L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Spirituality (79)


 
Franco Libero Manco
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Una bella pagina tra storia e leggenda

La leggenda di San Giuliano, originaria del Quarto Secolo, ma trasferita dalla penna di Gustave Flaubert nella Francia feudale, narra la storia di una curiosa conversione.


Giuliano è cacciatore sanguinario fin dall’adolescenza. È dedito allo sterminio sistematico di qualunque animale, e il bosco che circonda il castello si tinge del sangue dei suoi animali. Poi è la volta di altri boschi più lontani, di animali meno noti, fino a che il cavaliere non s’imbatte in una famiglia di cervi. Il cervo, nero e gigantesco, con la barba bianca, aveva otto ramificazioni per ogni corno. La cerva, bionda come le foglie secche, brucava l’erba, e il cerbiatto dal pellame picchiettato le si attaccava alle mammelle senza impedirle di avanzare. Ancora una volta fischiò la balestra; prima stramazzò ucciso il cerbiatto e la madre, alzando gli occhî al cielo, emise un gemito profondo, straziante, umano. Giuliano la stese a terra con un colpo in pieno petto. Il grande cervo con un balzo gli mosse incontro, ma egli scagliò l’ultima freccia, che gli si conficcò nella fronte. Parve non accorgersene neppure e, scavalcando i due corpi abbattuti, l’animale avanzava sempre e stava per buttarglisi addosso e sventrarlo. Giuliano indietreggiava preso da un terribile spavento, quando il cervo prodigioso si fermò, solenne come un patriarca, come un vendicatore, con gli occhî fiammeggianti e, mentre una campana rintoccava lontano, ripeté tre volte: «Maledetto, maledetto, maledetto! Verrà un giorno, o cuore crudele, che tu ucciderai tuo padre e tua madre!» Poi piegò le ginocchia, chiuse lentamente gli occhî e spirò.» Giuliano, atterrito e tremante, sudato e sporco, si abbandonò al pianto.


Giuliano, rientrato smarrito al castello, è ossessionato dalla funesta profezia del cervo parlante. Non mangia, non dorme, non sorride, fugge tutto e tutti, per primi i proprî genitori onde evitare di arrecare loro del male.
Un giorno, mentre il giovane sta pulendo un trofeo d’armi attaccato al muro, l’aguzza spada si stacca e va a piantarsi a un millimetro dal vecchio padre che regge la scala al figlio: primo segnale.
Un altro giorno a Giuliano par di vedere, oltre un muro divisorio del cortile, volare una colomba; arma l’arco e veloce scocca. Un urlo! La colomba non era altro che il velame del copricapo della madre, scampata fortunatamente alla morte. Giuliano non ha bisogno d’altro: lascia il castello e si fa cavaliere di ventura; erra di corte in corte, combattendo ora per l’uno ora per l’altro signore.


«Soffrí la fame, la sete, la febbre, i pidocchî. Si abituò al clamore delle mischie, all’angoscia dei moribondi. Sconfisse tutti coloro che osarono sfidarlo in lizza. Giuliano proteggeva il clero, gli orfani, le vedove e soprattutto i vecchi. Schiavi in fuga, contadini in rivolta, bastardi privi di tutto, fegatacci d’ogni risma accorsero sotto le sue bandiere. Ne formò un esercito. Di volta in volta, soccorse il Delfino di Francia e il Re d’Inghilterra, i Templari di Gerusalemme e l’imperatore di Calcutta. Combatté contro gli Scandinavi ricoperti di squame di pesce, contro i Negri dagli scudi rotondi di pelle d’ippopotamo e montati su asini rossi, contro gli Indiani color dell’oro che, alte sopra i loro diademi, brandivano larghe sciabole lucenti come specchi. Sconfisse i Trogloditi e gli Antropofagi. Fu richiesto il suo coraggio da repubbliche in difficoltà. Donava l’indipendenza ai popoli, liberava le regine imprigionate nelle torri. Grandi successi per Giuliano che, cacciando i Mori dall’Occetania, si conquista la gratitudine del re cristiano che gli offre la figlia in sposa. Nuova vita, residenza sfarzosa, un esercito di servitori, una sposa dolcissima.


Giuliano aveva smesso di guerreggiare. Riposava attorniato da un popolo mansueto. Ma anche la caccia ha il suo demone e la sua divinità che esige continui sacrifici. Lo assaliva il desiderio di inseguire nel deserto le gazzelle e gli struzzi, di nascondersi tra i bambú per spiare il passaggio dei leopardi, di attraversare foreste infestate dai rinoceronti, di salire in cima alle montagne più impervie per prendere meglio di mira le aquile, e di affrontare gli orsi bianchi sui bastioni ghiacciati del mare.


I sogni contengono sempre però nel loro nocciolo l’incubo, e le prede della caccia erano sempre associate, nella sua mente, all’oscura profezia del cervo e alla morte dei suoi genitori. Partito Giuliano in spedizione venatoria, giunsero al castello una coppia di anziani coniugi che poi si qualificarono alla giovane donna come i genitori di Giuliano, che da anni vagavano per il mondo alla ricerca del figli cosí misteriosamente fuggito. La moglie di Giuliano li accolse regalmente, li fece rifocillare, e diede loro la propria stanza nuziale.


Intanto per Giuliano nel cuore del bosco si appresta una strana caccia: gli animali senza paura escono dalle loro tane, dai nascondigli, e una forza soprannaturale impedisce al cacciatore di colpirli e rende lievi come piume le sue frecce. Fu sopraffatto dalla vergogna. Un potere soprannaturale annientava le sue forze, e rientrò dalla foresta per tornare al castello. Ed ecco ricomparire tutti gli animali che egli aveva cacciato, e stringersi in cerchio attorno a lui. Alcuni seduti sulle natiche, altri ritti sulle zampe. Stava in mezzo al cerchio, agghiacciato dal terrore, incapace di fare il piú piccolo movimento! Le iene lo precedevano, il lupo e il cinghiale lo seguivano. Alla sua destra il bufalo avanzava dondolando il testone, e alla sua sinistra il serpente si snodava nell’erba, mentre la pantera arcuando la schiena muoveva i suoi passi di velluto. Egli rallentava piú che poteva per non irritarli; e intanto vedeva sbucare fuori dal fitto dei cespugli porcospini, volpi, vipere, orsi e sciacalli. Il corteo lo accompagna minaccioso, finché Giuliano non rientra trafelato e sconvolto al castello. Va, brancolando al buio, verso il talamo, sente a tentoni la barba di un uomo, un uomo che giace in letto con sua moglie! In preda al delirio afferra la spada e uccide orribilmente gli anziani ospiti, i suoi genitori. La moglie accorre e urla inorridita, rivelandogli la vera identità dei due vecchi. Quando, alla luce delle fiaccole, Giuliano riconosce i genitori, la profezia del cervo si è tragicamente avverata. Annichilito, abbandona tutto, moglie, castello, per condurre una vita da romito e mendicante, fino alle peggiori umiliazioni dell’altrui pietà e disprezzo per espiare la colpa dell’orribile delitto. Si tortura con aguzzi cilici, cerca la morte nel tentativo di salvare altre vite, si sottopone a tutte le fatiche fisiche.
Dopo aver cacciato animali e uomini, ora Giuliano è a caccia di Dio. E quel Dio, comparsogli prima come cervo minacciosamente profetico, ora gli si rivela come l’ultimo dei reietti: il lebbroso che ha bisogno di cibo, di cure, di calore, a cui Giuliano dà ospitalità nella sua capanna. Mentre lo assiste, il lebbroso gli si rivela in tutto lo splendore divino.

Emulando le popolazione primitive si prospetta all’orizzonte la “geniale” idea di consumare formiche, insetti, vermi,  grilli, bachi da seta, lombrichi, rettili e tutto ciò che si muove, nella folle, insensata, rivoltante convinzione che occorre ricorrere a tali espedienti alimentari per poter nutrire un’umanità in crescita esponenziale ed assicurarsi le
famigerate proteine animali che alcuni pseudo nutrizionisti di stampo ottocentesco continuano a considerare essenziali per la buona salute umana.
Se lo scopo di ricorrere ai vermi è quello di sfamare l’umanità vale la pena ricordare che attualmente gli animali d’allevamento consumano derrate alimentari quanto 9 miliardi di persone e che solo in Italia gli alimenti consumati dagli allevamenti basterebbero a nutrire 140 milioni di esseri umani.

E mentre la maggior parte dei paesi dell’UE vieta l’uso degli insetti a scopo alimentare, arriva il via libera di  Strasburgo su questa rivoltante prospettiva (già la Fao nel 2013 si era pronunciata a favore degli insetti per sfamare la popolazione). Intanto Cina, Thailandia, Stati Uniti e Olanda si stanno preparando a coltivare insetti su larga scala e già nei supermercati inglesi è possibile trovare buste di vermi, grilli e cavallette liofilizzate; in Olanda hamburger di insetti; in Belgio una pasta spalmabile di vermi. Anche se in molti casi si raccomanda di scartare le zampe per evitare soffocamento .Per fortuna, secondo la Coldiretti, in Italia solo l’8% della popolazione assaggerebbe un insetto.

Con questa prospettiva avremo bistecche in provetta e carni di animali clonati, sostanze prodotte da funghi, alghe e batteri, anche se questi prodotti non hanno ancora avuto rassicurazioni in merito alla loro sicurezza da parte dell’Autorità europea e molto dipenderà dai mangimi e tecniche di allevamento. Ma ci consentiranno di nutrirci meglio, di inquinare meno e ridurre le emissioni di gas serra. Molti popoli da tempo si nutrono di animali che gli occidentali escludono dalla loro dieta perché considerati ripugnanti: scorpioni, serpenti, ragni, rane ecc. anche se gli occidentali usano mangiare lumache e ogni specie di animali erbivori che certe etnie considerano sacri.

A miliardi di miliardi piccoli e indispensabili animali per l’equilibrio biologico verrebbero arrostiti, fritti, lessati, frullati; animali che hanno la sola colpa di essere piccoli ma la cui ingegnosità e intelligenza spesso supera gli animali di grossa mole.

Il valore intrinseco di un animale non viene determinato dalla sua grandezza fisica. Se guardassimo con lente  d’ingrandimento ognuno di queste piccole creature ci accorgeremmo che ogni singolo individuo ha le identiche caratteristiche e le esigenze vitali di un animale di grossa mole. Ma la nostra visione delle cose è corta, non va oltre la lunghezza del nostro naso e consideriamo degni di rispetto e protezione solo quegli animali che rapportiamo alla nostra dimensione corporea.

Il disprezzo del minuto, del piccolo, dell’indifeso testimonia la mancanza di percezione dell’armonia che tutto pervade e questo lascia l’individuo nell’ignoranza e nell’incapacità di apprezzare e valorizzare lo stupefacente valore della vita e di conseguenza l’incapacità di aprirsi all’amore anche verso gli esseri umani.

Il rinnovamento della coscienza umana passa necessariamente attraverso un cambio di percezione dei valori, dal grande al piccolo, superando la cieca e limitante visione antropocentrica che percepisce e valorizza solo il grande al quale abitua a sacrificare il piccolo. L’inversione di percezione, valorizzazione e rispetto consentirà al genere umano di aprirsi alla vera realtà che si esprime nell’interazione delle multiformi diversità e inevitabilmente indurrà il genere umano all’empatia e all’armonia verso i suoi stessi simili.

La prospettiva di consumare insetti si pone in senso diametralmente opposto alla nostra visione delle cose nella quale vediamo non solo la fine del millenario massacro di ogni specie diversa dall’uomo ma nella valorizzazione del piccolo il mezzo più evoluto ed efficace capace di consentire il superamento dei grandi problemi dell’umanità   collegati alla mancanza di giustizia, di sensibilità e condivisione. Le persone di buon senso, raziocinio e dignità umana si attiveranno per ostacolare in ogni modo questa degradante prospettiva.

Ermete Trismegisto, il primo grande iniziatore in Egitto alla dottrina esoterica. Dai greci considerato tre volte  grande:re, legislatore e sacerdote. Scrisse 42 libri. Resterà centro e vetta di iniziazione egiziana.
Per Ermete Trismegisto il piccolo è come il grande: “Nulla è piccolo e nulla è grande agli occhi di Dio. Solo colui che è libero può liberare. Colui che comanda se stesso può comandare gli altri. Non fate soltanto il bene ma siate buoni e il movente non sia nei frutti ma nell’azione”.

E’ tendenza comune nutrire ottimismo guardando solo le cose positive della vita e soprattutto non accusare sensi di colpa per i propri  eventuali errori. Certo non è possibile trattare in modo semplicistico il problema dei “sensi di colpa” che induce ad sentirsi responsabili del male compiuto e che può indurre angoscia, tristezza, sconforto, dolore, depressione. Per Freud la vera colpa è la conseguenza non la causa (che risiede nell’intenzione inconscia che può portare a commettere un delitto), la cui origine è nel complesso di Edipo in quanto da esso deriva la possibilità di distinguere tra bene e male.

Ma in fatto di alimentazione carnea il sistema è volutamente improntato a fare in modo che nessuno si senta colpevole degli effetti prodotti sulla salute umana, sugli animali vittime della nostra profonda imperdonabile ingiustizia e ingratitudine, sulla natura devastata dal nostro insano e irresponsabile stile di vita, sull’impatto delle monocolture degli animali d’allevamento e non per ultima la fame nel mondo.

L’allevatore alleva i suoi animali, che ha visto nascere e crescere, e magari li tratta con un certo riguardo e ai quali a volte pure ci si affeziona. E magari con dispiacere li consegna ai camion dell’industria della macellazione, convinto di non essere responsabile di quello che succederà loro e poi si consola pensando che gli animali sono fatti per questo, perché così è sempre stato.

Il macellaio a sua volta non si sente in colpa per fare a pezzi l’animale perché gli è stato consegnato dall’allevatore che ha pagato e poi, soprattutto perché c’è richiesta da parte del pubblico che aspetta di consumare quei poveri resti. Allo stesso modo la massaia non si sente in colpa di cucinare l’animale ucciso perché lo ha semplicemente acquistato dal macellaio che deve pur guadagnarsi da vivere. E non si sente in colpa chi mangia la carne perché la trova pronta nel piatto e non ha né la voglia né la possibilità di ricondurre quella macabra pietanza all’animale che è stato allevato, macellato e cucinato. Allo stesso modo non si ente in colpa chi indossa pellicce o pelli di animali, chi assiste alle corride, chi si reca negli zoo o nei circhi equestri, chi tiene uccelli in gabbia o pesci nell’acquario, chi utilizza prodotti testati su animali ecc. ecc.

E’ così succede che nessuno si sente in colpa o responsabile se a causa del suo disinteresse, del suo egoismo, la sua mancanza di  responsabilità e capacità di condivisione, nel mondo quasi un miliardo di persone soffrano la fame, se a 300 milioni di bambini viene negata la vita con l’aborto, se in ogni parte del globo vi sono focolai di guerre fratricide, se la natura viene devastata, se è l’aria irrespirabile, se i grandi valori morali vanno spegnendosi per far posto ad un’umanità sorda e cieca proiettata verso realtà inquietanti.

E così il ladro non si sentirà colpevole di rubare, l’assassino di uccidere, il pedofilo di violentare bambini, il camorrista di imporre tangenti, lo spacciatore di vendere droga, l’automobilista ubriaco di investire i pedoni ecc. ecc. L’importante è che nessuno si senta in colpa per non turbare il sonno della massa dormiente (funzionale al sistema) condizionata dalla cultura dominante propinata dai grandi centri di potere il cui solo interesse è il guadagno nel perpetuare questo stato di cose: tanto più una popolazione è ignorante tanto più è manovrabile; tanto più è malata e cattiva tanto più ha più bisogno dei dottori del corpo e dello spirito.

Credo che il senso di colpa sia l’effetto di una causa a monte; credo che sia una scossa dataci dalla natura a rivedere il nostro modo di vivere ed evitare errori dei quali poi ci potremmo pentire. Il dolore provocato dal senso di colpa, come effetto di un errore commesso, serve a non farci commettere lo stesso sbaglio e quindi favorire il nostro processo evolutivo.
Sentirsi in colpa per cose che non è stato possibile evitare, o che delle quali non siamo diretti responsabili, è da autolesionisti. Ma privi di sensi di colpa finiamo col spegnere in noi ciò che ancora ci differenzia dalla macchine. Per conto mio, guardando a come vanno le cose nel mondo sarebbe auspicabile quanto salutare un universale senso di colpa.

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Ricordatevi, la concezione più oscurantista e perniciosa, quella più devastante e involutiva, quella che più di ogni altra dottrina o filosofia
preclude l’evoluzione civile, morale e spirituale del genere umano è quella antropocentrica.

Ogni pesca è un massacro di anime

Il dissennato prelievo, l’inquinamento e la distruzione dei fondali sta decretando la morte degli oceani

L’universo marino appartiene alla creature del mare; ai volatili appartiene il mondo dell’aria, come la terra appartiene alle creature terricole. La millenaria, consolidata abitudine di  invadere  in modo devastante gli altri mondi naturali appartiene solo alla specie umana. E anche se alcuni uccelli predano pesci e vivono sulla terra ferma contribuiscono, a differenza dell’uomo, all’ordine naturale delle cose. Ma i pesci non invadono la terra, mentre il mondo marino subisce la sistematica quanto criminale predazione da parte dell’uomo per l’ingiustificabile egoistico piacere o per l’infondata convinzione che quel povero corpo martoriato sia necessario alla salute umana.

E avremmo da che recriminare se extraterrestri invadessero lo spazio vitale delle nostre case e portassero via i nostri familiari per divorarli dopo averli straziati mortalmente.

Non solo versiamo i nostri escrementi e gli scarti della nostra civiltà distruttrice nella casa degli abitanti del mare, ma ciò è inaccettabile è il millenario, consolidato falso diritto di fare ciò che ci aggrada della casa altrui, invadere metodicamente, con insaziabile colpevole avidità e furore,  e asportare senza tregua, senza limiti, senza remore, gli abitanti del mare. L’uomo entra come un carro armato in una sala di cristalli e con inammissibile, imperdonabile noncuranza devasta e preleva ciò che ritiene utile ai suoi scopi; come se i pesci fossero cose, non esseri come noi di forma diversa e con l’identico disperato bisogno di vivere.

Rudi pescatori issano reti gonfie di anime spasimanti in un tremendo contorcersi alla ricerca del loro elemento vitale, e non è raro vedere rudi pescatori, mentre pervasi da una gioia maligna, aprire il corpo ancora palpitane dei tonni dall’argentea livrea, o sbattere sull’immondo selciato i sinuosi e intelligenti polpi, staccare le chele dei stupendi crostacei dai colori vermigli, frangere le vongole chiuse nel loro sacro involucro perlaceo.

E mentre in una inimmaginabile agonia, nel vano tentativo di sottrarsi alla morte, ansimano, si contorcono, ed esalano inascoltati verso l’universo l’ultimo anelito di vita, nel loro incomprensibile e ingiustificabile supplizio.

Incapace di percepire la strabiliante bellezza della diversità nel flusso incessante della vita, in mondo che non gli appartiene,   l’uomo perpetua inesausto  il suo macabro carnaio e penetra minaccioso con devastanti  navigli che fendono l’ansimante respiro delle onde che proiettano ombre funeste suo fondali già martirizzati, lasciando raccapriccianti distese di sangue e di dolore.

E così lo splendido universo marino, il mistico silenzio degli oceani, la bellezza  multiforme delle creature mariane, il canto struggente delle balene, l’elegante galoppo dei delfini, le sfavillanti cattedrali di corallo addormentate sui fondali del mare, i policromi colori delle foreste inabissate, sta per diventare una  immensa pozzanghera inanimata. E di questo la vita esigerà inesorabilmente la sua tremenda nemesi karmica.pESC

“Forse i pesci vengono a noi a chiedere le terra  e i suoi frutti? Lasciate le reti e seguitemi, farò di voi pescatori di uomini”. 

(Gesù dalle pergamene del Mar Morto)

  Qual è il " Senso della Vita "? Credo che tutti, ad un certo punto della loro esistenza si pongano questa domanda. Credo anche che , chi ancora non se l'e' fatta, prima o poi se la farà.

Da ragazzi non si pensa a questo, da adulti si è distratti dal lavoro, dalla carriera e dagli eventi. Ma poi viene il momento in cui ci si ferma un attimo a pensare: " si nasce, si vive e si muore ". Che senso ha ? Perché ...?

Qual'e' lo scopo dell'esistenza se poi tutto finisce ? Molti hanno provato a dare una risposta a tale interrogativo....ed anch'io voglio provarci. Inizierò analizzando due termini ai quali tutti sappiamo dare un significato : " Bene e Male ". Senza dilungarci troppo e semplificando al massimo, possiamo affermare genericamente che il " Bene " e' tutto ciò che riconosciamo eticamente, moralmente ed altruisticamente corretto nei confronti della società, dei singoli individui e del buon vivere comune. Il Male e' l'opposto...!...è l'assenza di Bene. Si può molto discutere su questa generica ed approssimativa definizione. Noi però , per comodità di espressione concettuale , la prendiamo per buona, rinviando ad altra occasione l'analisi più approfondita su questo tema. Comunque è certo che tutti sanno riconoscere il Bene quando lo ricevono; perché ci si sente gratificati, soddisfatti ed in uno stato di piacevolezza che pervade mente e corpo. In questo periodo storico Il Bene e' un po' meno sincero. Alcuni lo accennano, altri lo fingono, altri ancora lo millantano...ma fortunatamente qualcuno lo fa' realmente. Nel Bene riconosciamo tutti quei sentimenti positivi , quali : la carità , la tolleranza, l'altruismo, la comprensione, la misericordia, la giustizia...ecc...ecc . Al contrario , nel Male sono compresi tutti quei sentimenti negativi ed egoistici che animano l'essere umano : rabbia, livore, arroganza, egoismo, invidia, idolatria...ecc...ecc...

Il Creatore, chiunque Egli sia , visto in visione laica o Religiosa ( Dio, Budda, Allah, Vishnu...ecc..ecc...) ha volutamente creato l'uomo con un 50% di Bene ed un 50% di male.

Egli, poi, senza costringere nessuno, con il più grande atto di Democrazia conosciuto, ha dato ad ogni essere vivente il " Libero Arbitrio ", in modo che ognuno potesse decidere autonomamente quale delle due qualità scegliere.

Fin qui, l'approccio Laico va di pari passo con quello Religioso. Da questo punto in poi, essendo di Fede Cristiano-Cattolica esprimerò il mio pensiero in chiave Religiosa ( ...ma neanche tanto ).

Quando si nasce, non si sa' con precisione, ma, ad un certo punto del processo , il piccolo agglomerato di cellule ( il feto ) fino a quel momento inerte , si anima ( mistero della vita ). Potremmo anche dire che lo Spirito ( o l'anima ), al momento della nascita, viene rivestito da un complesso involucro di carne, che , da quel momento costituirà l'essere vivente e nel quale saranno stati infusi dal Creatore " Bene e Male " in pari percentuali.

Il bambino, nel tempo crescerà ed attraverserà tutte le fasi della vita : maturerà , invecchierà...ed in fine morirà . Questa evoluzione fisica risulterà qualitativamente buona o meno buona , sana o meno sana, a seconda dello stile di vita condotto. Anche lo Spirito ( l'anima ) dovrà avere una sua evoluzione. Ma come ? L' avrà in una necessaria " Crescita Spirituale ", e cioè , nello sforzo volontario e continuo , di trasformare, durante tutto il corso della vita, quel 50% di Male...quanto più possibile in Bene. Qualcuno pensa che esercitando tiepidamente e comodamente, soltanto, quel 50% di Bene già insito nella propria natura, possa ritenersi salvo e nel giusto. Questo, a mio avviso, è un errore perché , così facendo, non avrà esercitato volontariamente alcuno sforzo per trasformare , a sufficienza , quel 50% di Male. È sul Male che dobbiamo " lavorare "...spingendoci (non senza travaglio interiore) ad effettuare una " Correzione " della nostra natura. Operando tendenzialmente in tal modo, volontariamente ed autonomamente , saremo creatori di noi stessi ( il Creatore ha voluto che ognuno decidesse in completa autonomia il proprio destino con una personale " Crescita Spirituale “ ). Alla fine dei nostri giorni lasceremo quel fardello ( il corpo )...e con esso l'anima, che, con il nostro modo di vivere, avrà determinato...oppure no , volontariamente, la Correzione (" Crescita Spirituale ") ! In questo individuale sforzo correttivo, la precaria Vita terrena , accompagnata da gioie, dolori e prove di tutte le specie, sarà servita a meritarsi un " Passi " per la vera Vita Eterna. Concludendo , posso affermare con ferma convinzione , che il mio " Senso della Vita " ( esercitando il "Bene " ) ...sta nel continuo sforzo di correggersi dal " Male " !

                                                                                       

Nella modernità la tradizione e il coraggio di San Paolo nel libro di Pierfranco Bruni al Premio Scanno 19 settembre dialogando con Giulio Rolando, Neria De Giovanni e Francesco D’Episcopo

Neria De Giovanni: “Il San Paolo di Bruni Un linguaggio nella contemporaneità con la cultura della tradizione”.

 

“E’ come se parlasse il linguaggio della ‘modernità’ nella cultura della tradizione, che resta l’elemento portante per comprendere la figura di Paolo nella storia, nella teologia e nel tempo dei nostri viaggi. Lo scrittore è come se ‘traducesse’ nella contemporaneità la forza e il mistero di San Paolo”. Sono parole di Neria De Giovanni che presenterà il San Paolo di Pierfranco Bruni. Neria De Giovanni, conoscitrice attenta della letteratura cristiana, ha letto nel libro di Bruni un Paolo che ha la lingua dei nostri giorni nella identità delle fedi.

Infatti attraversare la teologia di San Paolo è percorrere un viaggio tra fede, mistero e storia. Con San Paolo non si può prescindere dal rapporto tra archeologia e storia e tra mondo ebraico, cristiano e mediterraneo nella sua complessità. Una dimensione che pone una ragione d’essere anche in una lettura sia geopolitica che religiosa del Mediterraneo. Un Mediterraneo tra tre religioni che si leggono come filosofie, come teologie, come storia. Infatti il San Paolo di Pierfranco Bruni è un intrecciare il senso della religiosità con il mistero (ovvero misticismo) dei padri del deserto non dimenticando la storia. Il libro di Pierfranco Bruni su San Paolo: “L’altare della speranza. Paolo di Tarso, i linguaggi e la parola nella fede del viaggio” sarà presentato a Scanno per la XLII Edizione del Premio Scanno.

A discutere con Pierfranco Bruni, nell’aprire le manifestazione del Premio Scanno 2015 della Fondazione Tanturri, sabato 19 settembre alle ore 9.30, ci saranno Giulio Rolando, direttore de “Il Cerchio”, Neria De Giovanni, Presidente Associazione Internazionale Critici letterari, Francesco D’Episcopo, Università Federico II Napoli e storico della letteratura. Sarà una importante discussione perché il legame è tra la religiosità, il carisma, le etnie, il Mediterraneo nei viaggi di San Paolo.

Tre sono i viaggi che compie Pierfranco Bruni con il San Paolo tra i linguaggi e la parola nella fede, come sottolinea Giulio Rolando, di recente pubblicazione (Prospettive Meridionali, collaborazione CSR – SLSI, e Progetto Etnie del Mibact).

Il primo disegna la teoria di un Mediterraneo geo-religioso vissuto tra terra e mare in una prospettiva che è quella della “metafisica della parola”, come egli stesso afferma. Il capitolo ha questo titolo: “L’incontro con Paolo”.

Il secondo è un percorso filosofico e teologico nel corso del quale si incontrano Pascal, Kierkegaard e anche Benedetto XVI. Ma il punto centrale resta il concetto mistico di “confessione” e di fede in un intreccio tra tempo e memoria. Da queste pagine, chiaramente, si evince la sua formazione filosofica esistenzialista che trova in Maria Zambrano il punto centrale di un incontro tra Platone e Agostino e prima ancora Seneca. Il capitolo ha questo titolo: “San Paolo e l’esistenzialismo cristiano”.

Il terzo è tutto costruito su punti di riferimento che sembrano geografici, ma sono marcatamente spirituali, ovvero Damasco e Malta. Il viaggio, in fondo, lungo le rotte del Mediterraneo vive a Malta un approdo che è lo snodo dei venti e delle acque del viaggio. D’altronde il suo far scorrere il linguaggio tocca due porti metafisici: la civiltà e la tradizione. Il capitolo ha questo titolo: “L’altare della speranza”. È il capitolo che offre la sintesi al libro.

Un capitolo finale “Un tassello per non concludere” chiude questo mosaico, che come dice spesso Bruni, resta sempre incompiuto. Un bel lavoro che vede la prefazione del Vescovo Vincenzo Bertolone e la posta fazione del swgiornalista Gerardo Picardo. Una splendida copertina di Valentina Marelli.

Un San Paolo dei viaggi lungo gli itinerari della fede nei Mediterranei delle civiltà. Un libro che si lega strettamente al romanzo “La pietra d’Oriente” (Pellegrini) che è stato già tradotto in diverse lingue e presentato di recente in Rai.

 

 Pierfranco Bruni

 

Per la Religione cattolica (e non solo) gli esseri umani sbagliano ad impegnare tempo e risorse per aiutare gli animali che, secondo la Bibbia, sono stati creati per i bisogni ed i piaceri dell’uomo. Ma secondo tale giustificazione la Chiesa dovrebbe attenersi non solo a prescrizioni inerenti gli animali ma a tutto ciò che prescrive l’Antico Testamento, compresi i sacrifici di animali, la schiavitù, l’uccisione di gente di fede diversa, la demonizzazione e il disprezzo per la donna, la prescrizione ad uccidere colui che percuote sua madre o suo padre (Es. 21,15); chi pratica la magia (Lev. 22,17); chi lavora di sabato  (Es. 31,15); l’adultero e l’adultera (Lev.20,10); chi  ha rapporto con una donna durante le sue regole (Lev.20,18); chi  bestemmia il nome del Signore (Lev. 24,16); il  figlio che non obbedisce ai suoi genitori (Dt 21, 18-21) ecc. Se invece ritiene che lo spirito dei tempi richiede l’apertura a nuove e più giuste realtà allora è drammaticamente indietro rispetto l’evoluzione civile, morale e spirituale del mondo laico, e di questo dovrebbe interrogarsi e fare ammenda, anche sul perché una moltitudine sempre più numerosa di persone emigra verso religioni rispettose del mondo animale.

Ma chiedere compassione anche per gli animali fa sorridere il clero che ad ogni istanza di apertura verso il non umano trattano con sufficienza o con commiserazione coloro che si interessano di animali, considerandoli persone che si perdono dietro realtà senza valore, gente che dissipa le proprie energie in problematiche inesistenti, mentre dovrebbero impegnarsi nei problemi che attanagliano il genere umano. E naturalmente resta lontana l’idea che la compassione o il senso di giustizia, se posseduta, si manifesta in qualunque circostanza, indifferentemente dalla specie.

Il prete se la ride di noi che chiediamo amore anche per gli animali; se la ride della nostra sofferenza; ci considera gente sprovveduta, che ha perso la visione reale della vita. Nella sostanza insegna a non nutrire compassione per gli animali, perché ci sono cose più importanti. “Non spendete i vostri soldi per nutrire o curare gli animali” (come affermava ultimamente don Mazzi) “ma donateli per i nostri progetti a favore dei disagiati. Con tanti problemi che abbiamo noi umani perdete tempo, energia e denaro ad interessarvi di animali”? Gli stessi disagiati che se ne infischiano della sofferenza degli animali che mangiano a tavola con la benedizione e la partecipazione dei preti, e adepti in genere. Per la maggior parte dei preti sposare e condividere le due realtà è troppo impegnativo, ed è certamente considerano un ingiustificabile spreco il mio contributo versato annualmente sia a beneficio di associazioni umanitarie sia animaliste.

Inoltre probabilmente il prete non considera che il mangiar carne oltre a togliere la vita ad una creatura che voleva vivere e non morire uccisa, causa inquinamento, deforestazione e fame nel Terzo Mondo ecc.; come non considera il fatto che tutti i problemi umani sono la conseguenza della mancanza di compassione repressa dalla cultura antropocentrica che abitua l’uomo al disprezzo del piccolo, del minuto, dell’umile, del diverso e che questo preclude all’uomo la possibilità di essere giusto anche nei confronti del suo simile. Il cardinale Ettore Scola in una conferenza di alcuni anni fa a proposito dell'antropocentrismo della Chiesa Cattolica ha detto:  "Bene ha fatto la Chiesa Cattolica ad approvare i macelli e la sperimentazione animale nel suo Catechismo perché così facendo abbiamo salvato l'antropocentrismo. Perché se rimane l'antropocentrismo resta in piedi la Chiesa Cattolica altrimenti crolla".

Ma d’altronde per un’istituzione che per duemila anni è stata guerrafondaia, schiavista, sterminatrice di comunità religiose, di eretici, streghe e filosofi, ebrei, gnostici, pagani, indios, negri, comunisti, gay ecc. aprirsi alla compassione anche degli animali è come sperare che le galline  tornino a volare come i gabbiani. Ma come diceva Gesù, quello che è impossibile all’uomo è possibile a Dio.

Non ci sarà pace sulla terra finché  le religioni monoteiste non si libereranno dall’influsso negativo del Vecchio Testamento che tra l’altro ribadisce  “Ogni volta che ne sentirai desiderio potrai uccidere animali e mangiare la carne, secondo la benedizione che il Signore ti avrà elargito… ma non ne mangerete il sangue; lo spargerai per terra come l’acqua” (Deut. 12:15).  In tempi recenti un cardinale affermava che mangiare l’agnello pasquale non solo è lecito ma rappresenta un preciso dovere ed è fonte di meriti. E un gesuita asseriva “Come possiamo avere dei doveri verso creature che a nostro piacimento possiamo fare a pezzi, arrostire e mangiare?

Ma la maggior parte dei preti nei confronti della sofferenza animale ha il cuore sotto la suola delle scarpe e la loro pietà non supera il loro naso. Parlare loro di rispetto per gli animali è come rievocare il diavolo. Questi preti, questa Chiesa, resta refrattaria al rinnovamento dello spirito, dell’intelligenza positiva, al progresso civile, morale e spirituale, all’evoluzione, che spinge tutto in avanti, eccetto loro. Non dovrebbero forse emulare il Cristo? In quale episodio dei Vangeli Gesù mangia la carne o invita a farlo? E anche in tale indimostrabile ipotesi, tra la violenza e la morte non dovrebbero protendere per il rispetto e la vita?

Anche l’ipotesi che il cristianesimo possa un giorno trionfare su tutta la terra sarà impossibile realizzare il regno di Dio se i popoli continueranno ad allevare, torturare e massacrare i loro fratelli animali. Qualunque concetto morale, filosofico, teologico o spirituale, limitato alla sfera dell’umano, se non contempla una visione universalistica della vita, è storicamente inefficace a rendere l’uomo migliore. Se l’essere umano resta incapace di percepire il valore della vita in tutte le sue manifestazioni, se resta insensibile al dolore degli animali, se resta autorizzato a sfruttare i più deboli, qualunque principio risulta positivamente inefficace nei confronti anche dell’uomo e lo rende incapace di porre le basi per un mondo migliore.

 

Franco Libero Manco

 

di Franco Libero Manco

 

Credo che il mangiar carne sia la prova del fuoco per chiunque parli di giustizia sociale, di solidarietà, di pace, di amore per il prossimo, di

tutela dell’ambiente, di economia, di in un mondo senza soprusi, egoismi, malattie, violenza, miseria… Se questa persona usa mangiare la carne per solo piacere gastronomico, questa vive una tremenda contraddizione perché causa i problemi che teoricamente vorrebbe abolire.

 

Immaginiamo i personaggi più noti: il Papa, il Presidente della Repubblica, del Consiglio, esponenti politici, presidenti Ong, opinionisti televisivi, direttori di giornali ecc. mentre in televisione elargiscono consigli su come rendere più giusta la società. Se questi considerano lecito e giusto mangiare il corpo di animali allevati per essere uccisi per il piacere del loro palato allora, oltre ad evidenziare la loro  incoerenza, si riduce drammaticamente il loro spessore morale e la loro sfera percettiva. Se sono consapevoli degli effetti prodotti allora sono persone insensibili alla sofferenza che producono e quindi inadatte a cariche pubbliche; se invece non sono consapevoli dei danni causati da questa scellerata scelta alimentare, che causa malattie, inquinamento, distruzione dell’ambiente, fame nel mondo… allora la mancanza di conoscenza non li rende idonei ad essere leader.

 

Questi personaggi, ai quali sembra stia a cuore il bene del popolo, si ritroveranno a cena con nel piatto le spoglie di un agnello, vitello, pollo o aragosta: animali sacrificati per deliziare il loro palato, diversi da noi solo nella forma; per cui masticare le loro parti anatomiche è un pò come mangiare un nostro simile. Questi personaggi ai quali sicuramente scarseggia la sensibilità umana, il senso della giustizia, la capacità di comprenderne gli effetti prodotti, non possono essere considerati adatti a ricoprire il loro ruolo.

 

Ma la coerenza è prerogativa dei grandi spiriti. E un leader incoerente non può mai essere affidabile. La coerenza vorrebbe che chi ritiene giusto mangiare la carne uccidesse con le proprie mani l’animale (immaginare uno di questi personaggi sporchi di sangue perché intenti ad uccidere un vitellino, un maiale o un pollo sarebbe una dimostrazione di coerenza). Se invece rifiuta l’operazione ritenendo sia un’azione crudele, raccapricciante, ripugnante, e delega altri a commettere ciò che in prima persona non ha il coraggio di compiere, allora è persona pavida, ipocrita perché accetta gli effetti di un atto che condanna, solo perché questo gli procura piacere.

Il magistrato, il giudice che fa della giustizia il suo vessillo, se mangia la carne causa ad un essere innocente l’ingiustizia suprema della violenza e della morte e quindi non può essere adatto al suo ruolo, dal momento che l’ingiustizia e la sofferenza non varia a seconda della vittima. Se non considera la vita dell’animale che ha nel piatto, se non dà valore alla sofferenza causata, se usa differenziare vita da vita, dolore da dolore, ingiustizia da ingiustizia non è in grado di capire che è proprio questo ciò che inclina l’essere umano ad ogni violenza e ad ogni ingiustizia nei confronti dell’uomo.

 

Il politico che legifera per la buona economia e mangia prodotti animali ha percezioni limitate se non si accorge che l’alimentazione carnea triplica il costo della vita dei cittadini; che il pericolo maggiore non viene dalla disoccupazione o dall’evasione delle tasse ma di ciò che porta a tavola la popolazione. Se non sa vedere l’impatto devastante degli allevamenti di animali da macello sulla vita personale collettiva, se non è a conoscenza che per produrre 1 kg di carne di manzo sono necessari 50.000 litri di acqua, 9 litri di petrolio, 15 kg di cereali e che occorre sacrificare 12 mq di foresta e che questo kg di carne di manzo genear 36 kg di anidrite carbonica, se non tiene conto di tutto questo non è adatto al suo ruolo.

Il prete che giustifica la supremazia dell’uomo sul creato, che trascura il dolore degli altri esseri viventi, che benedice la strage di animali, che sale sull’altare con nello stomaco i resti di un animale ucciso per il piacere del suo palato, non è adatto al mondo dello spirito. Il prete che tanto generosamente si presta ad aiutare i poveri dando loro da mangiare i corpi di animali assassinati ha la vista corta se non si accorge che è proprio da questa indifferenza verso le creature innocenti, che urlano inascoltate, che si genera la miseria morale e la fame sul pianeta. Come può la Chiesa pensare di liberare il genere umano dalla violenza se autorizza gli uomini ad esercitare ogni forma di crudeltà nei confronti di miliardi di animali innocenti? Come può lottare contro la fame nel mondo se sono proprio gli allevamenti di animali e la produzione di mangimi i massimi responsabili di tale flagello?

Intere famiglie vivono in strada, donne, uomini, bimbi con cui si cerca di instaurare un rapporto per poi portarli sotto un tetto.

 

È questa la testimonianza di chi ha scelto di vivere presso la Casa Famiglia “Oasi della Divina Provvidenza” a Pedara (CT), antico borgo alle falde dell’Etna, in Sicilia.

Riccardo Rossi, il giornalista chiamato il “mastino napoletano”, addetto stampa di politici noti, frequentava deputati e personaggi illustri e scriveva per loro ciò che loro pretendevano che venisse scritto andando anche contro la verità contingente.

Fu il monito di Giovanni Paolo II nella Sala Nervi, nell’incontro con gli addetti della stampa, della comunicazione in genere, a fargli cambiare missione: “I giornalisti non devono essere complici della cattiva informazione

Quell’incontro fu illuminante per Riccardo, quelle parole taglienti gli rimasero impresse; quell’enciclica venne più volte riletta dal giovane giornalista che iniziava a soppesare il suo lavoro al soldo dei politici e le aspettative concrete della gente semplice. Perché dare aspettative infondate e non dire realmente agli onesti le cose come stanno.

La scoperta di avere un fratello soggiogato alla droga ed il ricordo di un bambino di dodici anni incontrato in Romania qualche anno prima, durante un pellegrinaggio, che viveva in strada in un cumulo di rifiuti, lo convinsero a dedicarsi totalmente agli altri, al prossimo, bisognoso d’aiuto. Oggi Riccardo aiuta i disabili e i malati terminali, la Carità e l’Amore di Dio per tutte le sue Creature lo fanno vivere nella tranquillità dell’anima, della sua coscienza. Riccardo scrive notizie e articoli ma solo quelle belle, positive, quelle notizie che solo ad ascoltarle danno gioia e felicità oltre ad infondere tranquillità profonda. “La Gioia” è un giornale di buone notizie che vuole ispirare gesti solidali. Nasce come braccio operativo dell’Associazione “La Gioia onlus” che vuole, tramite la comunicazione, ispirare percorsi di carità; è anche su Facebook. Il suo motto che ribadisce a chi lo avvicina è: “soltanto il Signore ti mette nel cuore la sostanza della vita”. Bisogna ascoltare la voce del Signore, bisogna entrare in sintonia armonica con l’essenza divina. Bisogna aprire il proprio cuore all’Amore di Dio che ci ascolta e ci aiuta. Con coraggio bisogna avere fede, speranza e professare la carità verso chi ha più bisogno di noi.

Riccardo, si è convertito alla causa del sociale e da allora dedica la sua vita a donare amore e gioia al prossimo. Un amore ed una gioia che gli derivano, non dalle cose materiali, ma dalle persone che lo circondano e che nonostante mille difficoltà hanno una sana voglia di vivere. 

D – Cosa è una Casa Famiglia, chi ci lavora, come vivete e chi viene a bussare alla porta di questa casa? 

R – La casa famiglia “Oasi della Divina Provvidenza”, è la mia casa, è lì che vive la mia nuova, numerosa famiglia, che ha bisogno d’aiuto. Siamo tutti volontari e viviamo di Provvidenza, come i fraticelli di San Francesco. Quando ti trovi ad avere a che fare con malati terminali, persone sofferenti, persone disabili in quei momenti “esce” il Riccardo migliore. Ognuno di noi ha un lato buono, io ho solo la fortuna di vivere in un contesto che mi educa all’amore. In casa famiglia arriva tanta gente, qui accogliamo le persone che nessuno vuole. Da noi ci sono persone che vivevano in strada, immigrati, ragazze madri, alcolisti, disabili sia mentali, sia fisici, famiglie. I motivi sono tanti, chi scappa da un paese in guerra o chi è semplicemente povero, chi ha una dipendenza, chi rimane senza lavoro e senza casa, una donna che veniva maltrattata, anziani soli, disabili rimasti senza famiglia. I motivi sono veramente tanti, credimi, ed ho fatto solo alcuni esempi. 

D – Secondo te, chi sono i nuovi poveri? 

R – I nuovi poveri; la nuova povertà avviene con l’incomprensione che è troppo spesso di carattere politico-amministrativo. Sicuramente abbiamo il polso delle situazioni sulle nuove povertà. Registriamo molte famiglie italiane in difficoltà, un aumento notevole di persone che perdono il lavoro, la casa. Ci sono sempre più persone che finiscono in psichiatria e tanti anziani che rimangono soli. Tanti gli immigrati che scappano dai loro paesi con la speranza di una vita migliore. Questi sbarchi continui che portano i nuovi poveri, i derelitti. In breve, rispetto a qualche anno fa ci sono molti nuovi poveri italiani, tante persone emarginate e un numero cospicuo di stranieri che speravano in una vita migliore e invece trovano tante difficoltà e chiedono aiuto. 

D – Ma il tuo lavoro prevede anche un’assistenza sanitaria? 

R – In una famiglia c’è sempre chi è in grado di dare un’assistenza sanitaria. Io, per esempio, devo fare un’operazione particolare e delicata per fare andare in bagno un ragazzo tetraplegico, per fare questo ho dovuto fare un corso di specializzazione in ospedale poco tempo fa, uso il Peristeen, che è un sistema di irrigazione transanale per le persone che soffrono di incontinenza fecale o stipsi. Utilizzando il Peristeen si riduce al minimo la probabilità di perdite intestinali involontarie o le stipsi. Poi devo somministrare le insuline ai diabetici. 

D – Il tuo impegno in questa Casa Famiglia inizia dal mattino? 

R – È il mattino che ha l’oro in bocca, e così la mattina vado a fare vari servizi, vado a prendere il pane per sessanta persone e questo è l’attuale numero dei nostri famigliari, poi vado in farmacia, in vari uffici pubblici, spesso faccio la spesa al supermercato. A ora di pranzo mi occupo nuovamente delle insuline, poi servo a tavola e imbocco i disabili. Dopo mangiato vado a vedere i bidoni della spazzatura, se pieni li devo portare nel punto di raccolta che è sempre nel perimetro del giardino della casa famiglia. In genere nel pomeriggio non ho impegni fissi e scrivo le buone notizie: articoli, recensioni, foto notizie. Nel corso della giornata vado a parlare più volte con una nuova accolta disabile, che è spesso allettata. 

D – E i tuoi impegni serali quali attività prevedono? 

R – Diciamo che il mio unico impegno è stare qui giorno e notte con chi ci chiede aiuto. Tanti sono comunque gli imprevisti, donazioni di alimenti e bisogna andarli a prendere anche la sera sul tardi, recuperare ragazzini da attività sportive, andare a riprendere persone nuove che ancora non ricordano o non conoscono la strada di casa. La sera, c’è l’aiuto a cenare, sempre prima delle immancabili insuline. Nella serata leggo libri o scrivo, se arrivano chiamate, devo uscire per recuperare cibo che rimane nei ristoranti. Possono capitare anche emergenze notturne di persone che stanno male e spesso sono chiamato anch’io. Le giornate tipo variano a seconda degli accolti e se in quel momento c’è un malato terminale, possono essere necessarie anche sei ore al giorno, oltre tutti gli altri impegni. 

D – Che importanza ha l’Amore in un posto come la Casa Famiglia? 

R – L’Amore è fondamentale, l’empatia con l’altro da se, recuperare una persona è volergli bene ed essere disponibile. Nel momento che una persona accolta si sente amata e curata, accadono miglioramenti sorprendenti. I medici poi stabiliscono la cura, nel caso di patologie fisiche o mentali. L’Amore comunque è una delle più grandi armi per recuperare una persona e ciò dipende da come la persona è accolta. C’è chi recuperiamo dalla prostituzione ed ora è missionaria, c’è chi si è reintegrato nel tessuto lavorativo, c’è però anche chi è tornato in strada. Qui c’è la possibilità di ripartire, ma bisogna mettere la propria volontà!

Sono partito qualche anno fa da solo, ora ho tanti volontari che mi aiutano, che mi seguono ed insieme a loro riesco a raggiungere decine di migliaia di persone e sono sempre più i gesti solidali d’individui che ispirati dalle buone notizie compiono piccole opere solidali. C’è chi tramite “La Gioia” ha iniziato il giro notturno per incontrare i senza fissa dimora, chi ha fatto delle donazioni di alimenti alla casa famiglia dove vivo e tanti altri piccoli gesti. Un giovane da me interrogato dopo una mia testimonianza in una scuola mi disse: “ Tutte queste belle azioni mi stimolano a compierle”. Il motivo de “La Gioia” è appunto questo, far nascere percorsi solidali. 

D – Tu da giornalista scrivi solo per il tuo giornale? 

R – No, collaboro anche con “Golem informazione”, il giornale diretto da Roberto Ormanni, dove ho una rubrica molto letta di buone notizie, logicamente, e da poco ho anche uno spazio settimanale su “radio Kolbe” ogni mercoledì alle 22.00, dove scegliamo cinque buone notizie e si può ascoltare via web. Ti confido una mia scoperta Giuseppe, troppo spesso i nostri mezzi di comunicazione ci comunicano gli eventi negativi della nostra quotidianità, invece esistono tante cose positive. Più vado avanti nella ricerca di buone notizie e più ne scopro, c’è tutto un mondo di persone che aiuta il prossimo e di cui si sa poco e nulla ed io do notizia di questi bellissimi fatti, di questi meravigliosi eventi che arricchiscono l’anima dandoci la forza di andare avanti e di credere al nostro prossimo, di chi abbiamo vicino. Non bisogna disperare mai, c’è sempre una luce 11006398 10205877160270562 8611011573137729791 n1anche nel tunnel più nero. Non guardiamo sempre il bicchiere mezzo vuoto, ma impariamo a guardare il mezzo pieno. Ho conosciuto una persona con la Sla, immobile nel letto, che trasmetteva voglia di vivere e confortava chi era triste. Potrei portare tanti esempi di persone con vite difficili che erano gioiose e piene di vita. Il vero segreto per vivere bene è aprirsi all’amore, avere nel cuore la speranza e di essere noi il cambiamento che vorremmo nel mondo. Non dobbiamo più lamentarci di ciò che non abbiamo, gioiamo per il dono della vita che abbiamo. Hai una nuova vita a partire da adesso, forza dai, ricomincia tutto!

 

 

 

Riccardo Rossi

 

 

 

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