L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Spirituality (86)


 
Franco Libero Manco
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Nel diciassettesimo capitolo della Bolla di indizione del Giubileo ordinario 2025, Spes non confundit (La speranza non delude), papa Bergoglio evidenzia che, proprio nell’anno in corso, si compiranno 1700 anni dalla celebrazione del Concilio Ecumenico di Nicea, momento di fondamentale importanza nella storia del cristianesimo, da lui definito “pietra miliare nella storia della Chiesa”, in quanto avrebbe avuto “il compito di preservare l’unità, seriamente minacciata dalla negazione della divinità di Gesù Cristo e della sua uguaglianza con il Padre”. 1)

Francesco, con particolare enfasi, sottolinea il fatto che l’espressione “Noi crediamo” adoperata dai Padri conciliari in apertura del Simbolo niceno (divenuto poi il nucleo fondante del Credo tuttora adottato) costituirebbe la “testimonianza che in quel “Noi” tutte le Chiese si ritrovavano in comunione” e che “tutti i cristiani professavano la medesima fede”.

Ora, però, nella versione latina del Simbolo niceno leggiamo semplicemente: “Credimus …”. Il “Noi” di cui parla Francesco (che non compare neppure nella traduzione italiana presente nell’Enchiridion Symbolorum del Denzinger), quindi, risulta essere una opinabile forzatura letteraria, utilizzata, non certo per superficialità, con il preciso obiettivo di sottolineare il carattere unitario dei cristiani di allora in funzione dell’unità tanto (ancora invano) invocata dei cristiani di oggi.

Dice il papa, infatti, che Nicea rappresenterebbe un invito  rivolto “a tutte le Chiese e Comunità ecclesiali a procedere nel cammino verso l’unità visibile”, e, a tutti “i cristiani a unirsi nella lode e nel ringraziamento alla Santissima Trinità e in particolare a Gesù Cristo, il Figlio di Dio, “della sostanza del Padre”, che ci ha rivelato tale mistero di amore”. 2)

Ora, però, ad una onesta osservazione degli eventi storici, le cose appaiono in termini alquanto differenti.

Il Concilio venne convocato, organizzato, finanziato e attentamente supervisionato da Costantino (pontifex maximus  della tradizionale religione romana), all’interno del palazzo imperiale di Nicea. Ad esso presero parte circa 300  Vescovi (si ignora il numero esatto), con schiacciante maggioranza di rappresentanti delle chiese orientali. Neppure Silvestro, il vescovo di Roma, fu presente, limitandosi ad inviare, in sua vece, due preti plenipotenziari.

Al fine di comprendere il senso di tale iniziativa intrapresa da parte di un imperatore pagano (che si farà battezzare soltanto in punto di morte) non particolarmente interessato a sofisticate disquisizioni teologiche, occorre fare riferimento al clima di grande eterogeneità e conflittualità che contraddistingue il mondo cristiano dell’epoca, caratterizzato dalle innumerevoli discussioni e divergenze relative sia ad aspetti di carattere dottrinale che disciplinare. In particolar modo, in una fase storica in cui esistevano numerose comunità di matrice cristiana, con orientamenti di pensiero spesso divergenti (in disaccordo anche sui testi da considerare “rivelati”), una violenta disputa teologica attraversava l’intera cristianità, soprattutto per quanto concerne la parte orientale dell’Impero: quella relativa alle peculiari problematicità del monoteismo cristiano, all’interno del quale si trovavano a convivere, con non piccole difficoltà, sia la fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio, sia quella in Dio Padre, creatore del mondo. In particolare, stava godendo di rilevante diffusione il pensiero teologico di Ario, onesto presbitero libico, il quale, in un’ottica di impronta gnostico-neoplatonica, coerentemente e rigorosamente monoteistica, si rifiutava di attribuire natura pienamente divina ed eterna alla persona del Figlio, ritenendolo creato, prima di tutti i tempi e prima di ogni altra creatura, dal Padre, l’unico Ente correttamente definibile come Dio.

La controversia tra i fautori del presbitero alessandrino Ario e i suoi avversari definiti di solito “cattolici” oppure “ortodossi”, riguardava il problema di determinare la relazione tra Dio Padre e il Figlio di Dio. A tale questione ci si interessava ormai da tempo: i teologi del III secolo oscillavano nelle loro risposte da un rigoroso monoteismo che imponeva di vedere in Cristo solo un “modo” (…) di manifestarsi di Dio, privo di una forma fissa, a una netta affermazione della diversità tra Padre e Figlio, con chiara accentuazione della gerarchia tra le persone della Trinità”. 3)

Le tesi di Ario, quindi, poi ampiamente anatemizzate e demonizzate dall’opposta fazione (la quale si troverà a determinare i contenuti dottrinali “ortodossi” del Credo cristiano) riconoscevano l’esistenza di “un solo Dio”, considerato senza inizio e quindi eterno, che, come tale, non poteva condividere la sua unicissima e immodificabile natura divina con altri enti. Il Figlio, pertanto, doveva essere considerato “creatura” del  Padre (l’unico vero Dio), utilizzata per la creazione del mondo e per agire in esso, creatura perennemente perfetta, ma pur sempre creatura “creata dal nulla”, sostanzialmente diversa e quindi gerarchicamente subordinata al Padre.

Nel più antico documento della controversia, la lettera ad Eusebio di Nicomedia, Ario scrive:

Veniamo perseguitati perché abbiamo detto: “Il Figlio ha principio, mentre Dio è senza principio”. Per questo siamo perseguitati, e perché abbiamo detto: “Deriva dal nulla”. Così abbiamo detto, in quanto non è né parte di Dio né deriva da un sostrato. Per questo siamo perseguitati.” 4)

Ario riteneva di ricavare le sue tesi dall’esame delle fonti evangeliche, soprattutto per quanto concerne le sofferenze e i dubbi relativi alla natura umana di Gesù e facendo leva su non pochi passi scritturali in cui si  mette in luce il rapporto subordinato rispetto a Dio:

Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo”, Mc 10, 17-18;  “… il Padre è più grande di me”, Gv 14,28; ecc.

Al contrario, Alessandro, vescovo di Alessandria (all’epoca, la sede vescovile più importante dopo quella di Roma), affermava che il Figlio deve essere ritenuto coeterno al Padre:

il Padre è sempre stato Padre: è Padre sempre avendo accanto a sé il Figlio, grazie al quale è chiamato Padre. Ed essendo sempre il Figlio accanto a lui, sempre il Padre è perfetto, non mancando di alcuna perfezione, né nel tempo né dopo un intervallo né dal nulla avendo generato il Figlio unigenito”. 5)

Dopo accese discussioni, prevalse la posizione sostenuta dal vescovo Atanasio (assistente di Alessandro e suo successore) che riuscì a far trionfare, avvalendosi di categorie concettuali e di terminologia di derivazione classica, la tesi della consustanzialità (mèros homooùsion) del Padre e del Figlio: “Dio vero da Dio vero; generato non creato (natum non factum); della stessa sostanza del Padre”.

Ad un sereno esame  libero da fideistici pregiudizi, le posizioni di Ario, a dir la verità, appaiono non prive di logica e filosoficamente ben costruite ed argomentate. Qualcuno potrebbe, infatti, comprendere e onestamente spiegare (al di là delle labirintiche dissertazioni teologiche inquinate da macroscopici antropomorfismi) perché il Figlio, se considerato coeterno e consustanziale al Padre, meriterebbe lo status ontologico di “Figlio”?  Ovvero, se entrambi partecipano della stessa sostanza divina eterna, perché andrebbero poi distinti e diversamente denominati e come potrebbero, soprattutto, non costituire, allora, due  divinità della stessa natura e di identica dignità concettuale (in palese contrasto con le più ovvie esigenze monoteistiche)?

Quanti cristiani – mi chiedo – sarebbero in grado di comprendere quanto ha recentemente affermato l’apposita Commissione Teologica Internazionale, davvero con cristallina sobrietà di linguaggio, relativamente alla capacità del Cristo di farsi rivelatore della

inaudita paternità intra-divina di Dio, fondamento della sua paternità ad extra”?

Ora, però, facendo a meno di ricorrere alla credenza in interventi di natura soprannaturale, come giustificare la sconfitta di Ario e dei suoi seguaci?

Indispensabile, a questo punto, tenere ben presente che:

  • Costantino è il vero regista di tutta l’operazione nicena.
  • Costantino, al di là della ingannevole e fuorviante santificazione di cui è stato fatto oggetto, è un criminale spietato, responsabile dell’assassinio di numerosi parenti (fra cui Semplicissimo e la moglie Fausta).
  • Ciò che lo preoccupa non è certo stabilire chi, fra i vari padri contendenti, sia detentore di una cosa chiamata “verità”.
  • Dal suo punto di vista, le questioni dibattute risultano “meschine e di poco conto”, “chiacchiere di un ozio inutile”, una contesa, insomma, “ banale e di poca importanza”, addirittura “irrilevante”.
  • Costantino manifesta forte diffidenza verso le questioni teologiche dibattute, rimproverando duramente tutti i contendenti, accusati di atteggiamento volgare, degno di “menti infantili piuttosto che essere adeguato all’intelligenza di sacerdoti e uomini saggi”. 6)
  • Il suo obiettivo, perciò, è di riuscire a creare (imporre) un accordo in merito almeno alle cose essenziali, in modo da poter ottenere per sé, finalmente cessate le infuocate e turbolente diatribe, “giorni sereni e notti tranquille”. 7)
  • Ciò che lo preoccupa veramente, comunque, è la situazione pratica, di grande conflittualità e caoticità che non agevola affatto la coesione e la stabilità politica.
  • Costantino “vuole mettere ordine nell’impero e collega con chiarezza l’aspetto politico-militare a quello religioso: se si realizzasse “una comune concordia tra i servi di Dio”, ne trarrebbero giovamento anche “le esigenze della cosa pubblica” ”. 8)
  • Da abile stratega, è convinto che il raggiungimento di un solo credo e, soprattutto, di una sola Chiesa, sia funzionale (al pari della compiuta riorganizzazione dell’esercito) al conseguimento di un solido ordinamento unitario. La concordia a cui aspira dovrà fondarsi contemporaneamente su un esercito agguerrito ed efficiente e su una Chiesa compatta e militante: “Chi avesse onorato debitamente Dio, infatti, avrebbe servito al meglio anche lo Stato.” 9)
  • Il sostegno concesso al partito antiariano non scaturì certo da valutazioni di carattere teorico, ma dalla praticissima strategia di appoggiare la fazione che, ai propri occhi, appariva più probabilmente in grado di raggiungere un consenso maggiormente allargato all’interno delle chiese e delle masse dei fedeli (nell’ambito dell’assemblea conciliare, gli ariani erano soltanto una ventina, quindi una ben piccola minoranza).
  • L’adesione quasi unanime alla formula vincente risulterà oggettivamente condizionata dalle pressioni e dalle minacce esercitate dallo stesso imperatore: coloro che si opposero (Ario, due vescovi libici e un prete) furono infatti condannati all’esilio.
  • Che la scelta costantiniana fosse basata su calcoli strategici, e non su profonde e sentite ragioni di pensiero, è altresì possibile desumerlo dal fatto che, nel corso degli anni successivi, mutati i rapporti di forza, l’imperatore cambiò di orientamento, appoggiando la fazione filoariana, riabilitando lo stesso Ario (che però morì subito dopo), spedendo in esilio, al suo posto, Atanasio e, particolare non proprio trascurabile, facendosi battezzare in punto di morte dal vescovo ariano Eusebio di Nicomedia.
  • La tanto enfatizzata unità raggiunta a Nicea, oltre che coercitivamente pilotata (se non addirittura estorta), si rivelerà, di lì a breve, estremamente fragile: la controversia, infatti, andò allargandosi, coinvolgendo quasi tutte le chiese orientali, e richiedendo, in tal modo, ulteriori interventi dell’autorità imperiale di turno. Basti pensare che, verso la metà del secolo IV, le “sedi ecclesiastiche più importanti, come Alessandria, Antiochia, Costantinopoli, Cesarea di Palestina, Sirmio nei Balcani e nell’Italia Milano, ebbero vescovi filoariani.” 10)
  • Considerando che, all’inizio del quarto secolo, “Non esisteva ancora né un’ortodossia ufficiale né una dottrina generale della chiesa intorno alla questione trinitaria, bensì soltanto tradizioni e progetti teologici concorrenti”, la teologia elaborata da Ario, non avrebbe potuto neppure essere definita “eretica”, ovvero deviante da una non ancora esistente “retta fede”. 11)
  • Da Nicea non scaturì una Chiesa “una”, né tantomeno “santa e apostolica”. A partire da Nicea, in seguito alla politica portata avanti da Costantino, culminante in quella adottata da Teodosio e da Giustiniano, si andrà sempre più affermando, all’interno della Chiesa di Roma (in nome dell’unica verità, dell’unico Dio e dell’unica via di salvezza) un atteggiamento devastante di intolleranza verso ogni forma di diversità religiosa (pagani, ebrei, “eretici”), disposto a fare uso anche delle più estreme forme di violenza.
  • Tale teologica intolleranza fece sì, tra le varie cose, che innumerevoli “varianti della fede, un tempo sostenute da credenti sinceri, in buona fede e intelligenti, siano state abbandonate, distrutte e dimenticate, così come i testi che questi credenti creavano, leggevano e veneravano.” 12)

 

A fare luce sul contesto in cui si è andato definendo il Credo cristiano, in modo da prendere le distanze da facili trionfalismi apologetici e da manipolazioni ideologiche dei dati storici, potrebbe bastare, forse, la seguente analisi, decisamente  amara, proposta dall’ Enciclopedia Cattolica, alla voce Arianesimo:

 

Disgraziatamente per la Chiesa, i primi imperatori cristiani, cioè Costantino e Costanzo II, - bisogna notare che tutti e due non furono battezzati che sul letto di morte e da ariani, - vollero dogmatizzare cercando di sostituirsi al vescovo di Roma, capo della Chiesa e regolatore della sua unità, e divennero così il balocco di prelati intriganti o vendicativi.” (mia l’evidenziazione)

In conclusione, quando Bergoglio ci dice che

Il Concilio di Nicea ebbe il compito di preservare l’unità” del cosiddetto “Popolo di Dio e dell’annuncio fedele del Vangelo” 13),

ci offre una valutazione ben poco rispondente alla effettiva realtà storica.

Il mondo cristiano delle origini è costituito, infatti, da una coloratissima galassia di pratiche religiose e di credenze teologiche in competizione fra di loro, per cui: all’epoca di Nicea, non poté esserci nessun attacco all’ “unità”, per il semplice fatto che l’ “unità” ancora non esisteva.

La fazione che riuscì ad imporsi sulle altre, si preoccupò di riscrivere con grande cura “la storia della controversia, facendo vedere che dopotutto non c’era stato un grande conflitto e affermando che le proprie opinioni erano sempre state quelle della maggior parte dei cristiani, fin dai tempi di Gesù e dei suoi apostoli, e ribadendo che la propria interpretazione di fatto era stata sempre “ortodossa” (letteralmente: “di fede retta”) e che gli avversari, con i loro testi scritturali “diversi”, avevano rappresentato poche schegge impazzite dedite a ingannare la gente per spingerla all’eresia (…).

Ciò che il Cristianesimo guadagnò alla fine di questi conflitti antichi fu la convinzione di essere nel giusto e di esservi sempre stato. Ne guadagnò anche un credo, a tutt’oggi recitato dai cristiani, che affermava le credenze giuste in contrasto con quelle eretiche e sbagliate”, nonché una teologia trinitaria, un ben definito canone di Scritture (il cosiddetto Nuovo Testamento) e, cosa non certamente secondaria, “una gerarchia di capi ecclesiastici in grado di mantenere viva la chiesa  e sorvegliare l’aderenza alla fede e alla pratica corretta”. 14)

Ma, chiediamoci, quante forme di Cristianesimo, di ricerca spirituale e di autentica esperienza religiosa sono andate perdute, deformate o sistematicamente cancellate, ad opera della Chiesa trionfante? E come e quanto ne siamo stati tutti noi, credenti e non credenti, irrimediabilmente impoveriti?

Nel celebrare Nicea, la Chiesa cattolica  celebra innanzitutto sé stessa, come suprema e provvidenziale fonte di luce nel mondo, e l’unità che essa invoca (l’unica per lei desiderabile ed accettabile), è, come sempre, l’unità conseguibile al di sotto del suo manto maternamente protettivo.

Per coloro che guardano con sospetto e diffidenza alle celebrazioni fideistiche ed apologetiche, ripensare criticamente Nicea potrebbe rappresentare, invece, una preziosa opportunità per sollevare questioni e porre interrogativi, e, soprattutto, per meglio comprendere come, all’interno del variegatissimo cristianesimo delle origini, “soltanto un gruppo sia riuscito a imporsi come dominante nel campo della religione, stabilendo per i secoli successivi ciò che i cristiani avrebbero dovuto credere, frequentare e leggere come Sacra Scrittura.”  15)

Senza dimenticare che, qualora i conflitti si fossero risolti diversamente, “forse gli abitanti dell’Occidente (cioè noi) sarebbero rimasti politeisti fino a oggi e avrebbero continuato ad adorare gli antichi dèi della Grecia e di Roma; oppure l’Impero avrebbe potuto convertirsi a una forma diversa di Cristianesimo, e lo sviluppo della società e della cultura occidentale avrebbe preso strade che non possiamo neanche immaginare.” 16)

E senza dimenticare, soprattutto, che la Chiesa uscita vittoriosa dal Concilio di Nicea diventò presto la grande madre dei fedeli che, nei secoli, si dedicheranno al pio massacro di milioni di persone in nome della raggiunta unica “verità” e di un ben poco compreso “Dio di misericordia”…

 

NOTE

  1. Papa Francesco, Spes non confundit. Bolla di indizione del Giubileo ordinario dell’anno 2025, San Paolo, Milano 2024, p.56.
  2. Ivi, p. 57.
  3. Ewa Wipszycka, Storia della Chiesa nella tarda antichità, Bruno Mondadori, Milano 2000, pp. 169-170.
  4. Gian Guido Vecchi e Giovanni Maria, La scommessa di Costantino. Come il Concilio di Nicea ha cambiato la storia, Milano 2025, p. 67.
  5. Ivi, p. 80.
  6. Ivi, p. 78.
  7. Karlheinz Deschner, Storia criminale del Cristianesimo, tomo I, Ariele, Milano 2000, pp. 223-4.
  8. Giovanni Filoramo, Daniele Menozzi (a cura di), Storia del cristianesimo. L’antichità, Editori Laterza, Bari 1997, p. 300.
  9. Norbert Brox, Storia della Chiesa, 1. Epoca antica, p. 154.
  10. Bart D. Ehrman, I Cristianesimi perduti, Carocci, Roma 2003, pp. 320-1.
  11. Papa Francesco, op. cit., p. 56.
  12. D. Ehrman, op. cit., p. 21.
  13. Ivi, p. 9.
  14. Ivi, p. 23.

 

Siamo ormai orfani di Papa Francesco, lo siamo da poche ore e ci sembra già da un lungo tempo. Un Papa indimenticabile, baluardo della pace e non solo di questa. Difficile da sostituire. 

Anche gli atei e gli agnostici, hanno un pensiero positivo nei confronti di Jorge Maria Bergoglio, prima ancora del Papa. Uomo umile, primo pontefice del sud del mondo, primo gesuita, primo vero riformatore nei confronti di alcune “tradizioni secolari” di Santa Romana Chiesa, per renderla al passo dei tempi, più essenziale, più sobria. 

Riformatore di idee e di tradizioni, quindi, ma conservatore su molti temi, cari ai cattolici. 

Il suo pontificato, iniziato nel 2013, è stato segnato da un forte impegno per la giustizia sociale, la lotta alla povertà, alla tutela dell’ambiente. La sua enciclica “Laudato si” ci ha richiamati sull’urgenza di proteggere il nostro pianeta. 

Durante il suo pontificato, ha toccato il cuore di milioni di persone con il suo messaggio di amore e di inclusione. 

Ha sostenuto le cause sociali e ha offerto una voce di speranza in tempi di crisi e di guerra come quello che stiamo vivendo. 

Per molti osservatori è stato per questi temi, un papa di rottura, inclusivo e rivoluzionario. 

A chi lo definiva “anti-papa” o “papa mai eletto”, possiamo rispondere  che è stato un rivoluzionario progressista, un ponte tra WoJtyla e il nuovo millennio ma  su alcuni temi importanti è stato conservatore, talvolta meno conservatore rispetto ad altri. Sarebbe un errore non riconoscerlo. 

Sui diritti civili e sul tema delle donne, ad esempio, è stato conservatore come i suoi predecessori. Sul matrimonio omosessuale e sull’aborto, ha avuto occasione di cambiare le cose ma ha rinunciato a farlo.

Si è più volte scagliato contro l’ideologia gender, definendola “nefasta”, “pericolosissima”, “manifestazione del male” e altre espressioni simili.

Sul sacerdozio femminile, non ha aperto le porte in questi dodici anni di pontificato  anche se sosteneva che la “Chiesa è femminile, a livello grammaticale, simbolico, etico.” 

E’ questa forza di rottura, da una parte, anche solo apparente, e di conservatorismo dall’altra, unita a un sincero desiderio di ecumenismo, ad aver reso Papa Francesco così popolare tra alcuni e così inviso ad altri. 

Il suo papato sarà ricordato, infine, per le sue decise prese di posizione, per i suoi continui e innumerevoli viaggi apostolici, per gli appelli importanti ai leader del mondo. 

Un uomo che si è distinto, nel bene e nel male, dai suoi predecessori per stile e carisma. 

Il conclave prossimo ci dirà chi sarà il suo successore e dalla nomina in poi del nuovo papa, sarà possibile capire che Chiesa sarà e che pastore la guiderà nel prossimo futuro.

 

 

 

 

 

E' il 9 aprile e Roma si mostra in tutto il suo splendore; il sole illumina la sua eterna e sempre nuova bellezza. Il Tevere scorre solennemente  accanto allo storico Ospedale Fatebenefratelli, oggi Gemelli Isola. L'Aula Magna è in festa; si ricorda Papa Benedetto XIII Orsini, nell’ambito delle Giornate Orsiniane che vogliono essere un percorso di Fede, Cultura e Carità.

Nate nell’animo desiderante del Principe Domenico Napoleone Orsini - presente - e della Principessa Martine Bernheim Orsini, la rassegna ha preso l’avvio nel 2024 con la Celebrazione Eucaristica nella Basilica Papale di San Giovanni in Laterano in Roma, perenne cattedra dei Papi, in occasione del III Centenario dell' Elevazione a Pontefice del Duca Orsini; in questo 2025 le Giornate si sono incastonate nel Giubileo in onore e per memorare il Giubileo che Papa Orsini celebrò nel 1725. Occasioni, queste Giornate, atte ad  illuminare l’attualità e la visione profetica dell'ultimo Papa venuto dal Sud dell'Italia. Un pomeriggio edificante, grazie ai contributi dei tanti intervenuti e dialoganti sulla magnificenza della Lectio tenuta da S. Ecc.za Rev.ma Mons. Mario Delpini, Arcivescovo di Milano, titolo: “Come asciugherai le lacrime”? La carità di fronte al soffrire: compassione, rivelazione, relazione, organizzazione. Una lectio analitica che ha utilizzato le lacrime quale punto privilegiato di analisi; le lacrime della madre, la duchessa madre del primogenito dei Duchi Orsini -inconsolabile a causa della scelta del figlio di non volersi in alcun modo casare; alle lacrime dello stesso figlio-primogenito destinato al vassallaggio mentre, invece, sceglie di farsi frate domenicano, operando, in tal modo, la cesura della continuità dinastica…cresceva più per Dio che per il mondo! Ebbe a dire il Vescovo, che, pur'Egli, verso lacrime dinanzi alla particolare intensità della devozione del Duca...che lo aveva infervorato e spinto a leggere per ben 24 volte gli Annales ecclesiastici del cardinale e storico Cesare Baronio (1538-1607), la monumentale storia della Chiesa.

Il nobile Orsini tentò disperatamente di opporsi al Galero cardinalizio (anche detto berretta), sulla cui nomina sicuramente ebbe peso sostanziale e determinante la madre, ma dovette accettare e dovette finanche accettare il trasferimento a Roma. Ad ogni modo, il suo fervore non si diluirà, anzi, le sue lacrime saranno fertili, molto fertili, sia per affrontare che per operare, con tutta la determinazione che lo caratterizzava, nel campo della riforma della Chiesa, e non solo, anche per pensare, ideare e  porre in essere il famoso Editto del Monte frumentario. Fu quella la Sua risposta pragmatica alle lacrime dei poveri. Una istituzione di solidarietà che operasse con carità intelligente, un mutuo soccorso che impegnasse, al contempo, chi dava e chi riceveva; non un piccolo sussidio bensì il prestito del frumento quale forma promozionale della persona umana; modalità tutt’altro che assistenziale. In tal modo Egli rivisitava il vecchio concetto secondo il quale, all'accadere delle cose, non si poteva che soccombere in quanto volontà di Dio. Il suo, dunque, ha ben detto l’Arcivescovo di Milano Mons. Mario Delpini, è un approccio all’uomo integrale, cosa che lo stesso Monsignore ha sublimato nella frase che mi ha particolarmente colpito: l’emotività non basta per entrare nel mistero. Affermazione che -insieme al peculiare e originale punto di vista attraverso il quale l'Arcivescovo di Milano ha orchestrato tutta la sua lectio: le lacrime,  quelle di una madre, quelle dello stesso figlio, del vescovo che se ne occupò e le lacrime dei poveri- sono state carezze per l'anima e stimoli intellettuali.

 Una preziosa prolusione analitica e poetica insieme. Lieta, pertanto, d’essere stata coinvolta da Sua Ecc.za Mons. Saverio Paternoster che da tutta la vita, in Gravina, e attraverso la fondazione e la presidenza del Centro Studi invoca l'attenzione di tutti sulla Persona di Papa Benedetto XIII, del quale ama sempre ricordare: è stato al servizio di Dio e della gente. Grazie al Suo generoso invito ho potuto rappresentare quanto mi commuove di questo uomo-Papa, il Suo servizio -e il servizio ha dignità regale- e le modalità del servizio stesso  che sicuramente hanno illuminato l’operato di altri e suggerito modalità di benevolenza intelligente. Ho rammentato, infatti, che in Matera, città ove sono stata fino al mio transito in Roma, gli fece eco Mons. Brancaccio con l’istituzione del 1° Monte frumentario, anche detto Monte granatico che aiutò molti contadini indigenti. Ma Matera registra anche un'altra virtuosa applicazione del principio del monte granatico: alle ragazze indigenti che non potevano sposarsi a causa del non possedere neppure la più piccola dote, veniva loro concesso un sacco contenente le sementi.

E' così che avrebbero potuto avere il proprio raccolto, costituirsi la dote e sposarsi; ma: da quel raccolto avrebbero dovuto ricolmare il sacco e riportarlo al Monte frumentario e contribuire, così, al circolo virtuoso del Monte. Tante sono state le giovani donne degli antichi rioni Sassi che hanno potuto coronare il sogno d'amore e accedere al matrimonio, tutto grazie a un sacchetto di sementi che le ha messe anche nella condizione di  contribuire al progresso di sè e della collettività. Le lacrime così mirabilmente narrate dall'Arcivescovo di Milano sono riuscite ad attraversare tre secoli, arrivare fino a noi, colpire l’uditorio e far arrivare a Roma 21 persone da Gravina -a guida di Mons. Saverio Paternoster- tutte infervorate dall'amore verso il loro Papa, tutte impegnate nel promuoverne la valenza di modello, di luminoso esempio, esempio che riverbera splendidamente in Mons. Paternoster; tante persone da Cesena, da Roma stessa e da tutte le città che sono state toccate dall'opera di Benedetto XIII. Nato come Pietro Francesco dalla nobile famiglia degli Orsini, nel 1650, divenuto frate col nome di Vincenzo Maria, dirà Mons. Paternoster a Gravina nelle grandi celebrazioni che Egli stesso ha organizzato e fortemente voluto per il 300enario della nascita, arcivescovo a soli 25 anni, prima di Manfredonia e poi di Cesena, poi, per 40 anni di Benevento, operò sempre all’insegna dell’umiltà e rese la sua missione pastorale l'operare concreto per i più deboli;  fece costruire e donò a Roma l’Ospedale San Gallicano per le malattie infettive e fece ricostruire Santa Maria della Pietà per i malati di mente. Non dimenticò nessuno ed ebbe grande attenzione verso le condizioni dei carcerati, provvide, infatti, a migliorarle.

 Insomma, questo pomeriggio del 9 aprile di questo anno giubilare 2025 segnerà la storia terrena di Papa Orsini, nato a Gravina in Puglia; a tale riguardo, anche lo Storico del Centro Studi gravinese, il Prof. Andrea Mazzotta, nonchè Vice Presidente dello stesso Centro, ha fatto della celebre frase proferita da Papa Benedetto XIII : Volevo essere solo un frate, lo statuto, il cuore, il fulcro dal quale partire per dire concretamente e nella più perfetta delle verità: la Persona e il Pastore che è stato Papa Orsini. Di Questi, il Professor Mazzotta non si stanca mai di rammentarne il raffinato pragmatismo che lo motivò e lo spinse finanche a farsi materiale estensore del Manuale d’uso dei Monti frumentari, quella straordinaria forma di credito agrario che consentiva ai contadini indigenti la possibilità della semina e del raccolto. Il 29 aprile la Fondazione intitolata a Paga Orsini porrà in essere la Messa a 16 voci, e sarà un Evento imperdibile. Non è questo solo un anno Giubilare, è un anno che vede il pianeta insanguinato da un numero di guerre che il buon senso non accetta. E' un anno che vede scorrere fiumi di lacrime, ma "queste", purtroppo, producono e produrranno solo rabbia e odio. Credo che Papa Orsini gioirebbe se prendessi la sua frase: volevo essere solo un frate e la traducessi con: volevo essere solo un uomo per  continuare a colmare il pianeta di Bellezza,,, non di macerie.

 

 

 

L’attualità è piena di belle sorprese. I cronisti che ancora vanno a caccia di notizie sentono la responsabilità di diffonderle. Di recente abbiamo scritto che il web è diventato per gli italiani la fonte di informazione privilegiata e dentro questa macchina complessa e affascinante ci va tutto e il contrario di tutto. Per non venire schiacciati bisogna saper selezionare le notizie, intercettare le curiosità dei lettori e impossessarsene nel migliore dei modi. Il mondo è pieno di guerre e di brutalità compiute in nome di un Dio adorato in modi contrastanti e contorti. Sono notizie che trattiamo ad ogni ora del giorno. La religione aiuta, ma a volte ostacola anche il progresso. Scoprire come le due modalità si mostrano è coinvolgente per chi ama il racconto vero e immediato. Questa sera nella diocesi di Nola, cittadina di origini preistorica pochi chilometri da Napoli, lo psicoanalista Massimo Recalcati e monsignor Francesco Iannone, vicario della diocesi di Nola dialogheranno sul Concilio di Nicea del 325 d.C.. E’ un appuntamento dei “ Dialoghi in Cattedrale a 1700 anni dal Concilio di Nicea”, organizzati nell’anno del Giubileo di Papa Francesco. Cosa intriga il cronista a scriverne e a seguire il confronto? Il dialogo, una conversazione profonda intorno a eventi, date e circostanze che hanno avvicinato o allontanato gli uomini dalla Chiesa. E’ un evento italiano per l’autorevolezza dello psicanalista e per il bisogno che ha la Chiesa di  non chiudersi in posizioni dogmatiche. Il pensiero cristiano è segnato da  fenomeni di  accelerazione e di chiusura e dentro la storia della cristianità ci sono locuzioni, parole, che sono diventate patrimonio di milioni di uomini. Ogni giorno scriviamo o comunichiamo parole in forza delle quali si combattono guerre assurde. A Nicea nacque il termine consustanziale, per esprimere la fede in Gesù Cristo. La Chiesa nei secoli  ha reso il termine concreto e intrinseco alla religiosità. Certo, i cristiani che vanno in chiesa e seguono la liturgia non si dichiarano ogni giorno consustanziali a Cristo. Sarebbe anche banalizzare il termine. D’altronde non bisogna indebolire termini generati per sedimentare il magistero di Cristo.

Il confronto di stasera si annuncia suggestivo per tutta la Chiesa cattolica. Recalcati e monsignor Iannone, partiranno dal tema “Fissando lo sguardo su Gesù”. In quel Concilio fu concepita una parola- pietra miliare per la Chiesa. Per la prima volta per esprimere la fede nella divinità di Gesù, i padri usarono un termine che non apparteneva alla Bibbia, ma alla filosofia. Se ne discusse, il Concilio fu un incontro riuscito, un condensato di fede e cultura, valori giunti fino a noi. La cronaca usa le parole per raccontare avvenimenti che lacerano le coscienze ma dentro le quali ci sono anche segnali di pace.  Le parole vivono nel tempo e noi “siamo convinti che dall’ascolto reciproco di voci apparentemente così diverse può nascere una nuova passione, un desiderio rinnovato di impegno a favore dell’umano autentico, cui il Vangelo non è estraneo” ha detto monsignor Iannone. Il dialogo è il sistema migliore per capirsi.

 

 

   Prendi la mia mano.

Cammineremo.

Semplicemente cammineremo.

Ci godremo il camminare

Senza pensare di arrivare da nessuna parte.

Cammina serenamente.

Cammina gioiosamente.

La nostra è una camminata di pace.

E’ una camminata di felicità.

 

                                         THICH NHAT HANH             

 

Innumerevoli sono i doni lasciateci dal pensiero e dall’insegnamento del Maestro Zen vietnamita Thich Nhat Hanh. Alla base di tutti, credo sia possibile individuare un fondamentale minimo comun denominatore:

 la volontà di travasare, nell’alienata ed alienante vita quotidiana del mondo contemporaneo, i grandi tesori della spiritualità buddhista, in maniera semplificata e laicizzata, rendendoli, perciò, più facilmente comprensibili e condivisibili.

In questo modo, benché tutta la vera anima del suo pensiero sia indissolubilmente connessa con la migliore tradizione buddhista, è riuscito a proporci un’etica ed una prassi educativa di universale respiro, volte a superare la visione di noi stessi come enti separati dagli altri individui e dall’intera realtà, e riuscendo così a farsi comprendere ed amare anche da chi si riconosce in altre esperienze religiose, nonché da chi si dichiara agnostico o ateo.

Thich Nhat Hanh (Thay per i suoi seguaci ed amici) è conosciuto, in particolar modo, per le pratiche di meditazione introdotte e diffuse nel mondo occidentale, oggi adottate (anche se non sempre in maniera adeguata) da un numero sempre crescente di persone alla ricerca di un maggiore equilibrio interiore e di una maggiore armonia psicofisica.

      THICH NHAT HANH

Il grande monaco vietnamita iniziò a proporre insegnamenti in Occidente già all’inizio degli anni Settanta: fondamentale risultò l’apparizione di un suo libro nel 1975, intitolato The Miracle of Mindfulness (pubblicato poi in Italia da Ubaldini-Astrolabio, con il titolo di Il miracolo della presenza mentale), nel quale venivano presentate nuove pratiche meditative da lui sviluppate. Fra di esse, una che è stata accolta con favore da molti occidentali avvicinatisi al suo pensiero è la Meditazione camminata.

                                                              “Questa particolare modalità meditativa (forse la pratica che meglio incarna l’intima poesia e la delicata mitezza dell’animo dello straordinario maestro zen) è nata dalla constatazione che, nella nostra vita quotidiana, siamo prevalentemente dominati dall’”abitudine di correre”: “Ricerchiamo la pace, il successo, l’amore – sempre di corsa – e i nostri passi sono uno dei mezzi con i quali scappiamo dal momento presente.”

Ma la vita e la pace sono disponibili soltanto nel momento presente.

Per quelli come noi – ci spiega Thay – che hanno l’abitudine di correre sempre, fare un passo smettendo di correre è una rivoluzione.” E la pace diventa disponibile se saremo in grado di entrare in contatto con la Terra, toccandola con i piedi “con molta dolcezza e felicità”, riuscendo ad immergerci a fondo nel qui e ora.

La meditazione camminata (da praticare non soltanto nei parchi e in luoghi isolati, ma anche nel trambusto delle grandi città, in casa, al lavoro, ecc.) è proposta come una vera forma di “resistenza” nei confronti di un intero sistema di vita collettiva imperniato sul correre frenetico e alienante in vista di innumerevoli obiettivi fuori e lontani da noi. Come un modo per “recuperare la nostra sovranità su noi stessi, rivendicare la nostra libertà e camminare sulla Terra da persone libere.”

Ogni nostro passo (compiuto da soli o con altri meditanti) può trasformarsi, quindi, in un atto di resistenza, anzi in un atto di vera liberazione: si cammina  per camminare, non per arrivare, per “godere di camminare”, per godere del fatto che ogni passo ci avvicina sempre più alla nostra vera casa, quella del qui e ora.

Ognuno di noi, camminando su questa Terra, in “consapevolezza, concentrazione e visione profonda”, è in grado di compiere uno straordinario “miracolo”, quello di “diventare pienamente vivo e rendere possibili la gioia e la felicità” ”  *

 

In questa prospettiva, nella mattinata di sabato scorso 30 novembre, nel cuore di Villa Borghese (Roma)    si è svolta una Meditazione Camminata Internazionale sul tema “Entrare in contatto con la semplicità”, a cui hanno aderito diverse decine di persone, in contatto spirituale con innumerevoli altri partecipanti presenti in almeno altre 56 città di altri 21 Paesi, da Amsterdam a Bogotà, da Parigi a Vienna e Phnom Phen.**

In questo tipo di esperienze, ogni passo è destinato a trasformarsi in un vero e proprio liberatorio atto di ribellione e noncollaborazione nei confronti di un sistema reificante e mercificante che ci rapina del nostro tempo, della nostra capacità di empatizzare con il nostro prossimo e con le infinite manifestazioni della Vita.

Indubbiamente efficace per illustrare lo spirito che pervade simili iniziative è la poesia del nostro monaco intitolata “Contemplazioni sulla semplicità”.


                         CONTEMPLAZIONI SULLA SEMPLICITÀ


Che io possa rendermi conto che nella mia vita ci sono già condizioni più che sufficienti per essere felice.

Che io possa paragonarmi meno agli altri e trovare la mia misura.
Che io possa semplicemente camminare, lasciando che preoccupazioni e paure si calmino.
Che io possa imparare a lasciar andare le mie richieste e aspettative.
Che io possa entrare in contatto con la gioia e la libertà di una vita semplice scelta da me stesso.
Che io possa lasciare andare le cose inutili e liberarmi dal bagaglio interiore.
Che io possa sperimentare la gioia di dare senza aspettative.
Che io possa dimorare semplicemente e felicemente nel momento presente, notando che non c’è nulla che io debba fare.
Che io possa invitare le persone che raramente sono soddisfatte a unirsi a me nello spirito durante la camminata.


               Che tutti gli esseri siano felici.

 

 

NOTE

*Roberto Fantini e Cesare Maramici, THICH NHAT HANH UN SENTIERO TRA LE STELLE, Edizioni Efesto, Roma 2024, pp. 34-5.

**Le meditazioni camminate internazionali sono organizzate da sangha e gruppi Wake Up nella tradizione di Thich Nhat Hanh, dall’Ordine dell’Interessere e da gruppi locali del Network for Mindful Business, spesso in collaborazione con altri gruppi locali che amano la meditazione camminata e sono ispirati dal tema.

 

 

LA NUOVA EDIZIONE DELLA COLOSSALE BIOGRAFIA CURATA DA SYLVIA CRANSTON 

 

Durante la sua esistenza terrena, Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891) fu molto spesso incompresa, ingiuriata, accusata di essere una semplice medium, oppure una spregiudicata imbrogliona. Soprattutto, è stata ferocemente attaccata dagli imperi culturali dell’epoca (fine Ottocento) che avvertivano in lei, più che fondatamente, un grave pericolo per le proprie dogmatiche convinzioni: lo scientismo materialista, il cristianesimo ecclesiastico, le confraternite spiritistiche.

Nel 1875, con pochi collaboratori, fondò a New York la Società Teosofica, con l’obiettivo di promuovere l’ideale e la pratica della Fratellanza Universale, lo studio comparato delle religioni e delle filosofie, la ricerca nel campo delle forze psichiche latenti nell’uomo e delle leggi occulte della Natura.

Molti uomini e molte donne di alto intelletto e di vasta cultura videro in lei e nei suoi insegnamenti una fonte di abissale Sapienza e una guida spirituale di illuminata Saggezza: da William Butler Yeats all’astronomo Camille Flammarion, da G.R.S. Mead (grande studioso di gnosticismo ed ermetismo) al chimico e fisico William Crookes, da M.K. Gandhi a Rudolf Steiner, da Maria Montessori a Vasilij Kandiskij.

Certo, Helena Petrovna Blavatsky può essere amata oppure detestata. Possiamo empatizzare con lei, sentendoci solidali con le dolorose vicissitudini della sua travagliata esistenza o possiamo, invece, ritenerla irritantemente anticonformista, e insopportabilmente bizzarra, polemica ed oscura.

Una cosa, però, è doveroso riconoscere: continuare, come finora troppo spesso è accaduto, ad ignorare la titanicità della sua figura e lo spessore dei contenuti filosofici della sua monumentale produzione letteraria renderebbe estremamente superficiale e lacunoso qualsiasi tentativo di interpretazione del clima culturale fortemente antipositivista della fine del XIX secolo e dell’inizio del XX, caratterizzato dall’ esigenza di un sapere scientifico autenticamente antidogmatico,  da grandi aperture verso il mondo orientale, da dilagante interesse verso il campo delle scienze occulte, dall’affermarsi di una religiosità intrisa di misticismo svincolata da qualsiasi gabbia confessionale.

Per quanti desiderano riuscire ad entrare in contatto con la personalità di questa donna dalla vita indipendente ed avventurosissima, dichiaratasi discepola e messaggera di misteriosi Maestri orientali, autrice di opere straordinariamente affascinanti, dalla sconcertante ricchezza di conoscenza e di intelligenza, costituiscono letture preziose i libri scritti dal giornalista inglese  A.P. Sinnett* (Il mondo occulto e La vita straordinaria di Helena Petrovna Blavatsky**) che ebbe modo di conoscerla da vicino e di frequentarla a lungo, nonché la bella e gradevolmente coinvolgente biografia a firma di Paola Giovetti***, indiscussa autorità nel campo della cultura esoterica e del mondo del paranormale.

Da pochi giorni, però, grazie ad un encomiabile impegno delle Edizioni Teosofiche Italiane, è venuta alla luce una nuova traduzione della biografia curata da Sylvia Cranston, da tempo esaurita ****: Helena Petrovna Blavatsky. La straordinaria vita e il pensiero della fondatrice del movimento teosofico moderno.  Si tratta di un lavoro colossale (circa 600 pagine) che rappresenta quanto di più efficace per poter assaporare e apprezzare la complessità psicologica e speculativa di quella che Antonio Girardi, Presidente della Società Teosofica Italiana, ha opportunamente definita (nella sua Presentazione) una “pioniera dell’umanità” in grado di aprirci “alla dimensione spirituale della vita e alle potenzialità creative dell’essere umano”.

L’impagabile lavoro della Cranston, frutto di 14 anni di ricerca e di scrittura, pur concentrandosi  sulla vita burrascosa di Madame Blavatsky, così densa di viaggi in tutto il mondo, dall’Oriente al continente americano, dedica peculiare  attenzione agli episodi fondamentali che hanno plasmato il suo cammino e il suo lavoro, senza trascurare affatto la sua prodigiosa produzione filosofica e gli insegnamenti in essa contenuti.

Anche se una certa critica non è stata benevola nei confronti di H.P.B., - prosegue  Girardi - il suo pensiero e la sua opera meritano ancora oggi di essere accuratamente studiati e rappresentano una fonte davvero importante per il ricercatore di Teosofia e per il Pellegrino sulle tracce delle Origini dell’Eterna Saggezza.”

Assolutamente da sottolineare, al fine di comprendere a pieno la qualità dello sforzo editoriale, che la nuova edizione presenta, per la prima volta in italiano, l’intero apparato delle note, circa 1.200, indispensabili per un corretto utilizzo del testo.

 

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*Alfred Percy Sinnett (1840-1921), capo redattore di diversi periodici, ospitò Madame Blavatsky ad Allahabad per sei settimane, assistendo a numerosi fenomeni paranormali da lei prodotti. Aderì in seguito alla Società Teosofica, occupandovi anche ruoli di prestigio. La sua opera più importante è rappresentata da Il Buddhismo esoterico, una pregevole esposizione dei principali insegnamenti teosofici (ETI, Vicenza 2021).

** Il mondo occulto. La conoscenza degli iniziati. H.P.Blavatsky e la Società Teosofica, Cerchio della Luna, Verona 2017; La vita straordinaria di Helena Petrovna Blavatsky, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma 1980.

***Helena Petrovna Blavatsky e la Società Teosofica, Mediterranee, Roma 2010.

****Helena Petrovna Blavatsky. La straordinaria vita e il pensiero della fondatrice del movimento teosofico moderno, Armenia, Milano 1994.

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SYLVIA CRANSTON (e Carey Williams)

LA STRAORDINARIA VITA E IL PENSIERO DI HELENA BLAVATSKY, FONDATRICE DEL MOVIMENTO TEOSOFICO MODERNO

Edizioni Teosofiche Italiane

Vicenza, giugno 2024

Il Convegno promosso dall’Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna (ISKCON), il primo giugno in Campidoglio, dedicato alla vita, alla missione e al messaggio di Pace del fondatore A.C.Bhaktivedanta Swami Prabhupada, oltre a risultare ben strutturato e armonicamente articolato, si è rivelato un momento di intensa riflessione e di festosa comunione. Molti sono stati gli interventi (tutti di indubbio interesse) non soltanto di esponenti storici del Movimento, ma anche di studiosi e di cariche istituzionali. Fra di essi, particolarmente apprezzata è stata la relazione di Monsignor Michael Santiago (Dicastero per il Dialogo Interreligioso della Santa Sede), ispirata ad una prospettiva di grande apertura, simpatia e vicinanza, lontanissima dai secolari pregiudizi dei tempi passati, mirante ad evidenziare il carattere autenticamente universale  dei principi e dei valori spirituali dell’esperienza religiosa del Movimento Hare Krishna.

Peculiare attenzione è stata comprensibilmente dedicata alla presentazione della figura e dell’opera del fondatore Swami Prabhupada (1896-1977), personalità di indiscutibile statura morale ed intellettuale, che, sospinto da mistico spirito missionario, ha saputo svolgere una ammirevole azione educativa, prima ancora che divulgativa, nella New York degli anni Sessanta, prendendo le mosse dagli ambienti più emarginati e degradati.

All’interno del panorama culturale occidentale, finalmente sempre più pluralista, la presenza dell’ISKCON, ben al di là degli aspetti più esteriori di carattere coreografico e cerimoniale, costituisce senza dubbio una presenza preziosa e stimolante. La nostra società, infatti, tanto fortemente desacralizzata e tanto nichilisticamente risucchiata nel gorgo di un

A.C.Bhaktivedanta Swami Prabhupada

consumismo mediaticamente pilotato, non potrà, infatti, che ritrovarsi arricchita dalla presenza di un messaggio incentrato sui valori dell’Amore e della nonviolenza, nonché dalla diffusione di uno stile di vita improntato alla tolleranza, alla semplicità, alla gentilezza, al rispetto della natura e alla gioia di vivere. Messaggio non di certo banalmente riducibile ad una delle tante esoticheggianti “stramberie” della cosiddetta new age, ma che affonda le sue radici culturali all’interno di una delle anime più genuine e rappresentative dell’Induismo tradizionale, quella devozionale (bhakti)della scuola visnuita, risalente, in particolar modo, all’insegnamento di grandi maestri come Vallabha e Caitanya (sec.XVI).

Immancabili canti rituali e un raffinato rinfresco vegetariano hanno coronato nel migliore dei modi (anche grazie alla straordinaria cornice della grande terrazza capitolina messa a disposizione dei presenti) la felice mattinata di pensiero e di interiore riflessione.

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Per saperne di più:

https://www.harekrsna.it/

 

19.02.2024: "C'è una architettura e c'è un artigianato del dialogo interconfessionale" ovvero i grandi temi alla base della relazione tra le religioni e la loro connessione con il vivere 

quotidiano.  

E' partendo da questo interessante spunto, nato dalla vivacità culturale del conduttore Paolo Bonini, che Sabato 17 febbraio, presso l'Auditorium della Chiesa di Scientology di Roma, si è svolto l'incontro intitolato LA DIMENSIONE DI UNIVERSALITA': UN CROCEVIA PER LA COMPRENSIONE, LA SOLIDARIETA' E LA MULTUCULTURALITA'.  

Un evento in linea con gli intenti della risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2010 che ha proclamato la Settimana Mondiale dell'Armonia Interreligiosa. 

Sul palco, sollecitati dalle domande e dalle riflessioni di Bonini, hanno interagito in dialogo: Maria Rosaria Fazio, docente di ebraico biblico; Assem Migahed, ricercatore intellettuale di spiritualità e scienza islamica; Giuseppe Cicogna, vicepresidente di Fedensieme ApS e portavoce della Chiesa di Scientology; Fabio Grementieri, creatore del parco tematico educativo di Santiago Estero (Argentina); Gustavo Guillerme', presidente del Congresso Mondiale del Dialogo Interculturale e Interreligioso e Massimo AbdAllah Cozzolino, della Confederazione Islamica Italiana. 

 

Eterogenea anche la platea composta da religiosi e non, tra cui rappresentati buddhisti Theravada, cattolici, scientologist, buddhisti Soka Gakkai, Chiesa Anglicana d'Europa, UAAR (Unione Atei Agnostici Razionalisti), Comunità Afghana e mediatori culturali. 

Gli intermezzi musicali a tema a cura di Maurizio De Simone (chitarra), Francesco Passarelli (voce) e Samuele Bonini (voce) hanno scandito il ritmo e la melodia di un crocevia culturale in cui i vertici del pensiero religioso e laico trovano armonia e costruiscono pace tangibile in loco, nonostante il contesto attuale in cui persino parlare di pace potrebbe apparire paradossale.  

Se dai vari interventi e testimonianze si potesse trarne un sunto comune forse suonerebbe così: "Le guerre hanno propaganda, mezzi e interessi materiali apparentemente infiniti e difficilmente sormontabili. Ma la pace può e deve essere coltivata e fatta crescere dentro ognuno di noi; ed è proprio grazie a momenti come quello di oggi [Sabato scorso NdR] - che avvengono continuamente in diverse forme e in diversi luoghi del mondo - che possiamo e dobbiamo proseguire a costruire un presente e un futuro migliori".

 

  

Nel mondo pre-moderno, come già nei popoli di interesse etnologico e soprattutto nelle culture orientali, le espressioni di natura artistica sono indissolubilmente legate al sentimento del Sacro, alla volontà, cioè, di instaurare o rafforzare un contatto fra la dimensione del divenire e la dimensione dell’Essere. Il trionfo travolgente della rivoluzione scientifica, della civiltà industrializzata e della visione del mondo di credo positivistico ha finito, però, in particolar modo all’interno della cultura occidentale, per operare una radicale desacralizzazione, promuovendo un approccio etico-esistenziale di impronta ateistico-materialistica (sia sul piano teoretico che su quello pratico) e mettendo, di conseguenza, brutalmente in soffitta il concetto stesso di “anima”. A tutto questo, riprendendo istanze di derivazione romantica,  si è opposta la cultura del cosiddetto Decadentismo, volta a riscoprire la dimensione celata del vivere e a dare voce alle voci sotterranee dell’io.

A tale processo culturale antipositivistico e antimaterialistico, nel corso dell’ultima parte del XIX secolo e dei primi anni del XX, offriranno un grande supporto due movimenti culturali (perlopiù ignorati dai manuali scolastici) dalle notevoli potenzialità rivoluzionarie: lo spiritismo prima e il movimento teosofico poi. Lo spiritismo, con la sua sconcertante casistica fenomenica, sarà salutato da milioni di persone come la dimostrazione oggettiva dell’esistenza dell’anima e della sua sopravvivenza, arrivando ad esercitare un’attrazione profonda sulle menti di letterati come Capuana e Conan Doyle, nonché di illustri scienziati come il chimico Crookes e l’astronomo Flammarion.

Ma sarà soprattutto l’entrata in scena di una donna straordinaria come Helena Petrovna Blavatsky, fondatrice della Società Teosofica (1875) e autrice di opere monumentali dal fascino sconfinato come Iside Svelata (1877) e La Dottrina Segreta (1888), a fornire un ricchissimo potenziale di stimoli e di conoscenze a tutti coloro che desideravano opporsi al dominio sempre più inaridente dell’ideologia materialistica. Fondamentale è il fatto che la Teosofia o Religione-Saggezza diffusa dalla Blavatsky non venne da lei mai definita come qualcosa di “nuovo”, bensì come la presentazione sistematizzata di un insieme di conoscenze presenti da sempre all’interno delle varie tradizioni religiose, degli antichi sistemi filosofici e delle più genuine esperienze mistiche di ogni epoca.

Da questo serbatoio sterminato di pensiero, gli intelletti più aperti e assetati di verità autenticamente universali, non ingabbiate in involucri confessionali, si imbatterono nella serie seguente di concetti, dalle indubbie valenze esplosive soprattutto se riferiti al campo della produzione artistica:

  • Non esiste una sola realtà; quella che noi riteniamo la vera realtà è solo una delle tante possibili.
  • Il mondo che i nostri limitati strumenti percettivi ci presentano è sostanzialmente apparenza (Maya).
  • Esistono altri piani ontologici ed altre forme di vita ad essi corrispondenti.
  • Anche all’interno dell’essere umano esistono più dimensioni.
  • Nell’essere umano sono presenti immense potenzialità ignote, ancora inespresse o espresse in maniera solo parziale (testimoniate dalle vite dei grandi mistici).
  • In quanto esseri in perenne evoluzione, siamo chiamati ad imparare a favorire la coltivazione di forme conoscitive sempre più raffinate ed intuitive.
  • Il corpo fisico è soltanto la massima concretizzazione del nostro essere spirituale. Si tratta, pertanto, soltanto di un veicolo provvisorio, destinato ad essere abbandonato in vista di nuove esperienze ultraterrene e di nuove future incarnazioni.
  • Tutti noi siamo, pertanto, esseri in costruzione, anime alla ricerca delle proprie origini divine, anime bisognose di relazionarsi sempre più all’infinitezza del Cosmo e della Vita in tutte le sue molteplici manifestazioni.
  • E’ quindi dentro di noi, non all’interno delle istituzioni religiose (con i loro pontificanti ministri, i loro fossilizzanti dogmi e liturgici paludamenti), che occorrerà ricercare la Verità, il Divino, l’Assoluto.

Da questa vera e propria miniera filosofica, artisti come Gustave Moreau e Odilon Redon, in Francia, e Umberto Boccioni, Luigi Russolo e Giacomo Balla, in Italia, trassero innumerevoli sollecitazioni per dare vita ad un innovativo modo di fare arte, in cui (sia che si tratti di simbolismo o di futurismo) a dominare sarà la volontà di andare oltre la barriera ingannevole del piano sensoriale. E su questa strada, attingendo direttamente ai tesori della letteratura teosofica, altri artisti di genio quali Hilma af Klint, Wassily Kandinsky, Kazimir Malevic e Piet Mondrian (solo per citare i nomi di maggior peso) partoriranno modalità espressive sempre più sganciate dalla mera osservabilità empirica, per approdare a forme sempre più radicali di astrattismo, favorendo la nascita di innumerevoli percorsi di coraggiosa ricerca creativa, tutti accomunati dalla voglia di dilatare la percezione del reale, di costruire ponti fra micro e macrocosmo, di permettere alle insondabili energie sepolte nel nostro cuore di irrompere epifanicamente nel mondo del divenire e dell’impermanenza.

Ed è su questa stessa lunghezza d’onda che è stata pensata e allestita, presso il laboratorio artistico COSARTE di Garbatella (Roma), la Mostra intitolata Mystical and Interior, presentata dall’organizzatrice Simona Gloriani come un “viaggio introspettivo verso la propria interiorità”, e come “sentimento di contemplazione in una dimensione che può farci vedere la ‘trascendenza’ o riportare al proprio io e alla propria anima”, con il non facile obiettivo di provare a  “mettere in evidenza l’importanza dell’introspezione” e di tentare di  “esplorare le dinamiche della natura che raggiungono le profondità della nostra mente”.

La Mostra, che raccoglie lavori pittorici e fotografici frutto di sensibilità molto differenti, in cui prevalgono nettamente orientamenti di carattere surrealistico e simbolistico,  ha ricevuto da parte dei primi visitatori un’ accoglienza  gioiosa e sinceramente interessata, segno evidente che le opere esposte, efficacemente commentate dai loro autori, sono riuscite, almeno in parte, nell’ ambizioso intento di  comunicare piccoli e grandi messaggi, piccole e grandi emozioni.

 

MYSTICAL & INTERIOR

MOSTRA COLLETTIVA DI ARTE CONTEMPORANEA

DOVE:

c/o COSARTE, via Nicolò da Pistoia, 18

Roma

QUANDO:

dal 13/10/2023 al 19/10/2023

Martedì e giovedì dalle 16.30 alle 19.00; lunedì, mercoledì, venerdì dalle 11.00 alle 13.00 e dalle 16.30 alle 18.30.

ARTISTI:

Gianluca Bellissimo, Maurizio Campitelli, Flavia Distefano, Roberto Fantini, Simona Gloriani, Mahroo Hemati, Alessio Masi, Roberto Pinetta, Stefania Spera, Gabriella Tiricanti.

 

 

  

 

 

Nella generosità e nell’aiuto degli altri sii come un fiume.

Nella compassione e nella grazia sii come il sole.”

                                                         Gialal al-Din Rumi

 

 

A due passi dalle rive di uno dei laghi più limpidi d’Italia, nel verde del Parco comunale di Trevignano Romano, si è svolto, anche quest’anno, il Festival di NaturArte, nei giorni 9 e 10 del mese corrente.

Tante le attività (parecchie di carattere laboratoriale) che hanno ravvivato le due giornate, con particolare attenzione rivolta al variegato arcipelago della ricerca e della cura del benessere psico-fisico: yoga (secondo varie modalità), Shiatsu, meditazione, Qi Gong, Tai Chi, numerose pratiche sportive, ecc.

E tanto, come era prevedibile, lo spazio destinato ad attività attinenti allo sconfinato mondo della Natura: nutrizione, olii essenziali, percorsi sensoriali, riconoscimento di piante commestibili e curative, incontro con il Centro Volo Rapaci locale, inclusi alcuni ospiti pennuti, ecc.

La manifestazione, ideata e gestita dall’Associazione giovanile Sintònia (in collaborazione con il Comune di Trevignano e con il finanziamento di Città metropolitana di Roma capitale), è scaturita dal desiderio di promuovere, attraverso una generosa gamma di possibili esperienze, una  maggiore comprensione dell’autentico significato del concetto di “sostenibilità”, e di favorire, di conseguenza, un più consapevole rapporto di sé con il pianeta, nella prospettiva di una interdipendenza pensata e vissuta a più livelli, sia sul piano soggettivo che oggettivo, sia sul piano fisico, che emozionale, mentale e spirituale.

All’interno del ricco e stimolante tourbillon di proposte esperienziali, un posto di indiscutibile primato è stato conquistato dallo spettacolo cerimoniale Frammenti di Mevlana-La danza dei Pianeti, in cui le parole ispirate del poeta persiano Gialal al-Din Rumi (1207-1273), meglio noto come Mevlana o semplicemente  Rumi, si sono alternate ad una suggestiva esibizione di Dervisci rotanti, molto più simile ad un mistico rituale che a semplice spettacolo coreografico.

Minuto dopo minuto, con un incedere lento e meditato,  i versi densamente lirici (e ben recitati) dell’immenso poeta-filosofo sufi, il roteare ritmato delle figure biancovestite, le armonie costruite dall’ottimo gruppo orchestrale, a tratti delicate a tratti potentemente travolgenti, hanno generato una intensissima dimensione di coinvolgimento emotivo, risucchiando lo spettatore all’interno di un sacralizzante percorso interiore, riuscendo, forse, a farlo uscire (almeno per qualche attimo) dal “circolo del tempo” e a farlo entrare nel “circolo dell’amore”, e a fargli comprendere che “l’unica bellezza duratura è la bellezza del cuore”.

Insomma, una straordinaria, indimenticabile sinergia emozionalmente avvolgentissima di parole, pensieri, accordi musicali e roteazioni corporali mistico-cosmiche, per farci dono dell’insegnamento del poeta-maestro Gialal al-Din Rumi:                              

 

  “C’è una fontana dentro di te. Non andare in giro con un secchio vuoto.”

 

 

 

 



 

 

 

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