L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Human Rights (215)

Roberto Fantini
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“Nel caso di Peltier si sono verificate enormi anomalie giudiziarie. Leonard Peltier è una persona piena di umanità e per questa ragione io sarò accanto a tutti coloro che lo sostengono finché non lo vedremo libero.” 

                                                   Rigoberta Menchù 

 

Dopo innumerevoli raccolte di firme, messaggi, lettere e appelli, il presidente Biden,  giunto al termine del suo mandato, ha deciso di commutare la pena di Leonard Peltier*, consentendo all’anziano e malato nativo americano, difensore dei diritti umani, di uscire finalmente dal carcere e di potersi recare agli arresti domiciliari.

Di ciò hanno dato notizia i principali organi di informazione statunitensi, e l’atto di “Executive Grant of Clemency” è visionabile sul sito www.freeleonardpeltiernow.org.

Peltier, esponente di spicco del Movimento degli indiani americani, venne condannato all’ergastolo nel 1977, in relazione all’omicidio di due agenti dell’Fbi, verificatosi due anni prima, in seguito ad un processo palesemente iniquo, condizionato pesantemente da pregiudizi di ordine razzista.

 Tra l’altro, dopo cinque anni, ripetuti esami balistici approdarono alla conclusione oggettiva che i proiettili che causarono la morte degli agenti non appartenevano all’arma di Leonard, e molti testimoni ammisero che le accuse avanzate nei suoi confronti erano frutto delle minacce subite da parte dell’ Fbi.

Nel 2021, lo stesso procuratore capo del processo, James H. Reynolds, si rivolse a Biden con le seguenti inequivocabili dichiarazioni: 

 “Scrivo oggi da una posizione inconsueta per un ex pubblico ministero, per supplicarvi di commutare la pena di un uomo che ho contribuito a mettere dietro le sbarre.

Con il tempo e col senno di poi, mi sono reso conto che il procedimento giudiziario e la lunga incarcerazione del signor Peltier erano e sono ingiusti.”  

Nel corso di questo mezzo secolo di ingiusta detenzione, si sono espresse a favore della liberazione di Peltier associazioni umanitarie come Amnesty International** e il Movimento Nonviolento, istituzioni internazionali come il Parlamento Europeo e l’ONU, nonché importanti figure della cultura e del mondo religioso, da Nelson Mandela a madre Teresa di Calcutta, dal Dalai Lama a Papa Francesco, da Desmond Tutu ad Howard Zinn.  In Italia, merita di essere segnalato l’assiduo ed ammirevole impegno portato avanti dal “Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera” della città di Viterbo. 

Recentemente, il prestigioso quotidiano The Guardian  ha dedicato a Leonard Peltier un ampio articolo, ricostruendo sinteticamente la sua vicenda, dichiarando, in particolare quanto segue: 

È ampiamente noto che il governo federale ha incastrato Peltier in prigione trattenendo e falsificando le prove, costringendo i testimoni e forzando un cambio di giurisdizione, tra gli altri atti di cattiva condotta e malizia dell'accusa. Il procuratore degli Stati Uniti James Reynolds, il cui ufficio ha gestito l'accusa e l'appello di il caso, ha rilasciato delle scuse pubbliche nel 2021, riconoscendo che il governo federale non è riuscito a "dimostrare che il signor Peltier abbia commesso personalmente alcun reato nella riserva di Pine Ridge". Da allora Reynolds ha chiesto a Biden di rilasciare Peltier.
 La dichiarazione di Reynolds da sola avrebbe dovuto essere motivo per concedere a Peltier la libertà vigilata e, in ultima analisi, la clemenza. Eppure, nonostante le molteplici suppliche nel corso di molti decenni, Peltier, che ha appena compiuto 80 anni e soffre di molteplici crisi di salute, tra cui diabete, malattie renali, problemi cardiaci e quasi cecità, continua a languire in una prigione di massima sicurezza in Florida chiamata Coleman 1.”
 Gli arresti domiciliari non rappresentano certamente una vittoria né per Leonard né per quanti lo hanno sostenuto in tutti questi anni. Ciononostante, immensa è la gioia al pensiero che l’ultimo tratto di strada in questo mondo potrà risultargli più lieve e sicuramente più felice.   

 

 

 

 

                        

                                 “Dato che non penseremo mai nello stesso modo e vedremo la verità per frammenti e da diversi angoli di visuale, la regola della nostra condotta è

la tolleranza reciproca.”                                         Mahatma Gandhi

 

                                             “ Le ragioni della tolleranza valgono ovunque: nei banchi di scuola, in ufficio, in fabbrica, allo stadio, nella cabina elettorale, nell’aula giudiziaria, nelle pubbliche manifestazioni. Perché sia abbattuta la barriera fra vizi privati e virtù pubbliche occorre che la tolleranza divenga un abito mentale. E’ essenziale cioè che essa divenga un valore per tutti, che il suo significato profondo venga appreso, acquisito dalla nostra coscienza e faccia parte di noi.”

                                                 Salvatore Parlagreco 

                         “La discordia è la piaga del genere umano, e la tolleranza ne è il solo rimedio.” 

                                  Voltaire 

 

           Capita spesso di veder confuse, in maniera alquanto discutibile e fuorviante, tolleranza ed indifferenza. Come se, l’unica possibilità per liberarci dalle innumerevoli forme di faziosità settaria, di diffidenza e rifiuto dell’altro, nonché di odio violento nei confronti di tutto ciò che appare diverso e nocivo, possa derivare dal rifiuto radicale del prendere posizione sulle cose che contano, barricandosi dentro gli angusti ma confortevoli confini della propria egoità.

Certo, nel caso non ci si interessasse affatto di religione, di politica o di calcio, ci apparirebbero del tutto prive di senso sia le varie possibili contrapposizioni e querelles di carattere teorico che potrebbero sorgere intorno a simili tematiche, sia le lotte di carattere pratico miranti a denigrare, discriminare, perseguitare le fazioni avverse, in vista di una tanto bramata conquista del primato.

La condizione dell’indifferenza, però, pur risultando indubbiamente preferibile a quella di chi esercita l’intolleranza fanatica e aggressiva, non è in grado di presentarsi come una strategia capace di proteggere l’umanità dalla piaga dell’intolleranza. E questo, innanzitutto, perché l’indifferenza  non potrà mai venire estesa a tutti gli ambiti, ma solamente a quelli che ciascuno di noi potrà ritenere (in maniera inevitabilmente opinabile) privi di significato e di rilevanza. Inoltre, avrà sempre un’ efficacia estremamente parziale e precaria: potrà soltanto provvisoriamente impedire ai suoi sostenitori e praticanti di gettarsi nella mischia, ma non certo che altri lo facciano.

Ma perché, dopo millenni di odio teologico, di persecuzioni etnico-razziali, di crociate, inquisizioni, anatemi, epurazioni, deportazioni e stermini di massa, nonostante i tanti appelli al dialogo, all’ascolto, al reciproco rispetto, ecc., ancora  tante e così granitiche difficoltà nel coltivare e praticare elementari forme di tolleranza?

Credo che, alla base di simili resistenze, sia possibile intravedere meccanismi di ordine psicologico ricorrenti in tutta la storia del genere umano. E, come ci insegna meglio di chiunque altro il Socrate platonico, la causa prima dell’intolleranza andrebbe sempre individuata nell’ignoranza, intesa come il

non sapere di chi crede di sapere.

Questo perché il credere di sapere implica necessariamente la certezza di essere in possesso della Verità e, di conseguenza, la presunzione di sapere cosa sia necessario, cosa sia utile, cosa sia doveroso fare in vista del Bene (in ogni campo e ad ogni livello):

chi rifiuta quella Verità, che io ritengo essere l’unica vera e che io “so” di possedere, verrà percepito come “nemico del Vero” e, come tale, anche “nemico del Bene” (il Bene può nascere, infatti, soltanto dal Vero).

Quindi, io, che so di avere la Verità e che so cosa si dovrebbe operare per il conseguimento del nostro Bene, come potrei non sentirmi moralmente obbligato a combattere chi, volontariamente o involontariamente, rifiutando il Vero, finisce inesorabilmente per ostacolare la realizzazione del nostro Bene?

E, nello stesso tempo, come potrei non sentirmi in dovere di cercare di impedire (al fine di difendere e di realizzare il Bene di tutti) il verificarsi di tutto quello che ritengo poter nuocere all’affermarsi del Vero e alla sua concretizzazione oggettivata, sia nella sfera individuale che in quella collettiva?

E come non sentirmi pienamente autorizzato e legittimato a ricorrere ad OGNI mezzo umanamente possibile per impedire o, almeno, semplicemente rallentare il trionfo del Bene?

Di fronte ad un fine tanto elevato (e tanto indiscutibilmente giusto), risulta legittimato, anzi, doverosamente richiesto, il ricorso a qualsiasi mezzo ritenuto “utile”:

censura-imposizioni-limitazioni varie-controllo sistematico-isolamento-incarcerazione-tortura-deportazione-pena di morte.

Il non farlo verrebbe ad evidenziare una grave mancanza di senso di responsabilità e di attenzione agli interessi della collettività, e, quindi, una psicologia ed una moralità spregevolmente e pericolosamente egocentriche.

Il ritenere, quindi, di poter possedere (in modo assoluto) una Verità assoluta prepara la strada alla accettazione e consacrazione di poteri anch’essi assoluti e, come tali, senza confini.

Di fronte ad una simile mentalità, potrà risultare massimamente efficace  l’esercizio terapeutico della Filosofia in ottica autenticamente socratica ed ecletticamente teosofica.

Ovverosia, educando il pensiero:

 

  • all’uso critico-sistematico del dubbio;
  • al coraggio del giudizio autonomo;
  • alla capacità di autoanalisi e di autocritica;
  • alla consapevolezza del limite sia delle proprie che delle altrui certezze;
  • anzi, alla consapevolezza dei limiti invalicabili dello stesso pensiero umano nel cercare di approdare a qualcosa di definibile come assolutamente certo e, quindi, non più rivedibile-discutibile-correggibile-migliorabile;
  • alla consapevolezza, perciò, della necessità irrinunciabile di un continuo processo di ricerca e, quindi,
  • della necessità di diffidare di tutte le risposte blindate, dogmaticamente imposte sulla base della strategia dell’ ipse dixit;
  • nonché della necessità di una costante disponibilità al confronto sincero, allo scambio, alla cooperazione paritaria, alla consapevolezza che ogni verità è inevitabilmente “figlia del Tempo”, e che ogni verità rappresenta inevitabilmente (soltanto) il risultato della nostra (soggettivissima) attività conoscitiva condotta nel tempo e nello spazio (nel nostro tempo e nel nostro spazio),
  • e che, quindi, è in grado di rappresentare esclusivamente il punto di approdo del nostro sguardo sul mondo, ovvero sempre lettura prospetticamente fondata,
  • e, come tale, sempre valida relativamente e provvisoriamente.

 

Un simile atteggiamento potrebbe condurci, allora, a pensarci come esseri non più divisi e contrapposti in quanto credenti e non-credenti, platonici e aristotelici, teisti e panteisti, rivoluzionari e controrivoluzionari, ortodossi ed eterodossi, ecc., bensì come viandanti, pellegrini, eterni ricercatori, desiderosi di conoscere sempre più e sempre meglio il Vero e il Bene.

E i vari credo (religiosi, filosofici, politici, ecc.) potranno apparirci, finalmente, non più come entità boriosamente e cruentemente condannate a lottare fra loro, bensì come differenti itinerari, tutti percorribili e tutti sperimentabili, ovvero differenti sentieri  inerpicantisi su di un’unica immensa montagna:

tutti relativamente validi;

tutti meritevoli di essere presi in considerazione, di essere esaminati senza pregiudizi, di essere discussi criticamente, con lealtà, con franchezza e con rispetto.

In un articolo apparso su Lucifer, nel gennaio 1888, Helena Petrovna Blavatsky*, fondatrice della Società Teosofica (New York 1875), vulcanica scrittrice e infaticabile demolitrice di pregiudizi culturali, ci fornisce un’analisi estremamente efficace e convincente del fenomeno dell’intolleranza.

 

Chi crede di aver trovato l’oceano nella sua brocca d’acqua – scrive - è naturalmente intollerante nei confronti del suo prossimo, il quale, a sua volta, si compiace d’immaginare d’aver versato il mare della verità nel suo piccolo vaso, ma chiunque conosce, come i teosofi, quanto infinito è l’oceano dell’eterna saggezza, per essere scandagliato da qualche uomo, classe o partito, e comprende quanto poco contiene anche il più grande recipiente fabbricato dall’uomo, in confronto a quanto giace sopito e non ancora percepito nelle sue oscure e abissali profondità, non può essere che tollerante; perché vede che gli altri hanno attinto con i loro recipienti nello stesso grande serbatoio nel quale ha attinto egli pure e, per quanto l’acqua nei vari recipienti possa sembrare diversa all’occhio, ciò può darsi soltanto perché è colorata dall’impurità che si trovava nel recipiente prima che vi venisse versato il cristallino elemento – parte dell’eterna ed immutabile Verità.”

Secondo questa prospettiva, i produttori-possessori di ciascun  recipiente conoscitivo (ovvero fede religiosa, sistema filosofico, ideologia politica, ecc.), ignorando di aver attinto tutti ad un unico immenso serbatoio, cadrebbero nell’errore di ritenersi i soli capaci di raccogliere, contenere ed offrire al mondo la sola salutare e salvifica acqua, considerando il contenuto degli altrui recipienti  sostanzialmente diverso dal proprio e, pertanto, inadeguato e nocivo.

Unica via alternativa in grado di espellere l’intolleranza dalla nostra storia, sarebbe quindi costituita – secondo la prospettiva teosofico- blavatskyana (in chiara sintonia con quella neoplatonica di Ammonio Sacca e con quella irenico-umanistica di un Giovanni Pico della Mirandola** o di un Erasmo da Rotterdam) – dal saper accettare l’idea della presenza di una parte della Verità all’interno di ogni religione e di ogni sistema filosofico e politico, nella consapevolezza che

          “se vogliamo trovarla dobbiamo cercarla alle origini ed alle sorgenti di ogni sistema, alle sue radici ed ai primi germogli, non nelle tardive escrescenze delle sette e dei dogmatismi.”

 

E unica cura contro tutti i fanatismi potrà essere soltanto – sempre su questa via - il riconoscere che tutte le proprie amatissime convinzioni non siano altro che piccolissimi  granelli di verità, inesorabilmente mescolati all’errore e  che, nello stesso tempo,

 

“gli errori degli altri sono come quelli propri:  misti alla Verità”.    

 

                     

Note 

*LA STRAORDINARIA VITA E IL PENSIERO DI HELENA BLAVATSKY, FONDATRICE DEL MOVIMENTO TEOSOFICO MODERNO - FlipNews - Free Lance International Press

**PICO  DELLA MIRANDOLA: ORIGINALE ED ATTUALE MAESTRO DI SAGGEZZA. Conversazione con Gabriella Gagliardi, autrice di Giovanni Pico della Mirandola. Un genio riscoperto che parla al presente. Il vero pensiero oltre la “vulgata”    - FlipNews - Free Lance International Press

 

 

 

 

 

Giovedì 12  dicembre a Roma, presso l’Auditorium della Chiesa di Scientology, si è svolta la serata evento “Uniti in difesa dei Diritti ”, in occasione del 76° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

 

Questa la quarta edizione dell’evento, organizzato dall’Assne  “Arte Cultura per i Diritti Umani Onlus”, che ha visto come protagonisti bambini e adolescenti entusiasti di riconoscere e celebrare coloro che, nelle azioni quotidiane, danno vita ai principi fondamentali dei Diritti Umani.

La serata, condotta da Paolo Bonini è stata impreziosita da testimonianze avvincenti e condivisione di intenti. .Il primo diritto di un Essere è il diritto di  aiutare. Come dice il filosofo  umanitario LR Hubbard

Ci sono molte persone che spontaneamente si dedicano a questo e sono un esempio per gli altri. E’a loro che durante la serata è stata consegnata la targa con il riconoscimento del titolo di “Difensori dei Diritti Umani 2024”.

L’attore Ferdinando Maddaloni, è stato premiato per il progetto “BeslaNapoli – una videoteca per Beslan” . Dopo la strage degli innocenti avvenuta nel 2004 in una scuola di Beslan, le cui vittime erano tutti bambini, tra cui uno di soli due anni. Ferdinado è voluto tornare sul posto per creare una videoteca per i bambini sopravvissuti. In quell’occasione ha organizzato con i ragazzi  una partita di calcio con in palio la maglia autentica donata da Diego Armando Maradona. Durante la serata Ferdinando si è dedicato al gruppo dei boyscouts della comunità araba e subito dopo l’evento, Ferdinando  per ringraziare tutti i suoi piccoli nuovi amici, ha realizzato con la sua collega Katia Nani, un  corto di appena 2 minuti dal titolo "Shukrun". 

Nazareno Insardà, presidente e socio fondatore  di Aida Onlus, premiato per l’incessante attività svolta in 20 anni a favore dei diversamente abili.

L’attenzione per gli altri contraddistingue Nazareno, in breve Reno, sin dalla giovane età, che lo vede protagonista di una grande storia di Amicizia; tra lui e un ragazzo di 19 anni che dopo un incidente rimasto sulla sedia a rotelle non esce più di casa

Reno dedica le sue giornate a questo ragazzo, aiutandolo a ritrovare la voglia di Vivere portandolo in giro per il paese. Questo lo stesso obiettivo di AIDA che è: reinserire disabili nella società attraverso lo sport e tutelare i loro dirittti.

Nel 2005  iniziano con 3 squadre, le prime in tutta la Calabria, di pallacanestro in carrozzina, poi la squadra di tiro con l’arco. Aida diventa così un vero punto di riferimento per i giovani disabili che vogliono mettersi alla prova con lo sport.

Il pubblico giovane è stato molto partecipativo e oltre a godere dei racconti dei due premiati ha potuto ricevere un vero e prorpio briefing sul signficato dei Diritti Umani e sulla loro storia. A tal proposito sono stati utlizzati i materiali della Campagna mondiale “Gioventù per I Diritti Umani”, che ha lo scopo di far conoscere ai giovani di tutto il mondo i 30 articoli della Dichiarazione Universale, in modo che essi diventino validi sostenitori della tolleranza e della Pace.

I ragazzi hanno bisogno di connoscere quali sono i nostri 30 Diritti inalienabili e devono avere la piena comprensione che a tali diritti corrispondono altrettanti doveri. Il messaggio che è stato lanciato è quello della difesa e del rispetto dei Diritti Umani.

Sono stati proiettati dei brevi spot esplicativi e il video musicale multi-etnico  UNITED, che esprime l’esperienza della vita di strada e mostra ai giovani come ripristinare la pace, usando la tolleranza e l'unione delle forze contro la sopraffazione e il bullismo. Dopo United bambini, ragazzi e adulti  hanno firmato la promessa di rimanere Uniti ed Aiutarsi l’un l’altro. La serata si è conclusa in grande allegria con il lancio dell’ aereoplanino di carta simbolo di UNITED. Gesti simbolici che hanno creato un momento di forte condivisione e ha permesso loro di capire come sia importante rimanere  Uniti per rispettare e difendere I Diritti Umani.

video dell'associazione "Artisti civili" di Ferdinando Maddaloni

 

www.arteculturadirittiumani.org

Tutti I materiali della Campagna “Gioventù per I Diritti Umani” sono resi disponibili gratuitamente sul sito https://it.youthforhumanrights.org/

 

 

 

 

                                                           

“Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, ad azioni offensive messe in atto da parte di uno o di più compagni.”


                                                                                           Dan Olweus                                                                                                                                                   

 

In base a tutte le informazioni di cui è possibile disporre, il fenomeno del bullismo risulta, con indiscutibile evidenza, in continuo aumento.

Le statistiche più recenti delle Nazioni Unite riportano che uno studente su tre, tra i 13 e i 15 anni, ha vissuto qualche forma di esperienza di bullismo e che ogni anno, a livello mondiale, ben 246 milioni di bambini e adolescenti subiscono atti di violenza a scuola o episodi di bullismo.

A risultare in sensibile aumento è, in particolare, il cyber bullismo: nei Paesi industrializzati, incontriamo percentuali di minorenni che lo hanno sperimentato oscillanti tra il 5% e il 20% della popolazione minorile, con una consequenziale vasta gamma  di gravi problematiche psicofisiche.

Da un’indagine condotta nel 2021 negli Stati Uniti, da parte dei Center for Disease Control and Prevention (CDC), è emerso che, nell’anno precedente, il 15 % degli studenti nelle scuole superiori ha riferito di aver subito atti di bullismo in ambito scolastico e che il 16% ha riportato di essere oggetto di cyber bullismo.

In Italia, nel 2020, i dati statistici sul bullismo mostrano che il fenomeno è sempre più diffuso: secondo l’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), il 44% degli studenti delle scuole medie inferiori e il 32% degli studenti delle scuole superiori si è dichiarato vittima di bullismo; il 14% degli studenti delle scuole medie inferiori e il 12% degli studenti delle scuole superiori ha dichiarato di aver commesso atti di bullismo; il 21% degli studenti delle scuole medie inferiori e il 18% degli studenti delle scuole superiori ha dichiarato di aver subito atti di bullismo online.

Nel 2022, i dati statistici in Italia mostrano un ulteriore incremento del fenomeno: sempre secondo l’ ISTAT, il 46% degli studenti delle scuole medie inferiori e il 35% degli studenti delle scuole superiori ha dichiarato di essere stato vittima di bullismo.

Fortunatamente, in questi ultimi anni, nel mondo della scuola stanno cominciando ad apparire iniziative educative di supporto alla normale attività didattica, rese possibili anche dalla collaborazione con esperti ed associazioni che si occupano di tutela e di promozione dei diritti umani. In questo campo, particolarmente  prezioso si sta dimostrando l’impegno di Amnesty International, da lunghi e collaudati decenni sempre più impegnata sul fronte educativo.

Amnesty International, infatti, considera gli atti di bullismo in palese contrasto con il diritto di tutti a poter godere dei diritti e delle libertà enunciati dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, “senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione“ (Art. 2).

In particolare, in molti istituti (sia di medie inferiori che superiori), attraverso incontri di formazione e laboratori, studenti e studentesse vengono messi in condizione di analizzare e discutere i concetti di stereotipo, di pregiudizio e di discriminazione, approdando anche alla elaborazione di interessanti proposte di strategie e pratiche di prevenzione e contrasto al bullismo, volte a migliorare l’ ambiente scolastico e renderlo più aperto e più rispettoso dei diritti umani.

Sul fronte della lotta al bullismo, poi, da qualche settimana sta facendo discutere “IL RAGAZZO DAI PANTALONI ROSA”, il bel film scritto da Roberto Proia e diretto da Margherita Ferri.

Accantonate le eccessive perplessità sollevate da alcuni gruppi di genitori, preoccupati che il contenuto doloroso del film potesse essere fonte di nocivi turbamenti per alunni di scuola media, molti sono gli istituti che si stanno mobilitando per favorirne la visione. Scelta sicuramente apprezzabile, soprattutto se la visione del film non rappresenterà un fatto a sé stante, ma sarà adeguatamente preparata e, soprattutto, intelligentemente utilizzata per interventi didattici ben congegnati, capaci di guidare i ragazzi ad una riflessione critica e consapevole.

Il film, ispirato alla vicenda di Andrea Spezzacatena (un ragazzo che frequentava un noto liceo romano, la cui vita si è tragicamente fermata pochi giorni dopo il suo quindicesimo compleanno), privo di roboanti architetture retoriche e costruito con misurata delicatezza, riesce a colpire in maniera diretta sia a livello emozionale che mentale.

Come ha dichiarato l’ottimo protagonista Samuele Carrino,

«Ai bulli il film deve comunicare che le loro azioni e le parole possono uccidere.

 Alle persone che vengono bullizzate deve insegnare che le loro parole li possono salvare».

Fra i tanti meriti del film c’è quello importantissimo di aiutare tutti noi (e non soltanto bulli e bullizzati) a comprendere che l’esistenza del bullismo non presuppone necessariamente quella  di bande di giovani mostri, sadici e spietati. Il bullismo ha, infatti, la terribile peculiarità di riuscire a produrre effetti devastanti anche senza ricorrere ad azioni oggettivamente eclatanti, anzi, spesso semplicemente grazie a comportamenti apparentemente “innocui” o, comunque, non percepiti (da chi li adotta e da gran parte del mondo degli adulti) come “violenti” e, quindi, né riprovevoli né tantomeno sanzionabili.

Non sarà possibile combattere efficacemente il fenomeno del bullismo fino a quando non si riuscirà a comprendere e a far comprendere quanto determinati comportamenti di esclusione, di irrisione, di scherno e di sopraffazione siano veri e propri attacchi all’integrità psicofisica della persona, al valore della sua intrinseca dignità.

Il bullismo è una malattia morale e sociale tanto più pericolosa e difficile da debellare tanto più continuerà ad essere trattata con sufficienza, disattenzione e sottovalutazione.

La storia di Andrea potrà certamente aiutarci ad abbattere il muro dell’irrilevanza e ad infrangere le varie maschere  della minimizzazione autoassolutoria, facendo comprendere a tanti giovani e a tanti adulti quanto ogni forma di violenza, soprattutto se esercitata nei confronti di chi è più isolato, più fragile e più vulnerabile, possa produrre ferite difficili da rimarginare, ferite a volte anche letali.

IL RAGAZZO DAI PANTALONI ROSA, come ci dice il giovane e bravo Samuele, può davvero aiutarci a comprendere che le parole possono uccidere, ma possono anche salvare.

Il tempo della pace è adesso! Continua l’impegno del gruppo Educazione alla Pace e alla Nonviolenza del Movimento di Cooperazione Educativa, con un progetto per educare alla pace i giovani delle scuole di ogni ordine e grado.  Presentato il 6 novembre scorso durante il webinar in diretta, il progetto Facciamo la Pace a...  è rivolto a docenti ed educatori e ci invita a riflettere insieme e confrontarci sul momento che stiamo vivendo, sul da farsi in quanto educatori pacifisti e nonviolenti con bambine/i e ragazzi/e. A partire da stimoli (arte, letteratura, testimonianze…) si possono promuovere momenti di mobilitazione/ partecipazione collettiva per sensibilizzare, porre problemi, riflettere assieme.  Le nostre speranze di un mondo futuro più giusto e più equo, affermano gli organizzatori Lanfranco Genito e Roberto Lovattini, si realizzano  nelle seguenti proposte presentate:

 Educare alla pace: è il primo passo, consiste nell’imparare a riconoscere cause, conseguenze, dinamiche dei conflitti: disuguaglianze e povertà, oppressioni e sfruttamento, dissesto ambientale, diritti negati, anche all’infanzia, in molti paesi del mondo, corsa agli armamenti, guerre.

Educare in un contesto di pace: costruire una classe cooperativa e una scuola contraddistinta da una identità progettuale di pace e solidarietà fra tutti i soggetti nell’ottica della resilienza e della collaborazione, perché la pace va costruita a partire dalle relazioni interpersonali nella vita quotidiana. 

Educare per la pace: sviluppare progetti e percorsi educativi come operatori di pace nella propria realtà e gradualmente su scala più ampia.

Il webinar ha visto la vivace partecipazione di numerosi insegnanti, educatori, formatori, centri educativi, associazioni, Reti, associazioni pacifiste di tutto il territorio nazionale. Tra gli intervenuti Luisa Morgantini, della Rete internazionale di Donne contro la guerra e presidente di Assopace Palestina che ha ribadito come unica l’soluzione sia il cessate il fuoco immediato.

  

"La nostra cultura è la nostra vita. È nel nostro sangue e la natura fa sempre parte della nostra vita."

 

PAULO PAULINO 

 

Fra le tante ed insopportabili contraddizioni e ipocrisie del nostro tempo, quelle relative alla questione ambientale sono indubbiamente tra le più ciclopiche ed irritanti. Mentre si inneggia, a tutti i livelli e in tutte le possibili declinazioni, alla difesa della natura, proponendo e imponendo presunti “nuovi stili di vita” dichiarati più “ecocompatibili” (e come tali doverosi), ben poco si opera, infatti, per arginare i fenomeni di devastazione ambientale in atto. E ben poco si opera per sostenere l’azione di coloro che, in prima persona, si impegnano con grandi rischi a denunciare e a tentare di contrastare le vere e proprie aggressioni che, in nome di molto concreti interessi economici, continuano sistematicamente a distruggere e ad inquinare le ultime aree incontaminate del pianeta.

Un caso particolarmente emblematico è certamente rappresentato dalla sorte della foresta amazzonica e delle popolazioni indigene ancora ivi esistenti e resistenti. Questo immenso e ricchissimo territorio, infatti, si trova perennemente sotto attacco da parte di numerosi soggetti: dai garimpeiros (i cosiddetti cercatori d’oro) ai grandi proprietari terrieri (sempre alla ricerca di nuovi spazi da destinare agli allevamenti intensivi e alle monocolture), alle imprese del legname, ecc. Il tutto, ovviamente, sotto l’attenta regia delle grandi multinazionali che controllano questi settori, ampiamente favorite dai vari apparati governativi.

Secondo quanto documenta Survival International (l’organizzazione mondiale che maggiormente si batte per la difesa dei popoli indigeni, aiutandoli a difendere le proprie vite e le proprie terre), nell’area amazzonica orientale del Brasile, nel territorio indigeno Arariboia (nello Stato del Maranhao), il popolo dei Guajajara, da molti anni rappresenta l’unica protezione di un territorio sempre più ferocemente aggredito. Ma, ogni anno, numerose sono le vittime fra i cosiddetti Guardiani della foresta che si dedicano al pattugliamento del proprio ambiente vitale, nel tentativo disperato di riuscire ad espellere i sempre più numerosi e determinati “invasori”.

E ben 5 anni, oramai, sono trascorsi da quando Paulo Paulino Guajajara, noto come il “Guardiano dell’Amazzonia”, venne ucciso da trafficanti illegali di legname, incriminati sì, ma mai condotti in giudizio. Paulo Paulino fu colpito al collo in un’imboscata, mentre il suo amico e collega Tainaky Tenetehar rimase colpito al braccio e alla schiena, riuscendo fortunatamente a salvarsi.

Cinque anni fa, la ricercatrice di Survival Sarah Shenker, che aveva accompagnato i Guardiani in una operazione di pattugliamento, rilasciò la seguente dichiarazione:

“Sapeva che avrebbe potuto pagare con la vita, ma non vedeva alternative perché le autorità non facevano nulla per proteggere la foresta e far rispettare la legge.”

In una nota diffusa in occasione dell’anniversario dell’omicidio di Paulo Paulino, i Guardiani hanno dichiarato di condividere l’angoscia dei suoi familiari per la costante impunità dei suoi assassini e degli assassini del loro intero popolo.

Da tener presente, inoltre, che, nello stesso territorio, vivono anche molti membri del popolo Awà, un gruppo etnico considerato ancora  “incontattato”, un popolo nomade di cacciatori-raccoglitori che riceve dalla foresta tutto quello di cui necessita per la propria sopravvivenza, sottoposto, ormai da molti anni, ad una vera e propria invasione, soprattutto a causa del business internazionale del traffico del legname. La terra degli Awà risulta essere quella più velocemente soggetta a sistematica distruzione e il popolo Awà da tempo è stato definito quello maggiormente esposto al rischio di totale sterminio.

I Guardiani della foresta sono, in pratica, la loro unica difesa.

In un documentario girato poco prima della sua morte, Paulo ha dichiarato:

“Vicino al nostro villaggio c’è un uomo bianco che ha promesso di uccidermi … perché difendo la foresta … Non arrestano i taglialegna, ma vogliono arrestare i Guardiani … Ci sentiamo molto soli qui. Senza aiuto. Abbiamo bisogno di molto aiuto e sostegno in questa terra.”

 

 

La signora Elena Fini di Modena ci ha inviato un'articolo pubblicato sulla Gazetta di Modena del 30 ottobre c.a. Riteniamo la sua replica meritevole di essere pubblicata.  Dall'articolo pubblicato riteniamo  che la distinzione tra "no vax"  e "pro vax" non sia in armonia con i dettami costituzionali che tutelano la dignità di ogni persona e qualsiasi opinione meriti rispetto, a patto non si leda il codice penale. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



“Premio Italia diritti umani 2024” ®

 

Dedicata alla memoria dell’ex Vice-presidente della Free Lance International Press Antonio Russo.
via Ulisse Aldovrandi 16 c/o Unar - ROMA



ROMA 19 Ottobre 2024


Il Premio Italia Diritti Umani nasce dall’esigenza da parte delle associazioni coinvolte di voler dare un giusto riconoscimento a coloro che, per la loro attività, si sono distinti nel campo dei diritti umani. In un mondo in cui il profitto sembra essere lo scopo ultimo di ogni intento, bisogna sostenere chi lotta veramente, sacrificando spesso gran parte (o del tutto) la propria esistenza per aiutare il prossimo. I Mass Media spesso non prestano la dovuta attenzione al tema dei diritti umani, se non in maniera superficiale. È giunto quindi il momento, non solo di dare un giusto riconoscimento a chi lotta per la difesa dei più deboli, ma anche di parlare su come possano essere tutelati meglio questi diritti che, anche in paesi come l’Italia oltre che all’estero, sono sistematicamente violati, soprattutto nei confronti dei più deboli.

              
In collaborazione con  -

 

                                                         

 

 

           

Modera e presenta il premio: Neria De Giovanni – Free Lance International Press
Presidente dell’associazione Internazionale Critici Letterari


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 Saluti del Pres. della Free Lance International Press Virgilio Violo  
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 e Antonio Masia Pres. dell’UnAR - Ore 15. 50  
                             violo
 Interventi  
 Patrizia Sterpetti – Wilpf Italia APS – ore 16.20
"Schermare le violazioni dei diritti umani. L'approccio di WILPF"
 
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 Antonio Cilli – Ceo di Cittanet – ORE 17,00
L’”Informazione autentica e la comunicazione autentica”
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Ore 17,20 - Ferdinando Maddaloni presenta

STRIP HUMAN RIGHT SONG TEASE


di & con Ferdinando Maddaloni

      

 
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   PREMIAZIONE ore 18,00 
   
 Premio  a Marilina Veca  
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 Premio a Francesco Amodeo  
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 Premio a Franco Fracassi  
Dono delle opere da parte della pittrice Serena Pizzo                             video
 saluti finali del presidente Virgilio Violo  
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  Chiara Pavoni in "tragicamente rosso", regia di Giuseppe Lorin, testo di Michela Zanarella  
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Si ringraziano per la riuscita dell'evento le seguenti cantine

 

 

Vinea Domini Lazio      
Cantine Tora Campania      
Casale del Giglio Lazio      
Castel De Paolis Lazio      
Cristo di campobello Sicilia      
Emanuele Ronchella Lazio      
L'Avventura Lazio      
Paolo e Noemi D'Amico Lazio      
Tenuta "La Pazzaglia" Lazio      

  

 

 

 

 



 

Incontriamo l’attore e regista Ferdinando Maddaloni che vedremo nel 2025 su Rai1 nella terza stagione fiction “Mina Settembre”, al rientro dal suo viaggio a Beslan in Russia

Da quanto tempo mancava da Beslan?

Ferdinando Maddaloni

Da circa dieci anni a causa dei miei impegni lavorativi, pandemia, guerre in atto, anche se ho sempre mantenuto contatti via internet. Quest’anno però non potevo mancare visto che coincidevano sia il ventennale della strage di Beslan sia il decennale dell’omicidio dei miei amici Andrei Mironov e Andy Rocchelli, avvenuto a Sloviansk in Ucraina il 24 maggio 2014. Il mio desiderio era rivivere istante per istante quel mio primo viaggio a Beslan, fatto nel 2009 proprio con Andy e Andrei, ricordando momenti belli e brutti di quella indimenticabile prima esperienza.

Con il blocco dei voli da tutta l’area europea, come è riuscito a raggiungere l’Ossezia del Nord?

Una volta ottenuto il visto, ho affrontato un lungo viaggio, ma sono stato anche fortunato. Da anni mi divido tra Italia e Turchia ed ora è stato autorizzato un volo diretto Istanbul/ Vladikavkaz che in sole due ore mi ha portato in Ossezia del Nord. E proprio nell’immenso nuovo aeroporto di Istanbul la prima sorpresa: ero in fila per il check in e dietro di me ho notato la presenza di tantissimi italiani che si recavano in Ossezia per le mie stesse motivazioni ovvero il ventennale della strage di Beslan avvenuta il 3 settembre 2004. Sono partito il 28 agosto fermandomi una settimana. Prima tappa, l’abbraccio nella nuova scuola numero 1 con la mia cara amica Nadia Gurieva nella sala della memoria con le testimonianze di affetto da tutto il mondo compresa la maglietta regalata da Diego Maradona per il torneo “BeslaNapoli 2014”. In seguito poi l’incontro con quei bambini oramai adulti, che mi hanno fatto presentato le loro famiglie.  

Come si è svolta quest’anno la commemorazione?

Come sempre: il lancio dei palloncini bianchi e la lettura di tutti i nomi delle 334 vittime tra cui 186 bambini (9 in età prescolare) con l’aggiunta dell’inaugurazione del nuovo Museo e due emozionanti concerti: il primo sulla prospect Mira, il corso principale di Vladikavkaz; il secondo invece, si è tenuto proprio davanti alla vecchia palestra. 

Lei ha realizzato una docufiction che ripercorre proprio il suo primo viaggio a Beslan con Mironov e Rocchelli. È ancora possibile vederlo?

Si. È disponibile on line, ma dirò di più. Questa estate, in un afoso pomeriggio proprio mentre continuavo a controllare la posta sul mio telefonino in attesa del visto per la Russia, ho ricevuto la notizia che, abbiamo vinto tre festival (Londra, Parigi e Lisbona) nello stesso giorno e che si aggiungono agli altri a partire dal prestigioso Hollywood Indipendent Documentary Award. Poi, qualche giorno dopo, è arrivato anche il visto elettronico per la Russia!

Progetti futuri?

Dopo la nomina a direttore artistico della Extralife-md di Yesim Kaya ed il successo del mio primo workshop di recitazione a Istanbul, sono in fase di preproduzione del mio nuovo lavoro che girerò in Turchia dal titolo “Il lusso nella sabbia”. Sabato 19 ottobre sarò ospite del Premio  Italia diritti umani 2024 organizzato dalla FLIP con un estratto da “Strip Human Right Song Tease”, un format da me ideato, adattato per l’occasione, che prevede di spogliare musicalmente alcune canzoni, rivestendole di ricordi con dedica speciale a persone scomparse fisicamente ma vive nella mia memoria. Una di queste, ça va sans dire, sarà dedicata al giornalista Antonio Russo, perché, come scritto nel grande poster affisso davanti alla vecchia palestra “Finché ti ricorderai di noi, noi saremo vivi!”  

 

La giornata di ieri è stata storica e indimenticabile. Ultimo, il Capitano Ultimo, ha aperto da anni le porte della sua Casa Famiglia ai più emarginati, poveri e dimenticati della nostra società, sempre più globalizzata e orientata alla corsa verso il denaro. Nella sua casa, persone in difficoltà hanno trovato non solo un tetto e un lavoro, ma soprattutto dignità e una vera famiglia.

Un esempio significativo è quello di una famiglia del Montenegro, che ha trovato rifugio e accoglienza grazie al Capitano. Non si è limitato a dare loro supporto, ma ha voluto conoscere i loro familiari – nipoti, cugini e parenti – dimostrando, come sempre, grande empatia verso i più deboli, che siano oppressi dalle situazioni della vita, dalle mafie o da una politica spesso poco attenta.

In questo spirito di inclusione, anche la comunità Rom è stata sempre vicina al Capitano Ultimo, condividendone i valori e l'impegno. La giornata di ieri è stata arricchita da un momento particolare: la preparazione del "Cazan", una grappa tradizionale balcanica realizzata con un alambicco in rame artigianale, costruito da un Rom residente in via Salviati. Ho avuto il piacere di assaggiarla personalmente, ed è stata così forte e autentica da farmi crollare appena rientrato a casa! Un'esperienza unica, che non troverete da nessun'altra parte se non nella Casa Famiglia di Capitano Ultimo, dove si rispettano e si mantengono vive le tradizioni e la cultura degli ospiti.

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