L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Diritti Umani (73)


Roberto Fantini
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In tema di sanzioni amministrative nei confronti di tutti gli ultracinquantenni che si fossero rifiutati di sottoporsi alla vaccinazione obbligatoria, imposta dalle autorità governative per quanto attiene il  Covid-19, vi riproponiamo l'impostazione giuridica illustrata dal collega Luca Scantamburlo già nel giugno del 2022 e oggi confermata dalla sentenza del 2 agosto 2023 del Giudice di pace di Rovigo.

 

"Quanto tempo può durare una istruttoria di accertamento sanzionatorio dal momento del suo avvio?

Domanda importante e così la sua risposta, soprattutto in merito all'avvio del procedimento sanzionatorio che l'Agenzia delle entrate - Riscossione ha avviato nei mesi scorsi nei confronti di alcuni (non tutti) over 50 anni di età, per non essersi conformati all'obbligo di profilassi vaccinatoria anti-SARS-CoV-2 stabilito dalla legge italiana DL 7 gennaio 2022, nr 1 coordinato con la legge di conversione 4 marzo 2022 n.18.

Una sottrazione all'obbligo che - per altro - risponde a diritti sacrosanti di tutela di habeas corpus,  principio consensualistico in ambito medico e della biologia, di tutela della propria dignità e del proprio convincimento personale, tutti tutelati dalla giurisprudenza di Cassazione e della Corte Costituzionale (sentenza n.438/2008), sulla scorta della Convenzione di Oviedo (ex art 5)  e soprattutto sulla scorta della Carta dei Diritti Fondamentali della UE (ex art 3) la quale e' legge vigente nel diritto eurounitario e di rango superiore alle leggi nazionali degli Stati.

Dei 90 GG ha parlato anche il Consiglio di Stato: Sentenza nr 1330, Sez III 13 marzo 2015.

Vedi anche Delibera A.G. Con n 136/06/CONS, L. 241/1990 art 5 comma 2)

Rif. Anche sentenza Cassazione n 4042 del 21 marzo 2001, che indica espressamente i 90 GG come tempo massimo per la conclusione del procedimento amministrativo

Vi e' un orientamento di Cassazione che invece parla dei cinque anni (il termine di prescrizione), ma e' per me una VIOLAZIONE del diritto all'equo processo ex art 6 CEDU.

Così come del diritto alla buona amministrazione (ex art 41 CDFUE, per cui ogni cittadino ha diritto che le questioni che lo riguardano siano trattate "entro un termine ragionevole dalle istituzioni")

Anche la Costituzione della Repubblica italiana riconosce e garantisce "il buon andamento e l'imparzialità della amministrazione", secondo quanto disposto dall'art 97 Cost.) Non si può considerare la conclusione entro termini ragionevoli, un procedimento che dura cinque anni.

La sentenza che sconfessa il primo orientamento di cui sopra, e' la sentenza del 27 aprile 2006, n 9591, Cassazione Sez. Unite.

Il Consiglio di Stato ha espresso il suo parere nel 2015 e taglia la testa al toro:

(...) "La fase istruttoria del procedimento sanzionatorio che precede la notifica della sanzione al trasgressore non può, tuttavia, per scelte organizzative dell'Autorita', dilatarsi oltre i limiti temporali ragionevoli e congrui allo scopo perseguito"

E quindi, dal momento della contestazione della sanzione al trasgressore, scattano i 90 GG di tempo come termine entro il quale la P.A deve concludere il suo accertamento per irrogare una legittima sanzione, decorsi i quali ogni qualsiasi sanzione irrogata oltre questo limite temporale e' da ritenersi illegittima.

Non si può protrarre ad libitum una istruttoria sanzionatoria.

I cinque anni sono un chiaro abuso ed una sorpassata convinzione giurisprudenziale.

L'obbligo vaccinale per gli over 50 anni di età era poi previsto dalla legge in vigore fino al 15 giugno 2022, termine di scadenza della obbligatorietà di profilassi anti-SARS-CoV-2.

L'obbligo e' scaduto da tre giorni. La vaccinazione per questa coorte non è più obbligatoria. Stando a quanto riferisce ilSole24ore (news del 16.06.2022 Riccardo Ferrazza), sinora sono stati individuati 1,7 milioni di inadempienti per i quali è scattato l'avvio del procedimento sanzionatorio.

1,7 milioni su 2,4 milioni di nominativi individuati. Se partissero ulteriori avvii di procedimento sanzionatorio, anche per i rimanenti (nonostante la scadenza dell'obbligo) valgono le considerazioni già sopra svolte: dal momento dell'accertamento scattano i 90 GG.

Rispondere con istanza in autotutela di richiesta di immediata archiviazione e' sempre cosa buona e giusta

In ogni caso, rimane la possibilità di ricorso dinanzi al GdP."

 

 Luca Scantamburlo
18 giugno 2022

     Lev Tolstoj

Io, in qualità di uomo, non posso, né direttamente né indirettamente, né dirigendo, né aiutando, né incitando, partecipare alla guerra; non posso, non voglio e non lo farò.”

                                                                     Lev Tolstoj

 

All’inizio dello scorso secolo, Tolstoj, grande maestro di cultura della Pace e della Nonviolenza, di fronte ai conflitti del suo tempo e al dilagare frenetico di deliri nazionalistici e di aggressività imperialistica, si trovò a riscontrare, con grande amarezza, che i saggi insegnamenti filosofico-religiosi e gli appassionati messaggi etico-politici delle menti migliori del passato sembravano non aver lasciato alcunissima traccia sulla coscienza collettiva dell’umanità.

 A molti di noi, credo, sarà certamente capitato, con sconfinata facilità, di condividere tale amara e sconfortante considerazione.

Per cui, al fine di tentare di porre un argine all’avanzata della paralizzante sensazione di sfiducia nelle capacità evolutive del genere umano, penso possa risultare utile e rivitalizzante rituffarsi, almeno per qualche minuto, nel pensiero di alcuni intelletti che hanno cercato di metterci in guardia in merito alla follia della guerra e di offrirci anche preziosi suggerimenti in vista della costruzione di una pace vera e duratura.

Ed ecco, quindi, come dono per un fausto e proficuo Ferragosto di riflessione, una piccola antologia di parole di Luce, per non dimenticare che, se è pur vero che la strada da percorrere per espellere la guerra dal nostro comune destino è lunga e piena di incognite, molto dipenderà da quanti saremo a voler proseguire a percorrerla e molto ancora dipenderà dalla determinazione e dalla forza dei nostri passi.

 

  • E’ come se non fossero mai esistiti Voltaire, Montaigne, Pascal, Swift, Kant, Spinoza e centinaia di altri scrittori che hanno denunciato con fermezza l’insensatezza e l’inutilità della guerra, descrivendone la crudeltà, l’immoralità, la ferocia; e, soprattutto, è come se non fosse mai esistito Cristo e il suo predicare la fratellanza fra uomini, l’amore per questi e per Dio.

        Uno rammenta tutto questo e, guardandosi attorno, non  rimane più inorridito dagli orrori della guerra, ma da qualcosa che li supera tutti: la consapevolezza dell’impotenza della ragione umana.”                                                            LEV TOLSTOJ

 

  • Esiste qualcosa di più ridicolo del fatto che un uomo ha diritto di uccidermi perché vive dall’altra parte di un fiume e il suo sovrano è in lite con il mio, sebbene io non lo sia con lui?

                                                                   BLAISE PASCAL

  • La guerra forma persone che cessano di essere cittadini e diventano soldati. Le loro abitudini li separano dalla società, il loro principio è la fedeltà a un superiore. Nelle colonie si abituano al dispotismo, a raggiungere i loro obiettivi con la violenza e a calpestare i diritti e la felicità di chi gli sta attorno; traggono piacere principalmente dalle avventure estreme e dal pericolo. Sono contrari allo svolgere un lavoro pacifico.

        La guerra stessa produce altra guerra e la prolunga all’infinito.  Una nazione vittoriosa, inebriata dal successo, cerca di riportare nuove vittorie; una nazione ferita, irritata dalla sconfitta, si affretta a recuperare l’onore e le perdite subìte.

Le nazioni, incattivite dalle reciproche offese, si augurano l’un l’altra umiliazione e distruzione. Gioiscono quando malattie, fame, urgenze, sconfitte affliggono un Paese ostile.

L’uccisione di migliaia di persone, al posto della compassione, provoca in loro una gioia estatica: le luminarie riempiono le città e tutto il Paese festeggia.

In questo modo, il cuore dell’uomo s’indurisce, e le sue passioni peggiori vengono alimentate. L’uomo rinuncia alla solidarietà e all’umanità.”

                                                  WILLIAM ELLERY CHANNING

 

  • La guerra è più rispettata che mai. Un abile artista della guerra, un massacratore di genio, de Moltke (1848-1916, generale tedesco), rispose un giorno ai delegati della pace con queste strane parole: ‘La guerra è santa, un’istituzione divina, una delle leggi sacre del mondo; essa mantiene fra gli uomini tutti i grandi, nobili sentimenti, l’onore, il disinteresse, la virtù, il coraggio; li salva, in una parola, dal cadere nel più abominevole materialismo’.

        Dunque riunirsi in branchi di quattrocentomila uomini, camminare senza riposo, giorno e notte, non pensare a niente, non studiare niente, non imparare niente, non leggere niente, non essere utile a nessuno, marcire nel sudiciume, dormire nella sporcizia, vivere come bestie in un perenne istupidimento, saccheggiare città, incendiare villaggi, distruggere popoli, poi imbattersi in un alto mucchio di carne umana, saltargli addosso, versare fiumi di sangue, ricoprire i campi di carne lacerata e mucchi di cadaveri, venire mutilati e devastati senza utilità per nessuno, e infine spirare in un angolo del campo avversario, mentre i genitori, la moglie e i figli muoiono di fame: ecco ciò che chiamano non cadere nel più abominevole materialismo!

                                                    GUY DE  MAUPASSANT

 

  • Gli abitanti del pianeta Terra versano ancora in un tale stato di follia, irrazionalità, stupidità, che ogni giorno, sui giornali dei paesi civilizzati, si legge di discussioni sulle relazioni diplomatiche dei capi di Stato allo scopo di allearsi contro un presunto nemico, e della preparazione di guerre, per cui le nazioni permettono ai loro capi di disporre di loro come fossero bestiame mandato al macello, come se non sospettassero che ogni vita umana è proprietà personale.

       Gli abitanti di questo strano pianeta vengono tutti istruiti a credere che esistano nazioni, confini e vessilli, e tutti hanno una coscienza così labile dell’umanità, per cui questo sentimento scompare completamente di fronte alla nozione di patria …”

                                                     CAMILLE FLAMMARION

 

  • Noi non vediamo e non udiamo coloro che soffrono: tutto ciò che è spaventoso si svolge dietro le quinte. Tutto sembra calmo, appare piacevole; protestano solo le silenziose statistiche: tanti uomini divenuti pazzi, tanti esseri rovinati dalla vodka, tanti fanciulli morti di fame … E questa situazione sembra necessaria; apparentemente l’uomo felice sta bene soltanto perché gli sventurati sopportano in silenzio il loro fardello; senza questo silenzio, la felicità sarebbe impossibile. E’ un’ipnosi generale. Bisognerebbe che dietro la porta di ciascun uomo soddisfatto e felice ci fosse qualcuno armato di un piccolo martello, i cui colpi gli ricordassero incessantemente che esistono gli sventurati e che, benché egli sia felice, anche per lui la vita presto o tardi tirerà fuori i suoi artigli; la disgrazia si abbatterà su di lui, conoscerà la malattia, la povertà, il lutto, e nessuno lo vedrà, nessuno lo sentirà, come lui stesso attualmente non sente e non vede nessuno.

                                                                      ANTON CECOV

  • Ricordo Einstein che in risposta ai tentativi di “umanizzare” la guerra disse: “La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire”.

        Questa grande verità va ribadita continuamente: che queste parole si imprimano nelle nostre menti, che si diffondano ad altri, fino a diventare un mantra ripetuto in tutto il mondo, che il loro suono si faccia assordante e infine sommerga il rumore dei fucili, dei razzi e degli aerei.”

                                                                        HOWARD ZINN

 

  • La strada di ogni marcia per la pace e la nonviolenza sia la strada di tutti, la strada maestra da condividere fin nelle sue innumerevoli, possibili diramazioni; sia la strada della comprensione reciproca e di quell’aggiunta che dal semplice buon senso e dalla mera tolleranza ci fa arrivare finalmente all’inclusione e alla valorizzazione dell’altro nella sua autonomia; sia, in ultima istanza, la strada di una sempre rinnovata fiducia nella capacità trasformativa di ogni uomo e di ogni donna.

                                                             ALDO CAPITINI

 

  • La pace è un principio pratico di umanità e di organizzazione sociale che si fonda sulla stessa natura dell’uomo. Essa non lo sottomette, ma lo esalta; non lo umilia, ma lo fa
         MARIA MONTESSORI
    cosciente del proprio potere sull’universo. E poiché si fonda sulla natura dell’uomo, è un principio unico e universale, comune a tutti gli uomini.

        Questo principio deve condurre a realizzare la scienza della pace e l’educazione degli uomini per la pace.”

                                                          MARIA MONTESSORI

 

Come ho fatto osservare ad alcuni amici e amiche, ha molto più senso sensibilizzare la Corona britannica e le Autorità britanniche, nei modi civili e di protesta pacifica stabiliti dalla Legge. Non certo quelle americane. Per delle ragioni molto semplici. In America il già Presidente USA B. Obama concesse commutazione di pena alla talpa di WikiLeaks - l'ex soldato Chelsea Manning - solo dopo diversi anni di prigione (almeno sette anni) scontati, cioè dopo aver imparato la lezione di un carcere duro (questo il ragionamento di Obama e degli americani nel tema di giustizia, chi sbaglia deve essere punito, in misura severa ma giusta, e negli Stati Uniti, al netto di tanti problemi, la certezza della pena e di tempi ragionevoli nella amministrazione della giustizia, sono rispettati).

Invece un gesto possibile di grazia da parte della Corona britannica attraverso una formale richiesta di un Ministro o un funzionario pubblico britannico rivolto a sua Maesta' Re Carlo III, ha una valenza diversa perché parte da un presupposto di difesa di un cittadino in territorio europeo, dove dagli anni Cinquanta vige la CEDU di Strasburgo (ma CEDU non significa solo andare in Tribunale in ricorso dinanzi alla Corte EDU di Strasburgo, ma significa anche impegno nella difesa dei principi e valori dei diritti umani in ogni circostanza, perché essi informano e permeano o dovrebbero orientare ogni decisione delle istituzioni dei 47 Paesi membri del Consiglio d'Europa, di cui anche il Regno Unito fa parte).

Inoltre, la difesa legale di Julian Assange si fonda soprattutto sulla contestazione che la estradizione richiesta dagli USA al Regno Unito sembra più un atto di persecuzione politica che un atto fondato da ragioni oggettive di giustizia, connesse alle pretese accuse di spionaggio. Pertanto, mi auguro che la opinione pubblica e le associazioni a tutela dei diritti umani e civili, perorino la causa di liberta' di Assange dinanzi alla Corona britannica perché intervenga con un atto di grazia che possa bloccare definitivamente la estradizione dal Regno Unito. Un gesto difficile e poco probabile ma non impossibile. Me lo auguro dal profondo del cuore per il fondatore di WikiLeaks e per quanto ha fatto per tutta la umanità, aiutando a prendere coscienza di certe dinamiche di potere e di manipolazione dalla verita'.

 

 

L'avvocato e scrittore Robert Francis Kennedy Jr. - nipote di JFK e figlio del fratello Bon Kennedy già a capo del Dipartimento di Giustizia USA - lo scorso giugno 2023 ha tenuto  un memorabile discorso allo Saint Anselm College in Goffstown, nel New Hampshire.

Una orazione civica straordinaria che tocca il tema della guerra in Ucraina - che egli riconosce essere una guerra per procura e pretesto per la ingerenza statunitense - contro la Federazione russa dopo la sua invasione a sostegno delle minoranze russofone nel Donbass, anche per spezzare la tenaglia di progressiva espansione a Est della NATO.

Kennedy ricorda le preoccupazioni di JFK che lo portarono pochi mesi prima della sua morte a volere a tutti i costi la messa al bando dei pericolosi  esperimenti nucleari in atmosfera: il trattato "Treaty Banning Nuclear Weapon Tests in the Atmosphere, in Outer Space, and Under Water", firmato a Mosca nel 1963 e ostacolato dal Pentagono, dai falchi del Dipartimento di Stato e da molti politici americani di allora.

Ma l'avvocato Kennedy rievoca anche l'anima più profonda della politica estera americana condotta dalla Presidenza di suo zio JFK, che per la prima volta sottolineo' la importanza del "mettersi nei panni dei Russi" e delle loro "legittime preoccupazioni" per la sicurezza del loro Paese.

Raramente in vita mia ho sentito un discorso così lucido, appassionato e denso di significati, arrivando a cogliere il nesso fra la politica aggressiva e militarista USA condotta a livello globale negli ultimi trent'anni circa, e la violenza domestica e urbana che sempre più scuote la società statunitense nelle ultime decadi.

Un discorso - quello di Robert F. Kennedy Jr. - che merita di essere ascoltato interamente e che può veramente sensibilizzare la opinione pubblica statunitense ed europea e aiutare le classi politiche nazionali a invertire il processo di pericolosa escalation e di tensione geopolitica che negli ultimi mesi sta sempre più avvicinando alla mezzanotte le lancette dell'orologio dell'apocalisse ATOMICA.

Le parole di Kennedy - oltre che ricordare aneddoti storici e familiari - mettono ordine e giustizia e sono veramente un trampolino per la distensione e una pace più che mai desiderabile, che non può prescindere dal riconoscimento della verità e delle reciproche istanze di giustizia di tutti coloro che sono coinvolti negli attuali conflitti.

Possano le parole del nipote di John F. Kennedy fare breccia in tutti coloro che ancora oggi non hanno compreso la grave crisi che stiamo vivendo, non solo geopolitica ma soprattutto sociale e spirituale, e con la forza e luce della verità, condurci tutti sulla via dello discernimento e della autentica diplomazia e desiderio di armoniosa convivenza fra popoli, prima di superare una linea rossa fatale per il mondo intero.

 

 

Ieri verso le 15 mi hanno arrestato all'aeroporto di Istanbul senza fornirmi alcuna spiegazione. Ero in transito per imbarcarmi su un volo interno diretto nel sud est anatolico. Sono una giornalista free lance in Turchia per seguire le elezioni del 14 maggio dal kurdistan turco. Ero insieme a una delegazione di osservatori elettorali, rappresentanti sindacali, cobas, giuristi ed esponenti dell'associazione 'No Bavaglio'. Al controllo passaporti mi hanno fermato e impedito di prendere il volo interno per Mardin. Mi hanno perquisita, sequestrato passaporto, medicina ei prodotti per l'igene personale. La polizia mi ha rinchiuso per circa 5 h in una camera di sicurezza interna all'aeroporto.Mi hanno preso le impronte digitali e fatto le foto segnaletiche. Non mi hanno dato nessuna motivazione del perchè mi abbiano fermata e “Deportata” come si legge dal verbale della polizia per che mi hanno costretta a firmare. Mi hanno espulsa dal paese insieme a una decina di subsahariane, maghrebine, pakistane, uzbeke, iraniane e afghane. Mi hanno imbarcato sul volo delle 21.45 per rientrare in Italia. Scortata dalle istituzioni turche e relegata da sola in fondo all'aereo al posto 32 senza possibilità di muovermi. All'atterraggio a Roma sono stata prelevata da poliziotti italiani, gentili e attoniti per quello che mi era successo. Non sono mai stata più fiera di essere cittadina italiana e mai mi sono sentita più al sicuro come in quel momento.Mi hanno rifocillata e supportata.

Emanuele Irace.

 

Parlando di diritti umani, Norberto Bobbio ci invita a compiere un semplice esercizio: leggere o rileggere lo straordinario testo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 e poi fare una rapida ricognizione a 360 gradi nel mondo della realtà contemporanea. Un simile esercizio, purtroppo, continuerebbe, senza alcun dubbio, ad essere fonte di grande amarezza: ancora troppo poco, infatti, dei tanto nobili enunciati di quel documento si è travasato nel nostro comune vivere quotidiano.

E, di fronte a tanta ingiustizia e ipocrisia, è facilissimo lasciarsi ingabbiare in uno stato d'animo di disincanto e di rassegnazione.

Ma tutti i grandi Maestri di tutti i tempi ci hanno insegnato che da una “parva favilla” possono derivare molto fuoco e molta luce e che sarebbe assai meglio, pertanto, piuttosto che limitarsi a maledire l'oscurità (cosa tanto semplice da effettuare quanto poco produttiva), provare ad accendere anche una piccola e flebile fiamma.

E' certamente questa consapevolezza che ha condotto la casa editrice Graphe.it, piccola e raffinata realtà editoriale di Perugia, a dare vita ad una operazione originale: quella di raccogliere occhiali usati.

Per comprenderne a pieno la genesi e le finalità, ci siamo rivolti a Roberto Russo, che da ben 18 anni (appena compiuti!) la dirige con rara competenza ed inesauribile entusiasmo.

 

  • Quando (e in che modo) è nata l'idea di raccogliere occhiali usati?

È un'attenzione che viene da lontano. Da adolescente collezionavo francobolli e avevo messo insieme una discreta raccolta, anche con qualche pezzo di valore. Un giorno mi capitò tra le mani una rivista in cui si chiedevano francobolli usati per aiutare i missionari nelle loro attività. Non ci pensai due volte: impacchettai i raccoglitori e li spedii all'indirizzo indicato. Da allora ho provato a raccogliere molte cose: carta, i classici tappi di bottiglia, che poi facevo recapitare a questo oa quell'ente perché con il ricavato lo utilizzasse per i propri scopi. Con un amico della Repubblica Democratica del Congo abbiamo raccolto anche diverse macchine da scrivere che nel suo paese potevano essere utili.Così quando ho aperto la casa editrice ho pensato che fosse una buona idea affiancarvi un'attività del genere. All' inizio non sapevo bene come concretizzare l'idea, ma poi ho scoperto la possibilità di raccogliere occhiali usati e mi sono subito attivato prendendo accordi con il Lions Club che ha un centro logistico dedicato. Ho coniato lo slogan: “Aiutiamoli a leggere” e ho iniziato a scriverne sul sito, sui social nelle email con l'incentivo di donare un libro del nostro catalogo per ogni invio di occhiali usati che ci venivano donati.

 

  • Che risultati state ottenendo?

Direi buoni. Fino a ora abbiamo raccolto oltre 5500 paia di occhiali. Si va a periodi: per mesi non arriva nulla e poi all'improvviso siamo invasi da vecchi occhiali. Capita che ogni tanto

     Roberto Russo

qualche sito o giornale ne parla e quindi assistiamo a un aumento degli arrivi.

 

  • Prima di questa iniziativa, Graphe.it aveva già intrapreso altre azioni di solidarietà?

Prima e durante. Questa degli occhiali usati è l'iniziativa fissa, poi ce ne sono altre legate soprattutto ai proventi della vendita dei libri che spesso destiniamo a vari progetti come, per esempio, la costruzione di una maternità a Bujumbura in Burundi, o ad associazioni come Amnesty – e qui anche con il tuo zampino!

 

  • Hai in mente qualche altro progetto per il futuro?

Sto valutando qualche idea per evitare che i libri fuori commercio del catalogo vadano a finire al macero. Una piccola parte è quella che doniamo con gli occhiali usati che ci arrivano; a volte doniamo libri alle biblioteche di associazioni o di carceri, anche se per questi ultimi è un procedimento un po' complicato. Però vorrei trovare qualcosa di più ampio perché è un vero spreco quello di non poter più usare alcuni libri perché un po' rovinati o per mille altri motivi. Come diciamo noi, l'importante è leggere e se un libro continua a circolare è sempre un bene.

 

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*Per ogni invio di occhiali, si riceverà in omaggio un libro (occorre ricordarsi, pertanto, di accludere il proprio indirizzo postale).

L'indirizzo a cui spedire il materiale è il seguente:

 Edizioni Graphe.it, via della Concordia, 71, 06124 Perugia.

Per ulteriori informazioni:

  • email: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
  • telefono: +39 0758311571 (dal lunedì al venerdì ore 9,00-17,00)
  • Whatsapp: +39 3518317346

 

 

 

 

 Ha prodotto non poche perplessità la proposta avanzata dalla ricercatrice dell’università di Oslo Anna Smajdor di utilizzare l’intero corpo di donne in stato di “morte cerebrale” come madri surrogate. Nel suo articolo apparso sulla rivista Theoretical Medicine and Bioethics, intitolato Whole Body Gestational Donation (Donazione gestazionale di tutto il corpo), la Smajdor, con abile retorica, ci domanda:

“Sappiamo che le donne “cerebralmente morte” possono portare a termine la gravidanza; perché non dovremmo iniziare gravidanze per aiutare le coppie senza figli?”

La premessa del ragionamento è dolorosamente vera: sono infatti noti i casi di madri dichiarate “cerebralmente morte” ed espiantate dei loro organi soltanto dopo aver portato a termine la loro gravidanza.

Ebbene, prima ancora di discutere criticamente la conclusione (indubbiamente raccapricciante ma non illogica) dell’argomentazione, credo che sarebbe opportuno riflettere con la massima serietà su detta premessa, ponendoci quegli interrogativi, semplici e spontanei, che il sistema filotrapiantistico imperante tende con sofistica capziosità ad impedire:

  • Quanto possiamo essere sicuri che una persona considerata “cerebralmente morta” sia veramente morta?
  • Come è possibile che un organismo, dichiarato oramai privo dell’attività del proprio centro funzionale unificatore (il cervello), riesca a portare a felice compimento un processo tanto complesso come quello della gravidanza?
  • Come può, in definitiva, una madre “morta” costruire (dentro di sé!) e partorire una nuova vita?

Nulla di meglio per affrontare senza pregiudizi di sorta una questione tanto delicata che rileggerci con la massima attenzione quanto dichiarato da coloro che, nel lontano 1968, coniarono la definizione di “morte cerebrale”, oggi adottata dalla Medicina ufficiale in modo universalmente acritico.

Fino a quella data, la tradizione medico-giuridica occidentale prevedeva l’accertamento della morte mediante riscontro oggettivo di tutte le funzioni vitali: respirazione, circolazione, attività del sistema nervoso. Nel 1968, un Comitato costituito ad hoc dalla Harvard Medical School propose un nuovo criterio di accertamento della morte in presenza della condizione di “coma irreversibile” ritenuto equivalente alla cessazione di tutte le funzioni cerebrali.

Questo quanto pubblicamente dichiarato dal Comitato:

“Il nostro obiettivo principale è definire come nuovo

criterio di morte il coma irreversibile. La necessità

di una tale definizione è legata a due ragioni.

 1)Il miglioramento delle tecniche di rianimazione e di

mantenimento in vita ha condotto a sforzi crescenti

per salvare malati in condizioni disperate. A volte

tali sforzi non ottengono che un successo parziale, e il

risultato è un individuo il cui cuore continua a battere,

ma il cui cervello è irrimediabilmente leso. Il peso

è grande per quei pazienti che soffrono di una perdita

permanente dell’intelletto, per le loro famiglie,

per gli ospedali e per quelli che avrebbero bisogno di

letti ospedalieri occupati da questi pazienti in coma.

2) Criteri di morte obsoleti possono originare controversie

nel reperimento di organi per i trapianti.”

Come non accorgersi della totale assenza di elementi conoscitivi ed argomentativi di natura scientifica?

Come non notare il carattere palesemente quanto cinicamente  utilitaristico delle motivazioni addotte a sostegno del nuovo criterio di “morte”?

Ovvero: liberare posti letto e creare uno scudo legale  per i medici espiantatori, in modo da metterli al riparo dalla possibile (e più che  legittima) accusa di omicidio ai danni di pazienti in stato di coma? Pazienti probabilmente moribondi, ma indiscutibilmente ancora vivi (e quindi da tutelare e non certo da macellare)?!?

Insomma, è necessario comprendere che il vero nodo problematico è rappresentato dalla accettazione teorica e dalla applicazione pratica del criterio della cosiddetta “morte cerebrale”. Finché non si avrà il coraggio di ribellarsi ad esse, il rischio che persone in condizioni di salute critiche siano, invece che curate, trattate come meri serbatoi a cui attingere per il prelievo di organi, tessuti, sangue, ecc., oppure utilizzate come cavie per ogni sorta di sperimentazioni, resterà inevitabilmente altissimo:

non essendo, infatti, più considerabile come “persona” in senso etico e giuridico, il “morto cerebrale” diviene una “cosa”. Di conseguenza, finirà ineluttabilmente per perdere ogni possibile diritto e non sarà più possibile, a sua difesa, appellarsi al principio della sacralità e dell’inviolabilità della dignità umana!

 

 

 

 

  • La  Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'educazione e la formazione ai diritti umani afferma, all'Articolo 6.2, che  le arti devono essere incoraggiate quale strumento di formazione e crescita di consapevolezza nel campo dei diritti umani ”.

 

  • La qualità dell'esperienza dei visitatori deve essere al centro delle politiche culturali, fornendo strumenti e opportunità culturali a tutte le persone che presentano identità e differenze, attese, bisogni, curiosità, abilità varie e diverse . ( Manifesto della cultura accessibile a tutti )

Nel nostro paese, incontestabilmente il più straricco di tesori artistici, sta diventando sempre più difficile poter visitare chiese e musei per chi non gode di brillanti condizioni fisiche e di altrettanto brillanti condizioni economiche.

Ecco qualche esempio eloquente.

Duomo di Firenze: quando l'altare resta vuoto, le sedie previste per lo svolgimento delle funzioni religiose vengono rigorosamente recitate ed interdette all'uso da parte dei comuni visitatori.

Basilica di San Marco a Venezia: recinzioni ovunque, in modo da rendere impossibile potersi sedere anche negli angoli più reconditi.

Palazzo Ducale a Venezia: percorso lungo, con non pochi gradini, in ambienti con spazi immensi del tutto spogli di appositi arredi, oppure grandi panche lignee severamente proibite ai visitatori.

Da tener presente che, in siti artistici del genere, le cose più importanti da osservare (e magari anche da gustare) sono collocate in alto, cosa questa che, stando in posizione eretta, richiede l'assunzione di una postura inconsueta, che ai più risulta ardua ed anche piuttosto dolorosa.

Domanda:

perché non cercare di rendere un pochino più agevole e gradevole la visita a tutti e soprattutto alle persone non particolarmente atletiche?

I costi di visite museali sono diventati, poi, decisamente eccessivi e tutt'altro che attrattivi.

Palazzo Ducale di Venezia prevede un biglietto di 30 euro;

la Galleria degli Uffizi di Firenze, da marzo a tutto ottobre, ha portato il costo a 25 euro;

il Museo Archeologico di Napoli ha un costo di 22 euro.

Le agevolazioni per gli anziani sopravvivono encomiabilmente soltanto qua e là (vedi la Scuola Grande di San Rocco a Venezia), e sempre più numerose stanno diventando le chiese in cui si richiede un biglietto di ingresso. Il caso probabilmente più eclatante ed irritante è costituito dalla Basilica di San Marco: 3 euro per l'accesso, altri 5 per poter ammirare la Pala d'Oro, e altri 7 per accedere alla Loggia e relativo Museo! E qualcosa di simile si verifica con il Duomo di Milano, con varie opzioni, dal semplice ingresso in chiesa, al Museo e alle Terrazze (con o senza ascensore).

Forse sarebbe opportuno chiederci, allora, se siamo veramente disposti a credere in quanto tutti coloro che sono a capo di qualche istituzione - civile, religiosa, pubblica e privata - ci dicono con solennità e fervore:

  • che coltivare l'amore per il Bello può avvicinarci all'amore per il Vero e per il Buono;
  • che l'incontro con l'arte può rappresentare una salutare sorgente di benessere, una forma terapeutica di “refrigerio dell'anima”;
  • che una società esteticamente educata, resa consapevole dell'importanza di conservare e tutelare beni di interesse comune, sarebbe una società più civilmente responsabile e coesa;
  • che la diffusione della sensibilità artistica ha la capacità di orientare i comportamenti di tutti verso una maggiore consapevolezza delle proprie radici culturali e, di conseguenza, verso un maggiore senso di appartenenza identitaria;
  • che, soprattutto, come si legge nell'atto costitutivo dell'UNESCO, la diffusione della cultura (volta ad abbattere ignoranza e pregiudizi di ogni sorta) rappresenta non soltanto un doveroso riconoscimento della dignità umana, ma anche un'arma irrinunciabile per la costruzione di una pace reale e duratura.

Oppure, al di là delle tante magniloquenti e nobilitanti dichiarazioni, preferiamo rassegnarci, in maniera assai meno poetica, ad accettare che lo sterminato patrimonio artistico-culturale del nostro paese venga cinicamente gestito come una straordinaria “macchina per quattrini”, meritevole di essere resa sempre più produttiva, rivolta soltanto a coloro che hanno cartella clinica in ordine e portafoglio gonfio?

 

 

 

Che la Cultura dei Diritti Umani non godesse di ottima salute, nonostante le tante dichiarazioni d’amore provenienti dalle fonti più disparate, molti di noi lo supponevano e se ne preoccupavano da tempo. Numerosi erano i segnali inquietanti. Numerose le manifestazioni di fragilità della coscienza etico-civile generale. Dalle bombe Nato su Belgrado di fine millennio alla caccia al feroce talebano in terra afghana, dalle (inesistenti) armi di distruzione di massa irachene agli attuali isterismi russofobi, passando per una psicopandemia alimentata dall’inganno, dalla menzogna, dalla censura e dalla manipolazione dell’informazione, ci era giunto un messaggio inequivocabile:

per i governanti cosiddetti democratici e per buona parte delle popolazioni cosiddette civilizzate, i Diritti Umani sono cosa buona e giusta soltanto se la loro affermazione risulta essere più o meno conciliabile con le proprie esigenze e mai fonte di problematicità, di rinuncia e di scelte percepite come pericolose e dolorose. Una sorta, cioè, di buoni e nobili princìpi e propositi destinati ad essere rapidamente accantonati di fronte all’immigrato che invade prepotentemente i nostri spazi vitali, al “nemico” che ci appare contrastare il nostro strapotere, al non vaccinato che mette scelleratamente a repentaglio la salute dell’intera collettività (ammirevolmente obbediente e responsabile!).

In pratica, si potrebbe dire che, nei confronti dei Diritti Umani, è accaduto un po’ quello che si è verificato per secoli, all’interno delle Chiese cristiane, nei confronti del mite (ma scomodissimo) profeta nazareno: cori di Osanna e di domenicali benedizioni, ma solo e sempre a patto di ignorare-dimenticare tutto quanto sappia di scandalo, di disorientamento, di invito radicale a rivoluzionare il proprio modo di pensare e di essere.

La filosofia dei Diritti Umani non è facile da comprendere, e ancora più difficile da accogliere e coerentemente rispettare.

E per tanti motivi. Per uno, sopra a tutti gli altri:

 i Diritti Umani pretendono di essere Universali, ovvero di essere veri e validi per TUTTI, senza alcuna possibile forma di distinzione.

Ma perché, potremmo chiederci, dovrebbero valere per tutti, proprio per tutti?

Il Preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 10 dicembre 1948 ci offre una risposta secca e pragmatica, ancorata alle tragiche vicende storiche del recente passato:

  • la loro negazione ha prodotto spaventose e infinite rovine;
  • le guerre sono la manifestazione estrema della negazione dei Diritti Umani, ovvero di una frantumazione della famiglia umana in gruppi che hanno più diritti (pane, benessere, sicurezza, libertà, ecc.) di altri;
  • la nostra epoca è l’epoca dell’aut aut e la scelta fra le due cose non è più rinviabile, né tantomeno eludibile;
  • per liberarci dal “flagello della guerra” è, pertanto, apoditticamente necessario trasformare il circolo vizioso di “negazione di Diritti Umani = Guerra”, in circolo virtuoso di “promozione-tutela dei Diritti Umani=Pace”.

 

Continuando a rifiutare questo ragionevolissimo invito, continueremo a sprofondare nelle letali sabbie mobili del chiacchiericcio politichese e della retorica ipocrita e meschina.

 

Scriveva, più di mezzo secolo fa, Aldo Capitini, lungimirante maestro di saggezza:

 

Bisogna muovere (…) da ogni essere a cui possiamo dire un tu, dargli un’infinita importanza, un suo posto, una sua considerazione, un suo rispetto ed affetto.

 Finora non si è mai fatta veramente questa apertura ad ogni essere, un singolo essere e un altro singolo essere, con l’animo di non interrompere mai.

Perché non si è avuta questa apertura precisa e infinita?

 Perchè si è trovato il modo di appoggiarsi a qualche cosa dicendo che era più importante:

 i religiosi a Dio, i filosofi all’Idea universale, i politici allo Stato o alla Rivoluzione;

trascurando gli esseri,

anzi distruggendone alcuni senza rimorso.”*

 

Insomma, dovremmo sentirci tutti di fronte ad un bivio, chiamati, uno per uno,  a scegliere da che parte stare:

 

o entrare finalmente nella dimensione dell’affratellamento egualitario e solidale, abbandonando qualsiasi politica caratterizzata dai privilegi, dalle gerarchie, dalle esclusioni e dalle discriminazioni di ogni tipo,

oppure rassegnarsi ad un futuro all’insegna della paura, sottoposto alla tirannia dell’odio e all’incubo della violenza.

 

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*Aldo Capitini, Il Potere di Tutti, Guerra Edizioni, Firenze 1969.

 

 

 

 

 

 

 

 

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