L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
Per la stragrande maggioranza degli esseri umani la sofferenza degli animali, l’ingiustizia della loro schiavitù, il loro millenario sistematico sterminio, è semplicemente un problema che non esiste: è talmente degenerata l’attenzione sul valore della vita degli altri esseri viventi che nessuno o pochi si accorgono non solo dell’inferno degli allevamenti intensivi e dell’immane olocausto che si consuma giornalmente nei mattatoi, nei mari, nei boschi, tenuto volutamente lontano dagli occhi e dalla coscienza della gente.
Gli umani, deviati dalla loro vera natura di esseri fondamentalmente pacifici, vivono e si nutrono da predatori e, di conseguenza, come tali si comportano, come tali pensano (anzi non pensano) per poi lamentarsi delle malattie e della violenza che dilaga, indifferenti alle leggi della natura che sempre esige il suo riscatto, e la carne degli animali uccisi ci condanna accorciandoci la vita; ci danneggia sul piano morale rendendoci insensibili verso la sofferenza dei nostri stessi simili; ci abitua alla sonnolenza, perché preferiamo non sapere chi abbiamo nel piatto, e a negare il suo diritto all’esistenza. Ammalati, insensibili e chiusi alla conoscenza sperare poi nel proprio benessere, nella pace, nel diritto, nella giustizia
è pura illusione.
L’uso del mangiar carne è la prova del fuoco per tutti, ma soprattutto per chiunque dice di lottare per un mondo migliore; di chi parla ipocritamente di amore, giustizia, di pace, libertà mentre affonda il coltello nelle viscere di una creatura fatta come egli stesso per divorargli una gamba, il fegato, il cuore dopo averlo insaporito in padella, che è come mangiare i resti di un’operazione chirurgica. Come può una persona, degna di questo appellativo, sensata, sana di mente, razionale non sprofondare nell’orrore, nel disgusto e nella vergogna di considerare buone da mangiare le parti anatomiche di un animale identiche alle sue stesse parti anatomiche?
Dalla convinzione che si consideri normale mangiare animali si valuta l’apertura mentale di un individuo, la sensibilità della sua coscienza, il suo senso critico, l’indifferenza nei confronti della sofferenza altrui, la capacità di valorizzare il bene della vita in ogni sua espressione.
Quando i personaggi della storia contemporanea parlano di pace, giustizia, di rispetto dei deboli ma a cena divorano un animale che ha pagato con la prigionia a vita e l’agonia della morte violenta il prezzo del piacere umano non peccano forse di ipocrisia, di indifferenza e di ingiustizia? Questo non dimostra forse mancanza di senso critico, capacità di analisi e soprattutto insensibilità verso la vittima del proprio piacere?
Ma l’ipocrisia non è “prerogativa” solo dei grandi personaggi. Molta gente dice di amare i propri animali, darebbe la propria vita per il proprio cane o il proprio gatto, magari è un attivista per i diritti degli animali, ma ipocritamente usa mangiare il pesce o il formaggio e la motivazione è spesso avvilente: “perché mi piace”.
Voi che parlate di pace tra i popoli, di giustizia sociale, di libertà, di rispetto per il prossimo; voi che usate mangiare la carne di un animale che ha subito l’inferno degli allevamenti intensivi, la prigionia fin dalla nascita e l’agonia della macellazione; voi che ritenete prioritari i vostri diritti sui vostri doveri morali, considerate la vostra incoerenza, confrontatela con ciò che voi stessi quotidianamente causate a creature senzienti che come voi amano la vita, la libertà e hanno paura di morire, considerate tutto questo e vergognatevi di essere cosi egoisti; vergognatevi se invocate la giustizia quando qualcuno vi ha scalfito un’unghia mentre giustificate la tortura e la morte di tanti animali per il piacere del vostro stomaco. A causa di questo un giorno le generazioni future guarderanno a noi con incredulità ed orrore.
Il digiuno, da sempre è stato praticato fin dagli albori della storia da tutti i popoli della terra allo scopo di purificare il corpo, la mente o per penitenza nei percorsi spirituali, per auto-disciplina, per scopi politici o come mezzo di guarigione.
Per i Veda e per la tradizione yogica era un mezzo di elevazione spirituale.
Nelle religioni primitive per propiziarsi la divinità, o per prepararsi a certi cerimoniali. Era usato dagli antichi greci, prima della consultazione degli oracoli, dagli sciamani africani per contattare gli spiriti, dagli indiani d’America per acquisire il proprio animale totemico, dai fenici, dagli egizi, gli assiri, dai babilonesi, dai druidi celtici e in tutti i paesi del Mediterraneo; i farisei erano noti per il loro digiuno. La legge mosaica ordinava agli ebrei il digiuno una volta l‘anno; i primi cristiani lo praticavano con riferimento a Gesù che digiunò per 40 giorni prima della sua missione; veniva consigliato dai medici arabi. In Italia i medici napoletani, fino a circa 150 anni fa erano soliti utilizzare il digiuno che a volte durava 40 giorni nei casi di febbre. All’inizio dell’Ottocento il digiuno venne praticato come terapia per guarire diverse malattie.
La storia del digiuno annovera molti santi: Benedetto, Francesco d’Assisi, Francesco di Paola, Caterina da Genova, Bernardo di Chiaravalle, Romualdo dei Camaldolesi, Tommaso d’Aquino, Ignazio di Loiola, Francesco di Sales e altri. In tempi più recenti sono noti i digiuni di Gandhi, Aurobindo, Krishnamurti.
In particolare i musulmani digiunano per tutto il mese del Ramadan, cioè il 9° mese del calendario lunare, perché celebra la rivelazione dei primi versetti del Corano, che consiste nell’astenersi, dall’alba al tramonto, dal mangiare, bere, fumare o praticare sesso. Il motivo è sostanzialmente l’autocontrollo per liberare l’anima dai desideri in modo da elevarsi verso Dio. Ma aiuta a comprendere il valore dei doni di Dio e permette di aprirsi con più compassione verso i bisognosi.
Per l’ebraismo il digiuno, in vari periodi di digiuno, ha lo scopo di espiare i peccati o innalzare le suppliche a Dio. Durante questo digiuno è proibito lavarsi, indossare scarpe di cuoio, usare oli, acque profumate, o avere rapporti sessuali.
Anche nell’induismo il digiuno è un sistema di purificazione che serve a riappropriarsi di tutta l’energia necessaria per cercare la vicinanza con la divinità.
Nel buddismo, la frugalità, l’essenzialità, la moderazione, l’austerità della vita, ha lo scopo di purificazione del corpo per raggiungere la chiarezza mentale, i poteri nascosti nella mente, la saggezza, e così liberarsi dal karma negativo.
Gandhi praticò innumerevoli digiuni a scopo politico-sociale, per fermare le violenze degli inglesi contro gli indiani, i massacri fra indù e musulmani: se il corpo si poteva depurare con il digiuno anche il corpo della nazione poteva essere liberata tramite lo stesso meccanismo. Per Gandhi il digiuno era una specie di preghiera intensa, slancio dell’anima.
Nel mondo animale gli animali digiunano quando sono feriti, ammalati, nel periodo di ibernazione o di letargo, alcuni digiunano durante il periodo di accoppiamento o di allattamento, durante i periodi di siccità, di nevicate, di freddo intenso, o quando c’è carenza di cibo. Alcuni uccelli digiunano mentre covano le uova, altri subito dopo la nascita.
Ma il vero fondatore della moderna digiunoterapia è l’americano di origine tedesca Herbert M. Schelton, autore di decine di libri, che ha seguito direttamente 45.000 digiuni ed è testimone della guarigione di moltissime patologie attraverso tale pratica.
L’organismo privato dal consueto apporto di alimenti è costretto con il digiuno ad assorbire e smaltire i residui incamerati, liberando l’organismo da scorie, pus, cellule morte, cisti ed anche tumori. Il digiuno costringe il corpo a consumare (per mezzo dell’autolisi) tutti i tessuti superflui e le scorte nutritive: le tossine accumulate vengono immesse nella circolazione per essere portate agli organi escretori e quindi eliminate. Le cellule subiscono una purificazione ed avviene la rimozione dal protoplasma delle sostanze estranee accumulate, le cellule si ringiovaniscono e svolgono le loro funzioni più efficacemente. Non esiste niente altro al pari del digiuno in grado di eliminare le sostanze di rifiuto accumulate nel sangue e nei tessuti e depurare l’organismo consentendogli di recuperare la salute.
Quando si inizia un digiuno ci si astiene dal fare uso di tè, caffè, alcol, sigarette, bevande gasate, condimenti, spezie, additivi alimentari, conservanti, integratori sintetici, medicine ecc., praticamente si interrompe l’abitudine di avvelenarsi. Vi sono testimonianze molto importanti in merito all’efficacia del digiuno attraverso il quale alcune persone hanno vinto anche mali incurabili.
L’etica profonda è la parte più nobile dell’animo umano alla quale raramente viene dato il suo giusto ed edificante valore che si esprime in tutta la sue essenza e bellezza mediante la compassione verso chi soffre a causa delle nostre troppo spesso irresponsabili scelte quotidiane.
Come può un religioso, un uomo di stato, di scienza, di cultura essere in profonda contraddizione con le stesso, con la propria coscienza quando a cena consuma le parti anatomiche di un animale e non accusare sensi di colpa per l’ingiustizia, il dolore e la morte causata? Come può giustificare, assolvere se stesso davanti alla vita? Come può non sprofondare nella vergogna per la propria incoerenza dal momento che molto probabilmente non avrebbe il coraggio di uccidere con le proprie mani l’animale che con ingordigia e insensibilità consuma a tavola?
La vita geme sotto il peso della violenza e del dolore che l’uomo causa a se stesso e all’ immenso oceano animale. Abbiamo barattato la nostra dignità, dimenticato il cielo, rinnegato la nostra anima, venduto il nostro pensiero al migliore offerente e la giustizia langue sotto la coltre del piacere dell’oggi; abbiamo barattato la nostra coscienza per un mortifero pasto di carne.
Abbiamo bisogno di una nuova civiltà che abbia come vessillo la vita in tutte le sue splendide manifestazioni; che promani il profumo del sole, dell’aria pulita, dell’acqua pura delle sorgenti, della terra incontaminata, dell’erba smeraldina; che magnifichi il volo degli uccelli, il canto del mare, il fruscio del vento che gioca tra le fronde degli alberi. Siamo ad un passo da una nuova aurora che esalti e proclami la vita e nello stesso tempo dal baratro e dall’agonia.
L’uscita della storia dagli altari di sangue, dei campi di concentramento e di sterminio di umani e di miliardi di nostri fratelli animali, è possibile e con essa porre le premesse per la redenzione umana protesa verso le mete del divino. Non c’è bellezza, grazia, dolcezza, amore dove domina l’egoismo predace e nega il rispetto del diverso, della vita.
Non è più tollerabile chi giustifica e genera questa insaziabile sete di sangue e di dolore. Abbiamo bisogno di ingentilire questo plumbeo tempo moderno. Dobbiamo strappare gli artigli alla ferocia, al sopruso, all’ingiustizia, all’indifferenza; anteporre all’oblio nichilista una nuova visione del mondo che combatta e superi il culto dell’avere ad ogni costo; che combatta la follia della guerra, della morte, della miseria, della fame, delle malattie, come espressioni identificative dell’umano. L’uomo è qualcosa che deve essere superata.
La terra ci avverte che l’enorme cumulo di sangue e di dolore causato a miliardi di miliardi di creature angeliche che conservano la vita sul pianeta, è al punto di ribellarsi. Il pericolo che l’umanità s’incammini verso l’era del progressivo annientamento di se stessa è più che mai concreto. Il mondo è cominciato senza l’uomo e finirà senza di lui.
Occorre rifondare i valori, innalzare la vera civiltà, amare la bellezza, la grazia, la gratitudine verso la vita che tutti accoglie e che fino ad oggi, con stupefacente generosità, ci ha assolto dal tradimento.
Bisogna affermare il Biocentrismo come vessillo dell’unica bandiera da appuntare sul cuore dell’universo e sostituire il dominio incontrollato dell’uomo con l’edificante visone della nuova coscienza umana, biocentrica, riconoscendo la diversità come ciò che consente a tutti di esistere nell’incantevole oceano della vita.
Perché camminare in paludi fangose, e spesso strisciare, sugli inanimati pavimenti dell’egoismo quando possiamo volare, spaziare sugli orizzonti e i cieli sublimi della coscienza redenta?
Ognuno interroghi se stesso e metta sotto accusa la sua parte peggiore quando assolve se stesso dalla colpa di non aver contribuito a rendere migliore questo mondo.
“Ha vinto l’Italia, hanno vinto gli italiani di tutte le religioni e di tutte le provenienze, i cristiani, i musulmani e i laici che credono nell’apertura, non nella chiusura. E siamo stati uniti per abbattere il muro del silenzio, dell’indifferenza e della confusione, sviluppando il dialogo interreligioso e interculturale, e facendo crollare qualsiasi strumentalizzazione del mondo arabo e islamico”
Dottor Foad Aodi
Dopo i recenti attentati dell'integralismo islamico in Europa, 3 milioni di persone, complessivamente, hanno partecipato alla grande manifestazione "Cristiani in moschea" dell'11 e 12 settembre: esattamente simmetrica a quella di domenica 31 luglio, che, dopo lo stillicidio degli attentati un po' in tutta Europa, vide circa 23.000 mussulmani entrare nelle chiese italiane, manifestando solidarietà all' Occidente colpito. Contemporaneamente, in varie regioni d'Italia molte associazioni islamiche e moschee hanno aperto le porte a visitatori di tutte le fedi, liberi credenti e laici; organizzando, sempre in quest'ultimo fine settimana, migliaia di cene di fraternità (2.000 solo a Roma).
Piu' dettagliatamente - precisa la Co-mai, Comunità del Mondo Arabo in Italia, tra gli organizzatori della manifestazione - a "Cristiani in moschea" hanno aderito 2300 comunità, associazioni e federazioni, su base nazionale e internazionale; e, su 1.400 associazioni e centri musulmani contattati, circa 1.200 hanno risposto. In pratica, il 93% del mondo arabo in Italia; e il 93% di tutte le comunità straniere (non solo arabe, cioè) esistenti in Italia. Mentre è 3 milioni circa, di cui un milione e mezzo di musulmani (in Italia ci sono complessivamente, 2 milioni di credenti islamici), il numero complessivo dei partecipanti a questa manifestazione dell'11- 12 settembre".
Un potente messaggio di pace, la cui data non è stata scelta a caso: l’11 settembre infatti, come tutti ricordiamo, cadeva il 15esimo anniversario dell’attentato alle Torri gemelle, mentre il giorno dopo era la festività musulmana di Eid Al Adha, che celebra i valori di fede e sottomissione a Dio, fondamentali nell’Islam. Festività, per la prima volta nella storia, onorata insieme a cristiani, laici, rappresentanti della Croce rossa, cittadini stranieri e rappresentanti delle istituzioni in numerosi luoghi d’Italia: dal parco di Dora di Torino alla Piazza d’armi di Como, dal Varco di san Giuliano a Mestre fino a Corciano in Perugia, passando per Piazza Garibaldi a Napoli, nel padiglione della fiera del Levante a Bari, nel centro sportivo di via Zurria a Catania, a Ladispoli (con l’intervento del presidente della comunità palestinese di Roma e del Lazio, l’imam Salameh Ashour), sul lungomare Garibaldi di Milazzo e in vari luoghi di Roma.
Nella Capitale, in particolare, le manifestazioni di pace si sono svolte in luoghi pubblici come Largo Preneste, Torpignattara (in cui è presente una numerosa comunità islamica), Piazza Vittorio (ormai vera icona dell’integrazione multi etnica) e in varie moschee, specialmente nella El Fath di via della Magliana.
“Con questa iniziativa, ispirata a princìpi e metodi di un’integrazione "porta a porta", che parte letteralmente dal pianerottolo di casa, per mettere in moto un movimento popolare”, ha commentato il dottor Foad Aodi, fisiatra, presidente di Co-Mai (Comunità del mondo arabo in Italia) e del movimento internazionale "Uniti per unire", oltre che punto di riferimento per l’integrazione, in Italia, per l’Alleanza delle civiltà (UNAoC), organismo ONU, “Abbiamo voluto dare scacco matto al terrorismo, in nome dei valori essenziali di democrazia, libertà, laicità, reciproco rispetto nei rapporti tra Stato, Islam e altre confessioni religiose. Ma anche all’individualismo e alla smania di protagonismo che spesso, purtroppo, hanno rovinato l’Islam italiano".
Altrettanto sincero l’intervento di Mohamed Hanout: “È stata, questa, un’iniziativa importante, per dare a tutto il mondo il messaggio che le moschee sono sempre aperte a tutti...” ha commentato infatti il membro del Consiglio direttivo della moschea El Fath e della Lega degli egiziani in Italia “...e che noi musulmani non abbiamo nulla da nascondere. E che, anzi, la nostra religione, se correttamente intesa senza strumentalizzazioni politiche o per interessi economici, permette di convivere pienamente con tutte le altre, senza incitamento all’odio o alla violenza. Voglio ricordare, poi, quel versetto del Corano che dice precisamente che, se qualcuno uccide un uomo, è come se uccidesse l’umanità intera (sura 5, Al-Māida, versetto 32, Nd E.F.Caruso). Versetto praticamente simmetrico a quello del Levitico, secondo cui chi salva una vita, è come se salvasse l’intera umanità.
La moschea El Fath della Magliana ha visto anche la partecipazione importante di Carmelo Barbagallo, segretario generale del sindacato UIL (Unione Italiana del Lavoro). “Da laico sinceramente non molto credente, penso però che tutti abbiano il diritto di esercitare pienamente la libertà di coscienza e di culto” ha commentato Barbagallo “Volevamo organizzare, con CISL, CGIL e i leader delle varie comunità religiose, un primo maggio interreligioso. Non ci siamo riusciti, ma senz’altro entro la fine dell’anno organizzeremo un’iniziativa interreligiosa”.
Sempre dai sindacati, anche la segretaria nazionale di CGIL, Gianna Fracassi, ha dichiarato “Come hanno giocato un ruolo importante, tanti anni fa, nella sconfitta del terrorismo rosso e nero, così le organizzazioni sindacali devono fare, oggi, contro il terrorismo su base etnico-religiosa, per l’abbattimento dei muri in tutti i sensi”.
Nell’occasione la presidente del Centro contro la violenza sulle donne del quartiere Tor Bella Monaca di Roma “Marie Anne Erize”, ha sottolineato l’importanza, oggi, di una vera “Rivoluzione culturale” in tutti i rapporti tra nazioni, popoli e sessi.
Sono intervenuti, inoltre, l’ambasciatrice di Malta in Italia Vanessa Frazier, il rappresentante della Lega araba, il presidente onorario di AVIS Roma, il pastore anglicano e segretario generale dell’Università Anglicano-Cattolica “San Paolo apostolo” padre Mauro Contili, altri esponenti di associazioni ed enti locali, tra cui i comuni di Ladispoli e Cerveteri, comunità come quella di Sant’Egidio e varie Ong italiane, arabe, straniere e su base internazionale.
Pietro Ubaldi, nasce a Foligno il 18 agosto 1886; filosofo, scrittore, insegnante di italiano, candidato al premio Nobel nel 1939, che poi fu assegnato a Jean-Paul Sartre. Indaga sull’evoluzione dell'universo partendo dalle leggi dell'evoluzione umana. Il suo testo “La grande sintesi” (messo all' indice nel 1939, poi riammesso da papa Giovanni XXIII), fu giudicato da Enrico Fermi "Un quadro di filosofia scientifica e antropologica etica, che oltrepassa di molto i consimili tentativi dell'ultimo secolo”. Studiò pianoforte, apprese l'inglese, il francese e il tedesco, viaggiò negli Stati Uniti; nel 1912 sposò Maria Antonietta Solfanelli,dalla quale ebbe due figli. Divenne professore di lingua e letteratura inglese, insegnando nelle scuole medie inferiori e superiori, prima a Modica, in Sicilia, e poi a Gubbio.
Nel 1927 fece voto di povertà e gli sarebbe apparso Gesù Cristo.
L'apparizione si sarebbe ripetuta nel 1931, insieme a san Francesco di Assisi. Il giorno dello stesso anno avrebbe ricevuto il primo di numerosi "messaggi".
Quando si trasferì definitivamente a São Vicente, nello stato di São Paulo, scrisse altri quattordici volumi, dichiarando conclusa la sua opera nel giorno di Natale del 1971, esattamente quarant'anni dopo il primo "messaggio" ricevuto.
Nei suoi 24 volumi ed in un notevole numero di articoli e libretti, Pietro Ubaldi con sistema d’indagine intuitivo e un linguaggio chiaro, pulito e logico, parla della nuova Scienza dello Spirito, della Reale Essenza dell’Uomo e dell’Universo, della vera sostanza di tutte le cose come di un’essenza profondamente Spirituale, e rivela il “Metodo” per penetrare il mistero e accedere all’Imponderabile.
Secondo Ubaldi è tempo che si superino le chiusure delle religioni istituzionalizzate, cristallizzate in dogmi e cerimonie, è tempo di amare lo Sposo dell’anima: DIO! Il mondo fenomenico viene decifrato secondo la ferrea Legge di causa e di effetto, ove la Sapienza Divina regna Sovrana.
In un processo di unificazione tra scienza e fede, Pietro Ubaldi chiarisce il rapporto esistente tra involuzione ed evoluzione tra le tre dimensioni della materia, dell' energia e dello spirito. Spiega il senso della vita, la funzione del dolore e la presenza del male. Inoltre ritiene che esiste un'unica "Sostanza", la cui essenza sarebbe il movimento e che si manifesterebbe come " materia" (statica), " energia" (dinamica) e "spirito" (vita). L'essere umano è chiamato ad evolversi ampliando la percezione della sua coscienza, che da individuale deve farsi collettiva, per farsi poi coscienza cosmica. Viene delineato il futuro dell'umanità, permeato da una nuova etica internazionale, come consapevolezza razionale e non emotiva o pacifista, dove l’essere umano attua la sua evoluzione tramite la reincarnazione.
In ogni situazione invita a cercare ciò che unifica. Per questo fare il male significa voler andare contro la corrente del Sistema, perpetuando la separazione, che genera sopraffazione e violenza, sino all'autodistruzione.
Fare il bene, invece, vuol dire cercare di armonizzarsi con tutto e con tutti, in un processo di unificazione che è rappresentato dall'ordine e della giustizia divina. Il segreto della felicità consiste nell'inquadrarsi
nell'ordine cosmico e la preghiera autentica come docile accettazione della Legge.
Il fine dell'esistenza è rappresentato dall'evoluzione etica, iscritta nell'evoluzione dell'universo inteso come un'inestinguibile volontà di amare, di creare, in lotta col principio dell'inerzia, dell'odio e della distruzione. L'etica viene concepita come realtà ascendente a seconda le dimensioni dell'essere lungo la scala evolutiva. Fondamentali sono gli ideali come funzione di orientamento e di guida aventi il compito di proiettare l’essere umano verso la realtà della spiritualizzazione enunciati storicamente delle grandi religioni e dalle leggi morali, in un continuo cammino ascensionale, nella comprensione reciproca e nella fratellanza universale.
Nella legge dell’evoluzione collettiva si tende a sempre più ampie convergenze: dalla coppia alla famiglia, dalle nazioni alle unioni di popoli, sino all'unione di tutti gli esseri viventi del pianeta, pur mantenendo il valore delle diversità. Per questo, la via è quella del superamento di ogni separazione: la separazione da sé stessi, dagli altri, dal mondo.
L'evoluzionismo di Ubaldi, ben diverso da quello di Darwin, guarda all'avvenire come tensione spirituale verso il superuomo che è presente in ognuno di noi, diverso dal superuomo enunciato da Nietzsche caratterizzato dal desiderio di espandere solo le potenzialità dell'io.
Attraverso il metodo intuitivo la coscienza riesce a penetrare l'intima essenza dei fenomeni, diversamente dal metodo obiettivo, anche se giunge a conclusioni più universali perché basato sulla distinzione tra l'io e il non io, tra il soggetto e l'oggetto, tra la coscienza e il mondo esteriore.
I suoi scritti sarebbero passati da una forma ispirata di contatto telepatico con le correnti di pensiero a livello "supercosciente", al controllo razionale dell'ispirazione che consente di esaminare sia la "materia" che lo "spirito" nella loro armonia, unificando scienza e fede, considerate due aspetti della stessa verità.
Succede non di rado che qualcuno in televisione, intervistato sulle motivazioni della sua scelta vegetariana, ci tiene a precisare di non essere vegano per non adottare una scelta estrema considerata da “talebani”.
E così succede che alcuni considerino estremisti tutti coloro che sono coerenti con una loro positiva visione delle cose, perorando per contro la politica della moderazione, delle mezze misure, come la più sensata e
razionale. Se avesse adottato lo stesso criterio ogni grande mistico, scienziato o letterato saremmo ancora all’età della pietra.
Ebbene si, noi vegan siamo talebani, siamo talebani dell’amore e della vita; siamo gli estremisti del bene, del rispetto non solo di alcuni appartenenti alla famiglia dei viventi, ma di tutti, nessuno escluso; noi difendiamo il diritto all’esistenza di ogni essere in grado di soffrire, il diritto a non essere imprigionato, sfruttato, violentato, ucciso; il nostro amore per la vita si estende dall’uomo all’animale e difendiamo da ogni ingiustizia l’essere umano e l’animale allo stesso modo di chi difenderebbe suo figlio dalle grinfie di un assassino.
Noi non siamo per le mezze misure; aderiamo totalmente ad ogni cosa ritenuta giusta. Noi non vogliamo ridurre la violenza, la tortura, le ingiustizie, il numero dei morti (sia umani che non) ma abolirle definitivamente. Non volgiamo solo non uccidere ma non causare sofferenza alle vittime del nostro egoismo; non vogliamo ridurre la violenza ma abolirla; non vogliamo gabbie più grandi ma vuote; non chiediamo mattatoi più salubri ma rasi al suolo: per questo noi siamo estremisti, talebani. Ma siamo estremisti anche nella tolleranza verso chi non ha ancora la capacità di aprirsi agli ideali dell’amore universale; verso chi ha bisogno di ampliare la propria coscienza e liberarsi dal propria ristretta visione delle cose; verso chi cerca di trovare giustificazioni per non rinunciare al piacere della gola e magari accusa inconsapevolmente sensi di colpa quando qualcuno gli fa notare gli effetti prodotti dalla sua scelta di vita.
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In arrivo in Italia le farmacie vegetariane
Bologna. Si prevede che siano una trentina, ma entro l’anno la cifra potrebbe raddoppiare. Sono le farmacie vegetariane e vegane che stanno per fare il loro debutto in Italia. l’iniziativa si chiama Pharmavegana e
prevede tra gli aderenti la presenza di un farmacista in grado di consigliare i clienti non solo sulle medicine vegane ma anche su come integrare l’alimentazione di chi ha scelto di non nutrirsi di carne, di
latte, uova e derivati.
Molto bene, solo è ancora difficile da far capire che l’alimentazione vegana/integrale non necessita di alcun integratore di sorta.
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Vi invito a trovare il coraggio di guardare questa brutalità umana e di reagire.
IN ONORE DI ANGELO
Questo video è costato tante lacrime e tanta sofferenza . Ma è un tributo alla memoria di Angelo . In Suo onore . E in ricordo di tutte le vittime dei soprusi umani . Lacrime di rabbia e di disperazione che non si possono trattenere di fronte a una violenza di questa portata.
Hanno spezzato la Vita di un radioso Diamante. Hanno soffocato il Suo "respiro di Amore" .
Grazie a tutti coloro che non DIMENTICHERANNO .
Grazie a tutti coloro che vivranno i giorni a venire con la "frenesia" di vedere finalmente , e per una volta , CONDANNATI in modo ESEMPLARE i responsabili di questo gesto atroce .
Chiediamo tutti perdono ad Angelo, ed è questo l'UNICO perdono di cui vogliamo sentir parlare .
Riccardo Manca
#UnitiperAngelo
#PenaEsemplare
Questo video ha fatto da "colonna sonora" all'evento di Roma che si è svolto in contemporanea con quello di SANGINETO ( CS ) il 21/7/2016 ( Piazza del Popolo ) : UNITI PER ANGELO - Anche Roma URLA
PER FRANCO DI MARE - conduttore televisivo della trasmissione televisiva Uno Mattino
Lunedì 16 maggio verso le ore 7,50 nella trasmissione televisiva su Rai Uno, Franco Di Mare riprendeva il discorso del papa sui presunti comportamenti di alcune persone che si interessano di animali ma trascurano le necessità degli umani, e ricordava lo sterminio in Ruanda di qualche tempo fa in cui furono uccisi circa un milione di persone e lasciò orfani un numero enorme di bambini che poi morivano a decine nei campi di raccolta. Nello stesso periodo, ricorda Di Mare, si raccoglievano fondi per i gorilla delle montagne, e terminava asserendo che in caso di necessità lui non avrebbe avuto dubbi su chi aiutare. Poi ricordava il pensiero di papa Ratzinger il quale asseriva che la vita dell’animale si esaurisce con la morte fisica, a differenza dell’uomo in possesso di un’anima immortale. Probabilmente papa Ratzinger ha dimenticato la visione di Santa Faustina che era di parere opposto: “Oggi in spirito sono stata in Paradiso e ho visto l’inconcepibile bellezza e felicità che ci attende dopo la morte. Ho visto come tutte le creature rendono incessantemente onore e gloria a Dio. Ho visto quanto è grande la felicità in Dio, che si riversa su tutte le creature, rendendole felici”.
In un momento storico in cui appena appena emerge un barlume di luce nei confronti del mondo animale, da sempre schiavizzato, tormentato, crocefisso dall’uomo, si palesa vergognosamente il panico che gli umani possano trascurare i loro simili a vantaggio degli animali. Una paura pretestuosa, strumentale, patetica, grottesca che non farebbe che aumentare la distanza tra noi e loro e ad allungare il loro martirio.
Credo che chiunque, prima di schierarsi in posizioni a favore dell’uomo o dell’animale, sarebbe opportuno vedesse cosa succede in un mattatoio dove ogni giorno, 365 giorni l’anno, milioni di animali vengono fatti a pezzi tra fiumi di sangue, puzza e grida di terrore; vedesse come vengono torturati nei laboratori di sperimentazione; come vengono sterminati nei boschi, nei mari, si rendesse conto che questa umanità rischia di estinguersi a causa dell’insensato egoismo degli umani. Se vedesse tutto questo forse avrebbe dei dubbi su chi aiutare per primo.
Pensi alle malefatte della curia, allo sperpero di denaro dei vescovi, ai preti pedofili e non a chi dimostra sensibilità, compassione e amore per tutti gli esseri viventi.
Pare stia diventando un’ossessione, ma papa Francesco (che di Francesco ha solo il nome) torna a prendersela con chi si interessa di animali accusandoli di trascurare le esigenze degli umani, cioè sottraendo beni ed energie che dovrebbero essere ad esclusivo vantaggio degli umani.
Quando e dove ha visto un animalista negare il proprio aiuto agli umani? Noi non dividiamo a metà le nostre risorse ma moltiplichiamo il nostro impegno a vantaggio degli uni e degli altri; per questo la coscienza animalista/vegana è su livelli evolutivi ampiamente diversi.
La nostra compassione non si limita alle necessità degli uomini ma si allarga a raggiera verso ogni essere vivente. E se è vero che Dio ama tutte le cose il nostro amare è più vicino al modo di amare Dio.
Il papa invita ad interessarsi solo degli umani (crudeli, guerrafondai, stupratori, assassini, falsi, ipocriti, bugiardi ecc.) invece di animali semplici, leali, miti, generosi ecc., cioè di chi da millenni (anche o soprattutto a causa della Chiesa) ha condannato ad un inferno inimmaginabile miliardi di miliardi di creature innocenti, per soddisfare l’egoismo e la crapula umana.
Possibile che questo papa non capisca che l’etica animalista è un una rivoluzione inarrestabile? Che ciò che ha impedito e impedisce l’evoluzione civile, morale e spirituale degli esseri umani è la capacità di differenziare sofferenza umana da sofferenza animale, compassione umana da compassione animale, giustizia umana da giustizia animale e che questo abitua l’uomo alla legge del forte sul debole, alla violenza, alla tirannia, alla guerra? Possibile che non capisca che è proprio il consumo di carne con quello che richiedono gli allevamenti (quindi l’indifferenza verso la condizione animale) la principale causa della fame nel mondo?
Propongo alle associazioni animaliste e vegetariane di attivarsi in una capillare campagna di reazione al ripetuto attacco del papa verso chi dona amore anche agli animali. Una petizione che inviti i potenziali cattolici a spostare il loro interesse verso religioni più rispettose del mondo animale e soprattutto faccia in modo che nessuno dei parenti e amici versi l’8 per mille alla chiesa del papa specista.
“Quando la morale sociale è superiore alla morale religiosa, quella religione è perduta” (Pierre Teilhard de Chardin, gesuita, filosofo e paleontologo francese).
Questa è la motivazione di alcuni cristiani che cercano di giustificare le loro abitudini alimentari carnivore, convinti che Gesù usasse mangiare carne, non esclusa carne di agnello, anche se in nessuna circostanza sia nei Vangeli canonici sia in quelli apocrifi risulta che Gesù abbia mai consumato della carne. E se si esclude l’episodio riportato in Luca 24,41, discepolo di Paolo convertitosi 3 anni dopo la morte di Gesù (quindi non poteva essere presente all’evento) in cui Gesù per dimostrare ai discepoli il suo essere resuscitato dice: “Avete qualche cosa da mangiare? Gli offrirono una porzione di pesce arrosto: egli lo prese e lo mangiò davanti a loro”, escluso questo si può dire che non solo Gesù non mangiò mai carne ma palesemente neppure pesce. Ma spesso si estrapola dai Vangeli solo ciò che serve a giustificare le proprie convinzioni tralasciano i principali insegnamenti di Gesù quali: “misericordia io voglio non sacrificio, beati i miti, i puri di cuore...
Ora è difficile conciliare misericordia, mitezza, purezza con il brutale assassinio di un animale per deliziarsi il palato. Nella maggior parte dei casi chi usa mangiare carne ha anche il coraggio di uccidere l’animale, e attribuire questa insensibilità a Gesù è alquanto azzardato e denigratorio: avrebbe dimostrato meno sensibilità di molti mistici, santi e filosofi o di chiunque di noi che sente rispetto e compassione anche per gli animali.
Se immaginiamo due cuochi in cucina intenti a preparare cibo da mangiare e che uno dei due sia Gesù. L’uno dei due uccide e taglia a pezzi un coniglio, l’altro invece, essendo vegan, si rifiuta per compassione. Domandiamoci chi dei due possa essere Gesù. Generalmente chi usa mangiare carne è insensibile alla sofferenza e alla morte delle sue vittime ed è potenzialmente capace di uccidere l’animale di cui si nutre; oppure, pur considerando cruenta e raccapricciante l’azione, delega, ipocritamente, ad altri il compito di commettere ciò che in prima persona gli ripugna, mostrando di non avere il coraggio delle proprie azioni, né di guardare gli effetti che producono.
L’esperienza diretta, confermata dalla scienza, dimostra i danni causati dalla cattiva alimentazione sulla salute, ed io dico sulla coscienza, sull’evoluzione civile, morale e spirituale del genere umano. Come poteva Gesù, maestro di saggezza divina, affermare “Non quello che entra nella bocca contamina l’uomo ma quello che esce dalla bocca lo contamina”? anche se nei vangeli apocrifi Gesù condanna duramente chi uccide l’animale e ne mangia la loro carne. Ma ai vangeli apocrifi la Chiesa guarda con sufficienza, anche se molti episodi della madre di Gesù vengono presi dal protovangelo di Giacomo, il più antico teste neotestamentario, considerato apocrifo.
Perché la Chiesa non si adegua alle nuove esigenze dello spirito umano per quanto riguarda l’alimentazione carnea benché molti grandi santi e padri della Chiesa ne abbiano raccomandato l’astinenza? Probabilmente per paura di far perdere all’essere umano la sua arrogante, inesistente centralità biologica e con essa il falso diritto di disporre degli altri esseri viventi per volontà di un dio che elegge solo la progenie umana a sua immagine e somiglianza.
Come avrebbe potuto Gesù legittimare abitudini che si sarebbero rivelate dannose per la salute umana, crudeli per il mondo animale, devastanti per l’ambiente, per l’economia e concausa della fame di un’immensa parte di umanità? Gesù, Figlio di Dio Creatore, come può compiacersi della distruzione delle sue creature? E’ come se un artista si compiacesse della distruzione delle sue opere. Dai frutti e dagli effetti prodotti è
verificabile la bontà o no di una legge, di una regola, di una dottrina.
Appellarsi poi alle tradizioni significa voler restare nello stato primordiale dell’evoluzione umana. Bisogna guardare al passato per rendere migliore il futuro. Il seme deve diventare pianta e dare i suoi frutti: non può restare seme in eterno. Nulla di ciò che viene detto ha valore imperituro. I tempi di Gesù non sono i nostri tempi. L’etica si amplia con la crescita della sensibilità e l’intelligenza positiva. Con chi si schiererebbe oggi Gesù? Con chi chiede amore anche per gli animali o con chi indifferente alla sofferenza e alla morte dice “Ammazza e mangia”?
Come si possono giustificare le proprie scelte alimentari appellandosi a dettami di duemila anni fa senza considerare le contingenze storiche e sociali che le hanno determinate? La nostra Costituzione, vecchia solo di 60 anni, ha necessità di essere riscritta, adattata alle nuove esigenze della cultura, dell’etica e della spiritualità umana che avanza: ostinarsi a considerala immodificabile, perché espressione di una tradizione condivisa, significa restare nella preistoria.
I tempi di Gesù erano tempi di fame, di guerre, di schiavitù, di crocifissioni, superate da una società che si considera evoluta e civile, come deve essere superata la raccapricciante abitudine di uccidere e cibarsi del corpo di un animale, spesso allevato in compagnia degli umani e spesso considerato parte stessa della famiglia, per non parlare dei campi di sterminio dei mattatoi, dove gli animali vengono fatti nascere con lo scopo di ucciderli e mangiarseli.
Ma ammesso che Gesù fosse stato indifferente verso la condizione degli animali e che, secondo le usanze ebraiche, usasse consumare carne, questo non autorizza il cristiano ad emulare solo l’aspetto alimentare tralasciando gli altri insegnamenti di povertà, mitezza e castità. Se Gesù avesse comandato di cedere il 10% del proprio guadagno ai poveri, o di astenersi dal sesso per un mese all’anno, quanti dei cristiani seguirebbero tale prescrizione? Il senso del Vangelo è quello di rendere l’essere umano più giusto, misericordioso, solidale, compassionevole. Ebbene, tutto questo è inconciliabile con lo scannatoio dei nostri fratelli animali.
Le due posizioni tra chi sostiene la legittimità di mangiare animali e chi invece si astiene per compassione e senso di giustizia mette a confronto due condizioni morali e spirituali. Il primo cerca giustificazioni per non rinunciare ad un piacere e al diritto di disporre della vita degli altri esseri viventi; i vegan fanno appello alla loro coscienza, al senso di giustizia, al valore della vita perché ritengono ingiusto, oltre che dannoso, fare ad altri ciò che non si vorrebbe per se stessi. Solo voler considerare valida la seconda opinione ci condanna all’insensibilità morale e all’ignoranza esistenziale.
Chi si rifiuta di accettare la realtà che “nulla è per sempre” non procede nella via della sua stessa evoluzione. Nulla è immutabile, eccetto lo stesso mutamento. La Chiesa stessa, l’istituzione più refrattaria ad ogni innovazione, ha sentito la necessità di superare regole un tempo considerate insuperabili, come l’esistenza del purgatorio, la schiavitù, le mire espansionistiche, l’uccisione di gente di fede diversa, la sottomissione al potere, la pena di morte, la tortura, il disprezzo per la donna, il divorzio ecc.
Tutto avanza e tutto si modifica. E’ stato quel che è stato, ma oggi siamo chiamati, da esseri pensanti, con un’apertura mentale più vasta ed una coscienza morale più evoluta, a non accettare passivamente ciò che viene tramandato come verità immutabile, consapevoli che ogni regola nasce da particolari esigenze storico/sociale di un popolo e occorre verificare criticamente se ciò che viene tramandato, anche come principio supremo, attua o no il bene della società in cui viene trasporto.
La specie umana è sicuramente quella che maggiormente utilizza il linguaggio verbale come strumento di comunicazione e di dialogo, mentre ogni altra specie vive gran parte della sua esistenza nel silenzio della sua intima natura. Nel corso della storia il valore del silenzio è stato evidenziato dai grandi mistici, santi e filosofi; molti hanno preceduto la loro missione da un rigoroso ritiro in solitudine. La necessità di raccogliersi in silenzio emerge anche quando si devono prendere decisioni importanti, o si cerca la strategia migliore per obiettivi da raggiungere.
Oggi il mondo affoga in torrenti, fiumi, oceani di parole. Estenuanti dibattiti su tutto, spesso inconcludenti, non consentono all’anima di esprimersi. C’è talmente tanta voglia di parlare che a volte più interlocutori monologano contemporaneamente. La nostra parte migliore languisce e a volte si spegne del tutto nel frastuono dell’espressione verbale che spesso preclude la percezione della vera conoscenza che trascende ogni linguaggio, perché è limitato, esclusivo, riduttivo ( mentre il pensiero è un vettore unidirezionale il sentire ha una valenza sferica).
Attraverso il silenzio, e il potere dell’intimo sentire, si possono superare le barriere delle distanze, delle lingue, della materia; si apre la porta della percezione che va oltre le parole e ci consente di approdare ad
orizzonti più vasti e profondi; l’uomo entra in contatto con la sua vera natura, con l’essenza stessa delle cose, e gli consente di vedere le cose con occhi diversi, nuovi e, se guarda un fiore, non vede più un fiore ma un miracolo vivente.
Il silenzio è una porta che apre alla preghiera, e la preghiera del cuore ha più valore della preghiera verbale. Solo nel silenzio si può sentire la voce di Dio: è la frequenza su cui Dio parla. Il cuore non ha bisogno di parole, non può esprimersi nel frastuono di elucubrazioni mentali: “Sia il vostro dire si si e no no, il resto viene dal Maligno”, diceva Gesù.
La preghiera è come un’invocazione che si espande oltre i limiti del Cosmo e ci sintonizza con l’ordine supremo delle cose. La libertà interiore è condizione primaria nella preghiera perché si possa stabilire una connessione con l’Assoluto. Ciò che conta nella preghiera non è le cose che si dicono ma l’ardore con cui si sentono. Occorre far il vuoto dentro di se stessi, liberi da ogni interferenza disarmonica dell’io e della singola tempesta mentale. Occorre pregare con il cuore più che con le labbra, con l’anima più che con la mente. La preghiera non è una recitazione delle nostre necessità: è un canto d’amore, di gratitudine che, in un cosmico abbraccio, si apre con amore e stupore verso tutto ciò che vive.
Il cristiano fa riferimento a quanto riportato nella Bibbia (da cui troppo spesso prende solo ciò che può giustificare il suo comportamento nei confronti del mondo animale), un testo attribuito a Mosè vissuto circa 1300 anni prima di Cristo, mentre alcuni storici affermano che probabilmente fu redatta tra il 9° e il 2° sec. a. C. e sarebbe come se oggi si volesse riportare il pensiero orale e gli avvenimenti accaduti nel Rinascimento.
Un testo considerato sacro, anche se è stato la causa di guerre e crimini di ogni genere. Un testo che mentre invita alla misericordia autorizza la schiavitù, il predominio ed il massacro sistematico di uomini ed animali.
Non un dio d’amore e di giustizia, non un dio universale, ma palesemente di parte a cui sta a cuore solo la sorte di un popolo che considera destinato a
dominare sugli altri. In questo contesto la Bibbia è stato ed è anche la causa di ogni rottura di relazione morale tra l’uomo e l’animale.
Contrariamente alla ricca tradizione di pensiero manifestata da molti santi e dai padri della chiesa in relazione agli animali, si sviluppa nel cristianesimo una visione dell’uomo come dominatore incontrollato dell’universo, che legittima lo sfruttamento incondizionato degli animali e dell’ambiente naturale, ignorando quella affinità fra gli esseri umani e gli animali trasmessa anche dalla cultura filosofica greca alla cultura giuridica romana, nel rifiuto dei sacrifici di animali e nella individuazione di un diritto (ius naturale) comune a uomini e ad animali.
Resta il quesito: perché mai l’uomo nel paradiso terrestre poteva vivere dei frutti degli alberi e l’uomo dopo il Peccato ha necessità di mangiare la carne, cioè una sostanza adatta agli animali predatori che causa gran parte delle peggiori malattie conosciute? Un alimento che non consente nemmeno gli
animali carnivori di vivere se unitamente alla carne non consumano anche erba, germogli e frutta. La superiorità dell’alimentazione vegetale appare
evidente dal fatto che se nella dieta si escludono gli alimenti di derivazione animale si continua a vivere in ottima salute, mentre se si escludono i prodotti vegetali si va incontro inevitabilmente a malattie e a morte precoce.
Chi può assicurarci che ciò che viene riportato come volontà di Dio non sia invece una manovra intesa a favorire una certa prospettiva quando non è un
adattamento alle esigenze soggettive del ricevente (ammesso che di tale si tratta)? Chi ci dice che quel che è scritto riporti il vero pensiero di Dio o se invece non sia stato manomesso per errore di trascrizione o adattato alle esigenze storico/contestuali del regnante di turno? Come si può credere ciecamente, fino a dare la propria vita, o addirittura togliere ad altri la vita, per tenere fede a prescrizioni che altri dicono di aver ricevuto da Dio?
E’ tempo di superare la perniciosa convinzione che ciò che è scritto su carta o pergamena sia la volontà di Dio, anche se ciò non esclude che lo sia; ma ritengo che nessuno abbia mai avuto la più pallida idea, la più sbiadita ombra di cosa possa essere Dio, né conoscere il suo vero pensiero.
La fede cieca ed assoluta è sempre stata fonte di lutti e rovine. Nulla è più pericoloso delle certezze mentre una disposizione al dubbio su tutto ciò
di cui non abbiamo diretta conoscenza ci farebbe sicuramente vivere meglio e in pace, soprattutto nella valutazione delle conseguenze che hanno generato nel corso della storia.
Occorre saggezza, prudenza e senso critico e quando incontri un uomo, un animale o una pianta e sei consapevole che hai di fronte tuo fratello forse
puoi dire di aver percepito il vero pensiero di Dio. Un giorno le future generazioni guarderanno con orrore a noi che per millenni abbiamo ucciso e
mangiato i nostri fratelli animali con lo stesso orrore con cui noi oggi guarderemmo ad una progenie di Angeli che usassero mangiare esseri umani.
La Free Lance International Press ha incontrato un apostolo di fede
non serve affrontare viaggi lontani, il nostro paese è terra mariana
Da Civitavecchia, dove la Madonnina è custodita nella Chiesa di Pantano, arrivano bisbigli di nuove lacrimazioni ma tutto viene tenuto nel massimo riserbo. Rosario in mano, in tanti, intonando i canti mariani, si incamminano dietro i simboli religiosi che hanno preceduto e seguito le processioni che conducono al posto di fede. In un periodo di insicurezze dove si anela all’incursione del divino nell’umano, ai fenomeni che sfidano le leggi della natura, alle immagini sacre che sanguinano o piangono, ai veggenti e alle apparizioni, l’apostolo di fede Sandro Mancinelli, l’autore di “A Petralia parla l’Arcangelo San Michele”, di “Rennes le Château e il tesoro nascosto”, e di altri testi dove si evince la presenza del sovrumano, raccoglie testimonianze nei suoi libri e i racconti di tutti coloro che hanno avuto il privilegio di entrare in contatto con una dimensione sovrumana, spesso respinta dalla comprensione del gruppo sociale: è facile sentirsi dare del “matto” da chi non ha fede!
In Italia, dalla Val d’Aosta a Lampedusa, sono infiniti i luoghi innalzati all’adorazione del sovrannaturale dove i privilegiati, nel corso della recita del “rosario”, puntualmente cadono in ginocchio, restando immobili, con lo sguardo fisso in un punto, dove l’altra gente immagina che avvenga l’apparizione e la comunicazione del divino.
Sandro Mancinelli, l’apostolo di fede, nasce ad Ariccia, nell’area dei Castelli Romani. Completati gli studi superiori inizia la carriera di ufficiale nell’Aeronautica Militare Italiana, che lascia dopo aver vinto un concorso per funzionario di banca. Si occupa quindi, per un ventennio, di consulenza finanziaria. Nel 2012, venuto a conoscenza di presunte apparizioni mariane sul Monte Artemisio, a Velletri in provincia di Roma, spinto da una iniziale curiosità, inizia ad informarsi su questo fenomeno ed a partecipare agli incontri tra la veggente Angela Bartoli, e l’entità divina, che avvenivano ogni primo del mese. È proprio durante uno di quegli appuntamenti che lui si converte alla fede cattolica, quella fede che pensava di avere ma che in realtà, fino ad allora, era stata solo per una tradizione familiare. Nasce un nuovo uomo, inizia una nuova vita! Da allora ha sentito proprio l’impegno di dare voce a questi mistici, spesso poco conosciuti e troppo spesso analfabeti. Ha iniziato a scrivere per il settimanale “Miracoli”, per il mensile “Il Segno del soprannaturale”, per il “Giornale del Lazio” e ad occuparsi di altre pubblicazioni a carattere locale. Ha collaborato con trasmissioni in tema, segnalando alcuni mistici alla Rai e a Mediaset, che lo hanno intervistato nei loro studi.
Il suo primo libro è stato “Un Faro sull’Artemisio”, Edizioni Segno, nel quale racconta la storia delle apparizioni sul Monte Artemisio e la sua conversione, coprendo il periodo che va da febbraio 2012 a gennaio 2014.
Ha poi pubblicato il già citato “A Petralia parla l’Arcangelo San Michele”, Edizioni Segno, in cui racconta la storia di Salvo Valenti, un ragazzo di Palermo che dal 2007 ha visioni dell’Arcangelo San Michele sul Monte Salvatore a Petralia Sottana, in provincia di Messina.
Ha quindi pubblicato, sempre per la Casa Editrice Segno, “Rennes-le-Chateau e il tesoro nascosto”. Con questo libro è uscito dal suo filone classico, quello del misticismo e dell’apostolato cattolico, per raccontare una storia misteriosa su Maria Maddalena ed i misteri che la riguardano.
Di prossima pubblicazione una guida completa sulle fonti miracolose legate ad apparizioni mariane in Italia: 100 schede di santuari e luoghi misteriosi dove le fonti miracolose sono state strumento di prodigiose guarigioni nel corso dei secoli fino ad oggi.
D – Chi era Sandro Mancinelli prima del febbraio 2011?
R – Prima di quel febbraio mi sentivo come una candela senza fiamma ardente, senza anima. Eppure sentivo che vibrava dentro di me, ma non nel giusto modo. Conducevo fino ad allora una vita di normale cristiano, lavoro, figli, valori sempre vivi in me. Mi mancava la fede però, quella scintilla che infiamma la vita e che ti aiuta ad affrontare ogni difficoltà e ad accettare ogni croce. Perché Gesù ci ha detto che senza la croce non si arriva a lui, e tantissimi mistici ritenevano le loro croci un gran dono ricevuto dal Signore. Dopo il mese di febbraio 2012, quindi dopo le prime esperienze alla fonte dell’Acquadonzella, all’Artemisio, la fiammella si è accesa ed ora arde costantemente in me; ora vivo un’immensa gioia. Mi sento ravvivato e fortificato formidabilmente. Le sofferenze fanno parte della vita di ognuno ma, con l’aiuto di Dio, e soprattutto offrendole a Lui, si tramutano in privilegi.
D – Come ti rapporti con colei che si è autoproclamata veggente e con tutti gli altri privilegiati del soprannaturale?
R – Non ho più rapporti con quella veggente, con Angela Bartoli, perché nel gennaio 2014 avemmo dei dissidi in seguito ai quali incontrai il Vescovo di Velletri per dei chiarimenti. Questi smentì una serie di circostanze che la “veggente” mi aveva riferito in relazione al Monsignore stesso. Pertanto, non ritenendo possibile che una veggente potesse mentire, tanto più nei riguardi del suo Vescovo, ho deciso di interrompere la mia partecipazione a quei pellegrinaggi, ritenendo che la Madonna abbia cessato da tempo di apparire in quel luogo. Un sacerdote illuminato, oramai tornato alla casa del padre, ebbe a confortare questa mia opinione e mi disse: “Dove c’è la Madonna c’è la verità. Dove c’è il demonio regna la menzogna”. Con gli altri “privilegiati del soprannaturale” come li chiami tu, ho rapporti di fratellanza e di amicizia. Mi sento quotidianamente con loro e cerchiamo di vivere una vita da cristiani senza smettere mai di fare apostolato. Preghiamo l’uno per l’altro per sostenerci in questo cammino.
D – Preferisci considerarti un autore che opera per fede o uno strumento guidato dalla fede?
R – Credo che la Madonna si stia servendo di me per dar voce ai suoi figli prediletti. Ed io prima di parlare di loro chiedo sempre la Sua protezione affinché mi illumini la strada e mi eviti errori: il rischio più grande è dar voce e spazio a mitomani e bugiardi. Ne ho incontrati sulla mia strada. Ma grazie a questa guida celeste sono riuscito a capirli in tempo e li ho evitati con cura.
D – Per te cosa vuol dire aver fede?
R – Avere fede significa confidare completamente nella misericordia di Dio. “Gesù pensaci tu!” diceva Don Dolindo Ruotolo nel suo “atto di abbandono”. Significa rispettare quel Comandamento di Dio che li racchiude tutti , come ebbe a dirmi il Vescovo di Velletri Mons. Vincenzo Apicella durante quell’incontro chiarificatore : “Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi!”. Significa non giudicare, significa amare!
Sandro Mancinelli è l’autore di “A Petralia parla l’Arcangelo San Michele” e di “Rennes le Château e il tesoro nascosto”, come già abbiamo ricordato ma, entrambi i libri andrebbero considerati dei saggi sul soprannaturale, scritti con deduzione di causa da un fervente apostolo di fede, che ha raccolto con dovizia di particolari e foto a colori, i diari dei fedeli, le richieste affidate ai Santi, le testimonianze, i messaggi nonché la segnalazione dei luoghi delle apparizioni, le invocazioni, i santuari, le sorgenti e le cappelle. In “A Petralia parla l’Arcangelo San Michele” sono raccolte le testimonianze dei fedeli e i “messaggi” che Michele, l’Arcangelo del Signore, con le sue apparizioni a Salvo Valenti, un siciliano di Petralia Sottana nel messinese, fin dal 2008 gli suggerisce. Salvo è custode di tali “messaggi” che inneggiano alla potenza di Dio, “perché è dall’alito di Dio che viene la luce, la vita e ogni forma di cosa visibile e invisibile”. È da evidenziare la testimonianza dell’incontro tra Salvo Valenti e Fratel Biagio Conte, il missionario laico portatore della Croce, sempre con il saio marrone, avvenuto il 28 settembre 2015 presso la “Missione di Speranza e Carità” a Palermo. In “Rennes le Château e il tesoro nascosto”, si fa cenno ad antiche pergamene conservate nella biblioteca amanuense di Rennes-le-Château, paesino situato nel sud della Francia. Arroccato su una collina sullo sfondo dei Pirenei francesi, custodisce un mistero fitto di enigmi ancora irrisolti. Nel 1781 il curato di Rennes ricevette in confessionale dalla marchesa di Hautpoul un segreto di famiglia che avrebbe dovuto essere tramandato. La marchesa morì poco tempo dopo e gradualmente si fece strada l'ipotesi che in una tomba, celata nella cripta della famiglia Houtpoul, fosse sepolto addirittura il corpo di Maria Maddalena. Sandro Mancinelli racconta storie speciali, come speciale è la sua esistenza. In Italia e nelle Nazioni confinanti, Sandro è stato muto testimone di eventi, di storie a lui raccontate, e lui ha raccolto le testimonianze di diverse persone che si sono salvate da situazioni spesso disperate grazie alla guida degli angeli e alla fede.
Alcuni di noi percepiscono ed elaborano sensazioni, messaggi, simboli, voci, presenze che un’altra dimensione, a noi ancora sconosciuta ci invia, come entità invisibili, che ci incoraggiano nonostante i disagi, ad andare avanti, queste entità sono guidate dagli angeli.
Ipazia, nata nel 370 d.C. ad Alessandria d’Egitto,fin da giovanissima venne avviata dal padre allo studio della matematica, della geometria e dell’astronomia. Da studiosa riuscì ad emergere nella scienza e nella filosofia fino a ottenere un forte peso politico e culturale in un’epoca in cui le donne non avevano la possibilità di affermarsi. Fu la prima donna a dare un forte contributo allo sviluppo della matematica e tra i suoi seguaci vi erano anche molti cristiani.
Ipazia, con personalità estremamente carismatica, insegnò con un'enfasi scientifica maggiore dei neoplatonici. Fu giusta e casta e rimase sempre vergine; era così bella e ben fatta che uno dei suoi studenti si innamorò pazzamente di lei, ma Ipazia non si sposò mai e all'età di 31 anni assunse la direzione della Scuola neoplatonica di Alessandria. Per la sua eloquenza nel parlare, prudente e civile nei modi, i potenti la invidiavano mentre la città intera l'amava moltissimo. Simboleggiava la dottrina e la scienza, che i primi cristiani identificavano con il paganesimo e che consideravano come una minaccia.
Teone, il padre di Ipazia, era geometra e filosofo, ma Ipazia, allieva e solerte collaboratrice, superò in scienza e saggezza lo stesso padre.
Ipazia, degna erede di Plotino, aveva acquisito tanta cultura da superare di molto tutti i filosofi del suo tempo. Divulgò il sapere matematico, geometrico e astronomico, si dedicò alla filosofia di Patone, Plotino e Aristotele. Secondo Filostorgio, storico della Chiesa, sua caratteristica principale fu la generosità con cui tramandava pubblicamente il sapere tanto che divenne un'autorità e un indiscusso punto di riferimento culturale nello scenario dell'epoca.
Ipazia non fu mai gelosa del proprio sapere, ma sempre disposta a condividerlo con gli altri. Usava gettarsi il mantello addosso e uscendo in mezzo alla città spiegava pubblicamente, a chiunque volesse ascoltarla, le opere di qualsiasi grande filosofo.
Lo storico cristiano ortodosso Socrate Scolastico <https://it.wikipedia.org/wiki/Socrate_Scolastico>scrive di Lei: “Per la magnifica libertà di parola e di azione che le veniva dalla sua cultura, accedeva in modo assennato anche al cospetto dei capi della città, e non era motivo di vergogna per lei lo stare in mezzo agli uomini: infatti, a causa della sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale”. Anche il filosofo<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio> Damascio ricorda che Ipazia era “pronta e dialettica nei discorsi, accorta nelle azioni e la città la amava e la ossequiava grandemente, mentre i capi si consultavano con lei prima di ogni importante decisione pubblica. I suo nome era magnifico e degno di ammirazione per coloro che amministravano gli affari più importanti del governo”.
<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio>Ma la sua grande fama e il suo prestigio politico causò la reazione invidiosa del vescovo Cirillo. Vennero prodotte calunnie nei confronti della scienziata, tanto che nel marzo del 415 progettò di farla uccidere, e lo fece e nella maniera più crudele.
Mentre faceva ritorno a casa un gruppo di fanatici cristiani che si sentivano minacciati dalla sua cultura, dalla sua sapienza e dalla vastità della sua conoscenza scientifica, (per alcuni autori monaci parabolani, un vero e proprio corpo di polizia che i vescovi di Alessandria usavano per mantenere l’ordine nelle città, guidati da un predicatore di nome Pietro), le tenne un agguato e, dopo averla tirata giù dal carro, la trascinò fino a una chiesa. Le furono strappate le vesti e venne letteralmente fatta a pezzi colpendola con dei cocci e, come afferma Il filosofo pagano Damascio che scrisse la sua biografia, le cavarono gli occhi mentre ancora respirava. Le varie parti smembrate del suo corpo furono portate al cosiddetto Cinerone, dove si bruciavano i rifiuti, in modo che di lei non rimanesse nulla.
<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio>Dopo la sua morte molti dei suoi studenti lasciarono Alessandria e cominciò il declino di quella città che era divenuta un famoso centro della cultura antica. L'inchiesta che seguì questo brutale assassinio venne ben presto archiviata per il forte legame che univa il vescovo Cirillo all'imperatore Teodosio, che se non fu il mandante fu sicuramente corresponsabile del fatto. Con la morte di Ipazia, simbolo d’amore per la verità, per la ragione, per la scienza che aveva fatto grande la civiltà ellenica, comincia quel lungo periodo oscuro in cui il fondamentalismo religioso tenta di soffocare la ragione.
<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio>La mancanza di ogni suo scritto rende problematico stabilire il contributo effettivo da lei prodotto al progresso del sapere matematico e astronomico della scuola di Alessandria, ma i suoi insegnamenti, nel Rinascimento, hanno sicuramente dato un notevole contributo nello sviluppo della geometria quantitativa piana e solida, la trigonometria, l'algebra, il calcolo infinitesimale e l'astronomia. Sono comunque attribuibili ad Ipazia:
<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio>1) Commento in tredici volumi all'Aritmetica di Diofanto (Il sec.), cui si devono lo studio delle equazioni indeterminate (le diofantee) e importanti elaborazioni delle equazioni quadratiche. Sviluppò soluzioni alternative a vecchi problemi e ne formulò di nuovi che vennero inglobati in seguito nell'opera di Diofanto.
<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio>2) Commento in otto volumi a Le coniche di Apollonio di Pergamo (3° sec. a.C.), un'analisi matematica delle sezioni del cono, figure che nel 15° secolo quando vennero usate per illustrare i cicli secondari e le orbite ellittiche dei pianeti.
<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio>3) Commento, insieme al padre Teone, all'Almagesto di Tolomeo, un’opera in tredici libri che raccoglieva tutte le conoscenze astronomiche e matematiche dell'epoca.
La Chiesa cattolica chiamata a scegliere fra perdono divino e eternità delle pene infernali
Il tema della misericordia è, senza alcun dubbio, uno dei temi più ricorrenti nel pensiero e nella predicazione di papa Francesco. Tema che, per essere pienamente compreso nella sua complessità concettuale, richiede di essere strettamente legato ad altri due temi a lui molto cari: quello del perdono e quello della gioia.
Al perdono, siamo perennemente chiamati, infatti, e soltanto dalla nostra sempre più sincera capacità di perdonare potrà nascere e dilagare in noi l’attitudine alla gioia del cuore. Ma possiamo apprendere ed abbracciare il perdono solo grazie all’esempio perfetto che incontriamo in Dio. Ed è possibile, pertanto, vivere una scelta religiosa imbevuta di gioia, l’unica veramente degna, proprio grazie alla consapevolezza della natura infinitamente misericordiosa di Dio. In pratica, solo ponendo al centro della riflessione teologica e della testimonianza della fede questa triade valoriale (misericordia-perdono-gioia), si potrà, secondo Francesco, intendere correttamente il messaggio evangelico e coerentemente viverlo. “Il Vangelo (…) invita con insistenza alla gioia” - dice il papa (Evangelii gaudium, cap.5) - e tale gioia è resa possibile dall’abbracciare e dal proporre, con sentita convinzione, un concetto di divinità liberato dalle caratteristiche tradizionali dell’ implacabilità e dell’ imperscrutabilità di un Dio inteso essenzialmente (e tragicamente) come Giudice supremo. Caratteristiche queste che hanno dominato per lunghi secoli in maniera schiacciante e devastante la vita della cristianità, producendo effetti rovinosi su tutti i piani.
“Dio - scrive Bergoglio - non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia”( Evangelii gaudium, cap.3).
Si parla spesso del carattere “rivoluzionario” di questo pontefice, corroborando tale tesi con innumerevoli elementi (dal celeberrimo “Buonasera!” al rifiuto della papamobile, dalle sue accuse al “vaticanocentrismo” alle sue scarpone nere, ecc.). Ma la centralità assoluta che viene sistematicamente assegnata alla sopra menzionata triade valoriale credo rappresenti la cosa più grande e innovativa che questo papa stia portando avanti. Anzi, la cosa più grande che qualsiasi vero grande riformatore ecclesiastico possa fare. Perché le implicazioni teorico-pratiche, se ben comprese, ci dovrebbero portare lontani anni luce dalla Chiesa cattolica intollerante, presuntuosa e spietata che la storia ci ha dolorosamente fatto conoscere e sperimentare.
Ma se vogliamo veramente cogliere il pensiero di Francesco in merito al principio della misericordia, evitando accuratamente di scivolare in fin troppo facili semplificazioni, non possiamo fare a meno di cimentarci nell’analisi di uno dei testi più belli da lui prodotti: la Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, Misericordiae Vultus.
Già all’inizio del testo, il papa scrive che
“Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia”. La misericordia, infatti, “È l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro”, la “via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato”. (cap.2)
“Dinanzi alla gravità del peccato - ribadisce Francesco - Dio risponde con la pienezza del perdono”, in quanto la misericordia “sarà sempre più grande di ogni peccato”, non potendo alcuno pretendere di imporre limitazioni di sorta “all’amore di Dio che perdona” .(cap.3)
Più avanti, il papa si sofferma sul ritornello che viene riportato a ogni versetto del Salmo 136 (“Eterna è la sua misericordia”), mentre si narra la storia della rivelazione di Dio, sostenendo che la sua continua ripetizione potrebbe venire interpretata come un tentativo di “spezzare il cerchio dello spazio e del tempo per inserire tutto nel mistero eterno dell’amore”. Come a voler affermare che “per l’eternità l’uomo sarà sempre sotto lo sguardo misericordioso del Padre”. (cap.7)
Concetto questo che, secondo Bergoglio, sarebbe ricorrente in tutto l’Antico Testamento ed evidenziato, in particolar modo, da incisive espressioni contenute nei Salmi, come, ad esempio:
“Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia” (103,3-4);
“Il Signore libera i prigionieri, il Signore ridona la vita ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, il Signore protegge i forestieri, egli sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi” (146,7-9).
Successivamente, riferendosi alla missione di Gesù, e ripetendo, con l’evangelista Giovanni, che “Dio è amore”, afferma con forza che in Gesù tutto parla di misericordia e che “Nulla in Lui è privo di compassione” (cap.8).
E, dopo aver menzionato le parabole evangeliche dedicate al tema della misericordia, Francesco mette in luce come, in esse, Dio venga “sempre presentato come colmo di gioia, soprattutto quando perdona”, e che, proprio in esse, si troverebbe il vero “nucleo del Vangelo”, perché “la misericordia è presentata come la forza che tutto vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono.” (cap.9)
Il perdono delle offese, infatti, andrebbe inteso come “l’espressione più evidente dell’amore misericordioso”, come “lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore”. (ib)
La misericordia, secondo Francesco, è la parola-chiave presente nella Sacra Scrittura “per indicare l’agire di Dio verso di noi”, di un Dio che “si sente responsabile” che “desidera il nostro bene e vuole vederci felici, colmi di gioia e sereni” (ib), di un Dio (per usare le parole del profeta Michea) che toglie l’iniquità e perdona il peccato (cap.17), che non serba per sempre la sua ira, ma che si compiace di usare misericordia, calpestando le nostre colpe e gettando “in fondo al mare tutti i nostri peccati” (cfr.7,18-19).
Il pregevole lavoro di rinnovamento teorico-pratico che papa Francesco sta portando avanti è, oramai, sotto il profilo dottrinario, giunto ad un bivio evidentissimo, cruciale e ineludibile: abbracciando ed enfatizzando il valore della misericordia divina, intesa come qualcosa “che non ha confini” (cap. 17) e come qualcosa che “va oltre la giustizia”, e sostenendo che “L’ira di Dio dura un istante, mentre la sua misericordia dura in eterno” (cap. 21), come potrà continuare la Chiesa cattolica, la Chiesa di questo papa straordinario, a credere e a chiedere di credere nell’esistenza dell’Inferno, nella stessa possibilità della dannazione eterna, ovvero nell’imperdonabilità e nell’irredimibilità della creatura umana? Anzi, di ogni creatura, includendo anche lo stesso Satana e tutti i suoi seguaci?! Ma una Chiesa senza più peccati da assolvere, indulgenze e benedizioni da elargire, intermediazioni salvifiche da effettuare … che Chiesa sarebbe? Una Chiesa senza più angeli decaduti e principi delle tenebre da combattere e sgominare, senza più, soprattutto, l’incubo sommamente angosciante della dannazione eterna … che Chiesa sarebbe?
Ovvero: se la salvezza è garantita (a prescindere da tutto e da tutti) dall’infinita misericordia divina, cosa potrebbe mai restare, sul piano teorico, dell’opera salvifica e redentrice di Gesù-Figlio di Dio e, sul piano pratico, del ruolo della sua presunta sposa-erede-prosecutrice?!
Ma credo che sia giunto, dopo gli illuminati passi compiuti da questo pontefice, il momento di operare una scelta chiara e netta, volta all’abbandono di ogni ambiguità e contraddittorietà.
La Chiesa, cioè (auspicabilmente già nella persona di Francesco), deve dire a se stessa e al mondo se, a livello dottrinale, al di là dei discorsi più o meno toccanti che questo o altri papi potranno e vorranno regalarci, preferisce restare ancorata alle posizioni tradizionali o se, invece, intende orientarsi fino alle estreme conseguenze logiche nella direzione indicata dalla Misericordiae Vultus.
Ovvero, se continuare a credere nell’“interminabilità delle pene degli empi” destinati al “fuoco inestinguibile” (S.Agostino), nella reale esistenza di una condanna “senza scampo a patire quei fetori, quegli orrori, quel tormentoso fuoco eterno (…) quel cumulo di supplizi che producono un morire che non ha fine” (S.Bernardo di Chiaravalle),nella indiscutibile verità del fatto che “le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale” siano destinate a discendere “immediatamente negli, inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, ‘il fuoco eterno’” (Catechismo della Chiesa Cattolica). O se, al contrario, il concetto stesso di eternità delle pene debba essere archiviato e rinchiuso in soffitta, lasciando spazio aperto e incontrastato all’infinita fiducia/certezza nell’illimitata compassione divina e nell’infinita capacità di perdonare tutte le colpe di tutte le creature, alla convinzione che tutte le creature (nessuna esclusa) saranno accolte nella “casa del Padre” e che tutto e tutti saranno abbracciati, trasformati e redenti dall’infinita potenza del perdono divino.