In un’Italia che si proclama difensore dei diritti umani, un padre rifugiato ucraino denuncia una vicenda che ha il sapore dell’assurdo e dell’ingiustizia. È la storia di un uomo fuggito dalla guerra, che dopo aver perso tutto si è visto strappare anche ciò che aveva di più prezioso: le proprie figlie. “Ho lasciato la mia terra perché la guerra non lascia spazio alla vita né alla speranza”, racconta il padre con la voce spezzata. “Ero arrivato in Italia con fiducia, convinto che fosse un paese giusto, dove i bambini sono protetti e i rifugiati possono finalmente respirare. Mi sbagliavo”. Oggi le sue figlie non sono con lui. Maria, la più piccola, ha appena un anno, è stata portata via, racconta, “contro ogni logica e umanità”.
Katerina, l’altra bambina, disabile e gravemente ferita alla testa da una scheggia di guerra, è stata allontanata sulla base di menzogne e calunnie. “Nessun giudice mi ha ascoltato davvero, nessuno ha voluto sentire la verità. Mi hanno tolto le mie bambine con un atto che definiscono istituzionale, ma che per me è un vero e proprio rapimento di Stato”. Il padre denuncia con forza il comportamento dei servizi sociali italiani, che a suo dire avrebbero oltrepassato i limiti del loro mandato. “Dovrebbero proteggere, ma sono diventati strumenti di potere cieco e arbitrario. Peraltro, ignorano i documenti, respingono le prove e non rispettano la Legge. Parlano di agire per il bene dei minori, ma il bene dei miei figli dov’è, se crescono lontani da chi li ama davvero?”. Le sue parole trasudano dolore, ma anche una lucidità che mette a disagio. Katerina, fragile e bisognosa di assistenza continua, è stata separata dal suo unico punto di riferimento affettivo. La piccola Maria, ancora in età da culla, è stata privata dell’abbraccio paterno. E intorno, il silenzio, nessuno si indigna e nessuno interviene. L’uomo racconta di aver chiesto aiuto ovunque. Ha bussato alle porte di avvocati, associazioni e giornalisti, ma, spiega, troppi tacciono “per paura o per convenienza”.
Gli avvocati sarebbero sotto pressione e i media evitano di parlarne per timore di ripercussioni. Inoltre, le organizzazioni internazionali, che dovrebbero difendere rifugiati e minori, restano in silenzio. “Nel frattempo io continuo a essere trattato come un colpevole senza colpa”, aggiunge. Poi, quasi come un grido, domanda: “…è questa l’Italia dei diritti umani? È questa la Patria della Giustizia che ama definirsi civile e democratica? Che Paese siamo diventati, se un padre rifugiato viene punito solo per aver cercato una vita migliore per le proprie figlie?”. Il suo caso non è isolato. In Italia, esistono molte famiglie spezzate da decisioni burocratiche e procedure opache, spesso basate su relazioni incomplete o valutazioni psicologiche approssimative. È un sistema che agisce senza controllo, senza responsabilità e senza cuore. Eppure, nonostante tutto, quest’uomo non si arrende. “Non posso arrendermi. Un padre non smette di lottare mai”.
Oggi lancia un appello accorato alle istituzioni italiane: al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro della Giustizia, al Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, chiedendo un’indagine seria, trasparente e imparziale. “Fermate questi abusi travestiti da tutela e restituitemi le mie figlie”. Il suo appello è anche un invito alla società civile e ai cittadini comuni: “Non restate in silenzio. Non permettete che il dolore di un padre diventi solo un’altra storia dimenticata. L’indifferenza è la più grande alleata dell’ingiustizia”. Dietro le parole di quest’uomo non c’è solo la rabbia, ma la speranza disperata di un padre qualunque, che chiede solo di poter abbracciare le proprie figlie. “Non ho potere, non ho risorse, ma ho la verità e la volontà di lottare fino alla fine. Lo farò per Maria, per Katerina e per tutti i bambini che hanno bisogno dei propri genitori più di ogni altra cosa”. E concludo con una frase che suona come una condanna e una preghiera insieme. Una società che separa ingiustamente un padre dai propri figli è una società che ha perso la propria anima. E lui continuerà a gridarlo, ovunque gli sarà dato modo di farlo: “…riportatemi le mie figlie! Fermate gli abusi dei servizi sociali italiani! Ridatemi la mia famiglia, ridatemi la mia vita”.