L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

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Andrea Signini
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December 19, 2024

 

Francesco Pisani è un giovane scrittore dai molteplici interessi culturali. In maniera liberamente eclettica, si diverte a spaziare dalla letteratura al cinema, dalla musica (Mozart in particolare) alla filosofia, dalla storia delle religioni al grande pensiero teosofico.

I suoi racconti, pubblicati in alcune raccolte, sono impregnati di amore appassionato verso il Bello e verso il Buono, e mirano, in maniera delicatamente poetica, ad attirare l’attenzione del lettore verso il mondo, troppo spesso ignorato o dimenticato, di chi vive lontano dalle luci della ribalta, spesso isolato ed emarginato, a volte travolto e schiacciato da un sistema socio-economico  cinico e disumanizzante. E il suo intento è caparbiamente quello, generosamente benefico, di far emergere in superficie vite nascoste nell’ombra, invitandoci alla scoperta di tabernacoli di umanità preziosa anche laddove potrebbe sembrare esserci soltanto il mero dominio della quotidiana lotta per la sopravvivenza.

Qui di seguito, riportiamo la gradevole conversazione nata con il bravo e promettente scrittore.

 

  • Nella tua raccolta di racconti intitolata Il poeta dei quartieri popolari*, incontriamo continuamente vicende di dolore, di esclusione, di indifferenza …

E’ evidente che la spinta principale a scrivere  ti provenga dal desiderio di invitare tutti noi ad aprire gli occhi su tante situazioni esistenziali imbevute di sofferenza e iniquità.

Non temi, però, che tale tua scelta possa risultare fastidiosa e troppo “disturbante”, nonché venire accusata di eccessivo “buonismo”?

 

La tua domanda mi fa pensare a quando autori immensi del nostro patrimonio nazionale in campo cinematografico, quali Vittorio De Sica e Roberto Rossellini, venivano aspramente criticati perché

scelsero di mostrare le miserie della società italiana all'indomani del dopoguerra, che evidentemente una certa borghesia conservatrice non voleva che si mostrassero. Trovo che sia molto più "disturbante l'indifferenza e il cinismo di cui siamo sempre più assuefatti: d'altronde "il dolore degli altri è sempre dolore a metà", come cantava Fabrizio de Andrè.

In realtà il mio modesto tentativo è stato quello di seguire una linea che la Letteratura (e l'arte in generale) ha da sempre intrapreso, almeno a partire dalla metà del diciannovesimo secolo, ossia quello di cercare di raccontare la realtà sociale del proprio tempo. Penso a Giovanni Verga in Italia, autore essenziale nella nostra letteratura, ma troppo spesso dimenticato; o ad Emile Zola in Francia, con la sue magistrali narrazioni della realtà operaia della Parigi di fine secolo, ma anche ad autori come Charles Dickens: tra i primi a dare voce ai bambini, agli orfani, ai poveri, alle persone più umili, nella sfavillante realtà dell'Inghilterra vittoriana.

Credo che tra i compiti più importanti della Letteratura ci sia anche quello di dare voce a chi voce, letteralmente, non ce l'ha o non l'ha mai avuta. L'arte non è solo evasione, intrattenimento o divertissement, ma anche fonte potenziale di crescita interiore e civile. 

 

  • In uno dei tuoi racconti più toccanti, si parla di città che non hanno più i contadini di un tempo, bensì soltanto “nuovi contadini” che non lavorano la terra nera, e che “si muovono tutti al medesimo passo, scendono le scale fino in fondo, muti e immobili”. Siamo di fronte semplicemente ad un lirico rimpianto di un mondo oramai definitivamente scomparso o c’è, in te, la volontà di portare avanti una ben precisa critica nei confronti degli aspetti disumanizzanti del mondo contemporaneo? E, in tal caso, con quali prospettive e con quali ipotetiche soluzioni alternative?

 Non vi è nessuna mitizzazione di un tempo oramai tramontato, anche perché non è che quel mondo fosse idilliaco e perfetto, nonostante sia innegabile che determinate realtà contengano anche una certa poesia nel modo di vivere, di impostare la vita e nel rapportarsi con il mondo, che noi forse abbiamo perso o stiamo perdendo. Penso al film "L'albero degli zoccoli" di Ermanno Olmi. Confesso di amare molto il Cinema.

La povertà era una condizione comune del ceto popolare europeo, fino a mezzo secolo fa, ma per povertà intendo quello che intendeva Goffredo Parise quando scrisse "Il rimedio è la povertà", ossia il sapersi accontentare dell'essenziale rifuggendo il superfluo.

Oggi esiste la miseria, che credo sia di gran lunga peggiore rispetto alla povertà, dove continuiamo a sviluppare nuove tecnologie, prodotti usa e getta, dove si parla sempre più di competizione piuttosto che di collaborazione, dove, nello stesso tempo, le disuguaglianze tra ricchi e poveri tendono sempre più ad aumentare, e siamo sempre più infelici.

Forse dovremmo ripartire proprio da quello che scriveva Parise cinquant'anni fa, nel 1974: il tornare ad una povertà che ci apra gli occhi al valore dell'essere e non dell'apparire, e che ci aiuti a scendere dal piedistallo e a riscoprire che non è essere al di sopra degli altri a renderci migliori. 

 

  • Poco dopo, sempre a proposito di questi cosiddetti “nuovi contadini”, scrivi, in maniera oltremodo suggestiva, ma anche piuttosto criptica: “Sanno tutte le risposte, ma non conoscono le domande, non si curano della morte, e la morte non si cura di loro lasciandoli affondare nel loro olio bollente, che nel tempo brucia una finta tranquillità”.

In che senso la morte non si curerebbe di loro?  Forse perché sono già dei non-viventi?

 

 Roberto Bazlen ha scritto una frase che mi ha sempre molto colpito: "un tempo si nasceva vivi e a poco a poco si moriva. Ora si nasce morti e alcuni riescono a diventare a poco a poco vivi".

Nella sua cripticità trovo che contenga una profonda verità, che si può ricollegare alla tua domanda. Credo che nel tempo presente il consumismo e l'uso esasperato della tecnologia stiano portando molte persone a vivere una esistenza sempre più automatica, impersonale, "inautentica", per citare Heidegger, un po' come se fossero già morte, almeno nell'anima. 

 

  • Nel racconto che chiude la raccolta (e che le conferisce il nome), Il poeta dei quartieri popolari, scrivi che il poeta arriverebbe a comprendere che il destino dei quartieri popolari (da lui tanto amati) è tristemente segnato e che questi saranno ineluttabilmente “ingoiati e assimilati come cellule urbane dalle moderne periferie metropolitane”, in modo tale che  “l’intolleranza, il razzismo e l’avidità prodotta dalla miseria” finiranno per invadere sempre più la storia presente e futura. Come continuare, allora, a nutrire una ragionevole speranza a proposito dell’avvenire che ci attende?

 

 Lo scenario attuale non è dei più rosei: basterebbe semplicemente accendere un notiziario per rendersene conto, ma trovo altresì fondamentale mantenere una certa speranza nei riguardi del futuro e del potenziale umano insito in ciascuno di noi.

Credo che, per ognuno, una possibile soluzione consista nel selezionare e seguire i valori migliori che la vita può offrirci. Imparare a scartare il superfluo, rifiutando la moneta falsa, gli innumerevoli vitelli d'oro che ci vengono quotidianamente offerti. Mantenere acceso lo stupore per la vita e piantare semi di bellezza che, con il tempo, potranno anche germogliare e produrre le mele delle Esperidi. 

 

  • Anche nel tuo ultimo libro**ci proponi storie di “Piccoli grandi eroi” che affrontano le burrasche tempestose e le paludi stagnanti del vivere quotidiano con una particolare forza interiore e, soprattutto, con una incancellabile dignità morale.

Potremmo dire che tutti questi personaggi hanno un loro minimo comun denominatore, quello di non voler rinunciare - come afferma una di loro -  “a pensare a un mondo migliore, a un futuro dove non ci sia solo paura, incertezza e lotta per la sopravvivenza”?

 

 Nel mio libro precedente "Il poeta dei quartieri popolari", avevo voluto descrivere le condizioni di quelli che vengono considerati gli "outsiders" per eccellenza, ossia i migranti, troppo spesso strumentalizzati, denigrati o ghettizzati dai diversi schieramenti politici. Nel mio libro ho tentato di dare voce a tutte quelle figure di cui quotidianamente si sente parlare nei notiziari, che incontriamo per strada, ma di cui ignoriamo il nome o la storia. In "Piccoli grandi eroi" ho provato a raccontare storie in cui ciascuno di noi, a modo suo, potesse riconoscersi, soprattutto personaggi accomunati da una componente etica e nella volontà di migliorare il mondo, ognuno con le proprie capacità. 

 

  • Cosa ti ha spinto ad inserire, in uno dei più bei racconti presenti sempre nel tuo Piccoli grandi eroi, una splendida preghiera di un capo Sioux?

 

 Nella Bhagavad Gita è scritto:

<< La preghiera, a chiunque sia diretta, giunge a me >>.

Credo che in un atto così intimo e personale, quale la preghiera, non abbia davvero importanza l'uso dei nomi o le parole che vengono usate. Il pensiero del credente può essere rivolto a Gesù, a Brahma o a Buddha. Penso che l'aspetto più importante consista nella purezza dell'invocazione e nell'intensità, e trovo che sia davvero importante sottolineare l'elemento universale della spiritualità in un mondo ancora

   Ftancesco Pisani

così tanto dilaniato dai conflitti etnici e religiosi.

 

  • In un altro di questi tuoi racconti, ci imbattiamo in un’affermazione di forte valenza etica: Il mondo è un grande convento che dobbiamo proteggere, preservare e a cui è nostro compito donare una parte di noi stessi, ogni giorno, fino al termine fisico della nostra vita.”

E’ forse proprio questo il messaggio principale che intendevi offrirci?

 

 E' un messaggio di speranza, ma anche di grande responsabilità. Ciascuno di noi può scegliere se contribuire a proteggere e migliorare il mondo che ci ospita, oppure decidere se continuare a distruggerlo attraverso l'indifferenza, l'odio e l'egoismo. Credo che il destino nostro e del mondo sia affidato alle nostre mani, o meglio ancora, alla nostra coscienza, anche perché, come scrisse Publilio Siro:

 

<< C'è ancora speranza di salvezza quando la coscienza rimprovera l'uomo >>.

 

  • Francesco, quanto la tua particolare attenzione verso le sofferenze umane è da mettersi in relazione allo studio della Teosofia, a cui ti stai dedicando con passione da diversi anni?

 

 Indubbiamente la visione teosofica dell'unità della vita e il concetto essenziale della Fratellanza universale senza distinzione di sesso, razza, casta e colore, esprimono un profondo insegnamento che ci ricorda che ogni essere umano ha uno scopo nella vita, una propria coscienza, un percorso da affrontare, che porterà però un giorno a ritrovarci nella destinazione comune verso cui siamo tutti diretti.

<< Lunga è la strada che conduce ai piedi dell'Uno >>, come ha scritto Kipling in Kim << ma quivi porta il viaggio di noi tutti >>.

Mi piace citare il racconto dell'astronauta Edgar D. Mitchell, pilota della missione spazio dell'Apollo 14, il quale disse che il nostro pianeta, dalla luna, gli appariva bianco e azzurro come un'astronave che viaggiava negli spazi del cielo. In una conferenza che fece dopo il suo ritorno sulla terra, affermò:

<< La popolazione del nostro pianeta è come l'equipaggio di una astronave che deve lavorare in armonia per far tesoro delle proprie risorse e operare in collaborazione se vuole che questa nave spaziale possa sopravvivere >>.

 

 

NOTE

*FRANCESCO PISANI

IL POETA DEI QUARTIERI POPOLARI,

NeP EDIZIONI, 2021

**FRANCESCO PISANI

PICCOLI GRANDI EROI

ASS. TERRE SOMMERSE, 2024

 

 

NOTA BIOGRAFICA:

Francesco Pisani, nato a Roma nel 1991, è uno scrittore, studioso, traduttore e fotografo italiano.
Svolge la professione di Amministratore Condominiale.
Da sempre appassionato di storia, letteratura e filosofia, ha studiato Scienze della Comunicazione presso l'università di Roma Tor Vergata.
Collabora stabilmente con la rivista di architettura "Abitare la Terra" fondata da Paolo Portoghesi. 
Tra le sue pubblicazioni: Masàn l'importanza dello stupore (Il formichiere, 2016), La caduta (ilmiolibro, 2018), Resterà solo cenere (Youcanprint, 2020), Il poeta dei quartieri popolari (Nep Edizioni, 2021: Vincitore della X edizione del Premio nazionale di letteratura contemporanea, come migliore raccolta di racconti, assegnato nel 2022 in Campidoglio a Roma; Menzione speciale della giuria nella sezione narrativa breve della X Edizione del Premio Letterario Nazionale Teatro Aurelio per il racconto "Il Fornaio"), Piccoli grandi eroi (Terresommerse, 2024).
Le sue opere hanno avuto le prefazioni di Paolo Portoghesi, Sergio Caldarella, Giovanni Fontana, Roberto Antoniello.

December 13, 2024

Occuparci di Storia può risultare, nello stesso tempo, fonte di grandi gioie, ma anche di grandi sofferenze e frustrazioni. Le gioie scaturiscono dalla gradevolissima sensazione che ci proviene dalla percezione dell’allargarsi della nostra visione della realtà e dalla soddisfazione derivante dalla continua scoperta di aspetti in precedenza ignorati o non adeguatamente indagati del nostro passato. Le sofferenze e le frustrazioni ci derivano dal progressivo accrescimento della consapevolezza della vastità delle cose che ignoriamo e che, molto probabilmente, saremo destinati a continuare ad ignorare, nonché dal ritrovarci obbligati a prendere atto dell’esistenza, all’interno della vita di noi uomini, di una serie pressoché interminabile di aspetti scomodi e sgradevoli.

E la storia recente del nostro Paese continua a costituire, all’interno del grande zibaldone della storia contemporanea, uno dei capitoli più intrigati, problematici e ricchi di enigmi ancora irrisolti.

Una pagina particolarmente ricca di vicende e di personaggi su cui ancora è necessario fare luce, al fine di riuscire a raggiungere una sempre più chiara consapevolezza delle dinamiche che hanno partorito il tempo presente, è senza dubbio quella della genesi dei movimenti di estrema destra nei decenni successivi al secondo conflitto mondiale.

Intorno a questo tematica, è nata la seguente conversazione con Giacomo Gaiotti, giovane ricercatore, autore di un libro pregevole (Dalla RSI al nuovo ordine) non soltanto per la quantità e la qualità dei contenuti, ma soprattutto per il rigore analitico e  serena lucidità di giudizio che lo caratterizzano. * 

 

  • Il tuo libro svolge una attenta indagine all’interno del poco conosciuto continente dei movimenti politici e culturali dell’estrema destra di un periodo storico oggettivamente ancora vicino a noi, ma, al contempo, generalmente collocato in soffitta. Cosa ti ha spinto ad occupartene?

 

È fondamentale studiare gli eventi epocali che hanno contribuito alla formazione dello Stato democratico che oggi conosciamo: la cognizione di ciò che siamo oggi, sia politicamente che culturalmente, passa proprio da questo aspetto.

Esiste, tuttavia, una zona grigia nella memoria storica del nostro paese, della quale spesso ci si dimentica: la nascita, lo sviluppo del Movimento Sociale Italiano (MSI) e le declinazioni estremiste di destra agli albori della nascente democrazia italiana. Questo vale soprattutto per la periodizzazione che ho scelto per la mia ricerca, focalizzandomi sul periodo che va dalla fine della Seconda guerra mondiale fino alla prima metà degli anni Sessanta.

Il senso di studiare questi avvenimenti è quello di conoscere uno spaccato della storia del nostro paese, quella compresa tra la metà degli anni Quaranta e la prima metà dei Sessanta, solitamente nota per eventi epocali che hanno condizionato la storia nazionale: i  cambiamenti istituzionali del 1946 e del 1948, con la nascita dello stato repubblicano e lo svolgimento delle prime elezioni libere dopo il fascismo; il boom economico della seconda metà degli anni Cinquanta; i governi di centrosinistra dei primi anni Sessanta, le prime statalizzazioni e lo sviluppo di alcune misure che contribuirono ad accrescere lo stato sociale.

 Mentre accadeva tutto ciò, una parte di coloro i quali vivevano questi cambiamenti era radicalmente in opposizione a tutto quello che vedeva. Stiamo parlando di quanti erano usciti dalla tragedia del secondo conflitto mondiale e della guerra civile, da sconfitti.

 

  • Giacomo, tu sei un giovane ricercatore indubbiamente quanto sinceramente innamorato della Storia, una disciplina che, nel mondo attuale, non sembrerebbe godere di grandi simpatie. Che pensi della famosa affermazione di Umberto Eco, secondo cui la Storia non servirebbe a sapere dove “si va” ma soltanto da dove siamo venuti?

 

Credo che la frase di Eco sia sostanzialmente un ammonimento per quanti credono che la storia possa in qualche modo prevedere con esattezza il futuro, quasi vaticinando gli eventi venturi. Questo ci darebbe un grande senso di sicurezza, ma, purtroppo o per fortuna, così non è. Il sapere da dove si proviene, di per sé, in qualche modo indica la via da seguire per non ricadere negli errori del passato o per avanzare nel progresso, ma al contempo non può darci la possibilità di indovinare con certezza il futuro.

Ritengo che il fascino e la bellezza della storia sia proprio quello di rendersi conto del contesto nel quale si vive, capire e conoscere le tappe e gli eventi, belli o brutti che siano, che ci hanno portato alla contemporaneità.

La consapevolezza è la chiave della libertà dell’individuo, perché solo chi è cosciente può essere veramente sciolto dai legacci dell’ignoranza. 

 

  • A tuo avviso, i movimenti di estrema destra nati in Italia nel secondo dopoguerra erano veramente desiderosi di sganciarsi dal Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante o la loro era soltanto di una sorta di strategia di facciata (probabilmente eterodiretta) al fine di acquisire maggiore credibilità e attrattività all’interno del mondo giovanile? E, comunque, quanto sono poi riusciti ad ottenere una reale forma di autonomia?

 

I movimenti giovanili erano sicuramente desiderosi di raggiungere un grado di autonomia tale da non dover più rendere conto in modo diretto al partito MSI. Già nei congressi di Viareggio del 1954 e di Milano del 1956, sotto la segreteria Michelini, l’allora Raggruppamento Giovanile Studenti e Lavoratori (che raccoglieva la maggior parte dei giovani missini) fece pressioni per avere una maggiore autonomia rispetto ai vertici del partito, i quali avevano un controllo quasi totale anche sulla nomina dei vertici giovanili (era previsto nello statuto del partito sin dalla fondazione nel 1946). Fu proprio in questa sede che la corrente “spiritualista” decise di uscire dal partito e creare il Centro Studi Ordine Nuovo.

Nonostante ciò, il partito aveva pensato già di creare delle realtà esterne che potessero fungere da contenitore giovanile, permettendo la creazione della Giovane Italia e del FUAN, per insistere su mondo liceale e universitario, sigle autonome ma che di fatto si ricollegavano direttamente al MSI.

È utile quindi ricordare che il partito provò a contenere le fuoriuscite. Circa l’ottenimento di una reale autonomia, dobbiamo considerare che per un certo periodo la ebbero, ma fu quantomai difficile la sopravvivenza e il coinvolgimento nelle oscure vicende di stragi ed eventi poco chiari della nostra storia mise alle corde i gruppi come il Centro Studi Ordine Nuovo che, dal 1969, divenne un movimento politico clandestino e molti dei suoi dirigenti tornarono nelle fila del partito. 

 

  • In ogni caso,  quali sarebbero state le reali differenze (sia di contenuto che di forma) tra partito MSI e le nascenti formazioni di estrema destra?

 

Per quanto riguarda i contenuti, il principale aspetto che differenziava il partito da questi gruppi nascenti era sicuramente l’inserimento nell’agone politico democratico. Sia il Centro Studi Ordine Nuovo che il Gruppo di Ar, le realtà che prendo in esame nel libro, rimproveravano al MSI di essersi asserviti al contesto democratico e di aver perso qualsivoglia possibilità di rappresentare una speranza per il futuro. I dirigenti erano avvertiti come vecchi e rancorosi, desiderosi di raggiungere l’obiettivo dell’elezione parlamentare per una propria ambizione personale. Questi gruppi uscivano completamente dalla contrapposizione destra-sinistra, propria dello schema parlamentare democratico, in favore di un’opposizione sistema-antisistema che era un totale scontro con il mondo circostante.

Per quanto riguarda le forme, le dimensioni di queste prime realtà extraparlamentari erano molto più raccolte e limitate nelle adesioni e nella possibilità di rendersi visibili. Si pensi che il massimo di consensi che il Centro Studi Ordine Nuovo abbia mai raggiunto si attesta attorno a qualche migliaio di adesioni, peraltro difficile da testimoniare se non con conteggi fatti dagli stessi dirigenti e dunque probabilmente ‘gonfiati’. Il Gruppo di Ar fu ancora più raccolto dal punto di vista numerico.

 

  • Quanto ritieni che le “velleità eversive”, di cui parla Freda nella tua interessantissima intervista, siano state veramente tentativi più o meno velleitari di reale eversione e non, invece, ben pianificate attività volte alla stabilizzazione del Sistema?

 

Personalmente, credo che il substrato culturale dal quale questi gruppi provenivano e nel quale hanno proliferato in quegli anni avesse instillato in loro la reale volontà di incidere contro il sistema democratico nel quale vivevano, ma credo al contempo che i reali mezzi a disposizione e il poco spazio al sole che avessero abbia inciso di più. Nonostante ciò, bisogna considerare che questi gruppi (e non solo) vennero coinvolti in vicende orribili e oscure della nostra storia, per questo esistono i documenti dei processi di stragi e non solo.

Nella periodizzazione che ho scelto di approfondire, quindi dalla fine della Seconda guerra mondiale alla prima metà degli anni Sessanta, ritengo che queste realtà volessero lasciare una propria traccia più specificatamente culturale. 

 

  • Sovente, nel corso della tua ricerca, fai riferimento ai legami fra gli ambienti della destra italiana e l’opera filosofica di Julius Evola. Ma quanto, a tuo avviso, i gruppi di giovani dell’estrema destra, dediti ad un grossolano culto della violenza, nonché alla ricerca molto concreta dello scontro fisico, potevano essere effettivamente in grado di comprendere la complessità di un pensiero come quello evoliano, inneggiante ad una Tradizione perenne e costantemente incatenato ad una visione volta ad esaltare elitariamente una iniziatica aristocrazia dello Spirito?

Erano forse attratti dal suo tentativo di nobilitare le proprie convinzioni antiegualitarie e antidemocratiche appellandosi, seppur in maniera cripticamente fumosa ed arbitraria, a presunti valori derivanti da un lontano passato e capaci di contrapporsi radicalmente a quelli della modernità post-illuministica?

 

Il legame con Evola era dato soprattutto da una ‘seduzione’ che la figura del filosofo esercitava a livello esistenziale: sopravvissuto alla guerra, legato con la cultura esoterica e ancor di più con quella nazista, Evola dava voce al sentimento antimoderno che anche quei giovani provavano. Da qui a dire che le opere di Evola e il suo pensiero fossero conosciuti e compresi in tutto l’ambiente ovviamente ce ne passa, però il dato di fatto è che il filosofo, dal secondo dopoguerra in poi, fu una voce importante che scriveva in riviste come Imperium o Ordine Nuovo e che, soprattutto, ebbe una cospicua produzione editoriale che influenzò la visione del mondo di quei giovani. Rivolta contro il mondo moderno, Orientamenti e Cavalcare la tigre furono probabilmente le opere più incisive.

Sicuramente, fu per loro un modo di dare più peso ai propri pensieri, ma, dall’altro, fu anche un invito per il filosofo per rimettersi in mostra con produzioni scritte.

Con riferimento all’intervista di Freda riportata nel libro, era molto difficile che in questi ambienti si parlasse di studio vero e proprio, quanto piuttosto di un’approssimativa conoscenza di topoi filosofici che venivano riproposti a seconda dei contesti, spesso con un povero approfondimento reale. 

 

  • Di cosa ti stai occupando in questo momento? E quali saranno i tuoi prossimi obiettivi di ricerca?

 

Attualmente svolgo un dottorato di ricerca in Scienze politiche e giuridiche con un progetto che cerca di esplorare i legami tra neofascismo e Risorgimento italiano.

 Ho scelto questo argomento per approfondire aspetti legati al neofascismo che sono solitamente messi in secondo piano, su tutti la frattura sull'ideale risorgimentale all'interno di questo ambiente.

 

 

 

*Giacomo Gaiotti,

Dalla Rsi al nuovo ordine. Le velleità eversive dell'estrema destra giovanile contro il sistema democratico.

Edizioni La Rondine

 Nota biografica: 

Giacomo Gaiotti (Roma, 1997) si è laureato con lode in Storia e Politica internazionale presso l'Università degli Studi Roma Tre. 

Studioso di storia contemporanea, è un collaboratore del programma RAI "Passato e Presente".

Fra i vari ambiti di studio dedica particolare interesse alle frange eversive dell'estrema destra.

Fa parte del Corpo Militare Volontario della Croce Rossa Italiana e lavora nel campo dell'informazione. Ha collaborato anche nell'ambito della comunicazione nel campo istituzionale parlamentare e svolge un dottorato di ricerca. 

 

 

 

 

 

 

December 13, 2024

Giovedì 12 dicembre si è concluso, presso la Biblioteca Vaccheria Nardi di Roma, il ciclo di incontri intitolato PERCORSI DI RICERCA SPIRITUALE, all’interno del quale sono state effettuate presentazioni di alcuni libri recentemente pubblicati dall’editore Efesto*, accompagnate anche, in alcuni casi, da lezioni gratuite di yoga tradizionale e meditazione.

Si è cominciato con un libro dedicato alle varie scuole di meditazione, passando poi ad un’opera panoramica sul pensiero e sull’insegnamento del maestro zen Thich Nhat Hanh e ad un testo di introduzione alle pratiche meditative. L’ultimo incontro, infine, è stato dedicato ad un lavoro di sintesi del pensiero teosofico di Helena Petrovna Blavatsky.

Un percorso analogo era già stato felicemente realizzato nei mesi scorsi, presso la Biblioteca Laurentina.

Le biblioteche pubbliche romane rappresentano una meravigliosa realtà a disposizione di tutti, vere oasi di cultura, di silenzio e di studio, presenti anche in quartieri spesso carenti di altri servizi e spesso non privi di forme più o meno gravi di degrado e  di disagio sociale. E’ davvero apprezzabile e confortante, pertanto, poter constatare che, strutture tanto accoglienti e ben curate, accanto alle tradizionali attività culturali, si facciano anche promotrici di simili percorsi di ricerca interiore, fondata su libera indagine e serietà di conoscenza.

Questi i libri fatti oggetto di presentazione e di relativo dibattito:

 

  • I MILLE VOLTI DELLA MEDITAZIONE. SCUOLE-FILOSOFIE-PERSONAGGI, di Roberto Fantini e Cesare Maramici:
  • THICH NHAT HANH, UN SENTIERO TRA LE STELLE, di Roberto Fantini e Cesare Maramici;
  • LO YOGA SPIEGATO A MIA FIGLIA. TUTTO QUELLO CHE DOVRESTE SAPERE PER FARE YOGA CON CONSAPEVOLEZZA, di Cesare Maramici;
  • HELENA PETROVNA BLAVATSKY E LA TEOSOFIA. UNA SINTESI DEL SUO PENSIERO, di Roberto Fantini.

 

 

*www.edizioniefesto.it

September 12, 2024


Abbiamo bisogno di bellezza, di moralità, di insegnamenti. Stiamo vivendo in un mondo dove tutto è a prova di adulti e dove i bambini apprendono quello che i grandi vivono. Tutto è proiettato verso la violenza, la negatività, la freddezza umana; i telegiornali ci portano immagini di guerra, d’ingiustizie, di razzismo, di cattiveria. I genitori ne parlano, ne discutono e mentre i figli assistono impotenti a “quelle cose da grandi” perdono la leggerezza dell’età crescendo In un contesto difficile dove il sogno spesso viene ucciso. Tutto è a prova di adulto, tutto è concentrato sui problemi di un oggi difficile. E’ bello allora
Scrivi per inserire testo che nonostante tutto, ci sia chi scrive libri per i bambini e chi insegni attraverso la parola come apportarsi con gli altri e come vedere oltre le brutture dell’oggi distratto. Maria Rosaria Belfi con grande intelligenza e comprensione scrive Daiki. Una storia che aiuta a crescere e a capire l’importanza dell’amicizia oltre che dell’ambiente. Un libro consigliato alle scuole elementari dove poter argomentare gli insegnamenti descritti. All’interno del volume vi sono immagini molto belle disegnate da Francesca Di Nardo illustratrice di prestigio.

Maria Rosaria Belfi, è nata in un piccolo centro dell’entroterra lucano, Castronuovo di S. Andrea, in provincia di Potenza, attualmente abita a Firenze. E’un’ex insegnante di scuola elementare, si è occupata della formazione dei bambini per più di quarant’anni, condividendo il loro mondo spontaneo e colorato. La natura, nella quale ritrova aspetti ancestrali e onirici, fa da scenario ai suoi racconti che fanno parte di antologie edite da Apollo, Caffè delle Arti e Nuovi occhi sul Mugello. “Come ali di farfalla” (Apollo Edizioni) è una storia con protagoniste due donne, decise a contribuire alla ricostruzione di Aleppo, distrutta dai bombardamenti. “Il mostro della paura” (Apollo Ed.) è un libro /quaderno operativo, con la storia tradotta anche nelle lingue inglese e spagnola, con molte proposte operative che rendono il bambino protagonista.   Daiki, un libro di narrativa per ragazzi, edito da A&A Marzia Carocci, è il suo ultimo lavoro, una storia di amicizia e di solidarietà pensata per una società in trasformazione, dal profilo multietnico e interculturale. Un racconto che con riferimenti alla guerra in Siria, porta a riflettere anche i più piccoli sulle grandi tematiche del nostro tempo. Una storia con messaggi importanti, dove, però, non mancano momenti di ilarità, descrizioni efficaci e bellissime illustrazioni. Ama raccontare la condizione femminile e il ruolo della donna nei nostri giorni, con riferimenti ai processi evolutivi che sostanziano il cambiamento, ancora in atto e non sempre facile.
A tu per tu con l’autrice:
Lei ha scritto un libro per l’infanzia dal titolo Daiki uscito nel 2018. Un libro che ha già avuto successo ma che vorremmo ancora promuovere per il sentimento, l’emozione e l’insegnamento che ne fa un testo di alto valore morale.

D- Ci parli liberamente di come è nata l’idea di scriverlo e quello che ha voluto esprimere.

R- Lavorare con i bambini significa ritornare bambini, vedere il mondo con i loro occhi e viverlo con le loro emozioni, ho lavorato per moltissimi anni in classi multiculturali e il mio percorso professionale si è arricchito grazie alla conoscenza di nuovi mondi, non solo una questione geografica ma emotiva, valoriale. L’idea è nata in classe, con i bambini, nell’ambito di un percorso didattico formativo nel quale ho privilegiato, oltre agli obiettivi prettamente cognitivi e strumentali, strategie finalizzate a promuovere la reciproca conoscenza, l’accoglienza e l’integrazione. Mi piace pensare che il libro è stato scritto dai bambini con i loro racconti, la loro spontaneità, io ho pensato alla possibilità di dare alle loro storie, alle loro emozioni, una veste editoriale. Spero che il racconto possa veicolare messaggi di solidarietà, di amicizia, di accoglienza, oltre che di amore per la natura e per gli animali.

   Maria Rosaria Belfi



D-Chi è Daiki? Cosa ci insegna?

R-Daiki è un cerbiatto rimasto intrappolato in una buca, viene salvato da Cosimo e Ashraf, i due bambini protagonisti della storia, Daiki, termine giapponese, contempla, fra vari significati, quello di “grande bagliore”, ho pensato alla grande luce che deve sempre illuminare il percorso di chi si occupa della formazione dei nostri ragazzi, del nostro futuro. Percorso che devono affrontare tutte le componenti sociali in modo sinergico soprattutto in un momento storico come il nostro contraddistinto da emotività incontrollate, fuorvianti e pericolose. Il cerbiatto viene salvato dagli sforzi comuni di due bambini determinati a portare a compimento l’operazione salvezza. Daiki, la luce, la possibilità di salvezza, di redenzione.

D- Pensa che questo libro possa entrare nelle scuole? Perché?

R- Sicuramente sì, dovrebbe entrare nelle scuole per l’attualità degli argomenti e per la possibilità di utilizzarlo come strumento operativo, in una visione cognitiva interdisciplinare. La narrazione è semplice, molto fruibile, ma gli spunti di riflessione sono importanti: la guerra, la solidarietà, l’importanza di incontrare l’alterità, la necessità, quindi di un nuovo paradigma educativo. L’incontro con l’alterità è la sfida del futuro, la modernità deve esserne consapevole. Il racconto trasporta il lettore, bambino e non solo, in una bellissima avventura in mezzo alla natura , alla riscoperta di quei valori genuini e indispensabili che oggi più che mai hanno bisogno di essere interiorizzati e praticati.


D-Ha progetti nel cassetto per la promozione del libro. Quali?

R- Mi piacerebbe presentare Daiki nelle scuole, agli insegnanti e, naturalmente ai bambini, affidarmi alla promozione editoriale, cercare di avere una buona visibilità online, con pubblicazione  di estratti che stimolino l’interesse. Confido anche nel passaparola che reputo una modalità efficace.

D- Pensa che questo suo lavoro possa essere di aiuto alle famiglie per spiegare alcuni valori? Se sì, quali?

R- Il libro aiuta a riscoprire molti valori: l’amicizia, il rapporto fra gli esseri umani, l’amore per la natura e gli animali, la capacità di osservare il mondo circostante e di saper comprendere e apprezzare tutto quello che ci dona ogni giorno.


D- Pensa di dare un seguito ai personaggi di Daiki in un altro lavoro? Una sorta di sequel?

R- Mi capita di pensarci, perché la storia raccontata è l’inizio del cambiamento che auspico nella società, in una società in divenire, dove i bambini di oggi sono gli uomini di domani. Cosimo e Ashraf? Li vedo uomini, promotori di pace e di solidarietà, in un mondo governato da questi valori, dove le guerre sono solo un brutto ricordo.

D- Le lascio uno spazio dove lei liberamente possa presentare con una breve sinossi il suo libro.

R- Daiki narra le imprese del piccolo Cosimo mentre trascorre le vacanze estive in compagnia della zia Mietta, dalla quale impara molte cose sulla natura che li circonda. Altri personaggi si muovono al suo fianco, Torquato, Amira, mentre riscopre la bellezza degli spazi aperti e delle piccole meraviglie della natura. Il bambino siriano Ashraf con il quale stringe una forte amicizia porta a superare il confine della differenza etnica e culturale. I due bambini trovano DaiKi, un cerbiatto ferito a cui prestano subito soccorso, affinché ritrovi la sua famiglia. Le bellissime illustrazioni di Francesca Di Nardo danno forma e colore alle scene narrate.

Il libro Daiki è ordinabile alla email This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.. Anche su Ibs e Feltrinelli.it

 

September 06, 2024

 

Ludovica Rossato, una giovane donna di 23 anni, ha già intrapreso un percorso professionale e personale che molti considererebbero ambizioso. Con umiltà e determinazione, ha fondato un'agenzia di marketing canadese che oggi opera in Italia, Canada, USA e UAE. Con una laurea in ingegneria gestionale, Ludovica viaggia per il mondo esplorando nuove culture e opportunità. Recentemente, ha aggiunto un nuovo titolo al suo curriculum: autrice. Il suo primo libro, "Dì di sì e trova il modo", è un invito all'azione per chiunque desideri superare le proprie limitazioni e vivere una vita piena di abbondanza e opportunità. Il libro si distingue per il suo messaggio potente e motivante. Come Ludovica scrive: "Dì di sì e trova il modo è diventato il mio mantra nel momento in cui ho deciso di dire 'sì' alle opportunità, anche quando sembravano fuori dalla mia portata." Questo pensiero riassume la sua filosofia di vita e il percorso che l'ha portata a diventare un'imprenditrice di successo. Ludovica racconta come, attraverso un'intensa introspezione e una determinazione incrollabile, sia riuscita a superare le barriere autoimposte e le aspettative altrui. Il libro è un viaggio attraverso le sfide e le vittorie che ha incontrato lungo il cammino, con l'obiettivo di ispirare i lettori a rompere gli schemi e a liberarsi dalle catene dell'autolimitazione. "È una dichiarazione di forza e di fiducia nell'infinito potenziale che ciascuno di noi porta dentro di sé," afferma. Intervista con Ludovica Rossato Per conoscere meglio l'autrice e il suo lavoro, abbiamo posto a Ludovica cinque domande sul suo libro e sulla sua vita.

Cosa ti ha ispirato a scrivere "Dì di sì e trova il modo"? "Inizialmente, questo libro nasce come una raccolta di appunti e un diario personale dove sfogavo e tenevo nota delle mie emozioni. Nel 2021, ho perso il file che conteneva tutti questi pensieri. Due anni dopo, nel 2023, l'ho ritrovato e rileggendolo ho sentito che dovevo condividere questo manuale con il mondo. Ho deciso così di aprire una pagina Instagram in italiano (avevo già una pagina in inglese con più di 30.000 follower) per condividere l'uscita del libro. Il primo video che ho postato ha raggiunto oltre 1,2 milioni di visualizzazioni e in quattro mesi ho ottenuto più di 20.000 follower. L'anteprima del libro è stata letta da più di 2.500 persone. Questi risultati mi hanno confermato che stavo andando nella direzione giusta. Finalmente, il 9 luglio 2024, il giorno del mio 23esimo compleanno, ho pubblicato il libro."

 Ludovica Rossato

Qual è il messaggio principale che speri i lettori portino con sé dopo aver letto il libro? "Spero che i lettori comprendano l'importanza di dire 'sì' alle opportunità, anche quando sembrano impossibili. Il libro vuole essere un invito a rompere le barriere mentali e sociali che spesso ci autolimitiamo, incoraggiando a trovare il proprio percorso unico e autentico. Voglio che i lettori sentano che hanno il potere di creare la loro strada e di vivere una vita ricca e appagante."

Come il concetto di "abbondanza" ha influenzato la tua visione imprenditoriale? "Per me, l'abbondanza non riguarda solo il successo finanziario. È uno stato mentale che coinvolge ogni aspetto della vita. Credo fermamente che per raggiungere il successo esterno, dobbiamo prima coltivare un'abbondanza interiore, sviluppando competenze, convinzioni e un carattere forte. Questo approccio mi ha aiutato a costruire un'azienda di successo e a vivere con gratitudine e consapevolezza."

Puoi parlarci di un momento in cui hai dovuto dire 'sì' a qualcosa di fuori dalla tua zona di comfort e come ti ha cambiato? "Un esempio significativo è stato quando ho deciso di espandere la mia attività all'estero. L'idea di gestire un'agenzia di marketing in mercati sconosciuti come gli Stati Uniti e gli Emirati Arabi Uniti era intimidatoria. Tuttavia, ho detto 'sì' e mi sono tuffata in questa nuova sfida. Ora, infatti, la mia agenzia opera in Italia, Canada, USA e UAE. Questo passo mi ha insegnato il valore del coraggio e della perseveranza, dimostrandomi che sono capace di molto più di quanto avessi mai immaginato."

Qual è stata la reazione dei tuoi lettori e follower dopo l'uscita del libro? "La risposta è stata davvero emozionante. Molti lettori mi hanno scritto per ringraziarmi, dicendo che il libro ha avuto un impatto significativo sulle loro vite. Ho ricevuto numerosi messaggi di persone che hanno trovato il coraggio di intraprendere nuove strade o di cambiare il loro approccio alla vita grazie alle pagine del libro. È stato gratificante vedere come le mie parole abbiano potuto ispirare e motivare gli altri, e mi sento profondamente grata per tutto il supporto ricevuto." Con "Dì di sì e trova il modo", Ludovica Rossato ha non solo condiviso la sua storia, ma ha anche offerto una guida preziosa per chiunque sia pronto a trasformare la propria vita. Con il suo approccio positivo e pragmatico, il libro è un faro di speranza e ispirazione per chiunque desideri esplorare nuove possibilità e realizzare il proprio potenziale. La risposta positiva dei lettori e la crescita costante del suo seguito su Instagram dimostrano l'impatto che le sue parole stanno avendo. Ludovica continua a lavorare con passione, con l'obiettivo di influenzare positivamente la vita delle persone attraverso la condivisione delle sue esperienze e delle lezioni apprese. Il suo viaggio è un esempio di come, con determinazione e una mentalità aperta, sia possibile superare ogni ostacolo e costruire una vita ricca di opportunità.

 

 

 

 

August 25, 2024

  

   Pablo Sender

Definito dal poeta irlandese George William Russell come uno dei libri ”più entusiasmanti e stimolanti” del mondo contemporaneo, La Dottrina Segreta è universalmente considerata il capolavoro di Helena Petrovna Blavatsky e l’opera più autorevole  nell’ambito del pensiero teosofico moderno.

Il naturalista inglese Alfred Wallace, padre insieme a Charles Darwin della teoria dell’evoluzione, dopo averla esaminata, confessò di essere rimasto “sbalordito” dall’immensa mole di conoscenza e dal grande interesse degli argomenti trattati, dichiarando che l’opera avrebbe potuto aprire

                       “un intero mondo di idee …”.

Pubblicata in 500 copie subito esaurite, dopo una gestazione di quasi cinque anni, resa particolarmente travagliata dalle gravi condizioni di salute di Madame Blavatsky, l’opera (destinata ad infliggere un “colpo mortale” alla scienza materialistica) si compone di due volumi, per un totale di circa 1.500 pagine. Il primo, Cosmogenesi   (ottobre 1888), affronta il tema dell’origine dell’universo dopo il periodo di riposo ciclico, con particolare riferimento al nostro globo e all’evoluzione della Vita fino al raggiungimento della forma umana; il secondo, Antropogenesi (gennaio 1889),  si riferisce, invece, alle origini dell’umanità e alle varie fasi evolutive.

“Nessuna nuova filosofia - puntualizza Blavatsky con assoluta onestà – è proclamata ne “La Dottrina Segreta”; viene dato soltanto il significato nascosto di alcune allegorie religiose dell’antichità, illuminate dalle scienze esoteriche mettendo in evidenza la sorgente comune da cui sono sorte tutte le religioni e le filosofie mondiali. Il suo principale tentativo consiste nel mostrare che, per quanto diverse possano sembrare le vecchie dottrine ed i vecchi sistemi, visti dal lato esterno ed oggettivo, l’accordo fra tutti diventa perfetto appena viene esaminato con accurata comparazione il lato esoterico ed interiore di queste fedi e delle loro simbologie.” 1)

 

Alle sue pagine densissime, dalla abissale ampiezza ed elevatezza di contenuti filosofici, religiosi e scientifici, hanno attinto, come ad una sorgente inesauribile, non soltanto intere generazioni di studiosi di occultismo e di Teosofia, ma anche numerosi scrittori, pittori, musicisti, scienziati, nonché fondatori di vari movimenti di orientamento spirituale, accomunati dal desiderio di poter esplorare e percorrere sentieri di ricerca conoscitiva  e mistica, al di fuori di qualsiasi recinto dogmatico e liberi da fideismi settari e intolleranti.

“Nonostante la sua vasta influenza, - però - gli studiosi che si accingono a esaminare l’opera incontrano spesso ostacoli apparentemente insormontabili e si ritrovano sopraffatti da un numero considerevole di termini tecnici provenienti da una vasta gamma di lingue che includono, fra le altre, sanscrito, greco, tibetano, cinese ed ebraico.” Spesso faticando “anche a cogliere le idee metafisiche presentate, mentre si sforzano di non perdersi nella ricchezza di riferimenti a religioni, filosofie, scienze e mitologie del mondo, sia antiche sia moderne.” 2)

Ben consapevole delle difficoltà inerenti alla lettura e alla comprensione di un’opera tanto monumentale quanto ricca di informazioni e di esposizioni dottrinali di carattere esoterico, Pablo Sender, grazie allo studio accurato delle opere blavatskyane condotto da più di 25 anni, ha potuto dare alla luce un preziosissimo testo di natura propedeutica, dal titolo:

     Alfred Wallace

 “Come avvicinarsi a “La Dottrina Segreta”. Insegnamenti e applicazioni pratiche”.

“Concentrandosi sul primo volume della DS, il più astratto e metafisico dei due, questo libro - dichiara Sender - persegue tre obiettivi principali:

  1. Esplorare come La Dottrina Segreta possa essere studiata in modi che non si limitino a fornire un apprendimento concettuale ma che possano anche aiutare gli allievi a risvegliare l’intuizione;
  2. Esaminare i principali insegnamenti del primo volume e presentarli in modo conciso e sistematico;
  3. Mostrare come questi concetti, anche i più remoti e metafisici, possano diventare il fondamento nella pratica quotidiana.” 3)

 

Come ben spiega Antonio Girardi (presidente della Società Teosofica Italiana), il lavoro di Sender

“consente di avvicinarsi agli insegnamenti di Helena Petrovna Blavatsky e dei suoi ispiratori 4) in modo ordinato e progressivo, lasciando ampio spazio all’interpretazione in chiave psicologica, sottolineandone le straordinarie implicazioni etiche, gli aspetti legati alla meditazione, i riflessi nella vita quotidiana.”

 

Pablo Sender, con la sua coraggiosa iniziativa, è riuscito, quindi,  ad offrirci uno strumento intelligentemente ed efficacemente coinvolgente, capace non soltanto di aiutarci ad entrare in sintonia con l’immensità  sconfinata dell’opera di Helena Blavatsky, ma anche di suscitare in noi, mettendo da parte umanissime pigrizie e naturalissimi sensi di inadeguatezza, un desiderio sincero di cimentarci in uno studio gravido di sapere e, soprattutto, di inesauribile voglia di indagare.

 

 

  1. P. Blavatsky, Lucifer, 15 febbraio 1891, in The Theosophical Journal, nov.-dic. 1969.
  2. Pablo Sender, Come avvicinarsi a “La Dottrina Segreta”. Insegnamenti e applicazioni pratiche, Edizioni Teosofiche Italiane, Vicenza 2024, p. 11.
  3. Ivi, p. 12.
  4. Ivi, pp. 9-10. Madame Blavatsky, infatti, non ha mai preteso di essere la “vera autrice” delle sue opere, dichiarando di aver tentato soltanto di esporre quanto insegnatole e comunicatole dai suoi Maestri (Mahatma), definendosi come la semplice cordicella necessaria per tenere insieme  un variopinto e profumato bouquet di meravigliose ed antichissime conoscenze:

 “Quest’opera - ha ripetuto spesso - è soltanto un’esposizione parziale di quanto mi è stato insegnato da studiosi più progrediti e completata solo in alcuni dettagli dai risultati dei miei studi e delle mie osservazioni.”

 

 

Pablo Sender

COME AVVICINARSI A “LA DOTTRINA SEGRETA”. INSEGNAMENTI E APPLICAZIONI PRATICHE

Edizioni Teosofiche Italiane

 Vicenza 2024

August 14, 2024

 

Lo squallore giornalistico progressista mondialista radicale, ci assicura di giorno in giorno perle di servilismo uniche volte a confondere l'opinione pubblica e snaturare il senso delle cose, pur di mantenere dritta la lurida barra del comando a tutti i costi, come impone l'agenda dei neocons capitanati da feccia del grado di Michael Ledeen & Co.

L'ultima quella occorsa due giorni fa in occasione dell'articolo apparso sul sito ufficiale dell'agglomerato più disgustoso e patetico del panorama mainstream. Parliamo ovviamente del sito della CBS. Ma partiamo dal principio, così da fissare alcuni punti strategici del discorso.

Una settimana fa, Donald Trump ha affermato di voler detassare le mance che il personale impiegato riceve in turno. ATTENZIONE: negli Stati Uniti d'America i camerieri non ricevono un salario bensì guadagnano dalle mance che riscuotono in servizio (io stesso sono stato manager di ristoranti a New York e conosco perfettamente il meccanismo). Quando il cliente chiede il conto, gli viene recapitato uno scontrino su cui vengono sostanzialmente riportate delle voci distinte e separate: totale del cibo e delle bevande consumate, totale delle tasse da aggiungere ed infine appare una riga vuota. Su questa riga vuota il cliente riporta di proprio pugno l'importo che intende donare al cameriere che lo ha servito. Generalmente, se il servizio è andato liscio, questa somma corrisponde al doppio delle tasse.

Facciamo un esempio per capirci meglio: cibo 30 $; bevande 15$; Tasse 10%. Quindi il cliente deve pagare 45 Dollari più il 10% di tasse ovvero 4,5$, quindi un totale di 49,5$ cui dovrà aggiungere la mancia che – come abbiamo poc'anzi specificato – ammonta al doppio delle tasse, nel nostro esempio fa 9$ (4,5 + 4,5). A quel punto il cliente salda il conto di 30 + 15 + 4,5 + 9 = 58,5.

Il ristorante riscuote e a fine serata si fanno le buste contenenti il totale delle manche riscosse da consegnare ad ogni membro del personale. Ci sono posti in cui il pagamento viene fatto a fine serata, altri a settimana altri al mese. Ma è più diffuso il pagamento a brevissimo perché così si è svincolati da eventuali conteggi per licenziamento. Se ti pago tutte le sere, sei libero di andar via se trovi di meglio e sono libero io di mandarti via se non mi stai più bene, questa è la filosofia americana, accettata da tutti.

Ciò specificato, Trump ha affermato di non voler tassare queste somme per consentire a chi paga di pagare il netto e per consentire a chi prende la mancia di prenderla per intero.

La proposta è così piaciuta agli americani che a distanza di una settimana kamala Harris (la badante di Biden, quella che sino a una settimana fa affermava che Biden fosse lucidissimo e forte al comando ed ora gli ha sfilato il posto di candidata dalla casa bianca) ha ripetuto parola per parola il discorso di Trump sulla detassazione delle mance. Uno scandalo allucinante che ha fatto ridere tutti ma che ha allarmato così tanto i cani da riporto mainstream che la CBS è corsa ai ripari nella maniera più stomachevole, capziosa e ridicola di sempre, arrivando a riportare questo testo che ho tradotto per voi (Cfr. https://www.youtube.com/shorts/lEqkwdW9lVc):

“La vicepresidente Kamala Harris sta promuovendo una innovativa politica, affermando di voler combattere la tassazione sulle mance di chi lavora nel mondo dei servizi e dell'ospitalità ...”

E poi, subito dopo, sempre sullo stesso identico sito vergognoso, leggiamo quest'altro articolo avente ad oggetto la medesima materia ma dalla prospettiva nemica di Donald Trump, leggiamo:

“L'ex presidente Donald Trump ha dichiarato di avere intenzione di abolire la tassazione sulle mance di chi lavora nel mondo dei servizi e dell'ospitalità nascondendo all'opinione pubblica che tale politica costerà ai contribuenti americani 250 MILIARDI DI DOLLARI in 10 anni, secondo quanto riportato dai tecnici analisti del gruppo indipendente watchdog ...”

Se non è un vomito tutto ciò, ditemi voi che cos'è!!!

 

 

July 07, 2024

 

Giovanni De Ficchy è uno scrittore giornalista indipendente, specializzato in questioni economiche e in tematiche storiche. Il suo nuovo romanzo “Bottino di guerra, le marocchinate ” tratta un crimine di guerra verificatisi nell’arco della seconda guerra mondiale, che per decenni è stato  volutamente occultato.La storiografia tradizionale circoscrisse quegli  orrori a qualche centinaio di episodi verificatisi nella zona del frusinate, invece si trattò di un fenomeno  di più vaste proporzioni.  

Oggi che si è fatta piena luce,  quelle violenze sono considerate una delle pagine più terribili vissute dalla nostra popolazione civile, durante la Seconda guerra mondiale. Un ruolo fondamentale lo ricoprì l’Unione siciliana, oggi  nota come Mafia, nella persona del grande boss Lucky Luciano. Questi  dopo  esser stato contattato, nonostante fosse condannato all'ergastolo, organizzò  un vertice a New York,  dove per la prima volta  Cosa nostra statunitense stabilì una collaborazione con la Naval Intelligence, i Servizi Segreti della Marina Statunitense.

 In seguito, quando le sorti della guerra si mostrarono  ormai segnate per l’Italia, il Re con la sua famiglia, oltre a Badoglio con alcuni generali, abbandonarono Roma per raggiungere Brindisi, che diventò sede

 Giovanni De Ficchy

del governo provvisorio.  

Questa fuga ignominiosa e la mancanza di precise direttive, lasciarono l'esercito italiano, senza guida, in balia degli eventi. La mattina del10 luglio 1943, la più imponente flotta da guerra sbarcò sulle coste meridionali della Sicilia centosessantamila soldati alleati, insieme a migliaia di veicoli, attrezzature e armamenti.

 A corto di uomini, prevedendo l'intensificarsi dei combattimenti in Normandia come in Italia, gli Alleati chiesero rinforzi ai francesi e sul fronte italiano arrivarono i nordafricani, gente abituata a vivere sulle montagne, soprattutto pastori e piccoli agricoltori. Gli stupri delle truppe marocchine cominciano già a luglio ’43, con lo sbarco alleato in Sicilia, ma è soprattutto in Ciociaria nella primavera del 1944, che le truppe coloniali francesi si macchiarono di una serie di orrendi crimini di guerra, dove furono violentate migliaia di donne italiane. 

 Napoli ebbe il triste primato di essere una delle città italiane che subì, più di tutte, questo genere di violenze, nella II guerra mondiale. 

Abbiamo contattato lo scrittore Giovanni De Ficchy per sentire dalla sua viva voce le sue impressioni riguardo il suo interessante libro. Giovanni a cosa si deve il tuo interesse storico che ti ha portato a scrivere “Bottino di guerra, le marocchinate”?

Da parte del governo c’è una proposta di legge con la volontà di istituire una giornata nazionale, in ricordo delle vittime delle marocchinate. Io sono sempre stato sensibile all’argomento, in quanto mio nonno che durante quel periodo era Presidente di Sezione della Corte dei Conti, mi ricordava che erano state presentate più di 52.000 domande di pensioni di Guerra.

Quando la guerra terminò, si preferì nascondere la vera entità dei danni subiti, perché si trattava dei nuovi alleati. Dai dati raccolti negli anni a seguire, "le marocchinate" devono essere ormai considerata una tragedia di enormi proporzioni, in quanto si tratta di 180.000 persone violentate tra donne e uomini. L’Italia aveva perso male la guerra e la Francia non accettò mai dirette responsabilità.

Dopo tanti anni di oblio, finalmente nel 2006 le Nazioni Unite riconobbero lo stupro, come Crimine di guerra.

Il famoso boss Lucky Luciano ricoprì un ruolo importante nello sbarco degli alleati vero?

Nel  1942 Lucky Luciano era detenuto all’ergastolo  e stipulò  degli accordi con il Servizio Segreto della Marina. Gli americani avevano il problema che tutte le navi che partivano dai porti americani venivano puntualmente affondate, pertanto al fine di trovare una soluzione, andarono a trovare il prezioso detenuto. Probabilmente c’erano delle spie nei porti che segnalavano la rotta, così Lucky Luciano trovò le talpe e le fece eliminare. Per facilitare i movimenti delle truppe sull'isola, Lucky Luciano mise in contatto i vertici militari americani con un importante referente in Sicilia, nella figura di Calogero Vizzini, il boss della Sicilia orientale.

Nell’anno 1943 ci furono una serie di episodi determinanti per la sorte della guerra, vero?

 

Mussolini perse completamente il polso della situazione, ma ugualmente il re. Quest’ultimo per un po’ si era fidato del famoso discorso di Mussolini che annotava la famosa frase ad effetto, “li fermeremo sul bagnasciuga” e invece in Sicilia gli alleati sbarcarono con una moltitudine di navi, una cosa pazzesca. Il re quando vide che gli americani giunsero sull’isola, capì che ormai la guerra era persa, così fece cadere il governo e scappò a Brindisi. Così facendo gli italiani rimasero senza guida politica e diventarono “carne da macello”.

Mussolini come sua ultima decisione, aveva fatto posizionare in Sicilia 300.000 soldati italiani, ma questo folto contingente che doveva controllare un vastissimo territorio, venne presto neutralizzato dagli americani, che avevano un super armamento.

Dopo aver concluso l’accordo di resa a Cassibile, La Mafia aiutò gli alleati ad attraversare la penisola e a transitare nell'Italia centrale.

Ci sono prove che la Mafia in cambio di quei favori, in seguito si fece dare tante cose, tra le quali la gestione della droga durante gli anni.

Perché gli alleati dovettero ricorrere  alla collaborazione delle truppe marocchine?

Lo si deve al fatto che la Francia era ormai occupata dai nazisti, con le truppe francesi quasi dissolte. De Gaulle  ricostituì  pertanto l’esercito  con i coloniali dove  c’erano senegalesi, marocchini,  tunisini e  soprattutto berberi.  Le violenze carnali  iniziarono subito in Sicilia,  però gli abitanti dell’isola nella maggior parte dei casi, reagirono con grande determinazione.

A Cassino le truppe maghrebine salirono sulle montagne e durante 50 ore successe di tutto e coloro che tentavano di difendere le donne, vennero uccisi. Alcuni preti vennero violentati, ci fu  l’evirazione di uomini  ed altri  vennero impalati. Tante donne morirono di gonorrea perché la penicillina ancora non c’ era.

Lo sfondamento del fronte avvenne proprio a Esperia per opera delle truppe franco-maghrebine, i quali commisero stupri ed episodi di violenza sulla popolazione locale. A seguito di questi episodi di violenza, al comune fu conferita l'Onorificenza della Medaglia d'Oro al merito civile.

Grazie Giovanni De Ficchy

 

July 05, 2024

Esopo faceva dire alla formica che la cicala dovesse ballare, dopo aver cantato per tutta l'estate. Una morale affatto saggia, soprattutto nell'era dell'accoglienza sfrenata: chi oserebbe oggigiorno negare un piatto di minestra all'ultimo arrivato? Minestra?!? Ma de che! Qui ci sono benpensanti pronti a dare il portafoglio e gli effetti personali (altrui, s'intende! Quello proprio, guai se glielo sfiori, ti fanno sbattere dentro).

È esattamente quanto emerge nel dibattito di moda in questi giorni che vede al centro del mirino Simone Cicalone, noto blogger romano. Costui, assieme ai sodali di sempre, si reca nelle metropolitane romane - e non solo - al fine d'impedire ai borseggiatori di fare più danni di quanti ne facciano quotidianamente. Li circondano, pongono loro domande, cercano di comprendere come mai non provino alcun rimorso nel derubare la povera gente o i malcapitati turisti. Perché, sia chiaro, chi usa la metropolitana (il vero mezzo spostapoveri) è chi se la passa peggio in assoluto e, al netto delle rarissime eccezioni, è la classe bassa a servirsene, quella che non osa nemmeno accarezzare l'idea di salire su di un taxi.

Pendolari costretti a percorsi quotidiani simili a percorsi di addestramento militare tra chi ci prova a sottrarti il portafoglio, chi urla e strilla, chi arriva alle vie di fatto in una cornice agghiacciante di anziane signore stramazzate al suolo colte da malore per il torto subito, padri di famiglia urlanti per la disperazione e via discorrendo. Questa è la vita di chi possiede poco e lavora tanto. E sono proprio questi i profili contro cui si accaniscono i ladri infami delle metropolitane. Gentaccia che campa derubando il prossimo del “poco sacro” pasoliniano. Che mandano in disperazione le povere persone oggetto delle violenze quotidiane... oltre a far apparire l'Italia contemporanea come quel terzo mondo, che è davvero, agli occhi dei turisti che attoniti si ritrovano derubati di passaporto e carte di credito vedono trasformare la vacanza in un incubo.

Ebbene Cicalone e amici si sforzano da tempo al fine di portare all'attenzione di chi di dovere tutto ciò. E lo fanno malgrado i vili attacchi della CGIL  (5 milioni e mezzo di tesserati), il sindacato dei lavoratori.

All'inizio confesso di aver pensato che finalmente la CGIL avesse davvero preso a cuore i disagi dei lavoratori costretti a subire la violenza quotidiana delle metropolitane. Ma mi illudevo: stavo solo assistendo all'ennesimo delirio radicale: la CGIL ha osato davvero schierarsi dalla parte dei ladri e contro i lavoratori rapinati dai ladri!!!  In un esposto indica Cicalone come un “ex pugile” che sostanzialmente circonda, intimorisce e insolentisce questi farabutti mentre derubano la brava gente che va a lavorare! A che punto siamo giunti? Nessuno ha preso provvedimento dall'alto? Secondo qualcuno queste affermazioni non sono una aperta autocondanna: noi vogliamo che le autorità impediscano a Cicalone di ostacolare i borseggi!!! Un ossimoro sociale da leggere con adeguata attenzione perché qui i conti non tornano e dobbiamo farci delle domande:

  1. Cicalone sta cercando di far comprendere che il fenomeno non è più esclusivo appannaggio di qualche gruppetto di zingare incinte come poteva essere sino a qualche tempo fa! Ma il business milionario dei borseggi sta finendo rapidissimamente nelle mani delle gang latinoamericane. Qualche magistrato è forse stato sfiorato dall'idea di domandare ai vertici della CGIL se siano o meno al corrente della presenza sul suolo italico di queste organizzazioni che – come altrove nel mondo – stanno dando vita ad un vero e proprio cartello mondiale della delinquenza metropolitana capace di generare numeri che competono con l'indotto del cartello della droga?
  2. Se sì, che risposta hanno ricevuto? Se no, cosa aspettano a sottoporla?
  3. Siamo certi di poter affermare che il segmento politico che appoggia la CGIL non abbia alcun elemento in comune con queste organizzazioni internazionali e che i relativi esponenti politici che vivono con stipendi pubblici pagati pro-quota dalle tasse dei derubati onesti siano pronti a condannare senza se e senza ma ogni ipotetica relazione?

Vedete, non è pensabile che migliaia e migliaia di membri appartenenti ad organizzazioni malavitose latine giungano in massa in Italia (come nel resto d'Europa) ed operino in totale scioltezza, senza che nessuno tra Enti, Servizi ed Agenzie abbia "appizzato" l'orecchio. Proprio non è ammissibile una cosa del genere. Il fenomeno è più che allarmante. In Alt'Italia sono anni che i latinos – come vengono definiti – creano il bello e cattivo tempo. 

      In conclusione, Cicalone ha dimostrato di aver identificato il problema reale e guarda caso alcuni “enti” si sono attivati contro di lui. Sarà forse un errore di valutazione? Ben vengano le scuse.

 

P.S.

Simone Cicalone è stato verbalmente avvisato da un membro dei latinos: “La prossima volta ti ammazziamo”. Ecco, la CGIL che vive grazie alle donazioni ed alle tessere dei propri associati vuole davvero stare dalla parte di questa feccia qui?!?

demodepressi di tutto il mondo! 

 

July 01, 2024

Per chi conosce un minimo di inglese, sa che jail significa prigione. Un gioco di parole per indicare una sgallettatata Jill, moglie dell'attuale inquilino della casa bianca, rimbabiden. Colei la quale ha osato afferrare il microfono per infervorare un pubblico di prezzolati rimasti comodamente assisi nello studio della CNN dopo la conclusione del tragicomico testa a testa tra Biden e Trump. “You did such a great job” ha assicurato la badante nel tentativo di riattivare qualche neurone nel cranio del marito totalmente incapace di intendere e volere. Certo, poveraccio, c'è da dire che dopo tre giorni di pillole e pozioni magiche somministrategli a Camp David per renderlo presentabile, l'impegnativa ora e mezza lo ha messo definitivamente al tappeto. Al punto da farlo precipitare più volte nel ridicolo. Ad un certo punto, persino Donaldone lo ha graziato affermando di non aver compreso nulla della sua frase e che fosse sicuro che nemmeno Biden avesse compreso quello che gli era uscito dall'orifizio facciale.

Un tempo, come i più anziani tra i lettori ricorderanno, ci si sgolava per difendere le fragilità degli anziani in difficoltà mentali. Oggigiorno, nell'era del pupazzanesimo, i sofferenti di disturbi mentali vengono spediti direttamente ai vertici delle nazioni o delle strutture sovranazionali come l'UE, ricordate l'ubriacone Juncker, no?!?

Nulla di nuovo sotto al sole delle menzogne, esattamente come profetizzato nelle pagine di un testo micidiale praticamente introvabile dal titolo “L'inganno psichiatrico” del Dott. Cestari. Vent'anni fa c'era chi aveva messo tutto per iscritto e nessuno se n'è accorto... perché nei saloni del libro si fa propaganda, non cultura. Non dimenticatelo mai!

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