L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Spirituality (82)


 
Franco Libero Manco
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La Chiesa cattolica chiamata a scegliere fra perdono divino e eternità delle pene infernali

 

 Il tema della misericordia è, senza alcun dubbio, uno dei temi più ricorrenti nel pensiero e nella predicazione di papa Francesco. Tema che, per essere pienamente compreso nella sua complessità concettuale, richiede di essere strettamente legato ad altri due temi a lui molto cari: quello del perdono e quello della gioia.

Al perdono, siamo perennemente chiamati, infatti, e soltanto dalla nostra sempre più sincera capacità di perdonare potrà nascere e dilagare in noi l’attitudine alla gioia del cuore. Ma possiamo apprendere ed abbracciare il perdono solo grazie all’esempio perfetto che incontriamo in Dio. Ed è possibile, pertanto, vivere una scelta religiosa imbevuta di gioia, l’unica veramente degna, proprio grazie alla consapevolezza della natura infinitamente misericordiosa di Dio. In pratica, solo ponendo al centro della riflessione teologica e della testimonianza della fede questa triade valoriale (misericordia-perdono-gioia), si potrà, secondo Francesco, intendere correttamente il messaggio evangelico e coerentemente viverlo. “Il Vangelo (…) invita con insistenza alla gioia” - dice il papa (Evangelii gaudium, cap.5) - e tale gioia è resa possibile dall’abbracciare e dal proporre, con sentita convinzione, un concetto di divinità liberato dalle caratteristiche tradizionali dell’ implacabilità e dell’ imperscrutabilità di un Dio inteso essenzialmente (e tragicamente) come Giudice supremo. Caratteristiche queste che hanno dominato per lunghi secoli in maniera schiacciante e devastante la vita della cristianità, producendo effetti rovinosi su tutti i piani.

   “Dio - scrive Bergoglio - non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia”( Evangelii gaudium, cap.3).

   Si parla spesso del carattere “rivoluzionario” di questo pontefice, corroborando tale tesi con innumerevoli elementi (dal celeberrimo “Buonasera!” al rifiuto della papamobile, dalle sue accuse al “vaticanocentrismo” alle sue scarpone nere, ecc.). Ma la centralità assoluta che viene sistematicamente assegnata alla sopra menzionata triade valoriale credo rappresenti la cosa più grande e innovativa che questo papa stia portando avanti. Anzi, la cosa più grande che qualsiasi vero grande riformatore ecclesiastico possa fare. Perché le implicazioni teorico-pratiche, se ben comprese, ci dovrebbero portare lontani anni luce dalla Chiesa cattolica intollerante, presuntuosa e spietata che la storia ci ha dolorosamente fatto conoscere e sperimentare.

   Ma se vogliamo veramente cogliere il pensiero di Francesco in merito al principio della misericordia, evitando accuratamente di scivolare in fin troppo facili semplificazioni, non possiamo fare a meno di cimentarci nell’analisi di uno dei testi più belli da lui prodotti: la Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, Misericordiae Vultus.

   Già all’inizio del testo, il papa scrive che

         “Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia”. La misericordia, infatti,  “È l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro”, la “via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato”. (cap.2)

Dinanzi alla gravità del peccato - ribadisce Francesco - Dio risponde con la pienezza del perdono”, in quanto la misericordia “sarà sempre più grande di ogni peccato”, non potendo alcuno pretendere di imporre limitazioni di sorta “all’amore di Dio che perdona” .(cap.3)

Più avanti, il papa si sofferma sul ritornello che viene riportato a ogni versetto del Salmo 136 (“Eterna è la sua misericordia”), mentre si narra la storia della rivelazione di Dio, sostenendo che la sua continua ripetizione potrebbe venire interpretata come un tentativo di “spezzare il cerchio dello spazio e del tempo per inserire tutto nel mistero eterno dell’amore”. Come a voler affermare che “per l’eternità l’uomo sarà sempre sotto lo sguardo misericordioso del Padre”. (cap.7)

Concetto questo che, secondo Bergoglio, sarebbe ricorrente in tutto l’Antico Testamento ed evidenziato, in particolar modo, da incisive espressioni contenute nei Salmi, come, ad esempio:

   “Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia” (103,3-4);

Il Signore libera i prigionieri, il Signore ridona la vita ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, il Signore protegge i forestieri, egli sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi” (146,7-9).

Successivamente, riferendosi alla missione di Gesù, e ripetendo, con l’evangelista Giovanni, che “Dio è amore”, afferma con forza che in Gesù tutto parla di misericordia e che “Nulla in Lui è privo di compassione” (cap.8).

E, dopo aver menzionato le parabole evangeliche dedicate al tema della misericordia, Francesco mette in luce come, in esse, Dio venga “sempre presentato come colmo di gioia, soprattutto quando perdona”, e che, proprio in esse, si troverebbe il vero “nucleo del Vangelo”, perché “la misericordia è presentata come la forza che tutto vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono.” (cap.9)

Il perdono delle offese, infatti, andrebbe inteso come “l’espressione più evidente dell’amore misericordioso”, come “lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore”. (ib)

dsLa misericordia, secondo Francesco, è la parola-chiave presente nella Sacra Scrittura “per indicare l’agire di Dio verso di noi”, di un Dio che “si sente responsabile” che “desidera il nostro bene e vuole vederci felici, colmi di gioia e sereni” (ib), di un Dio (per usare le parole del profeta Michea) che toglie l’iniquità e perdona il peccato (cap.17), che non serba per sempre la sua ira, ma che si compiace di usare misericordia, calpestando le nostre colpe e gettando “in fondo al mare tutti i nostri peccati” (cfr.7,18-19).

Il pregevole lavoro di rinnovamento teorico-pratico che papa Francesco sta portando avanti è, oramai, sotto il profilo dottrinario, giunto ad un bivio evidentissimo, cruciale e ineludibile: abbracciando ed enfatizzando il valore della misericordia divina, intesa come qualcosa “che non ha confini” (cap. 17) e come qualcosa che “va oltre la giustizia”, e sostenendo che   “L’ira di Dio dura un istante, mentre la sua misericordia dura in eterno” (cap. 21), come potrà continuare la Chiesa cattolica, la Chiesa di questo papa straordinario, a credere e a chiedere di credere nell’esistenza dell’Inferno, nella stessa possibilità della dannazione eterna, ovvero nell’imperdonabilità e nell’irredimibilità della creatura umana? Anzi, di ogni creatura, includendo anche lo stesso Satana e tutti i suoi seguaci?! Ma una Chiesa senza più peccati da assolvere, indulgenze e benedizioni da elargire, intermediazioni salvifiche da effettuare … che Chiesa sarebbe? Una Chiesa senza più angeli decaduti e principi delle tenebre da combattere e sgominare, senza più, soprattutto, l’incubo sommamente angosciante della dannazione eterna … che Chiesa sarebbe?

Ovvero: se la salvezza è garantita (a prescindere da tutto e da tutti) dall’infinita misericordia divina, cosa potrebbe mai restare, sul piano teorico, dell’opera salvifica e redentrice di Gesù-Figlio di Dio e, sul piano pratico, del ruolo della sua presunta sposa-erede-prosecutrice?!

Ma credo che sia giunto, dopo gli illuminati passi compiuti da questo pontefice, il momento di operare una scelta chiara e netta, volta all’abbandono di ogni ambiguità e contraddittorietà.

La Chiesa, cioè (auspicabilmente già nella persona di Francesco), deve dire a se stessa e al mondo se, a livello dottrinale, al di là dei discorsi più o meno toccanti che questo o altri papi potranno e vorranno regalarci, preferisce restare ancorata alle posizioni tradizionali o se, invece, intende orientarsi fino alle estreme conseguenze logiche nella direzione indicata dalla Misericordiae Vultus.

Ovvero, se continuare a credere nell’“interminabilità delle pene degli empi” destinati al “fuoco inestinguibile” (S.Agostino), nella reale esistenza di una condanna “senza scampo a patire quei fetori, quegli orrori, quel tormentoso fuoco eterno (…) quel cumulo di supplizi che producono un morire che non ha fine” (S.Bernardo di Chiaravalle),nella indiscutibile verità del fatto che “le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale” siano destinate a discendere “immediatamente negli, inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, ‘il fuoco eterno’” (Catechismo della Chiesa Cattolica). O se, al contrario, il concetto stesso di eternità delle pene debba essere archiviato e rinchiuso in soffitta, lasciando spazio aperto e incontrastato all’infinita fiducia/certezza nell’illimitata compassione divina e nell’infinita capacità di perdonare tutte le colpe di tutte le creature, alla convinzione che tutte le creature (nessuna esclusa) saranno accolte nella “casa del Padre” e che tutto e tutti saranno abbracciati, trasformati e redenti dall’infinita potenza del perdono divino.

Da sempre l’uomo vive un rapporto conflittuale con il mondo animale considerandolo  spesso un pericolo ma quasi sempre un semplice strumento per le sue necessità. Nella sua visione antropocentrica  ha sottomesso, sfruttato, ucciso animali di ogni specie come fossero oggetti senza valore e senza diritto. Ma i tempi erano diversi, tempi in cui la durezza dell’esistenza limitava le regole del rispetto e del diritto alla sola specie umana. Ma oggi, con l’emergere di una nuova coscienza, in virtù dell’evoluzione civile, morale e spirituale, le nuove generazioni sono chiamate a confrontarsi con una realtà che supera qualunque passata e presente visione antropologica, filosofica, culturale, religiosa, spirituale e approdare alla consapevolezza della comune appartenenza alla medesima famiglia dei viventi con il medesimo diritto alla libertà, al rispetto e alla vita. E questa sarà la condizione per traghettare l’essere umano verso una visione universalista e a renderlo finalmente in grado di porre le basi per un mondo migliore.

Un giorno certamente tutta l’umanità sarà vegan: è un processo evolutivo nell’ordine naturale delle cose; ma non saranno i benefici della dieta a far diventare vegan gli esseri umani, sarà invece il rifiuto di essere complici della sofferenza e dell’uccisione degli animali; non sarà perché tutti avranno compreso che il mangiar carne causa malattie (sarà anche per questo ma non per questo); non sarà perché l’alimentazione carnea rende peggiore l’uomo sul piano morale e spirituale (sarà anche per questo ma non per questo); non sarà perché la carne causa distruzione dell’ambiente, della biodiversità, dei cambiamenti climatici (sarà anche per questo ma non per questo); non  sarà perché causa inquinamento, sperpero di risorse naturali ed economiche, di acqua, energia, scioglimento dei ghiacciai, fame nel mondo (sarà anche per questo ma non per questo):  sarà perché l’evoluzione civile, morale e spirituale avrà attuato il suo corso; sarà perché la coscienza umana sarà più giusta e sensibile; sarà perché l’animale non sarà più considerato cosa da mangiare ma esseri senzienti come noi di forma diversa; sarà perché  l’uomo saprà apprezzare il valore delle differenze biologiche e la bontà e il senso di giustizia avranno il sopravvento sull’indifferenza e sull’egoismo umano. L’uomo imparerà a rispettare la natura non perché la privazione della stessa la prova di un bene, ma perché le piante saranno considerate esseri senzienti individuali non più massa indistinta.

Un giorno la spregevole pratica vivisettoria sarà abolita, non perché sarà condivisa da tutti la sua inutilità e dannosità per la stessa salute degli umani (sarà anche per questo ma non per questo), ma perché sarà considerato un crimine torturare un essere senziente per i presunti vantaggi dell’uomo. Un giorno la caccia sarà abolita e le future generazioni si vergogneranno delle precedenti che hanno tollerato che qualcuno potesse legalmente uccidere esseri inermi ed innocenti per mero divertimento.

            Un giorno anche la pesca sarà abolita, non perché l’umanità sarà consapevole che  anche gli animali marini sono dannosi per la salute umana (sarà anche per questo ma non per questo), ma perché sarà considerato un delitto violentare le creature del mare. Così come ogni altra forma di maltrattamento, di coercizione, di violenza sarà abolita non quando la legge imporrà il rispetto degli di ogni animale, ma quando l’essere umano sarà finalmente consapevole che tra noi e gli altri animali c’è solo una differenza di forma non di sostanza.

Un giorno la coscienza umana approderà da uno stadio di primordiale insensibilità e violenza ad una cultura di solidale condivisione e di valorizzazione della vita in tutte le sue manifestazioni; sarà perché uccidere animali per mangiare il loro corpo sarà considerato  un fatto indegno per un essere civile, evoluto, maturo, intelligente; sarà perché l’essere umano avrà finalmente una coscienza in grado di percepire l’universale sofferenza degli animali e si rifiuterà di essere complice di questo millenario olocausto.

Chi non si nutre di animali per motivazioni salutistiche difficilmente è capace di coerenza per lungo tempo. Chi lo è per motivazioni ecologiche difficilmente rinuncerà del tutto ai piaceri gastronomici. Anche la consapevolezza dell’impatto sulla fame nel mondo difficilmente porterà gli stessi operatori alla rinuncia dello sfruttamento degli animali. Per questo essere vegan per motivazioni diverse da quelle etiche non basterà a salvare gli animali dalla schiavitù umana: solo una nuova coscienza umana aperta alla maturità dello spirito e alla nuova civiltà universalista, giusta e compassionevole, responsabile ed evoluta, libererà gli animali dal sistematico massacro e porrà le basi di un mondo migliore dell’attuale.

Sarà l’etica dell’ Universalismo a rendere l’essere umano capace di preservare l’ordine naturale delle cose, passando dalla coscienza individuale alla coscienza collettiva, superando lo steccato antropocentrico per estendere il diritto all’esistenza dall’uomo ad ogni essere senziente: saranno i valori fondamentali dello spirito universalista a rendere possibile il positivo comportamento anche tra gli umani.

Chiedere molto a se stessi e poco agli altri questa credo sia la strategia migliore per aprire brecce nella mente e nella coscienza di chi non si cura né di se stesso né del destino collettivo.

Ma nessuna rivoluzione si attua in un giorno: ognuno ha tempi diversi di maturità e consapevolezza.

Ecco dunque che la possibilità di liberare gli animali dalla tirannide umana passa inevitabilmente attraverso la crescita civile, morale e spirituale della specie umana, di ognuno di noi. Solo se l’uomo sarà migliore gli animali saranno salvati, risparmiati, liberati, affrancati: dalla liberazione della sconfinata massa di schiavi/morituri,  che da millenni implorano inascoltati, l’uomo salverà se stesso, dalla sua stessa insensata, primordiale violenza fratricida: questa è la condizione per la pace.

Diversamente da quanto riportato nei Vangeli canoni in merito alla poca considerazione di Gesù per gli animali  e l’astinenza dalla carne, in alcuni episodi dei Vangeli apocrifi troviamo un Gesù tutt’altro che indifferente verso la condizione degli animali .

In un primo tempo i Vangeli apocrifi non erano affatto considerati tali, e alcuni Padri della Chiesa si fecero garanti di quei testi poi condannati. La maggior parte degli antichi teologi di derivazione apostolica li ritennero assolutamente veri e alcuni talvolta preferiti a quelli neotestamentari. E talune parti vennero anche interpolate nei testi canonici, come il Protovangelo di Giacomo a cui fa riferimento la Chiesa per ciò che concerne alcuni episodi della madre di Gesù. Il Padre della Chiesa Clemente Alessandrino, tra il 190 e il 210, annovera tra le sacre scritture il Vangelo degli Ebrei e il    Vangelo degli Egizi e numerose lettere apostoliche poi considerate eretiche.

Nel Vangelo degli Ebrei Gesù dice: "Sono venuto ad abolire i sacrifici e se non cesserete di fare sacrifici non si allontanerà da voi l'ira di Dio".

Nel Vangelo degli Ebioniti (comunità vegetariana con un profondo rispetto per gli animali) quando un discepolo gli chiede: "Dove vuoi che prepariamo per te, per consumare la Pasqua? Gesù risponde: "Ho forse manifestato il desiderio di mangiare carne con voi questa Pasqua"?

Nell’aramaico “Vangelo della vita perfetta” si legge: “Maledetti siano i cacciatori perché saranno a loro volta cacciati”.

Nelle pergamene del Mar Morto, scoperte nel 1947 in una località dove vissero gli Esseni, l’Angelo dice a Maria: “Tu non mangerai carne né berrai bevande forti perché il bambino sarà consacrato a Dio dal ventre di sua madre.” Negli stessi testi Gesù dice: “Siate rispettosi e compassionevoli non solo verso i vostri simili ma verso tutte le creature poste sotto la vostra tutela”. E troviamo ancora Gesù che rimprovera aspramente i pescatori: “Forse che i pesci vengono a voi a chiedere la terra e i suoi frutti?” Lasciate le reti e seguitemi”.

Il Vangelo dei Dodici Santi, riscoperto nel 1888 e tradotto dall'Aramaico dal Reverendo Gideon Jasper Ouseley: " Queste sono le creature vostre compagne della grande casa di Dio, sono vostri fratelli e sorelle e condividono lo stesso respiro di vita nell'Eterno. E chiunque si prenda cura di una delle ultime di queste donandole da mangiare e da bere secondo le sue necessità è come se lo facesse a me."  Prima di tutte le cose c'è l'amore, amatevi gli uni con gli altri e amate tutte le creature di Dio, e da questo tutti gli uomini sapranno che siete miei discepoli".

Dal Vangelo Esseno della Pace di Gesù Cristo secondo l’apostolo Giovanni delle Chiese Cristiane d’Oriente, originale in aramaico del 3° sec. d.C. Bibl. Vat. 156-P,  pubblicato nel 1928 da Edmond Bordeaux Szekely, tradotto da un antico manoscritto da lui scoperto nell’archivio segreto del Vaticano:

“Io in verità ve lo dico: colui che uccide uccide se stesso e colui che mangia la carne degli animali abbattuti mangia  un corpo di morte. Io vi chiederò conto del loro sangue spumeggiante, il loro sangue nel quale dimora l’anima.  Io vi chiederò conto di ogni animale ucciso. Chi uccide un animale uccide suo fratello e la carne degli animali uccisi nel suo corpo diventerà la sua stessa tomba. Chi si nutre della carne degli animali uccisi mangia un corpo di morte. Non uccidete e non mangiate la carne delle vostre prede innocenti se non volete diventare schiavi di Satana: questo è il sentiero che conduce alla morte attraverso la sofferenza. Poiché la vita viene solo dalla vita e dalla morte viene solo la morte. Non uccidete dunque né uomini né animali perché i vostri corpi diventano ciò che mangiate e il vostro spirito ciò che pensate. Io vi chiederò conto di ogni animale ucciso come di ogni uomo”.

-          Il Libro Esseno di Mosè: “Non ucciderai nessuna cosa vivente: la vita viene solo da Dio che la dà e la riprende”.

-          La Pace Settupla, Gesù dice: “Se qualcuno che soffre dolori e gravi affezioni  vi chiede aiuto, esortatelo a rinnovare se stesso col digiuno e la preghiera. Ditegli di invocare l’Angelo del Sole, l’Angelo dell’Acqua e l’Angelo dell’Aria affinché essi possano entrare nel suo corpo e scacciare il potere di Satana. Persuatelo a mangiare sempre alla mensa apparecchiata con i doni di nostra Madre Terra: i frutti degli alberi, le erbe dei campi. Egli non dovrà evocare il potere di Satana nutrendosi della carne degli animali perché chi uccide uccide suo fratello e chi mangia la carne di bestie uccise mangia il corpo della morte. Ditegli di preparare il suo cibo con il fuoco della vita non con il fuoco della morte”.

Come conciliare la legittimità del consumo di carne della Chiesa con le molte dichiarazioni di molti Padri, Santi della prima Chiesa cristiana e le stesse regole della maggior parte dei Fondatori di Ordini monastici sviluppatisi dopo la morte di Gesù?

I PADRI DELLA CHIESA

Eusebio di Cesarea diceva che tutti gli apostoli di Cristo si astenevano dalla carne. Secondo Eusebio, Egesippo scrive nella Storia della Chiesa che Giovanni non mangiò mai la carne.

Tertulliano scrive che durante i primi secoli i cristiani primitivi non toccarono mai carne: “Non è permesso a noi cristiani assaggiare pietanze nelle quali potrebbe essere stato mescolato il sangue di un animale .

S. Pietro nelle Omelie Clementine, XII,6 rec. VII,6. afferma: “Mangiare carne è innaturale quanto la pagana adorazione dei demoni. Io vivo di pane e olive, ai quali aggiungo solo di rado qualche verdura”.

S. Girolamo affermano: “Dopo che Cristo è venuto non ci è più consentito mangiare la carne”.

S. Ambrogio afferma: “La carne fa cadere anche le aquile che volano”.

S. Giovanni Crisostomo scrive: “Mangiare la carne è innaturale e impuro”.

Gregorio di Nazianzo: “L’ingordigia di pietanze a base di carne è un’ingiustizia abominevole”.

Basilio il Grande: “Il corpo appesantito con cibi a base di carne viene afflitto dalle malattie. Si può difficilmente amare la virtù quando si gioisce di piatti e banchetti a base di carne. La carne è un alimento contro natura che appartiene ad un mondo passato” .

S. Clemente Romano dice che S. Pietro si nutriva di pane, olive ed erbe.

Porfirio: “Gesù ci ha portato il cibo divino, il cibo carneo è nutrimento dei demoni”.

S. Clemente Alessandrino: “La carne ottenebra l’anima. Dobbiamo cibarci come Adamo prima della caduta, non come Noè dopo il peccato. I nostri corpi sono simili a tombe di animali uccisi. Credo che i sacrifici cruenti siano stati inventati solo dalle persone che cercavano un pretesto per mangiare carne”. Diceva pure che Matteo si nutriva di semi, frutta ed erbaggi. (Pedagogo II,1-16).

I DANNI DI SAN PAOLO

S. Paolo: “Tutto è mondo, d’accordo: ma è male per un uomo mangiare dando scandalo. Perciò è bene non mangiare carne, né bere vino, né altra cosa per la quale tuo fratello possa scandalizzarsi (Lettera ai Romani: 14-20).

“Tutto è lecito ma non tutto è utile. Tutto ciò che è in vendita sul mercato mangiatelo pure, senza indagare per motivo di coscienza. Se qualcuno vi invita, mangiate tutto quello che vi viene posto davanti, senza fare questioni per motivo di coscienza” (Lettera ai Corinzi: 10-27).

“Forse che Dio si prende cura dei buoi”? (Lettera ai Corinzi. 9-9).

Nel concetto giudaico, la sofferenza e il sangue versato dell’innocente purifica le colpe del peccatore: “Quasi tutte le cose vengono purificate con il sangue e senza spargimento di sangue non esiste perdono” (Lettera agli Ebrei: 9-22).

Una bella pagina tra storia e leggenda

La leggenda di San Giuliano, originaria del Quarto Secolo, ma trasferita dalla penna di Gustave Flaubert nella Francia feudale, narra la storia di una curiosa conversione.


Giuliano è cacciatore sanguinario fin dall’adolescenza. È dedito allo sterminio sistematico di qualunque animale, e il bosco che circonda il castello si tinge del sangue dei suoi animali. Poi è la volta di altri boschi più lontani, di animali meno noti, fino a che il cavaliere non s’imbatte in una famiglia di cervi. Il cervo, nero e gigantesco, con la barba bianca, aveva otto ramificazioni per ogni corno. La cerva, bionda come le foglie secche, brucava l’erba, e il cerbiatto dal pellame picchiettato le si attaccava alle mammelle senza impedirle di avanzare. Ancora una volta fischiò la balestra; prima stramazzò ucciso il cerbiatto e la madre, alzando gli occhî al cielo, emise un gemito profondo, straziante, umano. Giuliano la stese a terra con un colpo in pieno petto. Il grande cervo con un balzo gli mosse incontro, ma egli scagliò l’ultima freccia, che gli si conficcò nella fronte. Parve non accorgersene neppure e, scavalcando i due corpi abbattuti, l’animale avanzava sempre e stava per buttarglisi addosso e sventrarlo. Giuliano indietreggiava preso da un terribile spavento, quando il cervo prodigioso si fermò, solenne come un patriarca, come un vendicatore, con gli occhî fiammeggianti e, mentre una campana rintoccava lontano, ripeté tre volte: «Maledetto, maledetto, maledetto! Verrà un giorno, o cuore crudele, che tu ucciderai tuo padre e tua madre!» Poi piegò le ginocchia, chiuse lentamente gli occhî e spirò.» Giuliano, atterrito e tremante, sudato e sporco, si abbandonò al pianto.


Giuliano, rientrato smarrito al castello, è ossessionato dalla funesta profezia del cervo parlante. Non mangia, non dorme, non sorride, fugge tutto e tutti, per primi i proprî genitori onde evitare di arrecare loro del male.
Un giorno, mentre il giovane sta pulendo un trofeo d’armi attaccato al muro, l’aguzza spada si stacca e va a piantarsi a un millimetro dal vecchio padre che regge la scala al figlio: primo segnale.
Un altro giorno a Giuliano par di vedere, oltre un muro divisorio del cortile, volare una colomba; arma l’arco e veloce scocca. Un urlo! La colomba non era altro che il velame del copricapo della madre, scampata fortunatamente alla morte. Giuliano non ha bisogno d’altro: lascia il castello e si fa cavaliere di ventura; erra di corte in corte, combattendo ora per l’uno ora per l’altro signore.


«Soffrí la fame, la sete, la febbre, i pidocchî. Si abituò al clamore delle mischie, all’angoscia dei moribondi. Sconfisse tutti coloro che osarono sfidarlo in lizza. Giuliano proteggeva il clero, gli orfani, le vedove e soprattutto i vecchi. Schiavi in fuga, contadini in rivolta, bastardi privi di tutto, fegatacci d’ogni risma accorsero sotto le sue bandiere. Ne formò un esercito. Di volta in volta, soccorse il Delfino di Francia e il Re d’Inghilterra, i Templari di Gerusalemme e l’imperatore di Calcutta. Combatté contro gli Scandinavi ricoperti di squame di pesce, contro i Negri dagli scudi rotondi di pelle d’ippopotamo e montati su asini rossi, contro gli Indiani color dell’oro che, alte sopra i loro diademi, brandivano larghe sciabole lucenti come specchi. Sconfisse i Trogloditi e gli Antropofagi. Fu richiesto il suo coraggio da repubbliche in difficoltà. Donava l’indipendenza ai popoli, liberava le regine imprigionate nelle torri. Grandi successi per Giuliano che, cacciando i Mori dall’Occetania, si conquista la gratitudine del re cristiano che gli offre la figlia in sposa. Nuova vita, residenza sfarzosa, un esercito di servitori, una sposa dolcissima.


Giuliano aveva smesso di guerreggiare. Riposava attorniato da un popolo mansueto. Ma anche la caccia ha il suo demone e la sua divinità che esige continui sacrifici. Lo assaliva il desiderio di inseguire nel deserto le gazzelle e gli struzzi, di nascondersi tra i bambú per spiare il passaggio dei leopardi, di attraversare foreste infestate dai rinoceronti, di salire in cima alle montagne più impervie per prendere meglio di mira le aquile, e di affrontare gli orsi bianchi sui bastioni ghiacciati del mare.


I sogni contengono sempre però nel loro nocciolo l’incubo, e le prede della caccia erano sempre associate, nella sua mente, all’oscura profezia del cervo e alla morte dei suoi genitori. Partito Giuliano in spedizione venatoria, giunsero al castello una coppia di anziani coniugi che poi si qualificarono alla giovane donna come i genitori di Giuliano, che da anni vagavano per il mondo alla ricerca del figli cosí misteriosamente fuggito. La moglie di Giuliano li accolse regalmente, li fece rifocillare, e diede loro la propria stanza nuziale.


Intanto per Giuliano nel cuore del bosco si appresta una strana caccia: gli animali senza paura escono dalle loro tane, dai nascondigli, e una forza soprannaturale impedisce al cacciatore di colpirli e rende lievi come piume le sue frecce. Fu sopraffatto dalla vergogna. Un potere soprannaturale annientava le sue forze, e rientrò dalla foresta per tornare al castello. Ed ecco ricomparire tutti gli animali che egli aveva cacciato, e stringersi in cerchio attorno a lui. Alcuni seduti sulle natiche, altri ritti sulle zampe. Stava in mezzo al cerchio, agghiacciato dal terrore, incapace di fare il piú piccolo movimento! Le iene lo precedevano, il lupo e il cinghiale lo seguivano. Alla sua destra il bufalo avanzava dondolando il testone, e alla sua sinistra il serpente si snodava nell’erba, mentre la pantera arcuando la schiena muoveva i suoi passi di velluto. Egli rallentava piú che poteva per non irritarli; e intanto vedeva sbucare fuori dal fitto dei cespugli porcospini, volpi, vipere, orsi e sciacalli. Il corteo lo accompagna minaccioso, finché Giuliano non rientra trafelato e sconvolto al castello. Va, brancolando al buio, verso il talamo, sente a tentoni la barba di un uomo, un uomo che giace in letto con sua moglie! In preda al delirio afferra la spada e uccide orribilmente gli anziani ospiti, i suoi genitori. La moglie accorre e urla inorridita, rivelandogli la vera identità dei due vecchi. Quando, alla luce delle fiaccole, Giuliano riconosce i genitori, la profezia del cervo si è tragicamente avverata. Annichilito, abbandona tutto, moglie, castello, per condurre una vita da romito e mendicante, fino alle peggiori umiliazioni dell’altrui pietà e disprezzo per espiare la colpa dell’orribile delitto. Si tortura con aguzzi cilici, cerca la morte nel tentativo di salvare altre vite, si sottopone a tutte le fatiche fisiche.
Dopo aver cacciato animali e uomini, ora Giuliano è a caccia di Dio. E quel Dio, comparsogli prima come cervo minacciosamente profetico, ora gli si rivela come l’ultimo dei reietti: il lebbroso che ha bisogno di cibo, di cure, di calore, a cui Giuliano dà ospitalità nella sua capanna. Mentre lo assiste, il lebbroso gli si rivela in tutto lo splendore divino.

Emulando le popolazione primitive si prospetta all’orizzonte la “geniale” idea di consumare formiche, insetti, vermi,  grilli, bachi da seta, lombrichi, rettili e tutto ciò che si muove, nella folle, insensata, rivoltante convinzione che occorre ricorrere a tali espedienti alimentari per poter nutrire un’umanità in crescita esponenziale ed assicurarsi le
famigerate proteine animali che alcuni pseudo nutrizionisti di stampo ottocentesco continuano a considerare essenziali per la buona salute umana.
Se lo scopo di ricorrere ai vermi è quello di sfamare l’umanità vale la pena ricordare che attualmente gli animali d’allevamento consumano derrate alimentari quanto 9 miliardi di persone e che solo in Italia gli alimenti consumati dagli allevamenti basterebbero a nutrire 140 milioni di esseri umani.

E mentre la maggior parte dei paesi dell’UE vieta l’uso degli insetti a scopo alimentare, arriva il via libera di  Strasburgo su questa rivoltante prospettiva (già la Fao nel 2013 si era pronunciata a favore degli insetti per sfamare la popolazione). Intanto Cina, Thailandia, Stati Uniti e Olanda si stanno preparando a coltivare insetti su larga scala e già nei supermercati inglesi è possibile trovare buste di vermi, grilli e cavallette liofilizzate; in Olanda hamburger di insetti; in Belgio una pasta spalmabile di vermi. Anche se in molti casi si raccomanda di scartare le zampe per evitare soffocamento .Per fortuna, secondo la Coldiretti, in Italia solo l’8% della popolazione assaggerebbe un insetto.

Con questa prospettiva avremo bistecche in provetta e carni di animali clonati, sostanze prodotte da funghi, alghe e batteri, anche se questi prodotti non hanno ancora avuto rassicurazioni in merito alla loro sicurezza da parte dell’Autorità europea e molto dipenderà dai mangimi e tecniche di allevamento. Ma ci consentiranno di nutrirci meglio, di inquinare meno e ridurre le emissioni di gas serra. Molti popoli da tempo si nutrono di animali che gli occidentali escludono dalla loro dieta perché considerati ripugnanti: scorpioni, serpenti, ragni, rane ecc. anche se gli occidentali usano mangiare lumache e ogni specie di animali erbivori che certe etnie considerano sacri.

A miliardi di miliardi piccoli e indispensabili animali per l’equilibrio biologico verrebbero arrostiti, fritti, lessati, frullati; animali che hanno la sola colpa di essere piccoli ma la cui ingegnosità e intelligenza spesso supera gli animali di grossa mole.

Il valore intrinseco di un animale non viene determinato dalla sua grandezza fisica. Se guardassimo con lente  d’ingrandimento ognuno di queste piccole creature ci accorgeremmo che ogni singolo individuo ha le identiche caratteristiche e le esigenze vitali di un animale di grossa mole. Ma la nostra visione delle cose è corta, non va oltre la lunghezza del nostro naso e consideriamo degni di rispetto e protezione solo quegli animali che rapportiamo alla nostra dimensione corporea.

Il disprezzo del minuto, del piccolo, dell’indifeso testimonia la mancanza di percezione dell’armonia che tutto pervade e questo lascia l’individuo nell’ignoranza e nell’incapacità di apprezzare e valorizzare lo stupefacente valore della vita e di conseguenza l’incapacità di aprirsi all’amore anche verso gli esseri umani.

Il rinnovamento della coscienza umana passa necessariamente attraverso un cambio di percezione dei valori, dal grande al piccolo, superando la cieca e limitante visione antropocentrica che percepisce e valorizza solo il grande al quale abitua a sacrificare il piccolo. L’inversione di percezione, valorizzazione e rispetto consentirà al genere umano di aprirsi alla vera realtà che si esprime nell’interazione delle multiformi diversità e inevitabilmente indurrà il genere umano all’empatia e all’armonia verso i suoi stessi simili.

La prospettiva di consumare insetti si pone in senso diametralmente opposto alla nostra visione delle cose nella quale vediamo non solo la fine del millenario massacro di ogni specie diversa dall’uomo ma nella valorizzazione del piccolo il mezzo più evoluto ed efficace capace di consentire il superamento dei grandi problemi dell’umanità   collegati alla mancanza di giustizia, di sensibilità e condivisione. Le persone di buon senso, raziocinio e dignità umana si attiveranno per ostacolare in ogni modo questa degradante prospettiva.

Ermete Trismegisto, il primo grande iniziatore in Egitto alla dottrina esoterica. Dai greci considerato tre volte  grande:re, legislatore e sacerdote. Scrisse 42 libri. Resterà centro e vetta di iniziazione egiziana.
Per Ermete Trismegisto il piccolo è come il grande: “Nulla è piccolo e nulla è grande agli occhi di Dio. Solo colui che è libero può liberare. Colui che comanda se stesso può comandare gli altri. Non fate soltanto il bene ma siate buoni e il movente non sia nei frutti ma nell’azione”.

E’ tendenza comune nutrire ottimismo guardando solo le cose positive della vita e soprattutto non accusare sensi di colpa per i propri  eventuali errori. Certo non è possibile trattare in modo semplicistico il problema dei “sensi di colpa” che induce ad sentirsi responsabili del male compiuto e che può indurre angoscia, tristezza, sconforto, dolore, depressione. Per Freud la vera colpa è la conseguenza non la causa (che risiede nell’intenzione inconscia che può portare a commettere un delitto), la cui origine è nel complesso di Edipo in quanto da esso deriva la possibilità di distinguere tra bene e male.

Ma in fatto di alimentazione carnea il sistema è volutamente improntato a fare in modo che nessuno si senta colpevole degli effetti prodotti sulla salute umana, sugli animali vittime della nostra profonda imperdonabile ingiustizia e ingratitudine, sulla natura devastata dal nostro insano e irresponsabile stile di vita, sull’impatto delle monocolture degli animali d’allevamento e non per ultima la fame nel mondo.

L’allevatore alleva i suoi animali, che ha visto nascere e crescere, e magari li tratta con un certo riguardo e ai quali a volte pure ci si affeziona. E magari con dispiacere li consegna ai camion dell’industria della macellazione, convinto di non essere responsabile di quello che succederà loro e poi si consola pensando che gli animali sono fatti per questo, perché così è sempre stato.

Il macellaio a sua volta non si sente in colpa per fare a pezzi l’animale perché gli è stato consegnato dall’allevatore che ha pagato e poi, soprattutto perché c’è richiesta da parte del pubblico che aspetta di consumare quei poveri resti. Allo stesso modo la massaia non si sente in colpa di cucinare l’animale ucciso perché lo ha semplicemente acquistato dal macellaio che deve pur guadagnarsi da vivere. E non si sente in colpa chi mangia la carne perché la trova pronta nel piatto e non ha né la voglia né la possibilità di ricondurre quella macabra pietanza all’animale che è stato allevato, macellato e cucinato. Allo stesso modo non si ente in colpa chi indossa pellicce o pelli di animali, chi assiste alle corride, chi si reca negli zoo o nei circhi equestri, chi tiene uccelli in gabbia o pesci nell’acquario, chi utilizza prodotti testati su animali ecc. ecc.

E’ così succede che nessuno si sente in colpa o responsabile se a causa del suo disinteresse, del suo egoismo, la sua mancanza di  responsabilità e capacità di condivisione, nel mondo quasi un miliardo di persone soffrano la fame, se a 300 milioni di bambini viene negata la vita con l’aborto, se in ogni parte del globo vi sono focolai di guerre fratricide, se la natura viene devastata, se è l’aria irrespirabile, se i grandi valori morali vanno spegnendosi per far posto ad un’umanità sorda e cieca proiettata verso realtà inquietanti.

E così il ladro non si sentirà colpevole di rubare, l’assassino di uccidere, il pedofilo di violentare bambini, il camorrista di imporre tangenti, lo spacciatore di vendere droga, l’automobilista ubriaco di investire i pedoni ecc. ecc. L’importante è che nessuno si senta in colpa per non turbare il sonno della massa dormiente (funzionale al sistema) condizionata dalla cultura dominante propinata dai grandi centri di potere il cui solo interesse è il guadagno nel perpetuare questo stato di cose: tanto più una popolazione è ignorante tanto più è manovrabile; tanto più è malata e cattiva tanto più ha più bisogno dei dottori del corpo e dello spirito.

Credo che il senso di colpa sia l’effetto di una causa a monte; credo che sia una scossa dataci dalla natura a rivedere il nostro modo di vivere ed evitare errori dei quali poi ci potremmo pentire. Il dolore provocato dal senso di colpa, come effetto di un errore commesso, serve a non farci commettere lo stesso sbaglio e quindi favorire il nostro processo evolutivo.
Sentirsi in colpa per cose che non è stato possibile evitare, o che delle quali non siamo diretti responsabili, è da autolesionisti. Ma privi di sensi di colpa finiamo col spegnere in noi ciò che ancora ci differenzia dalla macchine. Per conto mio, guardando a come vanno le cose nel mondo sarebbe auspicabile quanto salutare un universale senso di colpa.

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Ricordatevi, la concezione più oscurantista e perniciosa, quella più devastante e involutiva, quella che più di ogni altra dottrina o filosofia
preclude l’evoluzione civile, morale e spirituale del genere umano è quella antropocentrica.

Ogni pesca è un massacro di anime

Il dissennato prelievo, l’inquinamento e la distruzione dei fondali sta decretando la morte degli oceani

L’universo marino appartiene alla creature del mare; ai volatili appartiene il mondo dell’aria, come la terra appartiene alle creature terricole. La millenaria, consolidata abitudine di  invadere  in modo devastante gli altri mondi naturali appartiene solo alla specie umana. E anche se alcuni uccelli predano pesci e vivono sulla terra ferma contribuiscono, a differenza dell’uomo, all’ordine naturale delle cose. Ma i pesci non invadono la terra, mentre il mondo marino subisce la sistematica quanto criminale predazione da parte dell’uomo per l’ingiustificabile egoistico piacere o per l’infondata convinzione che quel povero corpo martoriato sia necessario alla salute umana.

E avremmo da che recriminare se extraterrestri invadessero lo spazio vitale delle nostre case e portassero via i nostri familiari per divorarli dopo averli straziati mortalmente.

Non solo versiamo i nostri escrementi e gli scarti della nostra civiltà distruttrice nella casa degli abitanti del mare, ma ciò è inaccettabile è il millenario, consolidato falso diritto di fare ciò che ci aggrada della casa altrui, invadere metodicamente, con insaziabile colpevole avidità e furore,  e asportare senza tregua, senza limiti, senza remore, gli abitanti del mare. L’uomo entra come un carro armato in una sala di cristalli e con inammissibile, imperdonabile noncuranza devasta e preleva ciò che ritiene utile ai suoi scopi; come se i pesci fossero cose, non esseri come noi di forma diversa e con l’identico disperato bisogno di vivere.

Rudi pescatori issano reti gonfie di anime spasimanti in un tremendo contorcersi alla ricerca del loro elemento vitale, e non è raro vedere rudi pescatori, mentre pervasi da una gioia maligna, aprire il corpo ancora palpitane dei tonni dall’argentea livrea, o sbattere sull’immondo selciato i sinuosi e intelligenti polpi, staccare le chele dei stupendi crostacei dai colori vermigli, frangere le vongole chiuse nel loro sacro involucro perlaceo.

E mentre in una inimmaginabile agonia, nel vano tentativo di sottrarsi alla morte, ansimano, si contorcono, ed esalano inascoltati verso l’universo l’ultimo anelito di vita, nel loro incomprensibile e ingiustificabile supplizio.

Incapace di percepire la strabiliante bellezza della diversità nel flusso incessante della vita, in mondo che non gli appartiene,   l’uomo perpetua inesausto  il suo macabro carnaio e penetra minaccioso con devastanti  navigli che fendono l’ansimante respiro delle onde che proiettano ombre funeste suo fondali già martirizzati, lasciando raccapriccianti distese di sangue e di dolore.

E così lo splendido universo marino, il mistico silenzio degli oceani, la bellezza  multiforme delle creature mariane, il canto struggente delle balene, l’elegante galoppo dei delfini, le sfavillanti cattedrali di corallo addormentate sui fondali del mare, i policromi colori delle foreste inabissate, sta per diventare una  immensa pozzanghera inanimata. E di questo la vita esigerà inesorabilmente la sua tremenda nemesi karmica.pESC

“Forse i pesci vengono a noi a chiedere le terra  e i suoi frutti? Lasciate le reti e seguitemi, farò di voi pescatori di uomini”. 

(Gesù dalle pergamene del Mar Morto)

  Qual è il " Senso della Vita "? Credo che tutti, ad un certo punto della loro esistenza si pongano questa domanda. Credo anche che , chi ancora non se l'e' fatta, prima o poi se la farà.

Da ragazzi non si pensa a questo, da adulti si è distratti dal lavoro, dalla carriera e dagli eventi. Ma poi viene il momento in cui ci si ferma un attimo a pensare: " si nasce, si vive e si muore ". Che senso ha ? Perché ...?

Qual'e' lo scopo dell'esistenza se poi tutto finisce ? Molti hanno provato a dare una risposta a tale interrogativo....ed anch'io voglio provarci. Inizierò analizzando due termini ai quali tutti sappiamo dare un significato : " Bene e Male ". Senza dilungarci troppo e semplificando al massimo, possiamo affermare genericamente che il " Bene " e' tutto ciò che riconosciamo eticamente, moralmente ed altruisticamente corretto nei confronti della società, dei singoli individui e del buon vivere comune. Il Male e' l'opposto...!...è l'assenza di Bene. Si può molto discutere su questa generica ed approssimativa definizione. Noi però , per comodità di espressione concettuale , la prendiamo per buona, rinviando ad altra occasione l'analisi più approfondita su questo tema. Comunque è certo che tutti sanno riconoscere il Bene quando lo ricevono; perché ci si sente gratificati, soddisfatti ed in uno stato di piacevolezza che pervade mente e corpo. In questo periodo storico Il Bene e' un po' meno sincero. Alcuni lo accennano, altri lo fingono, altri ancora lo millantano...ma fortunatamente qualcuno lo fa' realmente. Nel Bene riconosciamo tutti quei sentimenti positivi , quali : la carità , la tolleranza, l'altruismo, la comprensione, la misericordia, la giustizia...ecc...ecc . Al contrario , nel Male sono compresi tutti quei sentimenti negativi ed egoistici che animano l'essere umano : rabbia, livore, arroganza, egoismo, invidia, idolatria...ecc...ecc...

Il Creatore, chiunque Egli sia , visto in visione laica o Religiosa ( Dio, Budda, Allah, Vishnu...ecc..ecc...) ha volutamente creato l'uomo con un 50% di Bene ed un 50% di male.

Egli, poi, senza costringere nessuno, con il più grande atto di Democrazia conosciuto, ha dato ad ogni essere vivente il " Libero Arbitrio ", in modo che ognuno potesse decidere autonomamente quale delle due qualità scegliere.

Fin qui, l'approccio Laico va di pari passo con quello Religioso. Da questo punto in poi, essendo di Fede Cristiano-Cattolica esprimerò il mio pensiero in chiave Religiosa ( ...ma neanche tanto ).

Quando si nasce, non si sa' con precisione, ma, ad un certo punto del processo , il piccolo agglomerato di cellule ( il feto ) fino a quel momento inerte , si anima ( mistero della vita ). Potremmo anche dire che lo Spirito ( o l'anima ), al momento della nascita, viene rivestito da un complesso involucro di carne, che , da quel momento costituirà l'essere vivente e nel quale saranno stati infusi dal Creatore " Bene e Male " in pari percentuali.

Il bambino, nel tempo crescerà ed attraverserà tutte le fasi della vita : maturerà , invecchierà...ed in fine morirà . Questa evoluzione fisica risulterà qualitativamente buona o meno buona , sana o meno sana, a seconda dello stile di vita condotto. Anche lo Spirito ( l'anima ) dovrà avere una sua evoluzione. Ma come ? L' avrà in una necessaria " Crescita Spirituale ", e cioè , nello sforzo volontario e continuo , di trasformare, durante tutto il corso della vita, quel 50% di Male...quanto più possibile in Bene. Qualcuno pensa che esercitando tiepidamente e comodamente, soltanto, quel 50% di Bene già insito nella propria natura, possa ritenersi salvo e nel giusto. Questo, a mio avviso, è un errore perché , così facendo, non avrà esercitato volontariamente alcuno sforzo per trasformare , a sufficienza , quel 50% di Male. È sul Male che dobbiamo " lavorare "...spingendoci (non senza travaglio interiore) ad effettuare una " Correzione " della nostra natura. Operando tendenzialmente in tal modo, volontariamente ed autonomamente , saremo creatori di noi stessi ( il Creatore ha voluto che ognuno decidesse in completa autonomia il proprio destino con una personale " Crescita Spirituale “ ). Alla fine dei nostri giorni lasceremo quel fardello ( il corpo )...e con esso l'anima, che, con il nostro modo di vivere, avrà determinato...oppure no , volontariamente, la Correzione (" Crescita Spirituale ") ! In questo individuale sforzo correttivo, la precaria Vita terrena , accompagnata da gioie, dolori e prove di tutte le specie, sarà servita a meritarsi un " Passi " per la vera Vita Eterna. Concludendo , posso affermare con ferma convinzione , che il mio " Senso della Vita " ( esercitando il "Bene " ) ...sta nel continuo sforzo di correggersi dal " Male " !

                                                                                       

Nella modernità la tradizione e il coraggio di San Paolo nel libro di Pierfranco Bruni al Premio Scanno 19 settembre dialogando con Giulio Rolando, Neria De Giovanni e Francesco D’Episcopo

Neria De Giovanni: “Il San Paolo di Bruni Un linguaggio nella contemporaneità con la cultura della tradizione”.

 

“E’ come se parlasse il linguaggio della ‘modernità’ nella cultura della tradizione, che resta l’elemento portante per comprendere la figura di Paolo nella storia, nella teologia e nel tempo dei nostri viaggi. Lo scrittore è come se ‘traducesse’ nella contemporaneità la forza e il mistero di San Paolo”. Sono parole di Neria De Giovanni che presenterà il San Paolo di Pierfranco Bruni. Neria De Giovanni, conoscitrice attenta della letteratura cristiana, ha letto nel libro di Bruni un Paolo che ha la lingua dei nostri giorni nella identità delle fedi.

Infatti attraversare la teologia di San Paolo è percorrere un viaggio tra fede, mistero e storia. Con San Paolo non si può prescindere dal rapporto tra archeologia e storia e tra mondo ebraico, cristiano e mediterraneo nella sua complessità. Una dimensione che pone una ragione d’essere anche in una lettura sia geopolitica che religiosa del Mediterraneo. Un Mediterraneo tra tre religioni che si leggono come filosofie, come teologie, come storia. Infatti il San Paolo di Pierfranco Bruni è un intrecciare il senso della religiosità con il mistero (ovvero misticismo) dei padri del deserto non dimenticando la storia. Il libro di Pierfranco Bruni su San Paolo: “L’altare della speranza. Paolo di Tarso, i linguaggi e la parola nella fede del viaggio” sarà presentato a Scanno per la XLII Edizione del Premio Scanno.

A discutere con Pierfranco Bruni, nell’aprire le manifestazione del Premio Scanno 2015 della Fondazione Tanturri, sabato 19 settembre alle ore 9.30, ci saranno Giulio Rolando, direttore de “Il Cerchio”, Neria De Giovanni, Presidente Associazione Internazionale Critici letterari, Francesco D’Episcopo, Università Federico II Napoli e storico della letteratura. Sarà una importante discussione perché il legame è tra la religiosità, il carisma, le etnie, il Mediterraneo nei viaggi di San Paolo.

Tre sono i viaggi che compie Pierfranco Bruni con il San Paolo tra i linguaggi e la parola nella fede, come sottolinea Giulio Rolando, di recente pubblicazione (Prospettive Meridionali, collaborazione CSR – SLSI, e Progetto Etnie del Mibact).

Il primo disegna la teoria di un Mediterraneo geo-religioso vissuto tra terra e mare in una prospettiva che è quella della “metafisica della parola”, come egli stesso afferma. Il capitolo ha questo titolo: “L’incontro con Paolo”.

Il secondo è un percorso filosofico e teologico nel corso del quale si incontrano Pascal, Kierkegaard e anche Benedetto XVI. Ma il punto centrale resta il concetto mistico di “confessione” e di fede in un intreccio tra tempo e memoria. Da queste pagine, chiaramente, si evince la sua formazione filosofica esistenzialista che trova in Maria Zambrano il punto centrale di un incontro tra Platone e Agostino e prima ancora Seneca. Il capitolo ha questo titolo: “San Paolo e l’esistenzialismo cristiano”.

Il terzo è tutto costruito su punti di riferimento che sembrano geografici, ma sono marcatamente spirituali, ovvero Damasco e Malta. Il viaggio, in fondo, lungo le rotte del Mediterraneo vive a Malta un approdo che è lo snodo dei venti e delle acque del viaggio. D’altronde il suo far scorrere il linguaggio tocca due porti metafisici: la civiltà e la tradizione. Il capitolo ha questo titolo: “L’altare della speranza”. È il capitolo che offre la sintesi al libro.

Un capitolo finale “Un tassello per non concludere” chiude questo mosaico, che come dice spesso Bruni, resta sempre incompiuto. Un bel lavoro che vede la prefazione del Vescovo Vincenzo Bertolone e la posta fazione del swgiornalista Gerardo Picardo. Una splendida copertina di Valentina Marelli.

Un San Paolo dei viaggi lungo gli itinerari della fede nei Mediterranei delle civiltà. Un libro che si lega strettamente al romanzo “La pietra d’Oriente” (Pellegrini) che è stato già tradotto in diverse lingue e presentato di recente in Rai.

 

 Pierfranco Bruni

 

Per la Religione cattolica (e non solo) gli esseri umani sbagliano ad impegnare tempo e risorse per aiutare gli animali che, secondo la Bibbia, sono stati creati per i bisogni ed i piaceri dell’uomo. Ma secondo tale giustificazione la Chiesa dovrebbe attenersi non solo a prescrizioni inerenti gli animali ma a tutto ciò che prescrive l’Antico Testamento, compresi i sacrifici di animali, la schiavitù, l’uccisione di gente di fede diversa, la demonizzazione e il disprezzo per la donna, la prescrizione ad uccidere colui che percuote sua madre o suo padre (Es. 21,15); chi pratica la magia (Lev. 22,17); chi lavora di sabato  (Es. 31,15); l’adultero e l’adultera (Lev.20,10); chi  ha rapporto con una donna durante le sue regole (Lev.20,18); chi  bestemmia il nome del Signore (Lev. 24,16); il  figlio che non obbedisce ai suoi genitori (Dt 21, 18-21) ecc. Se invece ritiene che lo spirito dei tempi richiede l’apertura a nuove e più giuste realtà allora è drammaticamente indietro rispetto l’evoluzione civile, morale e spirituale del mondo laico, e di questo dovrebbe interrogarsi e fare ammenda, anche sul perché una moltitudine sempre più numerosa di persone emigra verso religioni rispettose del mondo animale.

Ma chiedere compassione anche per gli animali fa sorridere il clero che ad ogni istanza di apertura verso il non umano trattano con sufficienza o con commiserazione coloro che si interessano di animali, considerandoli persone che si perdono dietro realtà senza valore, gente che dissipa le proprie energie in problematiche inesistenti, mentre dovrebbero impegnarsi nei problemi che attanagliano il genere umano. E naturalmente resta lontana l’idea che la compassione o il senso di giustizia, se posseduta, si manifesta in qualunque circostanza, indifferentemente dalla specie.

Il prete se la ride di noi che chiediamo amore anche per gli animali; se la ride della nostra sofferenza; ci considera gente sprovveduta, che ha perso la visione reale della vita. Nella sostanza insegna a non nutrire compassione per gli animali, perché ci sono cose più importanti. “Non spendete i vostri soldi per nutrire o curare gli animali” (come affermava ultimamente don Mazzi) “ma donateli per i nostri progetti a favore dei disagiati. Con tanti problemi che abbiamo noi umani perdete tempo, energia e denaro ad interessarvi di animali”? Gli stessi disagiati che se ne infischiano della sofferenza degli animali che mangiano a tavola con la benedizione e la partecipazione dei preti, e adepti in genere. Per la maggior parte dei preti sposare e condividere le due realtà è troppo impegnativo, ed è certamente considerano un ingiustificabile spreco il mio contributo versato annualmente sia a beneficio di associazioni umanitarie sia animaliste.

Inoltre probabilmente il prete non considera che il mangiar carne oltre a togliere la vita ad una creatura che voleva vivere e non morire uccisa, causa inquinamento, deforestazione e fame nel Terzo Mondo ecc.; come non considera il fatto che tutti i problemi umani sono la conseguenza della mancanza di compassione repressa dalla cultura antropocentrica che abitua l’uomo al disprezzo del piccolo, del minuto, dell’umile, del diverso e che questo preclude all’uomo la possibilità di essere giusto anche nei confronti del suo simile. Il cardinale Ettore Scola in una conferenza di alcuni anni fa a proposito dell'antropocentrismo della Chiesa Cattolica ha detto:  "Bene ha fatto la Chiesa Cattolica ad approvare i macelli e la sperimentazione animale nel suo Catechismo perché così facendo abbiamo salvato l'antropocentrismo. Perché se rimane l'antropocentrismo resta in piedi la Chiesa Cattolica altrimenti crolla".

Ma d’altronde per un’istituzione che per duemila anni è stata guerrafondaia, schiavista, sterminatrice di comunità religiose, di eretici, streghe e filosofi, ebrei, gnostici, pagani, indios, negri, comunisti, gay ecc. aprirsi alla compassione anche degli animali è come sperare che le galline  tornino a volare come i gabbiani. Ma come diceva Gesù, quello che è impossibile all’uomo è possibile a Dio.

Non ci sarà pace sulla terra finché  le religioni monoteiste non si libereranno dall’influsso negativo del Vecchio Testamento che tra l’altro ribadisce  “Ogni volta che ne sentirai desiderio potrai uccidere animali e mangiare la carne, secondo la benedizione che il Signore ti avrà elargito… ma non ne mangerete il sangue; lo spargerai per terra come l’acqua” (Deut. 12:15).  In tempi recenti un cardinale affermava che mangiare l’agnello pasquale non solo è lecito ma rappresenta un preciso dovere ed è fonte di meriti. E un gesuita asseriva “Come possiamo avere dei doveri verso creature che a nostro piacimento possiamo fare a pezzi, arrostire e mangiare?

Ma la maggior parte dei preti nei confronti della sofferenza animale ha il cuore sotto la suola delle scarpe e la loro pietà non supera il loro naso. Parlare loro di rispetto per gli animali è come rievocare il diavolo. Questi preti, questa Chiesa, resta refrattaria al rinnovamento dello spirito, dell’intelligenza positiva, al progresso civile, morale e spirituale, all’evoluzione, che spinge tutto in avanti, eccetto loro. Non dovrebbero forse emulare il Cristo? In quale episodio dei Vangeli Gesù mangia la carne o invita a farlo? E anche in tale indimostrabile ipotesi, tra la violenza e la morte non dovrebbero protendere per il rispetto e la vita?

Anche l’ipotesi che il cristianesimo possa un giorno trionfare su tutta la terra sarà impossibile realizzare il regno di Dio se i popoli continueranno ad allevare, torturare e massacrare i loro fratelli animali. Qualunque concetto morale, filosofico, teologico o spirituale, limitato alla sfera dell’umano, se non contempla una visione universalistica della vita, è storicamente inefficace a rendere l’uomo migliore. Se l’essere umano resta incapace di percepire il valore della vita in tutte le sue manifestazioni, se resta insensibile al dolore degli animali, se resta autorizzato a sfruttare i più deboli, qualunque principio risulta positivamente inefficace nei confronti anche dell’uomo e lo rende incapace di porre le basi per un mondo migliore.

 

Franco Libero Manco

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