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“Dopo l’ottobre 2023, i sistemi di controllo, sfruttamento e spoliazione di lunga data si sono trasformati in infrastrutture economiche, tecnologiche e politiche mobilitate per infliggere violenza di massa e distruzione senza precedenti. Le entità che in precedenza hanno permesso e tratto profitto dall’eliminazione e dalla cancellazione dei palestinesi attraverso l’economia dell’occupazione, invece di disimpegnarsi, sono ora coinvolte nell’economia del genocidio.”
“Mentre la vita a Gaza viene cancellata e la Cisgiordania è sottoposta a un assedio crescente, questo rapporto mostra come mai il genocidio condotto da Israele va avanti: perché è redditizio per molti.”
FRANCESCA ALBANESE
Il Rapporto di Francesca Albanese, Relatrice Speciale Onu per i diritti umani sui territori occupati da Israele, Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio, rappresenta una indagine rigorosamente documentata degli “ingranaggi aziendali che sostengono il progetto coloniale israeliano di espulsione e sostituzione dei palestinesi nel territorio occupato.” L’eccellente lavoro costituisce, in particolar modo, un lucidissimo e potentissimo j’accuse nei confronti di vaste aree del mondo economico internazionale. Ma le denunce che esso contiene, assai sfortunatamente, dopo qualche breve momento di attenzione e di discussione, sono scivolate via, senza riuscire a produrre conseguenze di un qualche rilievo. Ed è altissimo il rischio che tutto finisca come uno scroscio di pioggia nel deserto.
L’Albanese, dopo aver perentoriamente affermato che Israele, dopo la negazione del diritto all’autodeterminazione dei palestinesi, sta arrivando a mettere “a repentaglio l’esistenza stessa del popolo palestinese in (quel che resta della) Palestina”, focalizza la propria attenzione sul ruolo delle numerose entità aziendali (imprese commerciali, multinazionali, entità a scopo di lucro e non, private, pubbliche o di proprietà dello Stato) coinvolte nel sostegno all’occupazione illegale e nella “campagna genocida” in corso a Gaza.
L’elenco dei soggetti aziendali è lungo e non privo di sorprese e riguarda
“produttori di armi, aziende tecnologiche, società di costruzione ed edilizia, industrie estrattive e di servizi, fondi pensione, assicuratori, università e organizzazioni benefiche.”
E, in considerazione del fatto incontestabile che tali
“entità coadiuvano la violazione dell’autodeterminazione e altre violazioni strutturali nel territorio palestinese occupato, tra cui l’occupazione, l’annessione e i crimini di apartheid e genocidio, nonché una lunga lista di crimini accessori e violazioni dei diritti umani, dalla discriminazione, alla distruzione ingiustificata, allo spopolamento e al saccheggio, alle esecuzioni extragiudiziali e alla fame”,
il punto di approdo risulta quanto mai nitido e lapidario.
Per far sì che si possa mettere fine alle attività commerciali che consentono e traggono profitto dall’annientamento di vite innocenti,
Tutti atti necessari quanto doverosi che, però, ragionando in modo realistico, al momento appaiono di ben ardua realizzazione.
Per cui, a mio avviso, andrebbe presa in considerazione ed attuata con estrema determinazione (secondo il migliore stile gandhiano) una puntuale strategia nonviolenta di boicottaggio nei confronti dei vari soggetti segnalati nel Rapporto. Boicottaggio che, per poter sperare di risultare efficace, non dovrebbe essere affidato semplicemente alla buona volontà delle singole persone, ma che dovrebbe essere proclamato e pilotato da una vasta e autorevole coalizione internazionale di ONG e associazioni umanitarie e di volontariato, a cui, per effetto slavina, finirebbero per aderire numerose chiese e organizzazioni religiose, sindacati, università, società sportive, ecc.
Perché, a quel punto, una mancata adesione non potrebbe che apparire estremamente scomoda e difficilmente giustificabile.
Solo così l’operazione di boicottaggio arriverebbe a coinvolgere milioni (forse decine di milioni) di consumatori e riuscire, pertanto, a produrre, già nel giro di pochi giorni o poche settimane, effetti tangibili ed inequivocabili, di fronte a cui le entità aziendali prese di mira si troverebbero costrette a prendere chiari e radicali provvedimenti, rassicurando azionisti, investitori, soci, dipendenti, ecc.
Fra detti soggetti economico-finanziari, una volta esposti alla pubblica condanna, non potrebbe, infatti, che innescarsi un altro contagiosissimo effetto-slavina:
quello della dissociazione rispetto anche al pur minimo sospetto di connivenza-collaborazione con le operazioni in odore di genocidio, al fine di liberarsi pubblicamente da accuse ed ombre infanganti ed infamanti, nocive per la propria credibilità e per la propria stessa sopravvivenza.
Certo, la mia potrebbe apparire come una speranza troppo ingenua e fin troppo ottimistica … Un simile appello al boicottaggio, all’interno di un mondo iperconsumistico come il nostro, potrebbe infatti cadere facilmente nel vuoto, incontrando scarso interesse e grosse resistenze sul piano pratico; i meccanismi mediatici, ampiamente asserviti agli interessi economici, potrebbero svolgere una brillante azione di occultamento-banalizzazione; i soggetti aziendali presi di mira potrebbero prodigarsi nel fornire grandi rassicurazioni, limitandosi, di fatto, a qualche piccola modifica di facciata delle loro strategie, ecc.
Sì, certo … forse …
Ma il vero problema che dovremmo porci è un altro:
come riuscire a fare in modo che il prezioso (ed esplosivo) operato di Francesca Albanese non finisca come pioggia ingoiata dal deserto?
Adesso che abbiamo davanti ai nostri occhi un elenco ben preciso delle entità aziendali coinvolte, giudicate corresponsabili di quanto sta accadendo, perché - mi chiedo - continuano ancora a non essere avanzate, da parte delle innumerevoli cosiddette “forze del Bene” della società civile (di ambito umanitario, economico, religioso, culturale, ecc.), concrete proposte di fattiva ed efficace operatività?!?
E’ davvero tanto difficile creare rapporti di collaborazione, di condivisione, di sinergia, intraprendendo una campagna corale, compatta e determinata, e, soprattutto, di respiro mondiale?
E’ davvero tanto difficile, insomma, passare dalla deprecazione tanto accorata ad una coraggiosa azione coerentemente impegnata?