
L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
Si celebra in tutto il mondo la giornata istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Promuovere l’indipendenza e il pluralismo dell’informazione. Anche il giornalismo deve cambiare. Basta con lo sfruttamento e i bassi compensi ai collaboratori.
Il 3 maggio è la giornata mondiale della libertà di stampa. “Europa, democrazie e libertà di stampa sotto attacco. L’attualità delle conquiste della Liberazione tra bavagli, guerre e nuova narrazione della storia ”è il tema di quest’anno. Tema certamente non nuovo. Nel nostro Paese, poi, le intercettazioni abusive e le norme limitanti il diritto di cronaca arrivano come il sale su ferite antiche. Nel Report 2025 di Reporter Senza Frontiere (Rsf), l’Italia è scesa di tre posti rispetto al 2024 ed è al 49° posto nel mondo. La libertà di informare sembra, ormai, un elastico nelle mani di poteri inafferrabili. In tutto il mondo, anche nella civilissima Europa. I tempi cambiano, ma il desiderio di possedere e gestire le leve dell’informazione non modifica le acrobazie della politica. Che i giornalisti domani si mobilitino per difendere il principio della libera informazione è il segnale di una presa d’atto dei pericoli che stiamo correndo.Le Nazioni Unite se ne ricordano ogni anno. Ma la mobilitazione forse segna anche il tramonto di una certa autoreferenzialità dei giornalisti stessi. Un peccato grave che li ha portati spesso a distinguersi dalle altre categorie sociali solo in ragione di potenti mezzi di cui dispongono: giornali, radio, tv, siti web. Ciascuno, ovviamente, fa i conti con la propria coscienza.
La rivoluzione tecnologica ha travolto i giornalisti forse più di altri soggetti, facendo emergere interrogativi inquietanti sulla sopravvivenza della libera stampa come sostanza e linfa della democrazia. I presìdi del 3 maggio serviranno a ridefinire un nuovo rapporto tra operatori dell’informazione e pubblico ? I rischi che corre l’informazione saranno ben rappresentati nella più articolata vicenda degli attacchi ai diritti umani ? Sono domande lecite, più pesanti rispetto al passato, poiché il traguardo da cui ripartire è più vicino di quanto non si creda. L’informazione resta un bene prezioso per tutti, alla condizione che sia di qualità, si sforzi di interpretare i fatti, sia severa con se stessa, sia davvero al servizio di chi legge o ascolta. Concetti come affidabilità, specializzazione, chiarezza, selezione delle fonti, onestà, fanno da contrappeso a una crisi d’identità mondiale che coinvolge tutti, beninteso anche gli editori. Le notizie sono merce privilegiata da esporre a ogni ora del giorno e della notte. Esibita in un mercato globale dove – munifica Italia ! – è anche facile editare giornali quando è lo Stato a sostenerti con provvidenze milionarie: cioè pagate dai contribuenti. In questo caso lo scandalo italiano è lampante. Perché chi prende gli aiuti dallo Stato non retribuisce in maniera adeguata i giornalisti collaboratori ? Si parla di equo compenso ma poi si nasconde tutto. In tante parti del mondo la lotta per il controllo delle testate si combatte a suon di miliardi con i redattori sgraditi pronti a essere licenziati. E qualche volta ci si mettono anche i capi di Stato.
A testimonianza di ciò che sta accadendo nel mondo e in Europa, comunque, c’è anche il Report di Liberties Media Freedom. Un documento allarmato redatto da 40 organizzazioni che si occupano di diritti umani. La libertà dei media è la prima linea di difesa contro l’autoritarismo, ma in Europa si sta sgretolando, è scritto nel Report. I governi influenzano i media assegnando finanziamenti statali agli organi di informazione a loro favorevoli e utilizzano i mezzi del servizio pubblico come strumenti di comunicazione. Un gioco diabolico e contraffatto che punisce i professionisti seri. I giornalisti subiscono minacce e violenze diffuse e la libertà di accesso alle informazioni non è pienamente garantita. Protestare è giusto e le libertà sono da salvaguardare.
Lo sforzo da fare e che deve appassionare e convincere il pubblico (“i nostri padroni”, diceva Indro Montanelli) è saper raccontare la realtà, le cose per come sono, le ingiustizie, i drammi umani e sociali, gli imbrogli. Il silenzio di fronte alle ingiustizie è complicità, ho sentito dire da Maria Ressa, Premio Nobel per la pace. In quel momento non mi sono bastati 40 anni di attività, mi ha fatto piacere sentirlo. La giornata di mobilitazione di domani nelle piazze di tutto il mondo evidentemente non basta a riparare guasti storici. Non è sufficiente a fermare l’odio contro i giornalisti indipendenti che a migliaia lavorano in condizioni di totale sfruttamento, senza contratti di lavoro, per poche decine di euro ad articolo, senza tutele. Muoiono sul campo, vengono torturati nelle prigioni, sono spiati, inseguiti e insolentiti. E allora le domande di questo angosciante 2025. Cosa chiedere a chi inquina il campo di gioco della democrazia, ne approfitta per calcare la mano in ogni modo ? Stare dalla parte giusta, lasciare libera la stampa di cercare notizie, pubblicarle, commentarle, collaborare a rendere trasparente le attività e gli affari.
Informare è cosa diversa dal comunicare e la buona informazione richiede sempre più competenze, studio, verifiche. I giornalisti facciano – facciamo ! – passi avanti coraggiosi attraverso una preparazione crescente, più dedizione, più dubbi, mettendo nel racconto il senso di quello che è, che si vede, si scopre e non di quello che vorremmo che fosse. Le guerre, le epidemie, il cambiamento climatico, le migrazioni, le tecnologie, le nuove povertà, hanno scavato dentro certezze che i cronisti si tramandavano da generazioni. Il risultato è stata la crisi di modelli narrativi e di rappresentazione inadeguati, da sostituire con nuovi linguaggi, fonti qualificate, ritmi narrativi veloci, autorevolezza, tutto in grado di competere con la mole di news quotidiane, farlocche e a sbafo non opera di giornalisti. All’orizzonte, ma da costruire, un nuovo patto tra giornalisti e cittadini per non lasciare il campo alla prepotenza.
Dipingeranno ancora per noi. Non con pennelli ma con algoritmi che sognano al posto della mano perduta
Immagina una galleria silenziosa dove, accanto a un’opera originale di Klimt, appare una tela mai contemplata, eppure misteriosamente familiare.
Non si tratta di un falso, né di una copia ma di una creazione nuova, generata da una rete neurale che ha assorbito lo stile del maestro e lo ha restituito in una forma mai concepita prima. Un’opera che reca la firma invisibile della macchina e l’impronta silente del genio che non smette mai di parlare, al di là delle sue mani, al di là della sua carne.
In questa apparizione, tanto poetica quanto perturbante, si affacciano interrogativi vertiginosi che non attendono una risposta definitiva, quanto uno sguardo rinnovato.
È giusto evocare i maestri del passato per renderli interlocutori di una nuova estetica, in cui la tecnologia diventa medium e complice? Possiamo davvero far parlare ancora quelle mani scomparse, richiamandone stile, ossessioni, imperfezioni, cicatrici, visioni per trasformarle in materia algoritmica e offrendole al mondo in una sembianza che sfugge al tempo?
Su questa linea di confine emerge una nozione affascinante: la co-autorship postuma. Una collaborazione attraverso il tempo, dove l’artista vivente diventa interprete e l’algoritmo si fa medium di una memoria ancora pulsante. Non si tratta di un esercizio stilistico ma di un nuovo modo di pensare la creazione.
Qui, il tempo smette di scorrere in linea retta. Il presente riscrive il passato non per replicarlo bensì per interrogarlo. Il maestro scomparso diventa sorgente creativa, l’artista contemporaneo si fa guida e la macchina orchestra connessioni, silenzi e risonanze con la precisione del calcolo.
Non siamo davanti a una rielaborazione nostalgica. Questa non è una commemorazione, bensì una vera alleanza oltre la morte. Una convergenza di intenzioni e possibilità, in cui l’opera prende forma da archivi, intuizioni e dati, generando creazioni che non appartengono a nessuno in particolare.
Tra le ombre di un passato sospeso e le luci di un presente reinventato, risuona la riflessione di Walter Benjamin quando nel 1936, scriveva che “ciò che con l’opera d’arte si estingue è la sua aura”. Eppure, se la riproduzione tecnica ne indebolisce l’unicità, la generazione algoritmica sembra offrire un paradossale contrappunto: una nuova forma di aura, non più legata all’originale ma all’esperienza singolare che l’opera suscita. L’arte, così trasformata, non si limita a ripetere. Interroga, sovverte, rilancia.
Il rischio, naturalmente, è quello di una bellezza standardizzata, replicabile all’infinito e priva di anima. Ma come ci ricorda Kant, “è bello ciò che piace universalmente senza concetto”: una bellezza che risiede nella forma e non nell’intenzione, nella capacità di generare piacere senza spiegazioni. Ed è proprio questo che l’arte generativa riesce ancora a fare: emozionare, spiazzare, aprire nuovi orizzonti, indipendentemente dalla mano che l’ha plasmata.
È in questo spazio sospeso che si muovono alcuni pionieri del presente come Mario Klingemann e Refik Anadol. Le loro opere non inseguono la verosimiglianza ma aprono gallerie dell’inconscio digitale, dove le visioni di Turner, Rembrandt e Monet si fondono con l’architettura dei dati. È un’estetica della metamorfosi, in cui la pittura incontra la rete neurale e l’immaginazione si espande in direzioni non ancora codificate.
Tuttavia, è nel dialogo con i grandi del passato che l’intelligenza artificiale sfida davvero il tempo. Con il suo aiuto si tenta una resurrezione audace, come i Santi Apostoli di Caravaggio, perduti e ora ricostruiti attraverso la sua luce, la sua drammaturgia, la sua pennellata invisibile. O come la reinterpretazione della Donna che piange di Picasso, dove lo strappo del volto femminile si dilata in una nuova frattura del senso. Qui la memoria non si limita a ricordare: reinventa.
In questo crocevia di pixel e intuizioni, il passato non è più nostalgia. È materia viva, che pulsa sotto forma di codice. E gli artisti contemporanei, nel dialogo con questi echi, non sono necromanti ma traduttori. Portano in vita ciò che dormiva, spingendolo oltre i confini del già detto.
Forse, non abbiamo mai davvero lasciato la caverna di Platone: abbiamo solo acceso nuovi fuochi. Non più ombre, piuttosto immagini generate da dati, da soglie neurali, da algoritmi capaci di intuire. Se prima osservavamo le proiezioni del reale, oggi partecipiamo attivamente all’ineffabile incanto. E’ ancora incanto, o siamo immersi in un’illusione più raffinata?
Restano domande che pungono come spine sotto la pelle. Dove finisce la mano dell’artista e dove inizia l’autonomia della macchina? Chi è l’autore quando la creazione nasce da un modello e non da un tormento? Quale significato possiamo attribuire alla bellezza se la sua genesi non contempla più l’errore, la fatica, la carne?
Probabilmente Dalì, di fronte a simili dilemmi, avrebbe sorriso sotto i suoi sottili baffi e si sarebbe divertito, eccome se si sarebbe divertito, accogliendo l’intelligenza artificiale come un’estensione del proprio immaginario, un congegno enigmatico attraverso cui deformare la realtà e moltiplicare i miraggi.
Visionario del tempo liquido, maestro dell’ambiguità e della metamorfosi, Dalí non avrebbe intravisto nell’intelligenza artificiale una minaccia ma un’altra dimensione da attraversare, un nuovo specchio in cui rifrangere l’inconscio, deformarlo, renderlo fertile. E non cercherebbe certezze ma fenditure, spiragli, crepe dove insinuare il dubbio e far fiorire l’assurdo. Lì, dove l’intelligenza artificiale disegna apparizioni sospese, Dalí riconoscerebbe il brivido dell’inafferrabile che abbraccerebbe con l’eleganza di chi sa che tutto, in definitiva, è sogno.
È in questo sogno che l’arte generativa si rivela, delineando contorni inediti nel vasto paesaggio creativo contemporaneo. Non è un capriccio effimero bensì una rivoluzione sottile e profonda, capace di reinventare l’atto stesso del creare. Pur priva della carne e del tormento che animano l’artista, conserva nel suo codice l’essenza primigenia del gesto creativo, proiettandola verso orizzonti ancora inattingibili.
In fondo, ogni trasformazione autentica comporta una rinuncia. Lo sapeva bene Picasso quando affermava: “Ogni atto di creazione è prima di tutto un atto di distruzione.” Forse è proprio questo che l’intelligenza artificiale ci sta insegnando: a lasciare andare l’immagine romantica dell’artista solitario e ispirato, per accogliere un nuovo paradigma, più fluido, collettivo, disseminato. Un’arte che non si esaurisce nella mano che l’ha generata ma continua a rifrangersi, a evolversi e a parlare.
Così, quelli che credevamo, allora, fantasmi sono già presenze. O meglio, echi.
Poiesis e storytelling: dal mito alla costruzione della realtà .
Nel mondo antico, raccontare storie era un vero e proprio atto creativo: con il termine poiesis si intendeva la capacità di creare qualcosa di nuovo. Le storie servivano a trasmettere valori, significati culturali ed etici. La creatività era considerata una delle qualità più alte dell’essere umano, un modo per rappresentare i fatti della vita con un fine pratico. I miti, per esempio, nascevano come strumenti per comprendere la realtà. Nel tempo, si sono trasformati in ciò che oggi chiamiamo mitopoiesi , cioè l’arte di inventare storie fantastiche ispirate all’esperienza personale. Oggi, con l’avvento del digitale, si parla spesso di “fare storytelling” per indicare le tante modalità attraverso cui si raccontano e si condividono storie. I media ci offrono contenuti sempre più ricchi di significato, che inducono il pubblico a riflettere su sé stesso e sul mondo che lo circonda. Non a caso, lo psicologo americano Jerome Bruner definiva la narrazione come una vera e propria “costruzione di realtà”: un modo per dare senso alla nostra vita e alla nostra identità.
Riscrivere le storie (con l’IA)
Quel qualcosa di unico che riconosciamo in una narrazione d’autore – sia essa scritta o visiva – è ciò che oggi potremmo chiamare storytelling generativo , una forma di racconto che unisce creatività e trasmissione di significati. Dalla letteratura al cinema, le storie hanno sempre avuto il potere di tramandare valori e visioni del mondo. Fin dall’infanzia entriamo in contatto con mondi e personaggi che ci accompagnano nella crescita, diventando parte integrante della nostra memoria collettiva. Basta pensare agli eroi delle fiabe o delle saghe epiche, spesso reinterpretati dal cinema d’animazione, forma d’arte da sempre incline all’innovazione. L’animazione è oggi uno dei campi più attivi nella sperimentazione visiva, in particolare grazie al digitale, che ha rivoluzionato le tecniche narrative e grafiche. In questo contesto, l’intelligenza artificiale rappresenta una svolta importante: si parla di regie a “costo zero” e di sequenze create automaticamente in linea con precisi stili e generi. Anche la scrittura per il cinema si sta aprendo all’uso dell’IA, introducendo nuovi standard di velocità ed efficienza. Tuttavia, questa tendenza suscita molte perplessità,
soprattutto tra gli sceneggiatori, che temono per il futuro della creatività umana. Proprio il cinema d’animazione risulterebbe tra i candidati più promettenti per la creazione di contenuti visivi ad alto impatto. A questo punto c’è da chiedersi: che ne sarà dell’artigianalità umana? Ma soprattutto, è possibile affidare in toto la produzione di storie che attingono direttamente dalle esperienze umane all’IA?
La pedagogia animata: emozioni, eroi e memoria
L’animazione colpisce non solo per la bellezza delle immagini o la qualità delle tecniche digitali, ma anche per la sua capacità di raccontare le sfide quotidiane in modo profondo e coinvolgente. Come accadeva con le fiabe, che trasmettevano insegnamenti attraverso racconti orali o scritti, anche il cinema d’animazione parla ai più giovani (e non solo), stimolando non solo la vista, ma anche l’ascolto e la riflessione. Possiamo parlare di un vero “contatto intergenerazionale”, un ponte tra chi racconta e chi ascolta. Le storie d’animazione spesso ruotano attorno a eroi inconsueti, imperfetti, con un passato complesso: ed è proprio questo che li rende così autentici. Fin dalla cosiddetta “golden age”, Walt Disney ha prodotto film come Pinocchio o La Spada nella Roccia in cui i protagonisti affrontano difficoltà fino ad arrivare alla propria realizzazione personale. Negli anni ’80, l’animazione di Don Bluth aggiungeva un inconfondibile tocco emotivo e autoriale, mentre negli anni più recenti la Pixar ha saputo raccontare temi profondi come il cambiamento e la consapevolezza di sé in film come Ratatouille e Inside Out .
IA contro poiesis umana
In tutte queste opere emerge un filo conduttore: il desiderio di portare il pubblico in mondi abitati da ingenui sognatori, viaggiatori alla ricerca di una meta lontana o outsider in conflitto con sé stessi, ma soprattutto la volontà di condividere una speranza, quella che ci spinge ad andare avanti e a trasformare le difficoltà in occasioni di crescita. Ma possiamo davvero insegnare a una macchina l’arte di trasformare le esperienze in narrazioni significative? Hayao Miyazaki, uno dei più importanti registi d’animazione, ha espresso chiaramente la sua posizione già nel 2016: per lui, affidare la creatività all’IA è “un insulto alla vita stessa”, perché una macchina non può comprendere il dolore, l’esperienza, la complessità umana. Salvaguardare la componente umana significa garantire un futuro in cui l’arte continua a essere fortemente legata alla tradizione, anche se l’IA potrà offrire supporti sempre più avanzati. Per Miyazaki e molti altri, l’arte resta il riflesso più autentico della vita, e la sua missione è raccontare la verità.
Umanizzare l’IA o restare umani?
L’intelligenza artificiale può sembrare una specie di oggetto magico: basta formulare le parole giuste, e lei svolge tutto il lavoro al posto nostro. Ma proprio in questo presunto “vantaggio” risiede - probabilmente - l’insidia più grande, ossia il rischio di perdere il contatto con ciò che rende unica la nostra creatività: le emozioni, le intenzioni, le vulnerabilità. Possiamo scegliere di “umanizzare” l’IA, integrandola nel processo creativo, oppure lasciare che sostituisca del tutto la nostra immaginazione. Può essere una preziosa alleata o, al contrario, una presenza ambigua che, con fare sottile e accondiscendente, ci allontana dalla nostra vocazione più profonda. Di fronte all’utilizzo sempre più pervasivo dell’IA, è importante ridefinire il nostro ruolo come esseri umani. La poiesis , intesa come capacità di creare con senso e consapevolezza, è ancora oggi il vero motore dell’arte. Più che cercare una perfezione riflessa in una sorta di specchio delle brame , dovremmo prima di tutto affidarci alla nostra umanità.
Ogni giorno, troppe vite vengono spezzate a causa di atti di violenza che non dovrebbero mai accadere. È fondamentale continuare a sensibilizzare su questo tema, supportare le vittime e lavorare insieme per creare una società in cui ogni donna possa sentirsi al sicuro e rispettata. La lotta contro la violenza di genere è una responsabilità collettiva e ogni piccolo passo può fare la differenza.
È vero che spesso la violenza può essere un segnale di impotenza e insicurezza, e che chi agisce in questo modo potrebbe non avere gli strumenti per esprimere le proprie emozioni in modo sano. La continuità di tali comportamenti è davvero preoccupante e richiede una riflessione collettiva su come affrontare e prevenire queste situazioni.
Secondo i dati ANSA dall’inizio del 2025 ad adesso si sono verificati 11 femminicidi (solo in Italia) e soprattutto per mano dei partner o ex partner. Sappiamo anche che manca una banca dati istituzionale per poter avere cifre aggiornate.
Spesso le cause sono da attribuire a condizioni di narcisismo patologico che inducono a comportamenti violenti soprattutto nelle relazioni intime. La gelosia e il desiderio di controllo possono confluire in atti di estrema violenza e la sensazione di perdere il dominio dell’“oggetto- donna” rendono rabbioso il delitto che diventa sempre più efferato.
La violenza si manifesta però in molte forme e non si limita solo all'atto fisico di uccidere.
Soprusi, umiliazioni e abusi psicologici possono avere un impatto devastante sulle vittime. È triste sapere che molte situazioni di violenza domestica rimangono silenziose, con famiglie che non denunciano per paura, vergogna o mancanza di supporto. Anche quando ci sono segnalazioni, spesso le voci delle vittime vengono ignorate.
È fondamentale sensibilizzare su questi temi e creare un ambiente in cui le persone si sentano sicure e supportate nel denunciare. La comunicazione e l'ascolto sono passi cruciali per affrontare e combattere la violenza in tutte le sue forme.
Recentemente è stato avallato un disegno di legge che introduce il reato autonomo di femminicidio e prevede l’ergastolo. Lo stesso decreto introduce misure rigorose per i reati di maltrattamenti in famiglia specialmente se in dati reati vi sono minorenni, donne in gravidanza o persone fragili. La speranza è che questo disegno di legge venga realmente approvato e non rimanga solamente un’idea chiusa in un cassetto.
Negli ultimi 10 anni i reati di violenza sessuale solo aumentati del 40%, tantissimi i reati contro minori, anche fra coetanei. Vendette, gelosie, ritorsioni, senso di potere, malvagità e sensazioni di onnipotenza stanno prendendo il sopravvento.
Non dimentichiamo anche il raggiro agli anziani, a chi non sa difendersi, a chi è solo e impotente di fronte a tanta crudeltà. Tutti questi fatti evidenziano la persistenza di un cambiamento dell’essere umano, che diventa disumano, sottolineando la necessità di interventi validi a livello culturale e legislativo per poter in qualche modo arginare un fenomeno che sta dilagando in maniera uniforme e capillare in ogni parte del mondo.
La scuola riveste un'importanza fondamentale non solo a livello educativo, ma anche culturale. Ha il compito di formare i ragazzi, sottolineando l'importanza del dialogo al posto della violenza. Dovrebbe trasmettere i valori essenziali per una società in cui la solidarietà, la comprensione, l’empatia e l’ascolto reciproco possano risvegliare una coscienza critica nei comportamenti di tutti.
Parlare di bullismo, femminicidio e prepotenza è fondamentale e non dovrebbe essere considerato un argomento secondario. Questi temi sono cruciali per la formazione dei giovani e per costruire una società più giusta e rispettosa. Avere più ore di educazione civica potrebbe davvero aiutare a sensibilizzare i ragazzi su queste problematiche e a far comprendere le conseguenze delle loro azioni. Portarli in centri rieducativi potrebbe offrire loro una visione diretta e concreta di come comportamenti sbagliati possano avere effetti devastanti. È importante educare alla non violenza e al rispetto reciproco fin da giovani!
Siamo in un periodo storico dove il sentimento, il rispetto, l’educazione sono ormai quasi del tutto qualità dimenticate, ha preso il sopravvento l’imposizione, il predominio, la rabbia e il desiderio di onnipotenza. Un tempo quando si sentiva parlare di un fatto cruento di cronaca era quasi rarità; adesso ogni giorno il dolore si insinua come veleno malefico fra umano e umano. Ciò che è peggio sta nell’abituarsi alla notizia.
Viviamo in un'epoca in cui sembra che le persone si sentano sempre più distaccate e concentrate sull'immagine che vogliono mostrare agli altri. È triste vedere come sui social-media vengano condivisi atti di bravura o addirittura di violenza, come se fosse un modo per sentirsi forti. In realtà, questo comportamento non fa altro che allontanarci dalla nostra umanità e dai valori che ci uniscono. È importante riflettere su come possiamo utilizzare questi strumenti in modo positivo, per costruire invece di distruggere, ma così non è… purtroppo
Informazione mordi e fuggi. Gli italiani la vogliono sempre più veloce e la categoria dei giornalisti: si adegui. Dal 2023 internet ha superato la televisione come sistema informativo. Ormai un italiano su due utilizza la Rete per informarsi, dice l’ultimo Osservatorio sul sistema dell’informazione curato dall’Agcom. Il report ogni anno analizza le dinamiche dell’offerta e del consumo di informazione in Italia e, secondo me, non può restare senza considerazioni. I dati. Poco più del 17% degli italiani, dichiara di leggere i quotidiani, ma solo il 6,6% sottoscrive un abbonamento a pagamento a uno o più quotidiani nella versione digitale. Un quarto dei cittadini, tuttavia, prende le notizie dalla versione digitale dei mezzi editoriali tradizionali. Ma gli italiani si fidano della stampa ? Il 65,6% della popolazione esprime fiducia moderata o alta in almeno un mezzo di informazione che sia televisione, radio o carta stampata. Restano le fonti informative più affidabili. Quasi il 30% ha bassa fiducia nelle notizie provenienti dai social media o dalle piattaforme di condivisione di video. I social media e gli influencer sono ritenuti, invece, più affidabili dai giovani di età fino a 24 anni. L’Osservatorio, insomma, conferma che gli italiani giudicano benino ciò che scrivono i giornalisti sui mezzi di informazione tradizionali. Considerando, però, che c’è una sacca che ha poca fiducia in ciò che viene pubblicato e la preferenza dei giovani per i social media e gli influencer, si pone-ancora una volta- il problema della qualità dell’informazione. Evidentemente non basta un articolo per analizzare il punto, ma qualcosa va detta.
Il mondo dell’informazione negli ultimi dieci anni è cambiato e ancora cambierà, perché la sua evoluzione è parte dell’evoluzione della società. L’informazione, sempre più rapida e consumata in pochi secondi, richiede tecniche di scrittura e di linguaggi idonei a questa rapidità. Chi scrive deve avere la forza, ma soprattutto la capacità, di porsi dalla parte di un lettore “mobile “, interessato a sapere, conoscere i fatti, che non è sempre in condizioni pratiche di andare a fondo quando legge o ascolta. Nelle redazioni bisogna fare spazio ai colleghi esperti che solo in virtù di conoscenze specifiche possono raccontare i fatti secondo ciò che il lettore vuole e può consumare. Gli approfondimenti sono necessari, ma il pubblico desidererà l’approfondimento soltanto se le prime news, i primi articoli, sono scritti in modo efficace e con competenza. Lo studio e la preparazione specifica come essenza di una professione di testimonianza del tempo. D’altra parte (come negarlo ?) il progresso della società genera temi nuovi e complessi che appassionano gli italiani.
La qualità della narrazione in un mondo globalizzato e affollato da reporter tuttologi, si afferma come discrimine nel tentativo di legare i cittadini a un’informazione corretta e scrupolosa. I dati dell’Osservatorio vanno studiati con questo spirito per non restare passivi o accontentarsi di quelle percentuali. I giornali di carta sono in crisi, l’editoria italiana non è sempre in grado di accettare le sfide tecnologiche e ha bisogno di sussidi pubblici per sopravvivere. Alla fine , i giovani che apprezzano le notizie dei social media o di influencer senza confini, ci lanciano il segnale più evidente per un futuro nel quale non si dovrà fare a meno del buon giornalismo. Di quello di chi racconta i fatti con la preparazione adeguata.
Onore e gloria ad uno dei pilastri della nostra associazione, a Filippo d’Agostino che con la sua radio
“BIERREDUE” da Sant’Arcangelo, in provincia di Potenza, in Basilicata, da almeno un trentennio, con le sue inchieste, i suoi approfondimenti, le sue segnalazioni e soprattutto con la dedizione alla propria missione contribuisce a mantenere pulita la sua bella regione da interferenze che nulla hanno a che vedere con la giustizia sociale, l’etica e la solidarietà.
L’UPI (Unione Provincie Italiane) Basilicata ha conferito a Filippo d’Agostino una medaglia come onorificenza per la sua professionalità; la cerimonia si è svolta lo scorso 21 marzo presso il palazzo della provincia a Potenza. Radio “BIERREDUE” è molto seguita anche al di fuori della Basilicata, in Puglia e Calabria. La radio rispecchia il carattere del nostro Filippo, uomo che non è sceso mai a compromessi, di grande valore etico e professionale, che più volte ha rischiato l’incolumità fisica purché la verità trionfasse. Filippo ha sempre creduto nella nostra associazione, da più di venti anni, sin dal luglio del 2005, quando si iscrisse, e da allora ha sempre mostrato orgogliosamente il suo tesserino, a significare la sua appartenenza alla grande famiglia degli uomini liberi a servizio dei più deboli. La sua opera è da esempio per tutti noi che crediamo nella vera informazione. Auguri al nostro da parte di tutta la Free Lance International Press.
Virgilio Violo
Centina di giornalisti, fotoreporter e autorità si sono ritrovati a Pagani in provincia di Salerno per il Premio alla memoria di giornalismo Mimmo Castellano. Lo storico Segretario aggiunto della Federazione della Stampa italiana morto nel 2008 è stato ricordato da giornalisti e fotoreporter. È stata una serata davvero speciale per l’informazione e il giornalismo italiano quella organizzata dall’Associazione Stampa Valle del Sarno. La XIII edizione è stata dedicata ai 100 anni della Radio ed ha coinvolto anche gli studenti di due scuole: l’I.I.S. di Scafati e il Liceo Artistico di Nocera Inferiore, i cui ragazzi sono stati premiati nel corso della serata. Riconoscimenti alla carriera sono andati, tra gli altri, a Francesco Pionati direttore del Giornale Radio Rai, Annalisa Angelone, conduttrice Tgr Campania, Boris Mantova caporedattore Gruppo Mediaset e a Salvatore de Napoli, esperto di cronaca giudiziaria. Premiati anche 4 radio libere: Radio Alfa, Radio Primarete, Radio Ufita e Radio Siani.
“Il giornalismo resta una professione affascinante che va salvaguardata. Ai giovani che vogliono intraprendere questa strada ricordo che le migliori esperienze sono quelle che si realizzano a contatto con le piccole realtà. È importante iniziare da lì. Nessun riconoscimento professionale o premio potrà mai eguagliare le esperienze maturate all’inizio con entusiasmo e passione. Non devono, però, mancare lo studio e la cultura” ha detto Francesco Pionati nel ritirare il Premio dalle mani di Salvatore Campitiello, Presidente dell’Associazione stampa Valle del Sarno.
“Il giornalismo è passione. Occasioni come questa del Premio intitolato a Mimmo Castellano ci ricordano che in Campania ci sono stati e ci sono grandi esempi di professionalità e di amore per un mestiere meraviglioso. Dobbiamo fare tesoro dell’insegnamento di tanti colleghi ” ha detto Annalisa Angelone. Le testimonianze dei premiati non hanno riguardato solo il passato ma anche i problemi e le difficoltà per coloro che svolgono la professione affrontando rischi di ogni tipo. D’altra parte la democrazia senza libertà di stampa non vive.
L’Italia celebra l’informazione in occasione di eventi come il Premio Castellano, ma non ha una ricorrenza fissa dedicata alla professione e a quanti sono impegnati a vario titolo a raccontare fatti e avvenimenti.
Ottavio Lucarelli, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Campania ha lanciato, allora,la proposta di proclamare Pagani – in occasione del Premio Castellano- Capitale dell’informazione italiana “allo stesso modo di come avviene per la capitale della cultura italiana” ha detto. Proposta subito accolta dai giornalisti e rappresentanti di organizzazioni della categoria che hanno tempo per realizzarla.
Ci troviamo in Vaticano, a conclusione dei Cammini Giubilari Sinodali, un percorso di preparazione al Giubileo 2025. L’Aula Paolo VI è sotto di noi, trovandoci per questo grande evento nell’Aula nuova del Sinodo della Città del Vaticano.
E’ la Fondazione Fratelli tutti che conclude oggi i suoi lavori, per quest’anno, con un simposio di grande carattere con l’intervento di Romano Prodi, sui grandi temi legati alla geopolitica e all’Europa. In questi saloni, a cento metri da Santa Marta, si vola altissimo tra scenari globali e sfide geopolitiche.
Chi sono i padroni di casa? La Fondazione, appunto, che è stata istituita da Papa Francesco l’8 dicembre 2021, per promuovere varie attività, tra arte e fede, seminari e momenti di dialogo tra culture e religioni e l’annuale World Meeting on Human Fraternity.
Fratelli tutti, nasce come un “enzima”, una proteina d’importanza fondamentale, per mantenere in salute il corpo sociale, come un antidoto alla violenza e alla guerra.
E’ questa la sua mission, voluta da Papa Francesco, per riscrivere una “grammatica dell’umano” e costruire un’alleanza spirituale.
Il padrone di casa più diretto, è il cardinale Mauro Gambetti, presidente della Fondazione e Arciprete della Basilica di San Pietro. Introduce i lavori con un’affermazione precisa: “Questo è il tempo della nostalgia politica” e non di “una politica nostalgica”. E’ il tempo del ritorno allo spirito originario della politica democratica.
Se la politica del secolo scorso aveva idee forti per alimentare il confronto. Quella di oggi, cosa può diventare? “Oggi, è il tempo di tornare al cuore della politica, ad ascoltarci gli uni e gli altri. E’ il tempo della fraternità e dell’amicizia sociale, difronte alle leadership populiste che sono ormai in Europa e nel mondo”- afferma Gambetti.
Non è più tempo di stare nell’angolo e criticare l’avversario senza costruire. Occorre costruire, appunto, con il dialogo della politica. Come in passato.
Il segretario della Fratelli Tutti, Padre Francesco Occhetta, come segretario della Fondazione, ha fatto invece un bilancio degli 8 incontri, “Cammini”, in cui hanno partecipato associazioni, fondazioni, ong, movimenti, esperti di diritto, giornalisti, imprese.
Bilancio, assicura che porterà agli eventi del 12-13 settembre in Piazza San Pietro, alla terza edizione del World Meeting on Human Fraternity: Be human, per riflettere davanti a tutto il mondo, su ciò che è umano, oggi.
L’ospite d’onore, Romano Prodi, è il trait d’union tra passato e presente, ed inizia le sue riflessioni dall’enciclica del Papa, “Fratelli tutti”, che ha avuto un eco mondiale e che tocca il tema del dialogo nella politica.
Prodi, è convinto che ciò che sta mancando in questi anni sugli scenari mondiali, è il grande assente, il dialogo della politica. Oggi, ci sono tante questioni di guerra, come il Papa ha detto “una guerra mondiale a pezzi”. “Se tentiamo di imporre la democrazia ai popoli, non funziona”, assicura il Professore.
In più, e non da meno, l’Occidente ha ucciso la diplomazia, che è diventata secondaria rispetto a due generazioni, fa’.
E l’ideologia è tornata ad essere forte, in un mondo diviso. L’ideologia è venduta sotto interessi di tipo petrolifero e di vendita delle armi, naturalmente.
Quale è la strada percorribile, allora? In questo mondo, sostiene Prodi, occorre riprendere il filo del dialogo tra le grandi potenze. L’arte della mediazione e del confronto. Senza se e senza ma.
Il contesto internazionale è cambiato, certo. Gli Usa non sono più la sola e unica potenza. C’è la Cina, e serve più che mai il dialogo WEST-EST.
L’Europa -purtroppo- non ha più voce in capitolo e corre il rischio di essere chiamata ad un aumento delle spese militari. In più non è un’Europa unita ed ha perso la sua capacità di mediazione.
La strada è questa, comunque, ribadisce il Professore. “La politica internazionale di questi tempi di guerra, deve essere come un ponte, di pace, in cui stabilire le regole del traffico” .
Dialogo e mediazione, sono le parole chiave. Servono connessioni e riprendere il dialogo politico sfilacciato.
Se davanti a noi, la società si è ulteriormente spaccata, e la democrazia si è anch’essa indebolita, occorre fare questo sforzo. La divisione tra ricchi e poveri, tra metropoli e campagna, tra colti e incolti è sempre più netta. Quindi, occorre ricomporre, mettere insieme.
La ricomposizione economica e sociale è attualmente senz’altro la sfida più urgente nel quadro internazionale. Questa è la voce di Romano Prodi, che da queste aule dentro la Città del Vaticano, lascia le sue riflessioni.
Il web oramai domina l’informazione quotidiana e lo farà ancora di più per il futuro. Crescono sempre nuove realtà in questo ma ce n’è una in particolare che vogliamo segnalarvi: “Oltremodo Tv” una piattaforma di streaming dove l'arte incontra l'autenticità e la cultura si sintonizza con la compagnia, guidata da Donna Serena Pizzo che invita con calore il pubblico a rimanere sintonizzato, a partecipare e a far parte della community globale di questa.
In linea con l'era digitale, la piattaforma è accessibile ovunque, in qualsiasi momento e su qualsiasi dispositivo: smartphone, iPad, PC o smart TV. Per omaggiare la nostra associazione, la Free Lance international Press, Donna Serena, anche lei associata, ha voluto intervistato su argomenti di geopolitica e libertà di stampa il nostro presidente, Virgilio Violo, di cui trasmettiamo il video.
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Donna Serena Pizzo intervista Virgilio Violo - video |
“Sin dal nostro debutto il 21 dicembre 2022, abbiamo raggiunto una notorietà straordinaria grazie al nostro impegno per la costruzione di una community centrata sull'intrattenimento culturale privo di fronzoli, “ afferma Donna Serena Pizzo, poi continua: “La nostra filosofia si basa su una comunicazione vivace e perspicace, ma mai aggressiva. Puntiamo sempre ad unire educazione, eleganza e sobrietà.
Sin dal debutto nel dicembre 2022, la piattaforma ha raggiunto una notorietà straordinaria grazie alla costruzione di una community centrata sull'intrattenimento culturale privo di fronzoli. La mission è quella di riscoprire e celebrare la bellezza dei nostri valori tradizionali attraverso l'uso innovativo delle tecnologie moderne. “
Il viaggio è guidato da interviste autentiche, non preparate, che trasmettono emozioni vivide e reportage incisivi su vari argomenti, dai contenuti artistici all'attualità, ai reportage di guerra.
Vengono prodotte migliaia di ore di streaming al mese, che dimostrano l'ampiezza e la profondità del catalogo dei contenuti. Per chi fosse interessato:
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La mostra “ Non affogate il diritto di asilo” si è svolta al Senato, voluta dalla Vicepresidente di Palazzo Madama Mariolina Castellone. Sono stati presentati una serie di disegni realizzati dai bambini al loro arrivo in Italia e salvati dal naufragio da Sos Humanity mentre rischiavano di morire a bordo di barconi e gommoni alla deriva nel Mediterraneo.
Storie di naufragi e di naufraghi, di vittime innocenti, molte di loro sepolte in quello che ormai è diventato il “cimitero del mare”, il nostro mar Mediterraneo centrale.
Ricordiamo, allora, difronte a queste immagini, qual è il cuore del problema, cioè la questione del “diritto di asilo” e ricordiamoci ancora una volta da quali principi fondamentali derivano le norme che regolano le richieste di asilo e di protezione.
“Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni”. Lo dice l’articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948.
“Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana, ha il diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Parole dell’articolo 10 della Costituzione italiana.
Ecco perché negli ultimi anni, asilo e immigrazioni e naufragi sono stati spesso al cuore dell’attenzione dell’opinione pubblica e perché ogni giorno l’UNHCR, l’Agenzia Onu per i rifugiati, ad esempio, e le ONG sono impegnate costantemente su questi temi.
Perché proteggere chi è costretto a fuggire dal proprio Paese a causa di conflitti, violenze e persecuzioni è storia di un’attualità sempre più macabra da accettare.
Migliaia di uomini, donne e bambini, in fuga da guerra e povertà continuano a raggiungere l’Italia in cerca di salvezza. E molti di loro, non arrivano a destinazione.
Cosa raccontano, infatti, i disegni esposti alla Camera? Il mare, i lager della Libia, le guerre e la violenza da cui sono fuggiti, temi che tornano sempre tra quei fogli con i tratti elementari e stilizzati. Storie di morte, di mare e a tratti di speranza per un mondo migliore.
Questa mostra-appello drammatica, arriva mentre il decreto flussi passato alla Camera e ora in passaggio verso il Senato nasconde le forniture di armi e motovedette a Paesi Terzi e promette una nuova stretta sui soccorsi e sulle attività di ricerca con l’obbligo per gli aerei civili di obbedire a tutte le autorità- comprese quelle libiche e tunisine- sempre “molto opache”, con la possibilità di estendere anche agli armatori le responsabilità civili in caso di fermo di una nave per un salvataggio di troppo.
Norme che possono complicare l’aiuto in mare e norme che “affogano il diritto di asilo” e che inducono naufraghi e ong a chiedere di togliere la Sar (cioè Il Search and Rescue, le operazioni di soccorso con navi ed aerei) a Libia e Tunisia.
Al governo ora resta la parola, a noi cittadini la speranza per aggiustamenti del decreto a misura di umanità.
È tempo di vacanze natalizie, un periodo in cui i genitori e i loro figlioli si ritrovano a vivere molto più tempo insieme, un periodo in cui essere e fare i genitori diventa sicuramente più impegnativo.
Saper essere genitori, consapevoli della responsabilità che questo ruolo ha, nello straordinario compito di accompagnare il proprio figlio nel suo percorso di crescita, è molto difficile ed intenso, sotto tutti gli aspetti: biologico, psicologico, intellettivo, educazionale e sociale.
Se è vero che non si nasce genitori ma per diventare genitori è necessario scegliere consapevolmente di diventarlo. Pertanto bisogna comprendere sin da subito che non esiste un “libretto di istruzioni”, anche perché ogni bambino è unico, ciò nonostante esistono alcuni consigli molto utili che se sapientemente applicati, aiutano tanto i genitori nel loro ruolo.
Ad esempio, gli errori più frequenti da evitare nell’educazione dei bambini.
Gli psicologi, ma anche la stragrande maggioranza dei pediatri, sostengono che “regole e divieti” imposti ai bambini sin dalla loro tenera età, non rischiano affatto di provocare traumi, anzi li aiutano a crescere meglio sul piano psicologico, intellettivo e caratteriale.
Soprattutto attenti a “dire sempre sì” e soddisfare ogni desiderio dei bambini, ciò può provocare loro seri problemi da adulti. Saper “dire di no” in modo sapiente ed efficace sul piano educativo, è difficile ed impegnativo ma indispensabile.
Regole e divieti seppure mal sopportati dai bambini, paradossalmente sono loro stessi inconsciamente a richiederli.
I bambini e gli adolescenti di oggi sono apparentemente sani, soprattutto sul piano fisico: ricoperti di attenzioni, di stimoli e confort di ogni tipo, ma nascondono, forse proprio a causa di tanto benessere, una “profonda fragilità”. Tale fragilità minaccia la loro capacità di sviluppare un’identità adulta e consapevole di sé. Infatti, la cronaca ogni giorno ci consegna episodi di violenza urbana, ad opera di piccole “gang” giovanili, frutto del loro profondo malessere e della loro instabilità emotiva.
Per mitigare, questa “profonda fragilità” nei bambini e negli adolescenti, è importante fornire, in particolare ai genitori, strumenti utili ad evitare gli errori più frequenti, alcuni molto gravi. In merito, alcuni consigli pratici, sono di grande aiuto per gestire in modo più equilibrato ed efficace il rapporto con bambini e ragazzi: poche e semplici regole comportamentali che i genitori e le altre figure formative, dovrebbero seguire nell’educazione dei propri figli.
Ecco alcune regole da seguire per evitare gli errori più comuni, nei confronti dei bambini e degli adolescenti:
Raccogliamo e facciamo nostro l’appello di Gianluca Melis, proprietario di un terreno che si trova a Selargius in provincia di Cagliari, dove c’è un presidio fisso degli abitanti del posto già da quattro mesi:
“dalle sette di questa mattina (20 novembre) sono iniziate ad arrivare delle pattuglie della polizia, della digos con i vigili del fuoco con gli idranti e si stanno organizzando per far evacuare il nostro presidio. E’ quasi impossibile arrivare al presidio fisicamente perché tutte le strade sono state bloccate ed è stato organizzato un piano di sgombro perché nessuno possa raccontare o far vedere cosa sta accadendo,
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chiediamo l’aiuto di tutti i giornalisti e tutte le persone di cuore che sono sensibili alla nostra lotta, che possano far sapere alla popolazione quello che sta facendo lo stato nei nostri confronti. Io da proprietario non posso accedere alla mia proprietà perché vengo bloccato con la forza dalla polizia di stato e siamo in una situazione di grave pericolo perche le persone che sono nel nostro presidio compreso il nostro avvocato stanno facendo si che non accada questo, e cioè che non veniamo mandati via dalla nostra terra. Chiediamo cortesemente a tutti i giornalisti che ci possono aiutare a far sapere a tutta la popolazione cosa sta accadendo. Vi ringraziamo e speriamo che ci possiate aiutare e ci possiate contattare al più presto”
Sarebbe ora che tutti noi ci occupassimo molto seriamente di quanto sta avvenendo in Sardegna! In seguito tutta l’Italia sarà nella stessa situazione?
La strategia del Potere è quella di diversificare temporaneamente le azioni vessatorie e tiranniche, a macchia di leopardo, nelle varie zone della penisola, in modo da non scatenare una reazione generale: dobbiamo comprenderlo!