L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Health (156)

Diffondere la cultura della prevenzione e i corretti stili di vita saranno al centro delle attività dell’Associazione.

 

Bergamo, 29 ottobre 2025 – Con il chiaro intento di diffondere la cultura della prevenzione, della promozione dei corretti stili di vita e del benessere psico-fisico e della preservazione dello stato di salute dell'individuo, del suo nucleo famigliare e delle comunità in genere, nasce l’Associazione SIBU APS – Società Italiana Benessere Uomo APS.

               L’intento è soprattutto quello di sensibilizzare in modo positivo, e propositivo, la popolazione maschile nell’abbracciare a 360° la cura della propria salute e del proprio benessere, sia in un’ottica di tipo “One Health” che in un’ottica prettamente olistica, sfatando così il pensiero comune che “gli uomini sono meno attenti alla propria salute rispetto alle donne”.

                Con l’aspirazione di divenire in futuro una vera e propria Società Scientifica, SIBU opererà principalmente mediante studi di ricerca clinici e osservazionali, sessioni formative, eventi e campagne informative, nonché nella partecipazione attiva in programmi di screening.

               Primo Presidente designato è il Prof. Gian Luigi de’ Angelis, Ordinario di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva e già Direttore del dipartimento Materno-infantile e della struttura complessa  di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma. Ad affiancarlo, un nutrito gruppo di professionisti formato non solo da medici e personale sanitario, ma anche da accademici, ricercatori, e figure specializzate nei settori nutrizione, farmaceutica, fitness e divulgazione scientifica.

La nascita di questa Associazione scientifica è dovuta ad una brillante intuizione dell’amico e collega Prof. Francesco Greco, che, come già sottolineato, ha voluto riunire un numeroso gruppo di specialisti che si occupino di benessere inteso in primis come mantenimento di un ottimale stato di salute degli uomini. Infatti per motivi biologici, sociali, culturali, storici ed altri ancora, gli uomini da sempre sono stati meno attenti alla propria salute rispetto alle donne. Questa differenza è diventata ancora più importante da quando la donna è stata giustamente oggetto di tante campagne di sensibilizzazione e di prevenzione. Basti pensare a quanto è stato fatto per prevenire e trattare  il tumore al seno. In quest’ottica si colloca la nostra associazione che si propone di valorizzare non solo gli screening di enorme importanza, quali ad esempio quello del tumore della prostata e del tumore del colon retto, ma anche tutto quell’insieme di fattori che possono  incidere in maniera significativa  sul concetto di benessere dell’uomo. La vita media si è allungata molto negli ultimi decenni. L’impegno adesso è quello di conservare la qualità del vivere più a lungo possibile attraverso tutta una serie di trattamenti preventivi che passino dalla quotidianità del vivere, ai giusti  stili  di vita, alla cura tempestiva delle varie patologie”, ha sottolineato il Prof. de’ Angelis.

 

SIBU – Società Italiana Benessere Uomo
Via Palma il Vecchio, 4A - 24122 Bergamo

www.sibuitalia.it

 

C’è voluta la voce della dr.ssa Maria Rita Gismondo, microbiologa e direttrice del laboratorio di microbiologia clinica dell’Ospedale Sacco di Milano, perché nel silenzio ovattato dei palazzi del potere risuonasse, finalmente, una domanda che nessuno aveva più il coraggio di porre: che cosa è davvero accaduto negli ospedali italiani durante la pandemia da Covid-19? Un interrogativo che, dopo anni di narrazione univoca, è tornato a scuotere le fondamenta del Senato, dove la Gismondo ha portato una testimonianza destinata a lasciare il segno. Perché non è una voce marginale o improvvisata, ma una scienziata che per anni ha diretto una delle strutture di riferimento nazionali per le emergenze infettive, in collaborazione con l’ospedale di Bergamo e lo Spallanzani di Roma. La sua audizione nella Commissione d’inchiesta sulla gestione del Covid-19 ha avuto il sapore di una resa dei conti con la storia recente. Senza alzare la voce, Gismondo ha raccontato con precisione chirurgica la confusione che regnava nei primi mesi del 2020: decisioni prese “nel panico”, mancanza di un piano pandemico aggiornato, protocolli contraddittori, ordini che cambiavano di ora in ora. Un mosaico di incertezze che, a suo dire, costò caro al Paese. E qui emergono i nomi come Giuseppe Conte, allora presidente del Consiglio e Roberto Speranza, ministro della Salute con un intero apparato tecnico-politico incapace di gestire con lucidità una crisi che avrebbe richiesto scienza, coordinamento e sangue freddo. Non si tratta di crocifiggere, ma di pretendere responsabilità storica, perché le scelte, o le non scelte, di quei mesi hanno inciso sulla vita e sulla morte di migliaia di persone.

Gismondo ha ricordato che in molti ospedali, dal Sacco di Milano al Papa Giovanni XXIII di Bergamo, fino al Policlinico di Roma, le autopsie sui pazienti deceduti furono scoraggiate, ritardate e, talvolta, ostacolate. Eppure, in medicina, quando una patologia sconosciuta si presenta, è proprio l’autopsia lo strumento fondamentale per comprenderne la natura. “Solo più tardi, ha detto, con le autopsie fatte di nascosto, abbiamo scoperto che molti pazienti morivano per gravi processi trombotici e infiammatori, non solo per insufficienza respiratoria”. Parole che bruciano, non per lo scandalo, ma per la consapevolezza del tempo e delle persone care perdute. Nel racconto della microbiologa emerge l’immagine di un sistema paralizzato dalla paura, dove la politica cercava rifugio nella burocrazia. “Ho parlato con il ministro Speranza, ha ricordato, e l’ho trovato nel panico, mi diceva di rivolgermi ai tecnici, ma il piano pandemico non c’era”. Ecco l’immagine simbolica di quell’Italia smarrita con un ministro senza piano di emergenza sanitaria, un governo che rincorreva gli eventi e medici lasciati soli a improvvisare protocolli di emergenza. Molte delle decisioni prese allora, come l’intubazione sistematica dei pazienti in fasi non appropriate della malattia, oggi vengono rilette con amarezza.

Non per accusare chi, in buona fede, combatteva in trincea, ma per denunciare l’assenza di guida, di chiarezza e di una visione unitaria. Gli ospedali italiani si trasformarono in isole scollegate e ciascuna a interpretare ordini confusi provenienti da Roma. Nel frattempo, i cittadini morivano soli, senza conforto, spesso classificati come “casi Covid” anche quando la causa effettiva del decesso non era chiaramente accertata. Qui non si parla di falsificazioni, ma di un errore collettivo di metodo, di comunicazione e di trasparenza. L’Italia, nei momenti più difficili, ha preferito la narrazione alla verità. Ha costruito rassicurazioni a breve termine invece di affrontare la complessità dei dati. Oggi, a distanza di anni, il coraggio della Gismondo non serve a dividere, ma a ricordare. Ricordare chi ha perso la vita, pazienti, medici ed infermieri, travolti da una gestione emergenziale che troppo spesso ha sacrificato il rigore scientifico sull’altare della politica. Onorare i caduti non significa alimentare sospetti, ma chiedere verità, trasparenza e memoria. Perché nessuna democrazia può permettersi di archiviare la più grande emergenza sanitaria della sua storia come un capitolo chiuso. Se davvero la Commissione d’inchiesta avrà il coraggio di guardare in faccia la realtà, dovrà ascoltare le voci come quella di Gismondo, ma anche quelle di chi, giorno dopo giorno, ha visto con i propri occhi il prezzo dell’improvvisazione. Il tempo dei silenzi è finito e, forse, dopo questa audizione, anche nei corridoi del Potere qualcuno ha cominciato a tremare.

 

La ludopatia, o disturbo da gioco d’azzardo, è una forma di dipendenza patologica, in cui la persona sviluppa un bisogno incontrollabile di giocare, spesso con denaro, nonostante le gravi conseguenze negative che questo comporta. Non si tratta semplicemente di “giocare troppo”, ma di un vero e proprio disturbo comportamentale riconosciuto anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). La ludopatia può comprendere anche attività minori come gratta e vinci, scommesse sportive, slot machine, fino ad arrivare ad attività maggiori come poker online e giochi da casinò con dispendio di elevate somme di denaro. Purtroppo con l’avvento del gioco online, l’accesso è diventato ancora più semplice e la dipendenza nei giovani può svilupparsi in modo rapido e silente. I segnali di allarme si manifestano in modo graduale includono: un pensiero costante legato al gioco e alle sue strategie, la necessità di dire continue bugie per mascherare l’attività di gioco e non si riesce a controllarsi o smettere, nonostante si tenti di farlo. In questa fase, i problemi economici, familiari o lavorativi si amplificano, aumentando l’ansia, la depressione e l’irritabilità quando si prova ad interrompere. Le cause della ludopatia possono essere molteplici tra cui fattori psicologici e sociali.

Alcuni fattori di rischio si possono ricercare nell’ impulsività, il desiderio costante di provare emozioni forti, stress, solitudine o difficoltà personali. A volte può derivare anche da altre dipendenze, quali alcol, droghe, ecc. o dall’ influenza dell’ambiente sociale e familiare. Le conseguenze della ludopatia possono essere molto gravi e colpire diversi aspetti della vita: sia al livello economico come perdita di risparmi o di beni fino ad arrivare all’ indebitamento; sia al livello relazionale come crisi familiari, isolamento sociale, separazioni; sia a livello psicologico ansia, depressione, senso di colpa, pensieri suicidari; sia dal punto di vista legale furti, frodi o comportamenti illeciti per ottenere denaro. Fortunatamente ci sono cure e percorsi di sostegno per guarire. Il primo passo come tutte le dipendenze è riconoscere il problema e non avere paura di chiedere aiuto il prima possibile, fondamentale è il supporto di familiari e amici. I trattamenti possono includere terapie psicologiche individuali e di gruppo (come la terapia cognitivo-comportamentale) o dedicarsi ad un’arte, come il teatro.E proprio su questo punto, il teatro, vorrei concentrare la mia attenzione. L’arte di fare teatro, può essere uno strumento profondamente terapeutico nel percorso di recupero dalla dipendenza da gioco d’azzardo. Non si tratta di una “cura” in senso medico, ma di un potente complemento al trattamento psicologico e/o farmacologico. Quale è il rapporto tra Teatro e Ludopatia? Molte persone con dipendenza da gioco faticano a riconoscere o esprimere le proprie emozioni. Il teatro, permette di mettersi in gioco in modo sicuro, dare voce al dolore, alla vergogna, alla rabbia, dare espressione alle emozioni represse. Raccontarsi attraverso un personaggio, facilita l’elaborazione emotiva. In terapia, si dice spesso che “è più facile dire la verità dietro una maschera” e il primo passo è la ricostruzione dell’identità. Il gioco compulsivo può “cancellare” l’identità della persona, che si definisce solo come “giocatore” o “dipendente”. Attraverso il teatro, può invece, scoprire nuovi ruoli, nuove parti di sé, ricostruire la propria autostima, allenare la capacità di stare nel presente, molto importante nella guarigione. Molti laboratori teatrali usano testi o creano scene che parlano di dipendenza, desiderio, fallimento e rinascita. Questo aiuta la persona alla riflessione e alla consapevolezza di sé stessa e del proprio percorso, vedere la propria storia da fuori, aiuta a ritrovare il proprio io. Il teatro è, per natura, relazionale.

Nei gruppi teatrali si lavora insieme, si collabora, si ascolta, si è complici, si sperimenta l’appartenenza, spesso assente nella vita del dipendente e il lavoro di gruppo aiuta a stabilire relazioni sane al fine di rompere quei meccanismi di isolamento, tipici della ludopatia. Il teatro è anche gioco, ma quello creativo, costruttivo, non compulsivo, aiutando così a riscoprire il piacere del gioco sano e libero contrapposto al gioco d’azzardo distruttivo. In Italia e nel mondo esistono programmi di teatro-terapia per le dipendenze comportamentali, inclusa la ludopatia. Alcuni esempi: laboratori teatrali nei SER.D. (Servizi per le Dipendenze); progetti con Giocatori Anonimi o altre comunità terapeutiche e drammaterapia: una disciplina psicoterapeutica riconosciuta, che unisce psicologia e teatro. La ludopatia è una malattia seria, ma si può guarire e con il giusto supporto e un percorso di cura adeguato, è possibile uscire da questa dipendenza e tornare a vivere una vita libera e consapevole. La prevenzione, l’informazione e il sostegno, sono strumenti fondamentali per proteggere le persone più vulnerabili, in particolare giovani e anziani, dal rischio del gioco patologico. Il teatro, quindi come altre forme d’arte (scrittura, pittura e musica), non cura da solo la ludopatia, ma è uno strumento prezioso per esplorare il proprio mondo interiore, ritrovare se stesso, riconnettersi con gli altri e la realtà quotidiana. L’arte può dare voce a chi si sente muto, e luce dove c’è buio.

 

In data 14 novembre 2024 l'Avv. Ornella Bertarini del Foro di Milano -  a cui va comunque il nostro ringraziamento per la passione e la deontologia dimostrata - ci ha informati che anche la Procura della Repubblica di Milano, dopo quella di Sondrio, ha deciso di non dare seguito di indagine al corposo esposto-denuncia che un gruppo di cittadini di Sondrio e Milano provincia avevano chiesto di depositare per avere giustizia, per tutti gli italiani (compresi coloro che si sono vaccinati, in buona fede o sotto ricatto da parte del potere autoritativo dello Stato).

Dopo Sondrio anche la Procura della Repubblica di Milano ha deciso dunque di autoarchiviare a modello K/45 il nostro esposto-denuncia che già depositammo noi cittadini in Friuli Venezia Giulia nell'aprile 2022, tramite il nostro avvocato di fiducia Avv. Michele Rodaro del Foro di Udine.

A differenza di Sondrio e Milano, la Procura della Repubblica di Udine si dimostrò sensibile allora e aprì un procedimento penale che fu trasferito a Roma per competenza territoriale.

Purtroppo dopo pochi mesi il PM titolare delle indagini di Roma chiese la archiviazione: ci opponemmo ma il GIP confermò la archiviazione.

Se cittadini e associazioni di tutta Italia avessero investito tempo ed energia (i documenti in allegato alla circostanziata denuncia da noi preparata dimostrano in modo chiaro come la pandemia COVID-19 sia stata costruita dalle istituzioni nazionali ed internazionali su premesse fallaci e menzognere) depositando in altre procure d'Italia, forse in qualche altra città - analogamente a quanto accaduto a Udine - qualche magistrato coraggioso e devoto alla giustizia e alla verità dei fatti, avrebbe aperto una indagine penale preliminare.

Nel prendere atto che il panorama inquirente in tema sanitario è imbarazzante in merito agli abusi COVID-19 che abbiamo denunciato (ove il potere dello Stato si è fatto leviatano e difforme rispetto agli stessi obblighi giuridici di legalità e giustizia a cui è costituzionalmente chiamato), ci tengo a ringraziare di cuore tutti coloro che firmarono la denuncia della violazione dei diritti umani, sociali e civili che abbiamo patito nel periodo 2020-2022, e le bugie istituzionalizzate.

Un ringraziamento ai cittadini di Sondrio che si sono affidati all'Avv. Ornella Bertarini del Foro di Milano.

Un ringraziamento ai cittadini del FVG e delle province del Veneto che ad aprile 2022 presero la propria auto o il treno per firmare la denuncia presso lo studio legale M.Rodaro, a Udine, nella primavera 2022.

Grazie a Diego Cervai della associazione UHRTA di Trieste che, nonostante le difficoltà personali, firmo' anch'egli la nostra denuncia.

Grazie a tutti coloro che con le loro donazioni ci hanno aiutato a pagare le spese legali e soprattutto di traduzione ed asseverazione dei documenti, da noi depositati nelle Procure d'Italia.

Grazie a tutti voi non perché abbiate creduto nel sistema della giustizia italiana, ma per aver partecipato ad una affermazione di verità messa agli atti per noi stessi e la storia.

Un giorno potrete dire ai vostri figli e nipoti che voi non siete stati passivi dinanzi al male, ma avete fatto un gesto piccolo ma coraggioso per denunciarlo.

Ai magistrati d'Italia che - chiamati a vagliare documenti inoppugnabili - hanno deciso di non indagare fino in fondo, posso solo ricordare che la giustizia degli uomini con la g minuscola, farà i conti prima o poi anche con una giustizia superiore con la G maiuscola (non di questa Terra), che prima o poi nel corso della nostra esistenza, su piani immateriali, busserà alle nostre e loro porte chiedendo di rendere conto. Hanno una coscienza anche loro e forse un giorno lontano, in questa vita o nelle prossime vite, sentiranno tutto il peso di questa loro gravosa decisione di cui forse, e dico forse, non hanno compreso pienamente la portata.

In questo video divulgativo " https://youtu.be/qQv5m7VBTvM?si=QxudsTC3qwb38oqe  si parla di bioetica ed etica della medicina e di cosa può provocare la sua assenza in contesti di guerra e di regimi politici non rispettosi dei diritti umani.

Il video contiene descrizioni esplicite di fatti storici disturbanti e non adatti a un pubblico troppo impressionabile.

La storia di questi crimini di guerra va conosciuta e collocata assieme alle violazioni dei diritti soggettivi commessi dai nazisti, e più recentemente dagli apparati di potere che hanno subordinato il diritto al lavoro e alla inclusione sociale, a sottomettersi a una sperimentazione di massa con sieri genici spacciati per vaccini, contro una malattia similinfluenzale verso la quale questi preparati non avevano alcun beneficio di arresto di contagio.

Sono orrori diversi e compiuti con mezzi diversi e in periodi storici diversi, che hanno provocato comunque sofferenza e morte.

Nel caso dei medici nipponici senza pietà ed etica, l'episodio era circoscritto al territorio cinese occupato.

Nel caso della psicopandemia, il ricatto è la sperimentazione di massa ha avuto luogo ammantata da un potere dolce e pervasivo, camuffato da una veste legale e lecita, con il benestare dei poteri religiosi e politici più alti.

Accomuna queste esperienze storicamente distanti il concepire l'essere umano individuo non come un fine ma come mezzo, strumento subordinato a un ipotetico bene pubblico verso cui tutto si può sacrificare.

Invece l'habeas corpus e la dignità umana sono valori soggettivi perfetti, che appartengono alla sfera soggettiva individuale, un prius su cui i diritti costituzionali liberali hanno fondato gli ordini giuridici.

Oggi élite di potere vogliono rovesciare questi principi e considerare l'individuo non più un prius ma un posterius, sacrificabile per il bene dello Stato.

È il sovvertimento del patto fondativo fra cittadini e Stato che in tante Repubbliche è stato suggellato all'indomani della seconda guerra mondiale, proprio perché i crimini di guerra nazisti e nipponici - che hanno sacrificato tutto in nome di una scienza e una medicina assoluta e padrona delle vite umane - non potessero più ripetersi.

 

 

Se la foto Reuters non è di repertorio ma attuale, in questi giorni nella striscia di Gaza, si sta impiegando il vaccino antipolio orale di tipo Sabin in una grande campagna di massa nei confronti della prima infanzia palestinese.

Purtroppo se le Autorità hanno scelto il vaccino orale di tipo Sabin (non ne sono certo ma questo pare dalle foto Reuters), bisogna ricordare che tale vaccino ad uso orale è stato già responsabile nel mondo di migliaia di casi di poliomielite vaccino-associata (paralisi flaccida causata dal vaccino stesso come reazione collaterale dovuta al riattivarsi del patogeno nell'organismo, perché esso è attenuato nel preparato Sabin ma non ucciso).

L'impiego del vaccino orale di tipo Sabin fu infatti non a caso abbandonato negli Stati Uniti d'America alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, proprio per ragioni di sicurezza, ed evitare che molti bambini (e adulti a contatto con le loro feci) finissero in sedia a rotelle a causa del vaccino stesso.

Anche in Europa, qualche anno dopo, il vaccino fu abbandonato sostituendolo con l'antipoliomielite tipo Salk a virus ucciso, il quale non garantisce immunità di gregge ma non presenta i problemi di sicurezza manifestati dal vaccino Sabin.

Vaccinare centinaia di migliaia di bambini a Gaza, in quelle condizioni igieniche così disastrate, significa incrementare ancora di più il rischio di poliomielite vaccino-associata.

Mi unisco alla indignazione di Giorgio Bianchi che ha stigmatizzato l'Occidente il quale rimane impotente e timido nei confronti del massacro di oltre trentamila civili inermi (di cui un 70 % di donne e bambini) negli ultimi mesi a causa della sproporzionata e criminale forza e strategia di ingaggio militare scelta dallo IDF israeliano contro Hamas, ma trova il tempo di occuparsi di 1 caso di poliomielite dopo mesi di guerra e migliaia di mutilati e bambini orfani e a cui è stata rubata la infanzia, e perorare una campagna vaccinale di

massa che rischia di aggiungere sofferenza alla sofferenza.

Come non si capisca che condizioni igieniche buone, acqua potabile e alimentazione sana ed equilibrata riducono e azzerano il rischio di focolai di poliomielite?

Di fronte ai corpi smembrati di tanti bambini (ho visto foto e video raccapriccianti di innocenti fatti a pezzi dalle esplosioni degli attacchi dello IDF israeliano), la campagna vaccinale antipolio (con un farmaco di profilassi con gravi rischi di sicurezza) suona una beffa, un insulto alla vita e alla dignità umana.

I bambini di Gaza hanno bisogno di acqua potabile, un tetto sulla testa, e di una città al sicuro dagli ordigni di morte.

L'Occidente è naufragato nella dissonanza cognitiva ove i diritti della sessualità e l'ardire della provocazione intersessuale, in un caos totale, sono più importanti dei diritti di un bambino palestinese ad avere una infanzia serena.

 

 

L'unico parlamentare su cui mi sento di spendere delle buone parole è Lucio Malan, il quale come Senatore nella XVII Legislatura celebre per il decreto Legge 73/2017, all'indomani della conversione in Legge 31 luglio 2017 nr. 119, espresse un sincero dispiacere perché il Senato non riusci' nei suoi emendamenti nell'estate 2017, a stralciare la discriminazione scolastica introdotta nella scuola della infanzia.

Fu uno dei pochi, assieme al Senatore dottor Maurizio Romani, ad esprimere grave preoccupazione per questo decreto Legge chiamato Decreto Lorenzin, ma il cui autore tecnico materiale non fu l'On. Beatrice Lorenzin, né l'On. Gentiloni Presidente del Consiglio, ma il dottor Ranieri Guerra, che nel 2014 si recò a Washington, D.C., presso la Casa Bianca, assieme al Ministro della Salute Lorenzin e al Presidente AIFA di allora Pecorelli, poi dimissionario per conflitto di interesse.

Vano fu il discorso del Senatore Romani, che tento' di spiegare ai colleghi del Senato la inutilità tecnica di imporre come discriminanti in ambito scolastico i quattro vaccini già obbligatori allora per legge, che da 4 divennero 10.

I 4 vaccini pediatrici obbligatori sino al maggio 2017, infatti, non erano e non sono in grado di produrre alcun effetto gregge o immunità di gregge ma semmai, qualora funzionino, producono solo una mera protezione personale (soggetta a scadenza).

I senatori che votarono No alla conversione in Legge del Decreto "Lorenzin" furono 63 su 315.

Un numero che avrebbe potuto essere molto più grande se certi giochi di compromesso nel cuore della notte non furono fatti in Senato in extremis.

Tornando dal viaggio negli States al cospetto del Presidente Obama, la delegazione italiana di allora raccolse raccomandazioni politico-sanitarie (e forse documenti riservati?) perché la Italia venne nominata come capofila delle strategie vaccinali mel mondo per almeno cinque anni.

Il breve commento a questa nascente commissione d'inchiesta sulla psicopandemia Covid-19 non lo faccio perché vi siano salvatori o benefattori che in Parlamento possano cambiare la musica o la sensibilità, ma per sottolineare chi è rimasto da allora, e che forse ha più sensibilità di altri rispetto a certe tematiche.

Un cambiamento di politica sanitaria vaccinale - pediatrica e non - sarà possibile in Italia soltanto quando una massa critica di persone (trasversale e che non riunisca etichette e che non sia etichettabile) esprima un dissenso o un malumore diffuso nei confronti del potere autoritativo dello Stato in materia di salute pubblica e autodeterminazione della salute a livello individuale.

Al momento molti si sono svegliati in Italia e hanno messo in dubbio la buona fede delle Autorità, anche pagando un caro prezzo personale per aver riposto fiducia in prodotti biotecnologici che si è poi scoperto - ma lo si sapeva già a livello tecnico - che non solo non erano in grado di arrestare alcun contagio, ma esponevano i vaccinati / sierati a gravi rischi di reazioni avverse oltre che a una compromissione - in taluni casi - del proprio sistema immunitario.

Vi è nondimeno ancora una larga fetta della popolazione italiana totalmente ignara dell'inganno perpetrato e delle ripercussioni di salute a breve e a lungo termine, a causa dell'uso a tappeto di questi vaccini a vettore virale e sieri genici, che si manifestano e si manifesteranno verosimilmente ancora nel futuro.

 

 

 Icone di povertà e resilienza

Aldo Morrone, direttore dell'Istituto Internazionale Scienze Mediche, Antropologiche e Sociali (IISMAS), è rientrato dal Corno d'Africa, testimone dei traumi del conflitto, degli abusi sulle donne, della distruzione di infrastrutture di base. Parla della tenacia e dedizione con cui continua a operare l'ospedale che sostiene al confine con l'Eritrea: "Sentirsi toccati nelle piaghe è un modo per avere una immediata comunicazione. Sono loro che mi insegnano la solidarietà vera"

 

Un Paese meraviglioso con una popolazione che, sebbene ridotta allo stremo, riesce ancora a dare testimonianza di una solidarietà

  Curare i più piccoli  

fortissima che ha molto da insegnare. Così sintetizza la situazione che attualmente vive l'Etiopia Aldo Morrone, direttore scientifico dell'Istituto Internazionale Scienze Mediche, Antropologiche e Sociali (IISMAS) rientrato due settimane fa da una delle sue periodiche visite nello Stato del Corno d'Africa. Esperto di patologie tropicali e malattie della povertà, si occupa di medicina transculturale, con una spiccata attenzione sulla salute dei migranti e delle fasce a rischio di emarginazione sociale. Attraverso i suoi occhi, il racconto delle conseguenze fisiche, psicologiche, economiche e infrastrutturali di una guerra, in Tigray, fratricida. 

Il Tigray e la guerra "nascosta"

"Ho trovato un'Etiopia ridotta molto male per una guerra che ad Addis Abeba si nasconde: molte persone non sanno nemmeno che ci sono stati anni di guerra fratricida". È tra gli aspetti più inquietanti la volontà istituzionale, secondo quanto riferito dal dottor Morrone, di mantenere il conflitto sotto il tappeto. Eppure le tracce sono macroscopiche con un bilancio di due anni (tra il 2020 e il 2022) tragico: secondo alcune stime sarebbero state circa 500mila le vittime, alle quali si aggiungerebbero due milioni di sfollati interni. È lo stillicidio consumato al nord, dove si sono confrontati l’esercito federale, che rispondeva agli ordini del governo di Addis Abeba, e le milizie tigrine, agli ordini del Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf);

sono poi comparsi anche le milizie amhara e l’esercito eritreo che aveva pretese territoriali su una zona che confina tra Eritrea e Tigray. Scontri durissimi che hanno finito per mettere in ginocchio i miliziani tigrini che intanto erano stati supportati dall’Esercito di liberazione oromo (Ola), formazione armata della frangia più estremista del popolo oromo (l’etnia più numerosa dell’Etiopia). Il 2 novembre 2022 arriva la firma dell'accordo, mediato dall'Unione africana, tra Addis Abeba e Macallè per un cessate il fuoco che, almeno sulla carta, ha posto fine al conflitto.

"È una guerra di cui non si è voluto far parlare", osserva Morrone che dice di aver visto una "situazione disastrosa". Parla di una "bolla speculativa incredibile" e porta alcuni esempi: "gli stipendi dei medici viaggiano intorno ai 250 dollari al mese, un pranzo non costa meno di cinque o sei dollari. Nel nord la situazione è allo stremo. La guerra è ancora di fatto non conclusa, nonostante gli Accordi di Pretoria che

   L'attesa di una cura, una carezza, una possibilità di vita  

avrebbero dovuto sancire un armistizio ma che di fatto non è avvenuto. Ci sono circa 600-700 mila sfollati dalle varie aree del Tigray che ancora non riescono a tornare nei propri villaggi a causa della distruzione e per la presenza di bande armate in diverse parti del Paese. In più, c'è lo spettatore che finge di essere assente ma è fortemente presente: sono le truppe eritree che hanno oltrepassato il confine e quindi c'è una situazione di grande tensione". Una "grandissima instabilità" dovuta anche alla tensione fra gli altri gruppi etnici, amhara e oromo, aggiunge Morrone il quale ben conosce la realtà di questi luoghi dove dal 1984 è attiva un'opera di formazione non solo sanitaria di cui tutt'ora si fa promotore.

Decine di migliaia di donne stuprate

"A farne le spese sono le persone più povere. Contadini, pastori. La situazione drammatica è a scapito soprattutto delle donne", continua il medico che segnala "oltre 30-40 mila stupri cosiddetti etnici. Io ho potuto visitare queste donne in cui lo stupro è stato una forma terribile di violenza finalizzata a impedire loro di avere figli. Alcune - afferma - purtroppo hanno perso la vita, altre si sono suicidate, altre ancora, con l'aiuto di altre donne, stanno cercando di recuperare un senso di vita. In molti casi sono state violentate davanti ai propri figli o al proprio marito". A fronte di queste atrocità - che pure organismi tra cui Medici senza Frontiere o Amnesty Interntional hanno ripetutamente denunciato - mancano medici, operatori sanitari, psicologi, ginecologi che possano prendersi cura di queste persone. "Esistono dei centri ma non c'è di fatto personale", scandisce Morrone che non attribuisce responsabilità specifiche difficile da riscontrare in un contesto dove sembrerebbe aver dominato l'assoluta mancanza di regole. È accaduto per i reati di matrice sessuale così come per i furti di bestiame o di alimenti. "Gli ospedali nel Tigray sono stati per oltre due anni senza cibo e senza medicine perché resi oggetti di furti o requisizioni. Le banche sono state chiuse, non c'era la possibilità di avere combustibile né ambulanze o automobili. Gli ospedali sono stati dunque imprigionati in una situazione drammatica. Infermieri, medici, biologi hanno fatto i salti mortali per sopravvivere".

Formare i sanitari locali: dare salute è dare dignità

Morrone spiega il lavoro di sinergia internazionale fatto negli ultimi decenni per creare quattro facoltà di medicina per formare "medici locali che sono davvero bravi". Aggiunge che il grande problema è quello delle terapie per la crescita dei tumori o per debellare virus come quello dell'hpv. Con un'équipe multidisciplinare con farmacisti e antropologi l'ISMASS ha attivato collaborazioni con gli istituti di ricerca più importanti in Italia per creare non solo assistenza ma anche ricerca scientifica che potesse migliorare il trattamento di queste persone. Illustra così la genesi di quello che è uno degli ospedali costruiti nel Tigray a pochi chilometri con il confine eritreo, voluto proprio per essere un segno di pace oltre che di salute e dignità e che ha sempre accolto donne, bambini e anziani sia dell'Eritrea sia del Tigray. La struttura è stata bombardata e 15 persone che là lavoravano nel 2022 sono rimaste uccise ma, ciò nonostante, si continua a lavorare perché ci sono migliaia e migliaia di persone che hanno necessità di

    Il dottor Aldo Morrone visita una donna

essere curate. "Mi hanno chiesto di aiutarli a ricostruire l'ospedale", riferisce ancora Morrone che sottolinea come la conseguenza più drammatica di questa guerra sia stata proprio la distruzione dei servizi sanitari e di quelli scolastici.

"Ho visto numerose scuole bombardate dove però le maestre, con i bimbi in braccio o sul dorso, continuano a fare lezione sotto la parte ancora in piedi. Poi purtroppo si sono diffuse le malattie: epidemie di colera per oltre 90mila casi, si è superato un milione di casi di malaria. Quest'anno 15mila casi di morbillo, solo se si tiene conto di quelli di cui si può avere certezza. Il governo mi ha chiesto di aiutarli nei casi di leishmaniosi, malattia della pelle viscerale causata da un insetto. Poi ci sono i casi di dengue, tubercolosi...". Malati che nessuno tocca si sentono miracolosamente vivi, non ai margini, non scarti da rifiutare. "Io visito, tocco, accarezzo tutti. Non perché sono un folle ma perché so riconoscere le malattie contagiose. Sentirsi toccati, anche coloro a cui la lebbra ha distrutto gli arti, è un modo per avere una immediata comunicazione, praticare una vicinanza che è percepita come foriera di speranza". Si contribuisce così a far uscire dalla paura, dalla solitudine, dal senso di totale abbandono.

I campi profughi, le stimmate di una fragilità inaudita

"La cosa più drammatica è stata visitare i campi profughi dove ho passato intere giornate mangiando anche con loro", racconta ancora il professor Morrone. C'è un episodio particolare che lo ha molto impressionato: "Alcune persone mi hanno voluto far visitare una donna con una ferita aperta che ho immediatamente cercato di tamponare anche se mancavano garze. I familiari mi hanno ringraziato non tanto perché l'avessi soccorsa dal punto di vista medico ma perché avevo fatto in modo che non rimanesse traccia del sangue sul suo corpo". Portare aiuto vuol dire reciprocità, non solo dare. "Ecco, queste persone mi stanno insegnando sempre di più cosa vuol dire la solidarietà vera. Quando chiedevo a questi medici locali come avessero fatto a sopravvivere senza cibo e senza medicine, mi hanno raccontato di alcuni contadini che nascondevano un po' da mangiare dividendolo con il personale sanitario e le maestre". Donne, anziani, bambini... Quello fotografato dal dottor Morrone è un Paese che porta ancora le stimmate di una fragilità inaudita, e che malgrado ciò offre gesti di profondissima umanità che non passano sulla cronaca internazionale. Come quello di una infermiera, lodata in questo caso anche dalle Nazioni Unite, che è riuscita a salvare decine di persone nascondendole a casa sua o nei boschi. "Questa donna mi ha raccontato che ha fatto tutto questo pensando che questa violenza sarebbe potuta capitare a lei. Del tutto spontaneamente. Lo ha scritto in un libro in tigrigno che vorremmo tradurre in inglese come testimonianza di speranza e di futuro".

 

  per gentile concessione di https://www.vaticannews.va

 

 

Intervista a Luigi Antonio Macrì*

 

L’avvento di internet, con il conseguente velocissimo sviluppo delle tecnologie più avanzate e sofisticate, ha inciso e sta continuando ad incidere in maniera sempre più invasiva e a tutti i livelli sulle nostre esistenze. Ma, se evidenti risultano essere gli innegabili vantaggi che questi cambiamenti stanno producendo in ogni settore della nostra vita, sia a livello individuale che collettivo, sempre più inquietanti appaiono anche gli aspetti problematici di natura fisica e psicologica insiti in quella che è stata definita una vera e propria mutazione antropologica.

Sempre più, in particolare, educatori e genitori si vanno rendendo conto di quanto le tecnologie  digitali tendano a diventare fagocitanti e schiavizzanti soprattutto in ambito infantile ed adolescenziale, con gravi conseguenze per quanto concerne l’apprendimento, la memoria, il linguaggio, la concentrazione, le relazioni sociali. Già nel 2017, a questo proposito, l’Unicef pubblicò un rapporto che metteva in luce i rischi di un uso non equilibrato e non corretto dei sempre più onnipotenti strumenti tecnologici.

Fortunatamente, mentre a livello istituzionale non sembra essersi ancora  affermata una adeguata consapevolezza della portata del fenomeno, nel mondo educativo  sempre più si va affermando la volontà di effettuare una lucida riflessione volta a fotografarlo e a fronteggiarlo con fermezza ed intelligenza.**

In merito a ciò, proponiamo una nostra conversazione con il prof. Luigi Antonio Macrì, da anni encomiabilmente impegnato in prima linea, a difesa della salute psicofisica dell’infanzia.

 

   Per la maggior parte della popolazione mondiale, in particolare per gli adolescenti, Internet è diventato uno strumento irrinunciabile che finisce per occupare un posto sempre più importante e dominante nell’ambito delle singole esistenze. Tu, da parecchi anni, oramai, ti stai dedicando con sincera passione ad affrontare il problema dei rischi legati ad un uso poco consapevole delle moderne tecnologie, soprattutto per quanto concerne infanzia e adolescenza. Cosa ti ha spinto, in particolare, ad impegnarti in questo campo?

LAM. Mi ha spinto la consapevolezza che siamo in una concreta e seria emergenza educativa sia da punto di vista delle innovazioni tecnologiche che la Scuola ed i docenti non riescono a gestire adeguatamente, sia dalla pervasività delle tecnologie che portano un gran numero di genitori a sottoporre i propri figli alle sollecitazioni degli schermi sin dai primi anni di vita.

 

 Quali sono, a tuo avviso gli effetti più pericolosi, a breve e medio termine, della dipendenza da internet e, in generale, dell’uso sempre crescente delle più moderne tecnologie comunicative?

LAM. In sintesi, gli effetti più pericolosi ed in crescita sono i seguenti: isolamento sociale, oggi a livello internazionale definito Hikikomori che in giapponese significa "mettersi da parte", permanenza eccessiva davanti agli schermi, cambiamento del modo di apprendere e di comunicare che può portare ad una  progressiva perdita delle capacità e delle mancate creazioni delle competenze sociali, emozionali e relazionali.

  Ogni tanto, è comunque possibile imbattersi in qualche servizio giornalistico che, con toni più o meno allarmistici,  sottolinea come l’uso senza misura e senza autocontrollo  della Rete possa provocare (e stia provocando) vere e proprie forme di dipendenza. Ciononostante, ti sembra che il mondo delle istituzioni, in particolar modo quelle scolastiche, si stia dimostrando  sufficientemente consapevole della gravità del problema?

LAM. Il mondo delle Istituzioni è poco consapevole della gravità dell'emergenza sociale ed educativa che stiamo attraversando. Nessuno vuole demonizzare le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione che hanno  portato a un cambiamento epocale a livello globale. Le positività che emergono sono molteplici nei diversi aspetti delle attività umane; ad esempio l'Intelligenza Artificiale, della quale spesso si parla in modo non adeguato e distopico, sta dando un grande contributo, tra l'altro, nel campo della ricerca scientifica, farmacologica e nella diagnostica sanitaria. Quello che manca è una informazione/formazione di base per poter gestire al meglio queste innovazioni senza subirne le conseguenze degli effetti negativi o non adeguati del loro utilizzo. Oggi abbiamo una ridondanza di informazione nella quale dobbiamo discernere le false notizie da quelle importanti ed essenziali. Il mondo scolastico, poi, sta diventando sempre più burocratico e distante dagli obiettivi centrali che, ritengo, risiedono, tra l'altro, nella centralità dello studente in un rapporto dialogico e

d empatico con i docenti, nella capacità di intercettare le innovazioni, analizzarle e gestirle, nella capacità di mettere da parte con forza la figura dell'attività del docente meramente trasmissiva e scarsamente legata alla logica laboratoriale, al lavoro di gruppo e all'interazione con le realtà scientifiche, sociali e culturali in continuo movimento e trasformazione.

 

 Quali strategie, quindi, andrebbero adottate per contrastare questo fenomeno? Tu, in particolar modo, cosa proponi?

LAM. Ritengo che nella risposta precedente abbia già dato qualche indicazione delle strategie che andrebbero adottate, in particolare nelle scuole. In Italia, nel nostro Paese, da sempre, la Scuola, la Cultura e l'Istruzione non sono mai state centrali nelle politiche governative. I dati del 2021 ci dicono che l'Italia ha speso il 4.1% del PIL (Prodotto Interno Lordo) in istruzione, meno della media europea. Nell'indice dell'OCSE, la Finlandia, che si posiziona al decimo posto,  è uno dei sistemi scolastici migliori al mondo laddove l'Italia è al 36° posto su 57.

Per quanto mi riguarda, dopo una vita spesa nella Scuola, a livello di docenza, formazione, coordinamento e dirigenza, propongo di mettere davvero al centro la Scuola in quanto le sorti del futuro e della qualità della nostra Società, tra 40 anni, perché questi sono i tempi, dipendono dalla qualità dell'Istruzione e della formazione odierna. Ma più che fare proposte di alto spessore, che avrebbero un senso se si riuscisse a creare un dibattito nazionale su questi temi, sono passato all'azione proponendo un'attività nazionale al fine di dare supporto, in via prioritaria a genitori, docenti e altri portatori di interesse, nel gestire l'uso delle tecnologie con i minori in modo attento e consapevole.

Il progetto Tecnologie, Genitori e Minori - Attivazione Antenne intende creare in ogni regione e provincia un'antenna, ovvero un gruppo iniziale di due/tre persone che, dopo un'adeguata formazione specifica, andranno a confrontarsi con i genitori del loro comprensorio per offrire, senza alcuno scopo di lucro ed in una forma puramente volontaristica, il loro supporto.

Ad oggi abbiamo coinvolto più di  30 cittadini in 8 regioni.

Chiediamo

la collaborazione di cittadini sensibili che vogliono dare, nel loro entourage sociale, un loro contributo fattivo.

 

Coloro che volessero dare la propria disponibilità ad essere informati sul tema e sul progetto in corso possono aderire alla

 

 

** Comunità Tecnologie e Minori, dalla parte dei Bambini 

 

https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLScpwSNfiOdH8NEL5BkLqQjWyzXerXOzw0DnSxSD8MS4hKYonw/viewform?usp=sf_link

 

 o scrivere a This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it. 

  

 

                           Luigi Antonio Macrì

 

Macrì Luigi Antonio, docente di lingua inglese, è stato dirigente scolastico di scuole di ogni ordine e grado. Formatore nel campo linguistico e delle tecnologie, è stato referente tecnico-educativo, per le tecnologie e le lingue straniere, dell’Ufficio Scolastico Regionale della Calabria dal 2001 al 2007 nonché coordinatore e componente di gruppi di lavoro regionali e ministeriali.

Attualmente direttore responsabile della rivista on line www.ictedmagazine.com, che tratta le problematiche relative allo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, con particolare attenzione all’istruzione ed alla formazione.

Promotore e presidente dell’Associazione Focus on, è attivo nel movimento internazionale, nato negli Stati Uniti, Humane Tech Community che, a proposito dei temi relativi all’uso delle tecnologie, “promuove soluzioni che migliorano il benessere, la libertà e la società.”.

Negli ultimi anni è stato componente di gruppi di lavoro nazionali promossi da Repubblica Digitale, iniziativa strategica nazionale coordinata dal Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Segue con grande attenzione lo sviluppo dei rischi di dipendenza da tecnologie, in particolare per adolescenti e minori; su questa tema è stato relatore in Scuole di ogni ordine e grado e in convegni della Società Italiana delle Tossicodipendenze.

Ha pubblicato di recente, con Francesco De Siena, il libro Vibrazioni e Suono  Strutture Primordiali dell'Universo, nonché libri e traduzioni su temi teosofici, esoterici ed ermetici come una serie di volumi, ancora da completare, tratti da The secret teachings of all ages di M.P. Hall.

In merito alle attività relative al tema Tecnologie e Minori, oltre ad aver promosso e partecipato a diversi convegni, attività formative e tavole rotonde, nel giugno 2023 ha realizzato il primo Digital Detox Day in cui genitori e bambini sono stati, per un'intera giornata, insieme ad operatori sociali e sportivi, in un contesto marino, lontani da cellulari e tecnologie;

vedi www.associazionefocuson.it e www.ictedmagazine.com

 

 

 

 

 

Il benessere psicologico sul lavoro. Strategia per promuovere la salute mentale dei dipendenti.    Questo articolo affronta il costrutto di benessere psicologico a partire dall’analisi del contesto lavorativo. La Psicologia Positiva consente una visione diversa della realtà lavorativa, cercando di enfatizzare gli aspetti positivi del lavoro quotidiano e rafforzare le risorse a disposizione dei lavoratori per affrontare situazioni conflittuali.

 

A nessuno sembra strano sentire che il mondo del lavoro oggi attraversa una profonda crisi. Negli ultimi anni, e non solo nel nostro Paese, abbiamo acquisito familiarità con concetti come disoccupazione, condizioni di lavoro precarie, instabilità del lavoro, sottoccupazione, ecc., indicatori che ci portano a caratterizzare il mondo del lavoro come conflittuale. Questo nuovo scenario lavorativo, percepito e vissuto come stressante, ha un forte impatto sulla psicologia dei lavoratori. Alcuni riescono ad affrontare o affrontare queste situazioni conflittuali meglio di altri, il che dipende da alcune caratteristiche (sesso, età, livello di istruzione, anzianità, ecc.) ma anche da altri fattori psicosociali come lo stile di coping e le strategie sviluppate per affrontare i problemi. Nello studio della psicologia come scienza possiamo individuare due prospettive. La prima corrisponde alla linea tradizionale, il cui approccio si basa su un problema identificato, ad esempio, dal contesto lavorativo, potrebbe essere lo studio dello stress o del burnout , delle malattie psicosomatiche o dei disturbi mentali . Una seconda prospettiva si basa sulla psicologia positiva e mira alla ricerca del benessere dei soggetti. Ciò dirige l’attenzione sulle forze umane, su quegli aspetti che ci permettono di imparare, divertirci, essere felici, generosi, sereni, solidali e ottimisti. Una delle linee di ricerca della psicologia positiva è il “benessere psicologico”, il cui obiettivo è la ricerca della realizzazione personale.

 

Benessere sul posto di lavoro

Il benessere è più della salute fisica, trascende le responsabilità quotidiane, le aspettative, le relazioni, la gestione dei livelli di stress e della felicità generale e il modo in cui le persone si sentono riguardo a se stesse.

Secondo la psicologia positiva il benessere emotivo sul lavoro si divide in 5 livelli: Benessere psicologico: avere accesso a uno stipendio dignitoso e a un ambiente igienico in cui lavorare.

Sicurezza fisica e psicologica: che il lavoratore si senta sicuro nel potersi esprimere così come è.

Benessere sociale: ritrovare il senso di appartenenza all’organizzazione.

Stima: che il lavoratore si sente apprezzato dagli altri e ha la capacità di valorizzare gli altri allo stesso modo.

Realizzazione personale: avere la capacità di identificarsi con lo scopo del lavoro e dell’organizzazione. Il benessere emotivo negli affari non è vantaggioso solo per il dipendente e il datore di lavoro, ma è positivo anche per le comunità, la società e l’economia. Presenta molti vantaggi oltre all’interazione tra dipendente e datore di lavoro.

Promuovere un ambiente di lavoro accogliente e inclusivo aiuta i lavoratori a provare un senso di appartenenza e contribuisce a una sana cultura del lavoro.

Cosa posso fare per migliorare il benessere lavorativo dei collaboratori? 

1. Evitare giornate faticose e prevedere spazi per il riposo, è fondamentale saper delegare, porre limiti e stabilire orari e carichi di lavoro giusti. Fornisce inoltre spazi per la dispersione e il riposo. Molte volte prendersi due minuti per respirare, allungare i muscoli o riposare gli occhi è di grande aiuto per mantenere la concentrazione e il giusto umore.

2. Motiva le tecniche di respirazione, lo stress si nutre di soffocamento e meno ossigeniamo il corpo peggiori saranno le decisioni o maggiori saranno gli errori. Situazioni come il superlavoro, la mancata comprensione di un’istruzione, la sensazione di demotivazione, la rabbia con i colleghi, tra le altre sensazioni, fanno sì che non respiriamo come dovremmo, poiché siamo sconvolti. Quindi è molto utile incoraggiare gli esercizi di respirazione, si tratta di tecniche utilizzate nello yoga per respirare profondamente, sentire come circola l’aria attraverso il corpo e porsi in uno stato di meditazione. 3. Generare attività di integrazione, lo stress lavorativo diminuisce poiché si hanno ambienti di lavoro positivi, sarà utile per voi sviluppare attività di integrazione in cui colleghi o membri del team si conoscono e si sentono apprezzati dall’azienda. Queste attività possono svolgersi all’interno o all’esterno dell’azienda e spaziano dal pasto, ai giochi interattivi, alle dinamiche di team building, alla convivenza con la propria famiglia e altro ancora. Diventa creativo e prendi nota delle attività che potrebbero interessare a tutti. Ricorda che non è necessario essere in ufficio per creare esperienze gratificanti con i tuoi collaboratori; creare una community durante il telelavoro potrebbe sembrare molto più difficile, ma non dimenticare che esistono molteplici dinamiche di integrazione virtuale. Promuovere attività ricreative nei propri spazi lavorativi migliorerà la comunicazione interna, il senso di appartenenza e il benessere emotivo di chi ne fruisce. . Effettuare una diagnosi sanitaria, le malattie sono causa di stress, quindi è consigliabile effettuare una diagnosi sanitaria nel proprio personale, in modo da poter adottare misure, realizzare campagne sanitarie, programmi benessere e qualsiasi azione che serva a contribuire a avere lavoratori equilibrati. Non dimenticare che i tuoi collaboratori sono individui al di fuori del lavoro, quindi di tanto in tanto è bene consentire loro di occuparsi di questioni personali o di salute, nonché rimanere in costante comunicazione con loro per sapere come stanno andando in altri ambiti della loro vita che possono avere un impatto indiretto nelle situazioni lavorative. Lo apprezzeranno

3. Conduci sondaggi tra i tuoi collaboratori.I sondaggi ti consentono di misurare gli atteggiamenti, le percezioni, la soddisfazione o le prestazioni dei lavoratori. Tra le opzioni per catturare la loro attenzione c’è la gamification dei questionari e aumentare così la loro motivazione. Con narrazioni accattivanti, la motivazione dei lavoratori può essere aumentata in base ai loro progressi. . Riorganizzare il lavoro con obiettivi chiari, a volte si teme processi di ristrutturazione su cui si lavora da tempo, ma solo perché lo si fa da anni non significa che sia il più efficiente. Ecco perché è bene fare un’analisi dei processi e delle attività per ristrutturare come organizzarsi in termini di tempistiche, responsabilità, controlli, metodologie e altro ancora.

4. Comunicare, formare e motivare i propri collaboratori, avere canali di comunicazione per ascoltare e ricevere feedback è fondamentale, aiuterà molto anche formare il personale non solo sulle attività della posizione, ma anche sulle buone pratiche per la gestione dello stress lavorativo e altro problemi. Infine, motivare i dipendenti e riconoscere il loro lavoro è uno dei modi migliori per evitare questo tipo di fenomeni che incidono sui luoghi di lavoro. L’essere umano è un insieme composto da mente, corpo e anima. In tutti gli aspetti della nostra vita dobbiamo tenere conto di questi fattori. La salute mentale e il benessere emotivo sul lavoro sono direttamente collegati alla produttività, all’impegno e alle prestazioni dei dipendenti.

L’equilibrio e il benessere psicologico dei lavoratori influenza direttamente i risultati aziendali e il buon funzionamento dell’organizzazione. Per ottenere risultati di successo dobbiamo prestare attenzione alle emozioni.

 

 

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