atomica.

July 13, 2022

 

        VIDEOCONFERENZA (clicca sull'immagine)

Il rapporto che intercorre tra il potere e il diritto d'opinione ha - da almeno un paio di secoli a questa parte contrassegnato, nel bene e nel male, i processi politici delle società occidentali. Questo rapporto, molto dinamico e sovente conflittuale, è stato messo in crisi dallo sviluppo delle tecnologie di comunicazione e dall'applicazione al dominio politico delle sempre più sofisticate tecniche di persuasione/comunicazione, proprie alle società industrializzate.

I beneficiari ultimi di tale crisi sono i gruppi di potere, siano essi i detentori delle tecnologie e delle piattaforme digitali, i grandi gruppi editoriali o i possessori dei maggiori circuiti radiotelevisivi. In Italia, in particolare, la relazione falsata tra potere e libera opinione si è resa evidente nella sua rischiosità con l'arrivo al governo di esponenti proprietari di grandi porzioni dell'industria televisiva e cinematografica e con la discussione pubblica sul conflitto d'interesse. A fronte di ciò, si è sviluppata nel tempo, quasi esclusivamente nella sfera cibernetica, una comunicazione alternativa, spesso confusa e spontanea e perciò stesso suscettibile di essere manipolata, screditata e marginalizzata, paradossalmente, proprio dal suo contraltare mainstream, legato al sistema politico-economico imperante. Oltre a inquinare lo sviluppo della libera opinione, la comunicazione del nostro tempo, in particolare proprio quella cosiddetta mainstream, ha concorso alla stabilizzazione dei gruppi di potere e alla creazione del consenso intorno ad essi. Il mondo dell'informazione, invece di esercitare, come suo compito e dovere, una funzione critica rispetto ai governi, ha spesso svolto il ruolo di megafono delle decisioni di quest'ultimi. Lo abbiamo visto nel corso di questi due anni di pandemia e lo viviamo ora nel contesto del drammatico confronto tra la Federazione russa e l'Occidente. In quest'ultima circostanza, poi, la comunicazione mainstream svolge sempre di più un ruolo attivo nel quadro della cosiddetta guerra ibrida; ne è testimonianza, tanto per fare un recente esempio, l'opaco caso del Corriere della Sera-Copasir. Si osserva che il sistema politico italiano — grazie alla funzione della nuova comunicazione - si sta sempre più strutturando sul modello dei sistemi liberaldemocratici anglostatunitensi, contraddistinti dal rapporto dinamico e autoreferenziale tra gruppi di potere, marginalizzando, inibendo ed escludendo di fatto la partecipazione al libero dibattito di larghi strati della popolazione.

Significativa l’iniziativa annunziata dall’on. Pino Cabras circa un accordo da lui promosso con realtà mediatiche di altri paesi per rendere l’informazione on line meno condizionata dai social, soprattutto d’oltre oceano, che paiono anteporre gli interessi dei loro proprietari al fluire della libera informazione.  Purtroppo in Italia chi fa informazione per i grandi media è condizionato dalle direttive dell’editore, è quindi ricattabile, e chi si avventura nei social per fare informazione, oltre alla censura (non dimentichiamo che i nostro Paese ha perso la guerra e che, da allora, i media nostrani non hanno fatto che da cassa di risonanza dell’informazione proveniente d’oltre oceano) deve confrontarsi con la falsa informazione gettata nella mischia dai centri decisionali per avvelenare il campo e renderlo impraticabile. E quanto mai urgente quindi una seria riflessione sul problema del diritto alla formazione di una pubblica opinione scevra da condizionamenti, sul diritto alla critica e al dissenso e sulla degenerazione del sistema politico.

Ne hanno discusso alla sala stampa della Camera dei deputati Tiberio Graziani — Vision & Global Trends, Jessica Costanzo — Italexit, Pino Cabras — Altemativa, Geminello Preterossi — La Fionda — Università di Salerno.

 

July 07, 2022

A oltre quattro mesi dall'inizio dell' "operazione speciale militare " in Ucraina - secondo la versione russa - o 'invasione" - secondo la speculare versione euroatlantica — cominciano a emergere le prime avvisaglie di una frattura all'interno del cosiddetto fronte occidentale che si riflette nelle società civili dei vari paesi europei. Facendo leva su una prima e subitanea reazione emotiva, l'Unione Europea e i singoli parlamenti e governi nazionali hanno scelto e deciso di scendere in campo a favore dell 'Ucraina, inasprendo le sanzioni contro la Federazione russa e inviando armi a Kiev. Tali decisioni, in particolare quella dell'invio di armi - che di fatto rende cobelligerante anche il nostro Paese - sono avvenute senza un serio e approfondito dibattito democratico sulla opportunità dello schieramento a favore di uno dei contendenti e sulle relative conseguenze, nel medio e lungo periodo, di una decisione forse avventata e certamente non adeguatamente ragionata. Anzi, chi ha tentato di aprire un dibattito in seno alla società civile o si è pronunciato, fin dall'inizio della crisi, a favore della pace o ha sostenuto le ragioni della neutralità, o solamente abbia cercato di comprendere sul piano analitico e accademico le cause della grave crisi geopolitica è stato ostracizzato, messo alla berlina, ridotto all' autocensura o strumentalizzato nel grande circo mediatico dei talk-show e, a seconda dei casi, perfino accusato di connivenza con il "nemico".

 

Per un migliore approccio al contendere, bisogna fare alcuni passi in dietro per capirne meglio i termini. Con il crollo del muro di Berlino nel 1990 fu data garanzia dalle potenze occidentali alle autorità sovietiche che la Nato non si sarebbe spinta oltre la Germania nell’Europa dell’est. Così non fu e, un po’ alla volta, vennero inglobate nel Patto Atlantico e nella E.U. Polonia, Romania, i Paesi Baltici, la Bulgaria, l’Ungheria, la ex Cecoslovacchia.  Per quanto riguarda l’Ukraina nel 2014, a fronte di regolari elezioni politiche, ci fu una sommossa popolare promossa e finanziata dagli Stati Uniti, non nuovi nella performance, capobranco dell’Alleanza Atlantica, soprattutto in funzione anti russa. Il fatto è che insediatosi il nuovo governo fu subito promossa da questo una campagna anti russa e, nonostante quasi la metà della popolazione fosse russofona, venne imposto l’obbligo della lingua Ukraina. Al contempo i militari ukraini, complice il silenzio dei media occidentali e l’aiuto della Nato, iniziarono la persecuzione della popolazione russofona. Dal 2014 al 2018 si sono contati più di 14 mila morti. Invano la Federazione russa ha cercato in questi anni di poter comporre la controversia con l’occidente, il trattato di Minsk stipulato dai contendenti è stato completamente disatteso da parte occidentale. Ovviamente le regioni del Donbass e Lugansk si sono viste costrette a chiedere l’intervento della Federazione Russa a fronte della persecuzione in atto. L’intervento dell’esercito russo è finalizzato alla protezione della popolazione russofona, questo è nei fatti e questo è dichiarato dalle autorità della Federazione russa.  I mainstream  dei paesi occidentali parlano di invasione dei militari russi nei confronti di un paese sovrano dimenticando gli antefatti. Dimenticano che nel 2014 in Ukraina c’è stato un vero e proprio colpo di stato promosso dagli Stati Uniti.  Intanto in Italia, paese che si autodefinisce democratico fioriscono le liste di proscrizione, i rapporti 'scientifici" sull'infiltrazione di presunti fiancheggiatori della Russia putiniana nel mondo accademico, economico, politico e giornalistico, perfino le ridicole messe al bando di eventi culturali dedicati a eminenti personalità della cultura russa.

E' verosimile supporre — e comunque argomento di dibattito democratico - che le scelte a favore di una guerra di resistenza senza se e senza ma sostenute dal Governo e dal Parlamento, in assenza di una libera e pubblica valutazione e sulla base del semplicistico schema "aggredito-aggressore", che non tiene conto della guerra del Donbass iniziata otto anni fa, siano state influenzate dagli interessi della NATO, dell'amministrazione Biden anziché dagli interessi concreti del Paese.

Oggi, quando iniziano a rendersi sempre più palesi le disastrose conseguenze economiche dovute alle decisioni del Governo e del Parlamento, si registra, da parte di larghi strati della popolazione, come anche da parte di diversi autorevoli osservatori, un ripensamento che testimonia una frattura in seno al Paese e, soprattutto, una frattura tra elettori e classe dirigente, proprio alla vigilia di importanti appuntamenti nazionali, tra cui il bilancio per il 2023 e le elezioni politiche previste per la prossima primavera.

Ne hanno parlato in un dibattito dal titolo: “Guerra e Pace – l’Italia divisa” svoltosi presso la sala stampa della Camera dei Deputati lo scorso 6 luglio Tiberio Graziani di Vision & Global Trends, gli on. Pino Cabras e Raphael Raduzzi di Alternativa.

 

June 29, 2022
Jacques Cheminade

Sono trascorsi più di 75 anni dalla fine dell’ultima guerra e le stigmate del trascorso sono ancora tutte lì, intatte, fautrici di libertà vigilata, piena di illusioni magiche che ci incatenano mani e piedi alla dura realtà. La storia, maestra di vita, ci spiega che mai nessuno si è sentito libero senza lottare per la propria dignità. Terra di conquista fino a un secolo e mezzo fa il nostro Paese unito, grazie al sangue e agli ideali dei nostri nonni, prese il destino in mano e ne pagò le conseguenze, sia nel bene che nel male, ma l’evoluzione del nostro sentire, della nostra coscienza collettiva, hanno ridato ai più quell’orgoglio e quella dignità che non conoscevamo più dal tempo degli antichi romani.  Troppo tardi per ignorarli. Nessuno ci concederà nulla, anzi, saremo ostacolati in tutti i modi. Dovremo combattere per noi e il futuro dei nostri figli. Ma bisogna prima combattere per poi poter donare. E’ così che si preserva la centralità dell’uomo. Le forze del male sono sempre in agguato.

Sursum corda” (in alto i cuori - facciamoci coraggio) sentenziavano i nostri antenati, e questo pare essere il momento propizio per ripeterlo a noi stessi. Quale via potrebbe ridarci la dignità perduta? Solo e unicamente quella dell’Eurasia! Nostro sbocco naturale. Chi guarda unicamente al profitto per preservare il proprio potere lo sa bene. La lotta sarà dura, nella speranza non si arrivi alle estreme conseguenze. In tal caso non ci saranno né vincitori, né vinti.

Lo stesso appello filtra tra i più consapevoli del tragico momento, in ogni parte dell’Europa.  Jacques Cheminade, giornalista e politico francese, già candidato alle elezioni presidenziali francesi del 2012, in un suo recente articolo/appello afferma che la Francia deve ritirarsi dalla Nato. In nome degli interessi fondamentali della nazione e della pace nel mondo. In una recente dichiarazione Jens Stoltenberg, segretario generale dell'Alleanza, ha auspicato la volontà dei paesi membri di ottenere la vittoria contro la Russia. In effetti, l'Ucraina viene quindi associata alla NATO, il che equivale a superare una linea rossa nei confronti di Mosca.

Allo stato attuale, contrariamente alle previsioni delle dichiarazioni  del mainstream occidentali le forze militari ucraine sono vicine alla sconfitta sul campo. Quindi cosa può fare la NATO in queste circostanze? Stando alla sua logica, diventerebbe sempre più un cobelligerante poiché aumenterebbe il suo coinvolgimento nella guerra, sia nel suo contesto cibernetico, sia nel rischio di varcare la soglia dell'uso di armi nucleari tattiche di cui dispone anche la Russia.

A ben vedere, un’organizzazione nata per la difesa comune dei suoi membri è stata trasformata in una “Global Nato” a uso e consumo di altri interessi. Si è estesa la competenza agli affari del mondo intero nonostante abbia perso la sua ragion d'essere con lo scioglimento del Patto di Varsavia.

Per il giornalista e politico francese accettare questa politica significherebbe alienare l’indipendenza nazionale e intraprendere una guerra permanente nel mondo, la quale potrebbe degenerare, per caso o per una folle corsa a capofitto, in un conflitto nucleare, con il rischio "che l'umanità si annulli in una distruzione totale”. Che i media e l'irresponsabilità dei politici cerchino di immergerci nella negazione della realtà non cambia la realtà.

Cambiare l'Alleanza dall'interno non è possibile. L'unica opzione ragionevole quindi è scendere da questo treno impazzito. C’è una maggioranza in Francia che lo vuole. Circa due terzi dei francesi hanno votato per i candidati che hanno preso questo impegno. Cheminade rivolge a questi candidati, con l'urgenza richiesta dall'attuale situazione mondiale, l’appello a mantenere le promesse e a guidare la battaglia. Non farlo porterebbe alla sottomissione, al disonore e, in fine, alla guerra.

 

 

 

 

June 14, 2022

Risultato storico oggi quello ottenuto da #DamianoTommasi con la sua #Rete nelle elezioni a Sindaco di Verona.

 

 Un dato che la dice lunga sul pensiero della gente, che piuttosto preferisce affidarsi ad un uomo fuori dagli schieramenti politici, per governare una città meravigliosa come Verona. 

Anche se il dato è schiacciante, le regole vogliono che la partita non sia terminata e la vincerà soltanto chi, ai tempi supplementari, avrà più "cambi" in panchina...

E sono proprio i cambi il grosso problema, "cambiare per non voler cambiare", preferendo l'altro non votato alla prima tornata, anziché schierarsi dalla parte della maggioranza. 

Il risultato di oggi, se confermato anche il prossimo 26 giugno, potrebbe segnare l'inizio di nuova era, un nuovo modello di "politica" che, affermandosi a Verona, investirà tutto il nostro Paese. 

Visto i tristi risultati della nostra Nazionale di calcio, di cui Tommasi ha fatto parte nella sua prestigiosa carriera, verrebbe da dire: "Non fateci perdere per la terza volta la possibilità di giocare il nostro mondiale", come è già successo proprio a lui, in occasione delle elezioni a Presidente della FIGC!.. 

Forse è giunto il momento di dare la possibilità a questo uomo, distintosi sempre per i suoi valori, oltre che per le qualità sportive, la possibilità di esprimersi per la sua città. 

Sarà sufficiente mantenere il proprio pensiero, non serve cambiarlo, non serve coalizzarsi con l'uno o con l'altro, perché è certo che entrambi i candidati vogliono il bene della propria città, ma chi ha vinto deve governare , chi ha perso deve vigilare e chi non ha voluto esprimersi, avrà l'opportunità di guardare e magari, chi lo sa, essere più convinto la prossima volta...

 

 

June 07, 2022

Un video con immagini apparentemente raccapriccianti di massacri è diventato virale su internet. Ma le immagini sono volutamente false. Sono andata a parlare con gli autori.

Non sono pacifisti.

“Non siamo pacifisti” è la prima cosa che mi dicono quando li intervisto.

Anzi argomentano: “Rifiutare a priori la guerra è, a nostro parere, un atteggiamento rigidamente dogmatico non giustificato dalla multiforme varietà delle situazioni reali. Se ti aggrediscono, hai il diritto dovere di usare la violenza e la guerra per difenderti. Questo vale anche per l’Ucraina.”

 

Ma allora? Perché lo avete fatto?

“E’una questione di scelte democratiche. Su cosa valutano gli italiani la partecipazione a questo conflitto? Su argomenti razionali o solo sul pathos? Perché la guerra è molto costosa, faticosa e carica di dolore, morte e distruzione. Quindi deve valerne davvero la pena e deve essere valutata sulla base di informazioni e necessità reali che riguardano l’effettiva sopravvivenza del tuo Paese; in più, bisogna calcolare chi hai di fronte e quali sono le conseguenze possibili, per te e per tutti i belligeranti”.

Insomma, perché la guerra in Ucraina non è interesse italiano e gli italiani non sanno scegliere?

“Molto peggio di così: il sospetto è che qui qualcuno della classe dirigente non sia realmente al servizio del nostro Paese, e ci voglia piuttosto spingere nelle fauci del lupo. La confisca dell’informazione mainstream è davvero preoccupante, in questo senso.”

Ormai il video è diventato virale. Un minuto di scene raccapriccianti, di enorme realismo, con cadaveri legati ed abbandonati, ragazze stuprate, edifici distrutti, l’intero set dell’orrore che vediamo proposto dai media ormai da novanta giorni. Dopo, un minuto per spiegare che è tutto falso, che il set è stato realizzato ad arte da cinque ragazzi senza esperienza di cinema o di televisione.

https://www.youtube.com/watch?v=4Vg5f17Qodk

C’è da dire che siete stati bravissimi…

“ Vero? E siamo solo un gruppo di cittadini disgustati dalla degenerazione dell’informazione. In questo conflitto è accaduto talmente spesso che ci propinassero balle, che ci siamo chiesti: ma quanto è facile manipolare le coscienze? Quanto è facile spingere l’italiano medio a commuoversi, per poi orientarlo politicamente verso decisioni totalmente irrazionali?”

E quanto è facile?

“Facilissimo. Per costruire il set e scattare le foto ci abbiamo messo due ore. La location è una villa lasciata in abbandono da decenni, e il sangue l’abbiamo fatto con del colore per intonaci e della Maizena. Per i trucchi, abbiamo utilizzato quelli delle ragazze: il costo totale è stato più o meno di dieci euro”.

Da qui il piano…

“All’inizio il piano era diverso: avevamo pensato di mandare le foto ai giornali, attraverso un falso account. Non avevamo dubbi che sarebbero state prese per vere e fatte girare come buone; e poi avremmo smentito pubblicamente per mostrare il funzionamento dei media. Però poi abbiamo pensato che forse la smentita non sarebbe stata fatta circolare, poteva rimanere circoscritta a pochi, e quindi avremmo sortito l’effetto non voluto di aiutare a diffondere menzogne. Allora abbiamo optato per questa versione “soft”, “pedagogica” che smentisce subito le sue premesse”.

Allertare sugli inganni della propaganda e stimolare il senso critico, quindi…

“Assolutamente! e soprattutto sul mondo delle immagini, specie quelle più apparentemente palesi e inequivocabili. Le immagini puntano alle emozioni, il testo alla ragione. Sul testo si ragiona, sulle immagini no. E’ molto pericoloso, come si è visto; e, soprattutto, volevamo dire forte e chiaro che è molto facile realizzare “bombe sporche di propaganda”, anche senza Spielberg. Se ci siamo riusciti noi, possono riuscirci tutti!”.

Che tipo di riscontri avete avuto?

“La gran parte degli spettatori ha creduto che i cadaveri fossero veri: una signora ci ha anche scritto che si stava per sentire male. Ma questo ci mostra quanto siamo tutti vulnerabili alle sollecitazioni emotive: con la fiction, le immagini decontestualizzate e la manipolazione dell’”empatia” ci possono portare dove vogliono.”

Quindi i riscontri sono stati totalmente positivi?

“No. La stragrande maggioranza delle persone ha colto perfettamente il senso dell’iniziativa, ma pochi in verità hanno opposto qualcosa come: “beh, ma lo sappiamo che esiste il cinema e si possono simulare le stragi”, il che significa che non avevano capito il senso dell’iniziativa. Primo, non è cinema; secondo, ci hai creduto, e quindi fatti qualche domanda…”

Volete dire che qualcuno non ha capito un video così semplice?

“Non solo! Molti hanno condiviso prima ancora di essere arrivati alla spiegazione, e incitando alla guerra contro la Russia. Se ci fate caso, le immagini non sono contestualizzate, e avrebbero potuto essere riferite a qualunque posto: potevano riguardare i curdi, o i siriani per esempio. Ma no: qualcuno, fra il popolo web, aveva già deciso che era una strage di ucraini da parte russa”.

Oltre all’uso strumentale di un video totalmente a-contestualizzato, direi che c’è anche un altro problema, stando a quello che raccontate, relativo al modo in cui si fruisce un contenuto, facendolo girare prima ancora di averlo visto e capito… Ma voi, credete che a Bucha o Mariupol siano state messe in scena?

“E’ molto difficile sapere cosa accade a molti chilometri di distanza, specialmente con un’informazione monolitica e del tutto acritica, quindi sospendiamo il giudizio; però va ricordato – questo si può fare – che i media hanno mentito continuamente e che certe storie che ci hanno propinato erano una vera offesa all’intelligenza” .

Effettivamente ci troviamo in un momento storico in cui il bombardamento della propaganda sta azzerando, per convenienza o per paura, ogni spirito critico…

“C’è di più. L’obiettivo non è il nemico – il nemico non verrà mai convinto – ma l’immensa zona grigia che ha il disperato bisogno di sentirsi dalla parte della ragione e a cui si fornisce un modo facile facile per sentirsi a posto con la coscienza. Come si dice, la propaganda è quella cosa che non riesce a ingannare i suoi nemici, ma riesce a confondere i loro amici…”

 

 per gentile concessione dell'agenzia di stampa "Pressenza"

May 15, 2022

 

 Tiberio Graziani, presidente della “Vision and Global Trends International Institute for Global Analyses”, è certo che questa marcia degli eventi gioverebbe solo agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna.

 

 

L'ulteriore espansione della NATO, inclusa l'ammissione della Finlandia, rischia di trasformare l'attuale crisi regionale in una crisi continentale. Ritarda, oltremodo,  il raggiungimento di una pace e stabilità durature, afferma Tiberio Graziani.

"L'adesione della Finlandia alla NATO è un vivido esempio della strategia dell'alleanza di ampliare intenzionalmente gli orizzonti della crisi russo-ucraina. Dimostra, inoltre, la logica espansionistica della NATO. Il suo obiettivo a breve termine è di prolungare temporaneamente questa crisi. Gli effetti di questa decisione potrebbe essere catastrofici per l'Europa. C'è il rischio che la crisi regionale si trasformi in una crisi continentale", ha avvertito. 

Graziani è certo che questa marcia degli eventi gioverebbe solo agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna. 

In termini geostrategici, l'intera Europa comincerà a essere vista dalla Russia come una roccaforte statunitense schierata contro di essa nel cuore stesso dell'Europa, ha proseguito. "L'alleanza continua a ignorare le argomentazioni sulla sicurezza di Mosca e la sua ulteriore espansione può essere considerata un tentativo di intimidire e umiliare la Russia. Le prospettive di pace diventano più remote", ha concluso. 

Secondo una dichiarazione congiunta del presidente finlandese Sauli Niinisto e del primo ministro Sanna Marin, la Finlandia dovrebbe presentare domanda di adesione alla NATO il prima possibile. Una decisione formale dovrebbe essere adottata domenica 15 maggio. Il ministero degli Esteri russo ha interpretato tali dichiarazioni come un cambiamento radicale nella politica estera del paese. Ha avvertito che la Russia si sarebbe vista costretta ad adottare misure tecnico-militari di ritorsione per neutralizzare le minacce alla sua sicurezza nazionale derivanti dalla possibilità dell'ammissione della Finlandia alla NATO.

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