L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
l'Associazione Nazionale Teatri Consapevoli esprime il proprio sostegno al lavoratore
Siamo professori d'orchestra, artisti di coro, danzatori, lavoratrici e lavoratori dello spettacolo, della cultura.
Intendiamo esprimere il nostro sostegno al Professore d'orchestra della Fondazione “Arturo Toscanini” di Parma, licenziato a seguito del rifiuto di sottoporsi a continui tamponi anti-Covid.
Riteniamo si tratti di un licenziamento irricevibile, dopo 38 anni di servizio svolto sempre in modo impeccabile. È una decisione definitiva, dicono i vertici della Fondazione che gestisce l'orchestra, tuttavia i sindacati risultano dichiarati: " Preanunciamo da subito che se la vicenda non si conclude, come pensiamo, con il reintegro del lavoratore ed il pagamento degli arretrati, chiederemo a gran voce le dimissioni del Sovrintendente Alberto Triola , responsabile di quanto accaduto. Inoltre denunceremo alla Corte dei Conti i componenti del Consiglio di Amministrazione per il danno economico procurato alla Fondazione ”.
Come lavoratori dello spettacolo, dell'arte e della musica reputiamo gravissimo che una fondazione, tra l'altro così prestigiosa, assuma dei comportamenti che appaiono all'evidenza come in contrasto con valori costituzionali e diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, anche, certamente non solo, in considerazione delle idiosincrasie a cui nostro malgrado siamo costretti ad assistere ogni giorno, ormai evidenti a tutte ea tutti: è possibile stare ammassati sui mezzi pubblici, senza nemmeno poter mantenere un minimo di distanza; è possibile stare seduti a tavola al ristorante, giustamente, ma nelle orchestre bisogna spesso suonare un volto coperto,
Addirittura spesso si deve cantare con la mascherina, pur in presenza di un più che adeguato distanziamento, in barba alla fisiologia del respiro e dell'atto cantato, e alla stessa espressione artistica.
Si arriva quindi a determinare, sulla base di protocolli aziendali che interpretano in modo apparentemente arbitrario o comunque peggiorativo norme e decreti già per sé di dubbia costituzionalità, un continuo quanto ingiustificabile tamponamento, soprattutto dei reparti artistici.
Dopo più di un anno dall'inizio di questa crisi sociale e sanitaria, dopo la provata efficacia delle cure domiciliari precoci, appare un nostro parere non più tollerabile mantenere questo clima di terrore e sospensione dei diritti fondamentali.
La libertà di scelta, il consenso libero e informato, sono diritti inviolabili; il rispetto della dignità umana è un valore assoluto, non negoziabile, come insegna l'articolo 32 della nostra Costituzione.
Siamo cittadini consapevoli, non sudditi: la pandemia non può sospendere la democrazia e la politica non può sottostare agli interessi del potere tecnologico e finanziario.
Sentiamo il bisogno di unirci e vigilare attentamente sugli episodi di ricatti lavorativi per contrastarli e ricreare un clima armonioso sul lavoro e nella vita civile, nel pieno rispetto della democrazia e dei valori costituzionali.
Riprendiamoci il diritto a respirare, a cantare, a suonare, a lavorare in condizioni dignitose. Riprendiamoci la vita!
12.05.2021
ANTe.Co . - Associazione Nazionale Teatri Consapevoli
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www.associazionenazionaleteatriconsapevoli.wordpress.com
E 'di enorme importanza il Rapporto 2020-2021 di Amnesty International, presentato all'inizio di aprile, soprattutto per l'approfondita analisi in merito alle tendenze globali registrate nel campo dei diritti umani in seguito all'emergenza pandemica.
Il quadro che ne scaturisce è oltremodo allarmante, in quanto il fenomeno pandemico ha gravemente amplificato le situazioni di disuguaglianza e di oppressione provocata da inique politiche distruttivamente discriminatorie.
“La pandemia - spiega la segretaria generale Agnès Callamard - ha brutalmente mostrato e acuito le disuguaglianze all'interno degli stati e ha evidenziato l'incredibile disprezzo che i nostri leader manifestano per la nostra comune umanità. Decenni di politiche divisive, di misure di austerità errate e di scelte di non investire nelle traballanti strutture pubbliche hanno fatto sì che in tanti finissero per essere facili del virus. "
Il Rapporto evidenzia, infatti, come le disuguaglianze attuali, frutto di decenni di malgoverno, ha prodotto un impatto sproporzionatamente negativo su minoranze etniche, rifugiati, anziani e donne, andando a peggiorare, in particolar modo, la condizione di rifugiati, richiedenti asilo e migranti , rimasti spesso ingabbiati in campi privi di servizi essenziali o lasciati abbandonati in zone di frontiera.
Le risposte adottate nella sede governativa hanno finito per sfruttare il fenomeno Covid 19 per condurre spietati attacchi nei confronti dei diritti umani.
Emblematico il caso dell'Uganda, considerato fino a poco fa lo stato più ospitale dell'intero continente africano, il quale ha sbarrato immediatamente le frontiere, costringendo, in tal modo, ben 10.000 persone a rimanere in una sorta di limbo, al confine con la Repubblica Democratica del Congo.
Il rapporto, poi, sottolinea il grande aumento di casi di violenza di genere e di violenza domestica, favoriti dall'isolamento e dal forte di servizi dedicati alle vittime, venutesi e trovare sempre più indifesi di fronte alla violenza esercitata nei loro confronti.
“Stiamo raccogliendo - ha sottolineato la Callamard - quanto seminato in anni di calcolato diniego dei diritti da parte dei nostri leader. Nel 2020, durante l'eccezionale evento della pandemia, i sistemi sanitari sono stati sottoposti alla prova definitiva e le persone sono state lasciate in una caduta libera economica. Gli eroi del 2020 sono gli operatori sanitari in prima linea per salvare vite umane e persone i quali, sebbene collocati alla fine della scala del reddito, hanno lavorato per nutrire le famiglie e mantenere in funzione i servizi essenziali. E 'crudele ma è così: coloro che hanno dato di più sono stati protetti di meno ”.
Aggiungendo, poi, che “Le risposte dei nostri leader sono state di volta in volta mediocri, mendaci, egoiste, fraudolente. Alcuni hanno cercato di normalizzare le misure eccessive di emergenza adottate per contrastare la pandemia, altri sono andati oltre, intravedendo la possibilità di rafforzare il loro potere. Invece di sostenere e proteggere le persone, hanno semplicemente usato la pandemia come un'arma per attaccare i diritti umani ".
Un modello ricorrentemente impiegato nel corso del 2020 è stato quello della adozione di leggi miranti a criminalizzare qualsiasi forma di critica nei confronti delle strategie governative:
in Ungheria sono state introdotte pene fino a cinque anni di detenzione per “diffusione di informazioni false” sulla pandemia; Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Oman, grazie all'accusa di "diffusione di notizie false", hanno rinvigorito gli attacchi al diritto alla libertà di espressione, avviando duri procedimenti penali contro gli autori di commenti critici pubblicati sui social media .
In alcuni paesi, come le Filippine e la Nigeria, le circostanze sono state sfruttate per legittimare ed estremizzare addirittura l'uso della forza nei confronti delle proteste popolari. In Brasile, fra gennaio e giugno, le forze di polizia hanno ucciso almeno 3181 persone (una media di 17 al giorno).
In altri paesi, come India e Cina, si è fatto anche ricorso alla vicenda pandemica come fattore "distraente" per inasprire ulteriormente (in nome della sicurezza nazionale) attività di repressione politica.
La Callamard, inoltre, registra con grande amarezza come le istituzioni internazionali come il Tribunale penale internazionale ei meccanismi delle Nazioni Unite sui diritti umani, nati per obbligare gli stati a rendere conto delle proprie azioni, siano stati indotti in una sorta di "stallo politico" (e quindi messi fuori uso) dalle abili mosse delle forze governative.
“Siamo a un bivio. - ha concluso la Segretaria internazionale di Amnesty International - Possiamo allentare le catene che degradano la dignità umana. Possiamo ripartire da zero per costruire un mondo basato sull'uguaglianza, sui diritti umani e sull'umanità. Dobbiamo imparare dalla pandemia e unirci in un'azione coraggiosa e creativa affinché ognuno sia in una posizione di uguaglianza. "
Alquanto debole, purtroppo, la posizione assunta in merito alla campagna vaccinale in corso, limitandosi Amnesty (come anche altre importanti organizzazioni come Medici senza frontiere ed Emergency) a richiedere l'adozione e il rispetto dei criteri di equità nella distribuzione dei vari “vaccini” . Sarebbe stato, invece, oltremodo necessario ed auspicabile che venissero sottolineati i numerosi aspetti anomali ed inquietanti della campagna attuale, tali da richiedere doverose cautele e ben precise garanzie:
· Reale natura "sperimentale" dei farmaci che stanno somministrando e relativa oggettiva impossibilità di definire "vaccini" in senso proprio.
· Impossibilità di prevedere con adeguati controlli e garanzie gli effetti di tali "pseudo vaccini", sia per quanto concerne la loro reale efficacia, sia per quanto concerne le eventuali conseguenze nocive (in parte già registratesi).
· Mancanza di una corretta informazione in merito e di confronto dialettico fra diversi punti di vista scientifici.
· Eterodossia delle procedure adottate dagli organi di controllo per rendere possibile l'emissione sul mercato dei suddetti farmaci.
· L'orientamento in atto da parte di vari governi di rendere obbligatorio il cosiddetto “vaccino” (soprattutto per determinate categorie).
· I tentativi in corso di adottare misure discriminatorie fra "vaccinati" e "non vaccinati", con pesanti limitazioni di diritti per questi ultimi.
Il 10 aprile scorso un nutrito numero di famiglie venete (quasi novanta), coordinato dal collega Luca Scantamburlo che si è attivato come cittadino e genitore da alcuni anni in difesa dei diritti inalienabili della persona, fece ricorso al tribunale civile di Venezia perché ci fosse, per i propri figli minori, il ripristino della libertà dalla mascherina al volto in posizione statica al banco scolastico ed in cosiddetta “rima buccale” di 1 metro di distanza, come già previsto dai protocolli e dalle linee guida ministeriali approvate a fine estate 2020. Ma il ricorso delle famiglie, rappresentato dall'avvocato Michele Rodano del foro di Udine, venne rigettato dal medesimo tribunale che affermò “l' esclusiva giurisdizione amministrativa in quanto oggetto del procedimento è una materia di "pubblico servizio", riconoscendo altresì che nella controversia erano posti in essere deidiritti soggettivi,sui quali l'avvocato Rodaro aveva posto l'accento perché la loro difesa fosse il più possibile “erga omnes” . In pratica il tribunale civile di Venezia aveva eccepitoil difetto di giurisdizione.
Fortunatamente un altro fronte in sede giudiziaria amministrativa era stato aperto precedentemente dal medesimo avvocato Rodaro presso il TAR Lazio a nome delle stesse famiglie venete, già ricorrenti in sede civile a Venezia, ed il 14 aprile scorso si è svolta l' udienza presso il medesimo TAR Lazio .
Con Ordinanza del 14.04.2021 il TAR Lazio ha rigettato l'istanza di sospensione cautelare dell'obbligo di indossare la mascherina al banco. L'ordinanza conferma soltanto il diritto all'esonero dall'obbligo di indossare il dispositivo di protezione da parte di chiunque possa documentare con certificazione medica la propria situazione di incompatibilità con l'uso della mascherina. Nel dettaglio il Tar, visto anche il rilievo effettuato dall'avvocato Rodano in risposta a quanto eccepito dall'Avvocatura dello Stato, ha riconosciuto la sostanziale vigenza delle disposizioni contenute nel DPCM del 2 marzo, dato l'espresso richiamo effettuato dal DL 44/2021 .Tuttavia, in concreto, il DL 44/2021 impedisce di disporre la sospensiva del DPCM in questione (proprio in quanto formalmente decaduto), nonostante le disposizioni dallo stesso previste continuino ad applicarsi. Questo blocca eventuali istanze cautelari davanti al TAR, in ogni caso la possibilità di ottenere l'annullamento della disposizione che si assume illegittima nella successiva fase di merito. Ad ogni modo l'ordinanza di fatto non si sofferma sulla problematica sollevata, né sui presupposti cautelari (fumus boni iuris e periculum in mora) .Gli altri procedimenti analoghi hanno subito la stessa sorte.
La sentenza che verrà emessa dal Tar avrà portata nazionale, abbiamo sentito telefonicamente l'avvocato per un commento a caldo sugli sviluppi del procedimento in atto. Per i nostri lettori, di seguito il file dell'intervista.
Audio dell'intervista all'avvocato Michele Rodano
La pena di morte non è soltanto la morte di qualche uomo e neanche quella di tanti uomini. La pena di morte è la morte dell’uomo.
Con la pena di morte si attua la negazione istituzionalizzata della sacralità della vita umana. Si celebra la negazione del valore della dignità della persona, del suo diritto intangibile a non essere abbassata alla dimensione animale, a cosa, a mero fenomeno da eliminare.
La pena di morte è il naufragio della ragione. La ragione, infatti, viene arrogantemente e dogmaticamente ritenuta in grado di comprendere l’uomo, di leggere il suo cuore, di comprendere la genesi del male, di saper individuare per il male la giusta, necessaria, efficace terapia. E’ il trionfo di una ragione che si attribuisce poteri illimitati, che sconfina nel metafisico, che crede illimitatamente in se stessa, nella sua capacità di giudizio, nella sua capacità di darsi criteri di valutazione infallibili, di saperli applicare con altrettanta infallibilità. E’ la tragedia della presunzione metafisica che pretende di far assurgere la ragione dell’uomo al rango della divinità.
E’, altresì, il naufragio del pensiero etico che fa dell’essere umano un soggetto chiamato a dare a se stesso un’identità e un destino. Chi dice sì alla pena di morte nega che l’uomo sia un soggetto in divenire, nega che sia perennemente chiamato a scegliere di sé, dei cammini che vorrà intraprendere. Nega, in definitiva, l’unica cosa che è possibile affermare della natura umana: che sia una realtà dinamica, plastica, modellabile e rimodellabile all’infinito, che sia realtà gravida di insondabili potenzialità, che sia realtà votata (condannata) a ripensarsi e a riprogettarsi, che sia, cioè, realtà aperta, un crescere inarrestabile e imprevedibile.
Chi dice sì alla pena di morte staticizza il cuore dell’uomo che pretende di poter pienamente comprendere.
Chi dice sì alla pena di morte pensa che la ragione dell’uomo sia in grado e in diritto di tracciare un confine netto e irrevocabile fra coloro che possono continuare a vivere e chi no. Fra coloro che meritano la vita e coloro che meritano la morte. Pensa che la ragione dell’uomo sappia scovare le incarnazioni del male nel mondo e le possa e le debba circoscrivere come cancrene infettanti, come metastasi impazzite, isolandole e recidendole affinché l’organismo sociale sia difeso, sia salvato.
Chi dice sì alla pena di morte non comprende che, in questo modo, si colpisce, si infrange il legame basilare della solidarietà umana, si spacca l’umanità, si frantuma il sentimento di una comune appartenenza, il sentimento di essere un’unica cosa.
Si recide, in particolar modo, come afferma Albert Camus, il legame di solidarietà di fronte alla morte. Non ci sentiamo più uguali e fratelli di fronte al comune, universale destino del morire che su noi tutti incombe, ma proiettiamo una parte di umanità nel ruolo di Natura selezionatrice o nel ruolo di Dio giustiziere e vendicatore. La morte, che dovrebbe costituire il fattore maggiormente capace di avvicinarci gli uni agli altri, diventa una mannaia che separa l’umanità in coloro che vivranno ancora e in coloro che più non dovranno vivere ...
Chi dice sì alla pena di morte dimostra di non comprendere gli effetti devastanti della violenza che dichiara di voler combattere.
Non comprende nulla della genesi della violenza, non comprende la complessità del fenomeno, non comprende nulla dell’intreccio fittissimo di elementi che concorrono nella produzione della violenza. Della violenza si fa un’immagine banalizzata, ben delimitata. Di fronte ad un oggetto così sfuggente e così presente, almeno nelle sue potenzialità, nelle viscere dell’universale natura dell’uomo, reagisce con la logica e con la prassi dell’ipersemplificazione del reale: la violenza che voglio combattere, il male che debbo/dobbiamo estirpare sei tu che hai commesso il crimine. Non c’è altro da indagare, non c’è altro da sapere. Posso mettermi al riparo dal dubbio, dal sospetto che la violenza abbia radici più profonde, più sottili, più estese, soprattutto, aggrovigliate assieme alle mille cose del nostro vivere comune da noi chiamato “sano”. Mi rifugio nella certezza che la causa è rintracciata: il vero, l’unico responsabile è scoperto. Lo consegno nelle mani del boia (che, se fossi davvero coerente, dovrei considerare vero “ministro della volontà popolare” o, addirittura, “ministro di Dio”) e sono liberato dal problema. Il capitolo, la questione sono chiusi. Inutile perdere tempo in quisquilie oziosamente concettose: chi ha sbagliato deve pagare, la collettività deve difendersi.
Chi dice sì alla pena di morte sceglie una civiltà che, per salvarci dall’incubo della paura del male e della violenza che l’uomo può esercitare sull’uomo, innalza la violenza (gelida, pianificata, ponderata) di un’intera società nei confronti dei singoli a strumento di salvezza collettiva.
Il peggior ottimismo e il peggior pessimismo si fondono insieme: fede cieca nel potere umano di compiere giustizia, e sfiducia assoluta nel potere umano di porre rimedio all’ingiustizia, di rinnegare l’ingiustizia. Si teme il singolo, gli si nega ogni possibilità di progresso, di metamorfosi interiore, di redenzione dal male. Si enfatizzano fino all’estremo limite il potere conoscitivo e le capacità operative di un insieme composto da tanti singoli, da quegli stessi singoli individui verso cui ci si mostra radicalmente privi di fiducia e di speranza.
Come possono convivere due cose tanto contrastanti?
scarica Ordinanza Tribunale civile di Venezia 06 aprile 2021
10 aprile 2021 - Il ricorso collettivo d'urgenza in sede civile discusso in udienza a marzo 2021 dall'Avv. Michele Rodaro del Foro di Udine - in difesa e rappresentanza delle doglianze di quasi novanta venete - è stato rigettato dal giudice di Venezia (Ordinanza del Giudice Dottor Roberto Simone del Tribunale civile di Venezia, 06 aprile 2021).
Vediamo in sintesi il provvedimento. Le famiglie rivendicavano (e rivendicano tuttora) per i propri figli minori il ripristino della libertà dalla mascherina al volto in posizione statica al banco scolastico ed in cosiddetta “rima buccale” di 1 metro di distanza, come già previsto dai protocolli e dalle linee guida ministeriali approvate a fine estate 2020 (con l'avallo dello stesso CTS) che per i mesi di settembre ed ottobre 2020 posizione statica al banco (possibilità di rimozione della mascherina chirurgica / di comunità, quando seduti e distanziati) e condizione dinamica di assembramento (obbligo di indossare la mascherina e / o averla semper con sé).
Il Giudice non ha riconosciuto che siano “in discussione i diritti fondamentali della persona”.
E citando il comma 5 dell'art. 7 del Cpa - Codice del processo amministrativo, D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 - in materia di giurisdizione esclusiva, ha riconosciuto anche la controversia concernente “Diritti soggettivi” , su cui l'Avv. Rodaro ha posto l'accento per una loro difesa il più possibile erga omnes (sollevata anche la questione di legittimità costituzionale in via subordinata).
"[…] Nelle materie di giurisdizione esclusiva, indicare dalla legge e dall'articolo 133, il giudice amministrativo conosce, pure ai fini risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi."
Rigettando il ricorso collettivo ex art. 700 cpc e condannando i ricorrenti alla rifusione delle spese alle liti in favore del Ministero dell'Istruzione, il Tribunale adito ha dunque stabilito nella fattispecie l' esclusiva giurisdizione amministrativa in quanto oggetto del procedimento è una materia di "pubblico servizio".
Il Tribunale in composizione monocratica ha cioè eccepito il difetto di giurisdizione (accogliendo il rigetto del ricorso chiesto dal Ministero dell'Istruzione), ma dichiarando il solo difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo, e non anche l'assenza di requisiti del fumus bonis juris e del periculum in mora come da richiesta ministeriale della difesa erariale, costituitasi in giudizio.
Fortunatamente - come già previsto e discusso nelle valutazioni ex ante fra me, i genitori a me vicini e l'Avv Michele Rodaro - un altro fronte nella sede giudiziaria amministrativa è stato aperto precedentemente dall'Avv. Michele Rodaro presso il TAR Lazio , ricorso collettivo al quale hanno aderito la quasi totalità delle famiglie venete già ricorrenti in sede civile a Venezia.
L'udienza al TAR Lazio di Roma è fissata per il 14 aprile 2021, la stessa data in cui anche l'Avvocato Nicola Massafra del Foro di Roma discuterà doglianze analoghe in difesa e rappresentanza di numerose famiglie italiane.Con l'Avv Nicola Massafra di Roma e l'Avv Michele Rodaro di Udine abbiamo due ricorsi in sede giurisdizionale amministrativa - indipendenti l'uno dall'altro ma analoghi - per una tutela erga omnes fino ai 18 anni di età, proprio sullo specifico problema delle mascherine imposte anche al banco scolastico, che hanno tradito i protocolli di intesa di fine estate 2020.
Si tratta di un appuntamento giudiziario spartiacque per la legalità ed il rispetto della Costituzione della Repubblica e dei diritti e delle libertà individuali tutelate anche dall'ordinamento giuridico eurocomunitario.
Fra le più recenti Ordinanze del TAR Lazio di Roma segnalo quella del 26 marzo 2021 e frutto del ricorso di altri avvocati (Avv.ti Gesess, Michi e Di Salvo) e le loro parti ricorrenti che rappresentano, la quale ordinanza ha mostrato un fondamentale cambio di passo: al Collegio del TAR Lazio di Roma hanno infatti cambiato tono nei confronti dei vertici dell'Esecutivo, avendo per la prima volta "ordinato" alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di riesaminare la chiusura delle scuole entro il 2 aprile 2021 (cosa che l 'Esecutivo ha fatto, seppur limitando in alcune Regioni il ritorno in presenza fino alla sola prima classe della scuola primaria di primo grado, in funzione della situazione epidemiologica).
Il ricorso al TAR Lazio citato era stato promosso ed aiutato anche dal team "PILLOLE DI OTTIMISMO", il quale sta contribuendo a fare conoscere lo studio "Uno studio di coorte trasversale e prospettico del ruolo delle scuole nel SARS-CoV-2 seconda ondata in Italia ” a firma di Sara Gandini, Maurizio Rainisio, Maria Luisa Iannuzzo, Federica Bellerba, Francesco Cecconi e Luca Scorrano, il quale è stato recentemente pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica The Lancet Regional Health - Europe.
Fino a qui ho citato dal comunicato del gruppo “Pillole ed Ottimismo” team multidisciplinare che vedi protagonisti la prof.ssa e dr.ssa Sara Gandini (ricercatrice), il dottor Paolo Spada (medico chirurgo specialista in chirurgia vascolare) ed il dottor Guido Silvestri .
Nelle ultime settimane i mass media hanno raccontato che il Governo stava rivalutando la riapertura delle scuole fino alla prima prima media dopo le festività pasquali, ma non hanno raccontato le reali motivazioni.
Dietro a tutto ciò vi è stata e vi è - sin dal dicembre 2020 - la pressione di numerosi ricorsi in sede giudiziaria amministrativa - di centinaia di genitori, comitati, associati e decine di avvocati di tutta Italia che li rappresentano, contro la deriva autoritaria in atto ed il mancato rispetto di numerosi principi giuridici, quali ad esempio quello di proporzionalità e ragionevolezza (Avv.ti L. Corrias, F. Scifo, Avv.ti Asso.ne Vaccipiano, Avv. Nicola Massafra, Avv. Michele Rodaro, Avv. ti Comicost, Avv.ti Gesess, Michi e Di Salvo, Avv.ti LaScuolacheAccoglie, ecc…).
La prossima udienza al TAR Lazio di Roma del 14 aprile 2021 di due distinti ricorsi collettivi ma analoghi nella sostanza e nelle doglianze - con l' Avvocato Nicola Massafra del Foro di Roma e l'Avvocato Michele Rodaro del Foro di Udine in rappresentanza di e nuovi di genitori di tutta Italia - dovrebbe portare quelle argomentazioni necessarie perché lo stato di diritto torni a far rispettare i diritti fondamentali dell'individuo e le sue libertà, in un'autentica tutela della salute individuale e collettiva e soprattutto della legalità, ove la Costituzione della Repubblica torni a splendere e la dignità umana al centro dell'agire politico ed istituzionale.
La violenza contro le donne è una delle più vergognose violazioni dei diritti umani
(Kofi Annan)
La donna non è nata per essere oggetto da manipolare, da distruggere, da piegare.
E 'notizia di ogni giorno un abuso, una violenza, un omicidio. Donne che soccombono a ogni tipo di ingiuria, sia nel campo lavorativo, familiare, nella società.
Ciò che ferisce di più è che spesso gli atteggiamenti di onnipotenza nascono all'interno della case dove il compagno, il marito, il padre e il fratello diventano carnefici e padroni.
La difficoltà di queste donne nel chiedere aiuto spesso deriva in quell'autopunizione e senso di colpevolezza inculcata dal convivente, dal genitore, dal fratello. Il senso di proprietà avviluppa psicologicamente la donna che si trova ad essere così incatenata in una situazione che non riesce a gestire credendo di essere lei stessa e scaturire la collera del compagno che nella propria convinzione la ama, protegge e “mantiene”. Negli ultimi anni anche l'età dei mostri si è abbassata, ragazzi che picchiano le proprie fidanzate facendole sentire brutte, incapaci e inadatte; oggetti di proprietà da gestire come sfogo a una rabbia interiore.Non parliamo di quella violenza fatta di ricatti, mettendo in ridicolo e allo sbando quella compagne che in momenti di intimità sono state immortalate in fotografie,
Ragazze indifese, sole, colpite nel profondo e disilluse, portate alla vergogna per qualcosa che doveva essere pulito, fatto con amore, con sentimento. Ragazze che schiacciate nell'intimo trovano l'unica via d'uscita a quel terrore con il suicidio.
La violenza, il senso di supremazia, il gusto di annientare, il desiderio di poter padroneggiare e avere tutto sotto controllo, porta a deliri ingestibili.
Cosa è che ha portato a questo tipo di squilibrio molti uomini? Perché spesso vengono difesi dalle proprie famiglie di origine? Perché i genitori di questi omuncoli non denunciano mai i propri figli? Dovremmo tornare all'origine di tutto, ai loro primi anni di vita, spesso il seme del male e del fare male si insinua rendendosi conto dell'incompiutezza del proprio essere, dall'insicurezza del sé, dalla necessità di essere assecondati.
Quel seme sbagliato germoglia venefico e l'esigenza di supremazia diventa pressante e necessario perché solo così “si viene creduti”, solo così il mondo “ci ascolta”. Solo così quegli orchi si sentono riscattati.
Il male generi male, quel procurare dolore diviene sostentamento di una mente malata e deviata da fermare, denunciare, allontanare. Non vi è alcun tipo di amore supportato da violenze incontrollate.
Indubbiamente queste persone soffrono di schizofrenie o altre patologie psichiatriche. Non sapere gestire le proprie emozioni rabbiose è comunque una forma di debolezza mentale che non va sottovalutata né scusata da nessuno!
A volte alcuni segni indicativi non vengono presi in considerazione: scatti d'ira, tirannie verso animali, inconsulte rivalse su oggetti, momenti di mutismo o eccesso di esibizionismo, nervosismo ed eccitazioni esagerate ecc…
Alcuni uomini che hanno ucciso le proprie compagne non provano alcun senso di pentimento, nessun rimorso restando freddi e inermi anche quando vengono arrestati; spesso sembrano addirittura sollevati.
Le donne dovrebbero proteggersi l'una con l'altra, parlarsi, confidarsi, cercare spazi e associazioni che possono venire loro in aiuto. Non dovrebbero mai pensare di essere le cause del loro male, mai pensare che quell'uomo così infame e violento possa provare amore verso di loro.
Purtroppo in alcune famiglie vige la protezione verso quel tipo di uomo, gli si riconosce la violenza ma non si ha coraggio e la forza di fermarlo. Si ha paura di lasciarlo perché ci sono i figli, la non libertà economica e la convinzione che possa cambiare. Non cambiano i mostri, non cambieranno mai poiché la loro rabbia li sostiene, li fa sentire grandi, potenti, padroni. Più le loro donne si piegano, più loro acquistano gradi di supremazia. Dovessimo fare un sondaggio e chiedere a ogni donna: -hai mai avuto attenzioni insane da parte di uomini? Hai mai subito anche solo verbalmente offese da amici, colleghi, uomini qualunque per la strada? Sei mai stata infastidita da atteggiamenti, parole e sguardi non propriamente rispettosi?
Tutto questo non vuole dire che tutti gli uomini sono in errore, ci sono esemplari di tutto rispetto ma questo non toglie che le vittime continuino ad essere donne che amano, che hanno paura, che si sentono in torto, che vogliono proteggere i propri figli. L'intero genere umano nasce dalla donna, la donna che con dolore mette al mondo figli, figli meravigliosi, figli giusti, figli desiderati e altri no. Spesso sono questi i più rabbiosi, le rivalse emotive, l'odio incanalato da tempo, la parola taciuta, il sorriso negato e molto altro generano mostri con mani enormi e veleno da sputare.
Cerchiamo di capire e comprendere qualsiasi donna abbiamo di fronte, spesso nel buio dei loro occhi vi è qualcosa da intravedere. Non spegniamo noi quella luce!
Amnesty International, in un rapporto pubblicato a metà dello scorso dicembre, ha provveduto a denunciare come, in almeno 60 stati, le forze di polizia, in nome dell’applicazione e del rispetto delle misure di contrasto alla “pandemia covid 19”, abbiano fatto ricorso a forme di violenza tali da produrre gravi violazioni dei diritti umani e, in alcuni casi, anche peggioramenti della crisi sanitaria.
Molti stati, inoltre, vengono accusati di aver utilizzato pretestuosamente e strumentalmente l’allarme pandemico, introducendo leggi e prassi che hanno violato i diritti umani, riducendo le garanzie in materia, come ad esempio le limitazioni innecessarie ai diritti alla libertà di manifestazione pacifica e alla libertà d’espressione.
Il quadro che scaturisce dal rapporto è quanto mai allarmante:
persone sospettate di aver violato le misure di contenimento o che protestavano per le condizioni di detenzione sono state ferite o uccise;
è stato violentemente represso il dissenso;
un po’ ovunque sono stati effettuati arresti di massa (persone accusate di aver violato la quarantena, trasgredito al divieto di spostarsi da un luogo all’altro, tenuto riunioni, preso parte a manifestazioni pacifiche e criticato la risposta del governo alla pandemia);
imposti rimpatri illegali;
effettuati sgomberi forzati e repressioni violente di manifestazioni pacifiche.
Ecco qualche caso particolarmente eloquente e emblematico:
· In Iran, le forze di polizia hanno usato proiettili veri e gas lacrimogeni per stroncare le proteste nelle carceri, uccidendo e ferendo parecchi detenuti.
· In Kenya, solo nei primi cinque giorni di coprifuoco, le forze di polizia hanno ucciso almeno sette persone e hanno costretto altre 16 al ricovero in ospedale.
· In Sudafrica le forze di polizia hanno sparato proiettili di gomma contro persone che “vagabondavano” in strada durante il primo giorno di lockdown.
· In Cecenia, alcuni agenti hanno aggredito e preso a calci un uomo che non indossava la mascherina.
· In Angola, tra maggio e luglio, sono stati uccisi almeno sette giovani.
· Nella Repubblica Dominicana, tra il 20 marzo e il 30 giugno, le forze di polizia hanno arrestato circa 85.000 persone accusate di aver violato il coprifuoco.
· In Turchia, tra marzo e maggio, 510 persone sono state arrestate e interrogate per aver scritto “post provocatori sul coronavirus”, in evidente violazione del diritto alla libertà d’espressione.
· In Etiopia, nella Zona di Wolaita, almeno 16 persone sono state uccise dalle forze di polizia per aver protestato contro l’arresto di dirigenti e attivisti locali accusati di aver manifestato in violazione delle limitazioni adottate per il contrasto alla pandemia.
· In numerosi stati le forze di polizia hanno mostrato un’attitudine discriminatoria e razzista nell’applicazione delle norme sul Covid-19, colpendo, in particolar modo, rifugiati, richiedenti asilo, lavoratori migranti, persone Lgbti o di genere non conforme, lavoratori e lavoratrici del sesso, persone senza dimora.
· In Slovacchia, durante la quarantena, le forze di polizia e l’esercito hanno isolato gli insediamenti rom, contribuendo ad alimentare lo stigma e il pregiudizio che quelle comunità già subivano.
· In Francia, tra marzo e maggio, i volontari di “Osservatori sui diritti umani” hanno documentato 175 casi di sgombero forzato di migranti, richiedenti asilo e rifugiati nella zona di Calais.
Dure ed inequivocabili le parole di Patrick Wilcken, vicedirettore del programma Temi globali di Amnesty International:
“Durante la pandemia, in ogni parte del mondo le forze di polizia hanno ampiamente violato il diritto internazionale ricorrendo a una forza eccessiva e innecessaria per far rispettare il lockdown e il coprifuoco. Col pretesto di contrastare la diffusione della pandemia, in Angola un ragazzo è stato ucciso per aver violato il coprifuoco e in El Salvador un uomo è stato ferito alle gambe mentre era uscito di casa per andare a comprare qualcosa da mangiare”.
Aggiungendo che, pur considerando che il mantenimento dell’ordine pubblico rappresenta senza alcun dubbio un elemento fondamentale nella protezione della salute e della vita delle persone, un
“eccessivo affidamento a misure coercitive per applicare le limitazioni per motivi di salute pubblica sta facendo peggiorare la situazione” e che il “profondo impatto della pandemia sulla vita delle persone richiede che le forze di polizia agiscano nel pieno rispetto dei diritti umani”.
“È fondamentale - ha dichiarato inoltre AnjaBienert, direttrice del programma Polizia e diritti umani di Amnesty International Olanda - che le autorità diano priorità alle migliori prassi sanitarie rispetto ad approcci coercitivi che si sono dimostrati controproducenti. I dirigenti delle forze di polizia devono dare al loro personale istruzioni e ordini precisi affinché i diritti umani siano al centro di ogni valutazione posta in essere. Coloro che hanno esercitato i loro poteri in forma eccessiva o illegale devono essere chiamati a risponderne. Altrimenti, si verificheranno ulteriori violazioni dei diritti umani”,
L’organizzazione umanitaria invita, pertanto, i governi di ogni parte del mondo ad assicurare che le forze dell’ordine rispettino correttamente e coerentemente la loro più importante missione: servire e proteggere la popolazione.
Infine, Amnesty International richiede che, nei casi in cui si siano verificate violazioni dei diritti umani derivanti da operazioni di mantenimento dell’ordine pubblico e dall’uso della forza, gli stati svolgano tempestivamente indagini approfondite, efficaci e indipendenti, in modo da assicurare che i responsabili ne rispondano in un giusto processo.
“ABBANDONATI”
Degno della massima attenzione risulta anche il Rapporto della sezione italiana di Amnesty, dall’eloquente titolo “Abbandonati”, presentato sempre alla metà del mese di dicembre, relativo alle violazioni dei diritti umani verificatesi nelle strutture di residenza sociosanitarie e socioassistenziali italiane durante la pandemia da Covid-19.
Lo studio, che raccoglie oltre 80 interviste effettuate in tre regioni d’Italia (Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto), analizza l’impatto delle decisioni e delle pratiche adottate dalle istituzioni all’interno di dette strutture, rilevando la mancata tutela del diritto alla vita, alla salute e alla non discriminazione degli ospiti anziani.
“Oltre a violare il diritto alla vita, alla salute e alla non discriminazione, decisioni e pratiche delle autorità a tutti i livelli hanno anche avuto un impatto sui diritti alla vita privata e familiare degli ospiti delle strutture ed è possibile che, in certi casi, abbiano violato il diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti”, ha dichiarato Donatella Rovera, ricercatrice esperta di crisi di Amnesty International.
“La pandemia - ha aggiunto Martina Chichi, campaigner di Amnesty International Italia - ha mostrato l’inadeguatezza del sistema di controllo delle strutture per anziani. La nostra indagine ha evidenziato che nel periodo in cui i controlli avrebbero dovuto essere più frequenti e più approfonditi – vista l’impossibilità di vigilanza da parte dei familiari o altri nel periodo di chiusura delle case di riposo al mondo esterno – spesso invece le verifiche condotte dalle aziende sanitarie locali sono state solo formali e amministrative” .
Il Rapporto, fra le altre numerose osservazioni critiche, evidenzia come l’emergenza sanitaria abbia acuito problemi sistemici delle strutture oggetto della ricerca, come la carenza di personale (aggravata dall’alto numero di operatori sanitari in malattia e dai reclutamenti straordinari dei presidi ospedalieri), cosa che ha comportato un grave abbassamento del livello di qualità dell’assistenza e della cura degli ospiti e fatto sì che si realizzassero condizioni di lavoro terribili per gli operatori stessi, sottoposti a un grave stress fisico e psicologico e sovraesponendoli al rischio di contagio.
Infine, in considerazione del fatto che, a partire dall’inizio dell’emergenza sanitaria, governo e autorità regionali e locali non hanno mai reso pubblici dati e informazioni omogenei e completi relativi alla diffusione del contagio nelle strutture residenziali sociosanitarie e socio assistenziali (essenziali per una lettura puntuale del fenomeno e tale da consentire, tra le altre cose, di rispondere alle esigenze del settore evitando il ripetersi delle violazioni e della mancata tutela dei diritti alla vita, alla salute e alla non discriminazione dei pazienti anziani), l’Organizzazione umanitaria, oltre a richiedere alle autorità di garantire agli ospiti delle case di riposo il diritto al più alto standard di assistenza ottenibile e l’accesso non discriminatorio alle cure, nonché di attuare politiche di visita che permettano un contatto regolare con le famiglie, esprime l’importante esigenza di un’inchiesta pubblica e indipendente che chiarisca le responsabilità e suggerisca misure concrete per affrontare le criticità riscontrate (tra cui il miglioramento dei meccanismi di sorveglianza delle strutture) e sottolinea il dovere ineludibile delle autorità di assicurare la massima trasparenza sui dati relativi alla gestione dell’emergenza sanitaria.
Abbiamo il piacere di intervistare Moncef Marzouki, medico, attivista per i diritti umani e politico tunisino. È stato Presidente della Tunisia del dopo “primavere arabe” dal 2011 al 2014, il suo programma è stato incentrato sulle libertà civili, come l'abolizione della polizia politica, della censura e l'approvazione di una Costituzione rispettosa della Dichiarazione universale dei Diritti Umani .
Come Presidente della Lega tunisina per la difesa dei diritti umani che idea si è fatto sulla vicenda di Julian Assange negli ultimi dieci anni per aver denunciato i crimini commessi dallo Stato e soprattutto dall'esercito degli Stati Uniti?
Prima di tutto, grazie a Pressenza per avermi invitato e per avervi incontrato, sono un uomo della società civile, ho lavorato molto nelle ONG, quindi mi sento molto a mio agio con voi, grazie ancora per questo invito. Sì, sono stato e rimango ancora un'attivista per i diritti umani e rimango estremamente sensibile alla questione di Assange. Inoltre, come forse saprete, nel 2012, quando ero presidente, l'ho chiamato da Cartagine, e abbiamo avuto una comunicazione tra lui e me da Cartagine, e gli ho detto che sarei stato molto felice di riceverlo in Tunisia come attivista per i diritti umani, che era il benvenuto in Tunisia. E sono sicuro che se gli fosse stato permesso di uscire, avrebbe esitato tra due o tre paesi, ma in ogni caso sarebbe stato accolto molto favorevolmente in Tunisia. Io ero indignato per il modo in cui è stato trattato, che cosa ha fatto quest'uomo? Ha fatto quello che oggi chiamiamo un lavoro di denuncia. La democrazia non può vivere senza denuncia, ci sarebbero molti crimini che passerebbero inosservati, così quest'uomo ha fatto il suo dovere di informare, ha detto ciò che andava detto su una serie di crimini; purtroppo, sapete che il presidente uscente sta amnistiando alcuni di questi criminali per atti commessi in Iraq. Quindi per me è un uomo che ha fatto il suo dovere, il suo dovere di cittadino e di attivista per i diritti umani ed è per questo che sarebbe stato il benvenuto in questo paese, la Tunisia, che era all'epoca, e che è ancora un luogo di rifugio per gli attivisti per i diritti umani. Sono stato totalmente impegnato fin dall'inizio, sia quando ero al potere, sia oggi, nel caso di Assange, che è un tipico caso di violazione dei diritti umani.
Lei che è stato medico personale di Mandela e che ha fatto tanto, nel suo mandato presidenziale, per la difesa dei Diritti Umani cosa vorrebbe dire a coloro che torturano Assange nel “democratico” Regno Unito?
Vorrei correggere quest’informazione, non ero il medico personale del presidente Mandela, ho incontrato il presidente Mandela nel 1991 e ho avuto una lunga conversazione, in particolare sui diritti dei bambini, perché all’epoca stavamo discutendo dei diritti dei bambini e purtroppo l’ho visto una seconda volta quando sono andato a rappresentare la Tunisia al suo funerale. Così ho visto questo grande uomo in piedi, ed ero triste quando l’ho visto su un catafalco, per me è un maestro, ma non ho avuto l’onore di essere il suo medico, se non altro perché lui ha vissuto soprattutto in Sudafrica e io in Tunisia. Ma per me, lui è il mio maestro, è il mio maestro spirituale e per tutto il tempo che sono stato a Cartagine avevo il suo ritratto dietro di me, non avevo il ritratto di un tunisino, ma avevo il ritratto di Mandela.
Per me c'è un parallelo tra Mandela e Assange, perché Mandela è stato prigioniero per 27 anni in una piccola cella semplicemente perché si è opposto ai crimini dell'apartheid e anche Assange è in qualche modo prigioniero da tanti anni, allo stesso modo, perché si è opposto a un crimine. E quindi quello che mi sembra più aberrante in questo caso, è che nel caso Mandela possiamo accettare, possiamo capire che è stato imprigionato da un regime di apartheid, un regime razzista, un regime senza diritti, ma in quello di Assange che fosse un prigioniero e che è stato trattato in questo modo da uno Stato democratico, è al di là di ogni immaginazione. Sappiamo che dietro ogni stato, qualunque esso sia, c'è lo sfarzo e poi c'è la cucina, il cortile, e il cortile di tutti gli stati, compresi gli stati democratici, non è mai molto pulito, non è mai molto pulito. Quindi tutti gli Stati non sono conseguenti rispetto alle idee che sbandierano, ma ci sarebbe aspettato che la Gran Bretagna, con la sua tradizione democratica e il fatto di essere la sede di Amnesty International, si sarebbe comportata diversamente, ma purtroppo direi che la vigliaccheria delle autorità britanniche di fronte alle pressioni americane è stata grande. Hanno accettato questa situazione che è totalmente indebita, infame, penso che purtroppo i britannici non usciranno da questa situazione in modo positivo, compenseranno forse alla fine ma in questo momento si nascondono dietro la legge e dicono no, no, no, no, questa è la legge, è la legalità. Ma tutti sanno che si tratta di una questione politica per eccellenza e che, se avessero voluto, avrebbero trovato una soluzione che consentisse ad Assange,
Cosa direbbe a chi si ostina a stare in silenzio, ai governi ei giornalisti che cercano di mettere “sotto il tappeto” gli orrori compiuti in Afghanistan, in Iraq e in tanti altri contesti?
Sapete, il silenzio è assolutamente inaccettabile perché ci sono uomini e donne che sono lì per difendere i diritti, e uomini e donne per difendere gli interessi; penso a tutti i giornalisti e tutte le persone che non si sono mobilitate per il caso di Assange; perché, alla fine, questi uomini difendono la libertà di espressione, la libertà di diffondere informazioni soprattutto quando è così importante per la pace e la sicurezza mondiale; penso anche alle molte persone non sono cresciute con la minaccia americana; persone a cui può essere proibito di tornare negli Stati Uniti.
Più gente avrebbe dovuto prendere posizione, ma quando si tratta di attaccare piccoli paesi o governi deboli, va bene, tutti vanno avanti e attaccano quel paese africano per le violazioni dei diritti umani, ma quando si tratta di attaccare gli Stati Uniti e dire no no , ci sono violazioni dei diritti umani negli Stati Uniti, ci sono molte persone che esitano e questo non le fa sentire meglio, ma fortunatamente ci sono persone come te sono capaci nonostante tutte le difficoltà, nonostante tutti i rischi, tutti i problemi di presa di responsabilità; quindi rimango ottimista per il fatto che, nonostante tutte le pressioni che gli americani esercitano su Assange, ci sono ancora persone che sono in grado di dire: NO, non vogliamo questo, quest'uomo è una fonte di informazione,
Lei pensa che sia giusto che non esistano "segreti di Stato" e che chi commette crimini, anche se riveste cariche politiche e militari, vada perseguito?
Sì, c'è giustizia uguale per tutti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, è molto chiaro; vi ricordo che la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ha una madrina chiamata Eleanor Roosevelt, quindi è americana, quindi gli americani hanno avuto un ruolo importante nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, come possono negarla oggi? Quella dichiarazione, è chiaro che c'è un divieto totale di torturare le persone e oggi quello che Assange sta subendo è tortura.
Il segreto di stato, tu sai cos'è il segreto di stato, tu sai cos'è? Va e viene, ci sono persone che hanno paura che i loro crimini vengono rivelati, ma qual è la cosa più importante? la verità, la pace. Il popolo americano vuole sapere tutto, perché questo non è più importante dei cosiddetti segreti militari che consistono nel nascondere i crimini e nel perdonarli? Quello che non perdono a Trump è il perdono dei crimini che sono stati rivelati, tra l'altro, in parte da Assange e da persone come lui. Ciò che è importante è che la società civile, che la gente dica NO NO, c'è qualcosa di più importante dei segreti, segreti di Pulcinella; la cosa più importante è il diritto della gente, cioè il diritto della giustizia di processare tutti i crimini perché così potremo andare avanti.
In un'intervista che Assange fece all'ex Presidente dell'Ecuador, Rafael Correa, nel 2012, Julian fece riferimento a lei in merito a un dialogo che avete avuto sul poco potere che spetta ai presidenti. Ci parli degli ostacoli che deve affrontare chi è un capo di un governo e degli ostacoli che cercano di imporre i poteri forti a chi realmente vuole cambiare le cose?
Un presidente non è una persona onnipotente: quando arriva al potere, ha una burocrazia, ha tradizioni di potere prima di lui, ci sono lobby estremamente importanti, e ci sono industrie dietro, ci sono interessi enormi, e poi c'è il suo stesso interesse a essere rieletto e così via… Quindi rimanere fedeli alle convinzioni è estremamente difficile perché ovviamente si entra in contatto con le lobby economiche, con i servizi segreti che hanno una loro politica, perché si sa che un presidente va e viene, ma i servizi e le autorità e le lobby economiche restano, sono lì da 20,30 anni, ma comunque i presidenti possono fare qualcosa. Io personalmente, quando sono arrivato, ho vietato la tortura ed è stata rispettata questa decisione; negli incontri che ho avuto con il Consiglio di sicurezza nazionale, sia che si trattasse di militari o di polizia, ho detto: “La tortura è finita in Tunisia”. E non venite a dirmi questo o quello, e non ci sono stati casi di tortura, o comunque, se ci sono stati, si trattava di veri e propri errori individuali, ma la tortura, che era qualcosa di sistematico in Tunisia, si è fermata . Così, nonostante tutto, si può fare qualcosa ed è così che le società possono andare avanti.
Assange è incriminato per l '”Espionage Act”, una legge americana del 1917 scritta “contro i traditori della patria” ma gli Stati Uniti non sono la sua patria perché lui è australiano e non ha tradito nessuno, al contrario ha denunciato governi e militari che, loro sì, hanno commesso crimini gravissimi e hanno tradito la patria ei suoi cittadini. Qual è il suo punto di vista sulla questione?
Il mio punto di vista è che non ha nulla a che fare con lo spionaggio, non ha nulla a che vedere, è una semplice vendetta e soprattutto un esempio, cioè voilà, vogliamo che Assange sia un esempio, voilà, se fai, se osi rivelare i nostri segreti ecc… questo è quello che probabilmente succederà, quindi stanno cercando di fare di Assange un esempio per intimidire tutti coloro che vorrebbero fare la stessa cosa. Ancora una volta, capisco che ogni paese mantenga un certo numero di segreti militari, io stesso non sono stato in grado di divulgare un certo numero di temi che erano veramente legati alla sicurezza del paese, segreti militari, i piani d'azione contro i terroristi ecc. Ma quando si tratta di crimini o di errori commessi dalle forze di sicurezza, non c'entra nulla la sicurezza nazionale. La sicurezza nazionale, al contrario, è obbligata a non accettare gli errori, a non tollerare che i soldati uccidano in missione, come è successo in Afghanistan: questo non è accettabile. C'è una confusione tra ciò che è veramente un segreto di Stato da mantenere perché anche lo Stato ha bisogno di mantenere segreti e il fatto di nascondere i crimini: i crimini non è un segreto di Stato, perché in linea di principio gli Stati non sono criminali, e in linea di principio gli Stati non proteggono il crimine, quindi non si può dire che sia un segreto di Stato. Per me l'atteggiamento del governo americano non ha nulla a che fare con i segreti di Stato, vogliono intimidire le persone afinché non lo facciano più, e questo pone un problema sul funzionamento della democrazia americana. I nostri alleati americani acquistano sollevare la questione su questo tipo di legge, di questo tipo di comportamento perché ciò mette in discussione la loro stessa “democrazia”, indipendentemente dall'influenza che essa ha sul mondo. Assange non è né americano né inglese, se deve essere giudicato, dovrebbe esserlo in Australia, per esempio, e certamente non dagli Stati Uniti.
Come forse saprà, Fatou Bensouda, Procuratore Capo della Corte Penale Internazionale, a seguito dell'inchiesta per Crimini di guerra commessi da Israele in Palestina e degli USA in Afghanistan è stata minacciata e sanzionata dal governo USA insieme ad altri della Corte Penale Internazionale. Come ha accolto questa notizia e che cosa vorrebbe dirle se volesse mandarle un messaggio?
Ho avuto il piacere di ricevere Fatou Bensouda quando ero presidente perché è venuta a trovarmi per una storia simile, ma diversa, c'era una riunione tra i capi di Stato africani che non volevano che l'Unione africana riconoscesse il ruolo della Corte Penale Internazionale , perché i capi di Stato africani si sentivano minacciati dalla CPI. È venuta a chiedere il mio sostegno e la mia opinione, perché voleva che la CPI si applicasse a tutti, compresi gli africani, e mi ha detto, ma no, non vogliamo assolutamente prendere di mira i capi di Stato africani. Io le risposi che ero completamente d'accordo con lei, non c'è motivo per cui i capi di Stato africani debbano sentirsi più sotto mira o protetti perché sono africani e le ho detto che la consideravo una donna coraggiosa, e che le davo tutto il mio appoggio,
Non la vedo intimidita, per me questa donna non si lascia intimidire, le do il mio pieno appoggio e l'incoraggio a continuare, ed è grazie a uomini e donne come lei che il processo per uno stato di diritto internazionale sta prendendo forma, e questa sarà la cosa più importante.
Qualche tempo fa lei ha annunciato la sua uscita dalla scena politica: quali solo i suoi progetti per il futuro?
Sì, sono uscito dalla politica tunisina, cioè dalla lotta per il potere in Tunisia, ma sono ancora Presidente dell'Associazione per i Diritti Umani, quindi rimango impegnato nella causa palestinese, in cui sono molto coinvolto cercando di istituire un consiglio nazionale arabo per la promozione della democrazia e per la difesa della primavera araba, che è sotto estrema minaccia. Quindi sono ancora molto attivo, faccio parte di un gruppo di saggi africani, ci incontriamo ogni anno, siamo circa dieci capi di Stato africani che sono capi di Stato africani democratici e che non hanno precedenti di corruzione, ecc…, un club molto chiuso, ci incontriamo ogni anno per riflettere sul futuro dell'Africa, sullo sviluppo di una strategia ecc. Sono quindi molto attivo sul piano africano, sul piano arabo, ma ho effettivamente evitato,
Per gentile concessione dell'agenzia di stampa internazionale Pressenza
Lo schiavismo, vergogna indelebile e prerogativa solo della specie umana, è sempre esistito, ma lo schiavismo moderno si è espresso nel modo più detestabile perché praticato ed accettato dai cristiani.
Nel 1344 Clemente V ordina la colonizzazione dei territori africani. Più tardi furono il re cattolico Ferdinando d’Aragona (1452-1516), l’imperatore Carlo V (1500-1558) e Luigi XV re Sole (1710-1774) che per primi diedero il permesso per trasportare i primi schiavi nel Nuovo Mondo. Ma fu il papa Alessandro VI, (1431- 1503) che,
appellandosi alla falsa donazione di Costantino delle terre di Occidente, a dividere il , globo e consegnarlo alle potenze coloniali nascenti, la spagnola e la portoghese con lo scopo di cristianizzare popolazioni pagane. E le conseguenze furono devastanti.
I Conquistadores distrussero le fiorenti civiltà Inca, Maya, Azteca. Nel 1500 nel continente americano c’erano 80 milioni di persone, 50 anni dopo era ridotta a 10 milioni. Nel giro di un secolo era stato sterminato un terzo della popolazione mondiale, come se oggi si uccidessero 2,5 miliardi di persone. E tra il 1600 e il 1900 altri 80 milioni di nativi perirono. La popolazione in Messico dal 1520 al 1595 passò da 25 milioni a meno di un milione e mezzo: avevano annientato il 95% della popolazione
locale.
Cortez per placare una ribellione convocò 60 dignitari aztechi con i loro eredi. Li fece bruciare tutti vivi alla presenza dei loro parenti per convincerli a non opporsi agli spagnoli. E Vasco da Balboa fece sbranare dai cani 40 indio.
Gli spagnoli si divertivano a provare il taglio delle loro spade sulla popolazione, staccando braccia, gambe, teste: 600 persone furono squartate come bestie. Nel 1517 nelle isole caraibiche alcuni cristiani incontrarono un’indiana che teneva in braccio un bambino a cui dava il latte; il cane degli spagnoli aveva fame, strapparono il bambino dalla madre e lo diedero in pasto al cane che lo fece a pezzi. Se i neonati piangevano li prendevano per i piedi e li sbattevano contro le rocce. Nel 1570 un giudice affermò pubblicamente che se dovesse mancare l’acqua per irrorare le piante delle fattorie degli spagnoli sarebbe stato utilizzato il sangue degli indigeni. E non era una metafora.
Quando nel 1592 C. Colombo sbarcò a Cuba c’erano 8 milioni di abitanti; dopo 4 anni la popolazione era ridotta a meno della metà. Usare la polvere da sparo contro i pagani era considerato come offrire incenso a Dio.
Oltre alle stragi, le malattie portate dai Conquistadores mieterono più vittime di tutte le guerre e massacri messi assieme. Las Casas denunciò episodi in cui gli spagnoli diedero in pasto agli indio la carne di altri indio trucidati oppure ai cani. Il vescovo dello Yacatan, Diego de Landa, narra di aver visto un grande albero ai rami del quale un capitano aveva impiccato un gran numero di indiane e alle loro caviglie aveva appeso per la gola i loro figlioletti.
Non si contano gli indigeni morti per costruire Città del Messico. Si camminava sui cadaveri, o su mucchi di ossa, per centinaia di km e le nuvole di stormi che venivano a divorarli erano così numerose da oscurare il sole.
Quando le epidemie di vaiolo, peste, morbillo uccidevano decine di milioni di persone i Conquistadores li consideravano un segno voluto da Dio. Molte tribù vennero contagiate di proposito attraverso indumenti o oggetti infettati. L’epidemia di vaiolo che distrusse l’80% della popolazione fu vista come un dono divino. Moltissimi indio si suicidavano dalla disperazione o si lasciavano morire di fame o di inedia. Rifiutavano perfino di accoppiarsi con le loro donne. I neonati morivano subito dopo il parto perché la madri erano debilitate.
Dopo aver sterminato quasi l’intera popolazione, visto che non vi erano più schiavi il vescovo Las Casas propose di importarli da altre parti del mondo.
Le guerre tra gli indiani potevano durare decenni, anche senza vittime e di solito risparmiavano le donne e i bambini, cosa che non fecero i cristiani.
Moltissimi indio morirono in campagne di avvelenamento come attuali derattizzazioni.
L’iscrizione sulla tomba di un puritano del 1600 diceva: “Alla memoria di Lynn S. Love che, nel corso della sua vita uccise 98 indiani che il suo Signore gli aveva destinato. Egli sperava di portare questa cifra a 100 quando si addormentò nella braccia di Gesù”.
Tra il 1500 e il 1900 si calcola che i Conquistadores abbiano causato la morte di 150 milioni di persone (100 milioni a causa di epidemie causate, 50 a causa di massacri e trattamenti disumani).
Dopo pochi decenni dell’arrivo degli inglesi molte popolazioni erano state distrutte fino al 98%. Il pastore Saloman Stoddard nel 1703 chiese al governatore del Massachusetts una grande muti di cani per stanare gli indiani alla maniera degli orsi.
I trattati di pace venivano stipulati con l’idea di violarli, mentre gli indiani non ruppero mai un trattato. Verso il 1850 vengono costruite le riserve indiane, veri e propri campi di concentramento, per rinchiudervi i popoli nativi.
I missionari venivano inviati per aprire varchi con trattati ingannevoli, se gli africani si rifiutavano di cedere arrivavano i Conquistadores. I missionari francescani benedicevano i massacri e fin dal 1500 organizzarono per contro proprio una tratta degli schiavi.
Nel 1650 la Compagnia di Gesù possedeva una quantità di schiavi tale da impressionare gli stessi portoghesi. Allo stesso modo si comportavano i missionari protestanti (metodisti, calvinisti anglicani) i quali per fiaccare gli schiavi ribelli li torturavano in piazza. Alla tratta parteciparono anche Olanda, Svezia e Danimarca. Decine di milioni di schiavi venivano trucidati durante la tratta. Per ogni schiavo catturato vivo altri 9 venivano uccisi nel tentativo di resistere. Solo da Goreè dal 1680 al 1700
vennero esportati 20 milioni di schiavi. Le donne venivano sistematicamente stuprate e chi si opponeva veniva uccisa. I domenicani, i gesuiti e la compagnia di Gesù divennero vere e proprie potenze economiche.
L’Africa era un serbatoio inesauribile di materia prima e gli schiavi potevano essere sfruttati fino all’estremo perché a differenza dei bianchi garantivano almeno dieci anni di duro lavoro, dall’alba al tramonto, a costo zero, se non un pò di cibo, e senza il diritto di poter chiedere nulla. Il prezzo di ogni schiavo in buona salute era di poche centinaia di pesos nelle colonie spagnole e portoghesi. Stenti, torture, fame, sete decimavano sulle navi a vela quei poveri esseri costretti in piccole stive, incatenati, in condizioni igieniche spaventose, stipati come sardine; per recuperare spazio nelle stive venivano fatti sdraiare per terra sul fianco a mò di cucchiaini e a mano a mano che morivano venivano gettati in mare. Tra inenarrabili sofferenze gli schiavi venivano portati nelle Americhe dove venivano smerciati con lauti guadagni per le compagnie schiaviste mentre nei salotti e nelle corti europee si dissertava di cultura, filosofia, diritti, libertà, giustizia. Solo dopo la guerra di secessione Americana, verso il 1800, si cominciò a dare libertà agli schiavi finiti in 10 milioni nelle piantagioni di canna da zucchero, di caffè, nelle miniere, nella coltivazione di cotone, nelle fabbriche e nelle industrie.
In questi giorni difficili, in cui il bombardamento mediatico e le misure governative ci gettano sempre più in una condizione psicologica di ansia e di timore, credo che la “Lettera aperta” redatta da numerosi medici e operatori sanitari del Belgio, inviata, già da diverse settimane, alle autorità e ai media del proprio Paese, possa aiutarci ad assumere una visione più corretta e oggettiva dell’attuale “fenomeno pandemico”.
Si tratta di un documento che andrebbe seriamente e serenamente esaminato, meditato e discusso, evitando arroccamenti aprioristici e abbandonando i tanto diffusi atteggiamenti di rifiuto nei confronti di qualsivoglia voce fuori dal coro. Ed evitando, soprattutto, di lasciarsi fuorviare dalle ben collaudate (e sempre tragicamente efficaci) strategie di delegittimazione del dissenso, che tendono a gettare qualsiasi tentativo di analisi critica e indipendente nel tanto comodo e rassicurante calderone dei cosiddetti negazionismi, acchiappanuvolismi, irresponsabilismi, ecc.
Quello che colpisce, in particolare, del documento, è la fortissima corrispondenza fra quanto viene riscontrato accadere, a livello mediatico-governativo, in terra belga con quanto possiamo riscontrare quotidianamente nel nostro Paese, soprattutto per quanto concerne l’assenza di un corretto, rispettoso e pluralistico confronto fra diversità di opinioni.
Pur invitando i nostri amici e simpatizzanti alla lettura integrale dell’interessante documento, ne propongo qui una schematizzazione sintetica, avvalendomi spesso di ampi e significativi stralci del testo in traduzione italiana.
La “Lettera aperta” risulta firmata, al momento, da 611 medici, 1.928 professionisti della salute con formazione medica e 14.248 cittadini.
(https://docs4opendebate.be/en/openletter/;http://omgekeerdelockdown.simplesite.com/?fbclid=IwAR0sQJmD6tyBo1jOgMrVnGJCDQQDYnvqdFdnWOViGhrmG_nkrZTZKgJLDzc)
Non intendiamo usare i nostri pazienti come cavie.”
“ Le opinioni alternative sono state ignorate o ridicolizzate. Non abbiamo assistito a dibattiti aperti sui media, dove si potrebbero esprimere opinioni diverse.”
Fonte: https://docs4opendebate.be/en/open-letter/
Massimo Tomaselli |
Il Potere trasformativo dell’individuo, inteso come processo di miglioramento che restituisca dignità, non è soltanto un ideale ma una opportunità per chi nel “tunnel” della propria esistenza, si è ritrovato a fare i conti con il minimo delle possibilità, risorse, energie…
Troppo spesso i ragazzi provenienti da famiglie sbagliate e multi-problematiche, si sono trovati soli e condizionati da contesti di disperazione, miseria, non solo materiale ma anche e più spesso culturale.
La cooperativa "Il Futuro Quadrifoglio” offre loro una seconda opportunità, quella di Ri-pensare, Ri-progettare una strada percorribile nella realizzazione personale, che fino ad ora era stata negata…
L’Istat ha stimato che sono 6,2 milioni gli utilizzatori di cannabis, un milione quelli che usano cocaina, 285mila gli eroinomanie 590mila i drogati ‘chimici’ di ecstasy, Lsd, amfetamine. Da 27.718 del 2015 arriviamo ai 38.613 del 2017, +39%, e la tendenza è ancora in aumento. Nei dati rilevati, troviamo che il numero delle vittime nell’uso di droga, fra gli adulti è raddoppiato, fra i minori è quasi quadruplicato. Dal 2016 sono aumentati i decessicorrelati alla droga, soprattutto correlati al consumo di eroina. Il primo contatto con le sostanze per 1 ragazzo su 2 è avvenuto entro i 14 anni.
A fronte di queste evidenze statistiche, troviamo in controtendenza la realtà della Cooperativa Sociale “il Futuro Quadrifoglio” che si trova vicino Roma in una tenuta affacciata sul mare ad Ardea. Arriviamo presso il Centro e la prima impressione che ne riceviamo è quella di totale armonia e bellezza. Mi viene spiegato in seguito, quanto importante sia anche l’attenzione agli ambienti che ospitano queste persone, che siano in armonia con la bellezza e la natura, è un requisito terapeutico. Entriamo ed è infatti una inaspettata esplosione di verde, di alberi e siepi, tutte ben curate.
La Cooperativa nasce con lo scopo di fornire un servizio di assistenza socio-sanitario a soggetti affetti da disagi psicosociali, dipendenze di vario tipo in regime di pena detentiva alternativa e detenuti tossicodipendenti. Il lavoro che si svolge qui, consente di poter mettere mano nuovamente ad un proprio Progetto Personale, ad una nuova consapevole opportunità di vita.
Accogliendo e prendendo in carico il background di ciascuno, si aiuta l’utente a individuare le proprie capacità mediante il sostegno e lo sviluppo del proprio potenziale, specifico quanto unico.
L'equipe da noi incontrata è di tipo multidisciplinare, costituita da psicologi, educatori, assistenti sociali e operatori sanitari che, con la loro professionalità, sono in grado di garantire ai richiedenti il supporto necessario per il pieno raggiungimento degli obiettivi prefissati.
I fautori di questa iniziativa Massimo Tomaselli e Giada Pacifici, psicologa, ci anticipano che lavorano anche con il prezioso supporto di un’equipe multidisciplinare e degli
Giada Pacifici |
operatori di settore. Spendono la loro vita per aiutare i più deboli e il riscontro positivo dell’iniziativa li ripaga del loro impegno umano e professionale.
Massimo ci dice inoltre che il Progetto, è stato valutato e misurato ed il positivo riscontro nel conseguimento dei risultati, va da un minimo di 60% fino ad arrivare in alcuni casi anche ad un recupero totale.
Dottoressa Pacifici, quali sono le problematiche di dipendenza che si trova ad affrontare nel suo lavoro?
La dipendenza è la parte su cui lavorare perché la dipendenza parte dal presupposto che la sostanza che prima veniva assunta dal tossicodipendente, venga in qualche modo sostituita. Spesso la sostanza stessa viene assunta per coprire il vuoto di un legame affettivo di tipo problematico. Il modello educazionale acquisito dalla famiglia di origine viene inoltre di solito reiterato, creando così ulteriori problematiche anche ai figli. Pertanto, il supporto psicologico è finalizzato all'ascolto dei bisogni dell'utente, allo sviluppo della responsabilità individuale e alla maturazione psico-emotiva mediante l'individuazione di modalità affettive, emotive e relazionali più adeguate.
È previsto uno specifico programma?
Certamente Si, siamo organizzati con un programma di "dimissione protetta" ovvero un trattamento educativo-riabilitativo, specifico e individualizzato, con la partecipazione ad attività strutturate attraverso le quali, progressivamente, migliorare la qualità della vita dell'utente in carico, potenziandone le abilità presenti e favorendo lo sviluppo di competenze sociali, culturali e lavorative.
Vi sono anche attività ludico-ricreative che possono aiutare in questo percorso?
Si, fra le attività strutturate, sono previsti dei laboratori di tipo espressivo-creativo che lavorano potenziando la capacità espressiva e specifica della persona, in un contesto di crescita educativa, che favorisca il desiderio ed il bisogno di esprimere sé stessi, dando così libero spazio al proprio mondo interiore, alle proprie emozioni ed ai propri pensieri.
Insieme agli educatori, sono state condivise attività di pittura creativa, di realizzazione di oggetti vari sia in legno che ornamentali. Stiamo riservando ancora ulteriori nuovi spazi all’interno del Centro, dedicati ad iniziative comunitarie e di socialità, una per tutte… ad esempio cucinare insieme, collaborare pertanto per un fine comune di tipo creativo e conviviale.
Massimo Tomaselli, quando e come nasce questo progetto? Cosa ci racconta in merito?
È un Progetto questo che ha tantissimi anni, è stato a lungo pensato e desiderato e finalmente si ha successo. Non è la solita comunità, qui lavoriamo anche con il contesto specifico di vita del detenuto, con la sua famiglia. L’utente qui ha la possibilità di ridefinire il proprio futuro, un’altra opportunità, una seconda chance di vita. Abbiamo un recupero delle tossicodipendenze che si attesta attualmente su una percentuale che va dal 60% fino al 100% in alcuni casi, ci dice con orgoglio Massimo che poi prosegue” amo definire il nostro Centro “il Futuro Quadrifoglio” quasi una struttura a “carcere aperto”, considerando che vi alloggiano soprattutto detenuti nel loro personale quanto delicato lavoro di recupero e piuttosto che isolare, punire, emarginare il soggetto, come avviene nelle carceri, si lavora in controtendenza, ovvero si creano nuove connessioni, Reti di significato, connessioni con i loro contesti, gli affetti, le aspirazioni di vita. Si pone cioè il soggetto di nuovo al centro della propria esistenza.”
Massimo ci parla poi delle specifiche problematiche all’interno del contesto familiare d’origine, c’è infatti nel più dei casi una vera e propria disconnessione tra i componenti familiari ed forte sfilacciamento del loro tessuto sociale. Un altro problema sono le evidenti difficoltà che presentano i figli dei detenuti all’interno del contesto scolastico di riferimento… Gli interventi dell’equipe specialistica del “il Futuro Quadrifoglio” sono quindi anche di mediazione tra tutti i soggetti coinvolti.
Sono inoltre importanti, e ben definite, le regole e le strutture di contenimento e sviluppo del proprio Sé, che probabilmente non si sono mai ricevute nell’infanzia all’interno delle famiglie di provenienza, di tipo multi-problematico. È infatti, fondamentale, imparare un Nuovo Modo di essere sé stessi insieme agli altri. Ecco quindi che si ritrova la capacità di condividere, di imparare un linguaggio che sia anche rispettoso e congruo all’ambiente in cui si vive.
Massimo Tomaselli, parliamo nello specifico dell’organizzazione e degli interventi messi in atto.
Abbiamo previsto delle abitazioni residenziali di pronta accoglienza per detenuti concepite in modo ‘'trattamentale'', in esse il detenuto può ritrovare la propria dignità di persona umana, nel senso che ha degli spazi personali a disposizione, chiari, luminosi, e che in qualche modo lo "ristrutturano* dentro e dove può organizzarsi anche per ricevere i suoi familiari. Infatti, è frequente che si organizzino anche pranzi insieme ai bambini degli ex detenuti che sono in visita dai genitori, ad esempio nei fine settimana.
Il programma prevede inoltre una collaborazione con il S.E.R.T. (struttura della ASL che si occupa dei tossicodipendenti) al fine di concordare, con la nostra equipe, un programma che accompagni all'esterno i tossicodipendenti/detenuti.
Si può fruire anche dell’assistenza socio-sanitaria, presso il proprio domicilio, che preveda la partecipazione ad attività strutturate, volte a favorire un processo pedagogico e curativo suscettibile di modificare in senso socialmente adeguato il comportamento del soggetto, tale da rendere favorevole la prognosi di un reinserimento sociale.
Sono previste anche “uscite protette” per i detenuti, ovvero in sicurezza, effettuate con gli operatori specializzati del Centro. E in fine è disponibile anche un “sostegno telefonico”, organizzato in fasce orarie concordate, con lo scopo di fornire supporto in situazioni di forte stress emotivo.
La passione in questo lavoro guida le azioni di ogni giorno, l’obiettivo è quello di reinserire il soggetto che vive nel buio del suo tunnel senza uscita, in un nuovo possibile e radioso futuro.
Non ci rimane che ringraziare Giada e Massimo, per la loro collaborazione, nonché la disponibilità a mostrarci questa splendida e promettente realtà.
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Ci sono vicende di fronte alle quali è difficile riuscire a trovare, dentro di sé, un punto di compromesso, una sorta di equilibrio fra ironica amarezza, senso di desolante sconcerto, gioiosa euforia …
Quella di Clifford Williams e di suo nipote Nathan Myers è sicuramente una di queste.
I due, accusati ingiustamente di aver ucciso una donna in Florida nel 1976, dopo per aver passato ben 43 anni in carcere, hanno ricevuto un cospicuo indennizzo in denaro: il primo (condannato a morte) di 2.150.000 dollari; il secondo (condannato all’ergastolo) di 2.000.000 di dollari.
La relativamente positiva conclusione di una storia tanto orribile è stata resa possibile dalla recente indagine portata avanti dal Conviction Integrity Unit, un nuovo organo giudiziario destinato a riesaminare casi giudiziari presentanti dubbi di un qualche rilievo. Dal rapporto è risultato che nessuna prova fisica era in grado di autorizzare una correlazione fra Williams o Myers e la sparatoria che originò la morte di Jeanette Williams (omonima ma non parente di Clifford). Inoltre, risultò che un altro uomo, tale Nathaniel Lawson, a suo tempo, aveva riferito a diverse persone di essere stato lui l’unico l’autore del crimine.
Dall’inchiesta è anche emerso che la polizia, in un fascicolo del 1976, aveva scritto di aver appreso della presenza di Nathaniel Lawson sulla scena del delitto nel momento in cui il delitto fu commesso.
Il risultato finale è stato quindi inequivocabile, tanto che ha permesso a Shelley Thibodeau, direttrice del sopramenzionato organo giudiziario, di asserire, in maniera lapidaria, che
"l’insieme di tutte le prove, la maggior parte delle quali non vennero viste né sentite dalla giuria, toglie ogni credibilità alle condanne e alla colpevolezza degli accusati.”
Intanto, però, a congelare (e a congedare) subito quel pizzico di soddisfazione derivante da una simile paradossale vicenda, ha provveduto una decisione oltremodo dolorosa:
le esecuzioni capitali nella giurisdizione federale degli Stati Uniti, sospese dal 2003, sono state riprese.
E’ stato infatti ucciso, attraverso iniezione letale, dopo un momentaneo rinvio, Daniel Lee, suprematista bianco accusato nel 1999 della morte di una coppia e della loro figlioletta di 8 anni.
Nei prossimi giorni, dovrebbe essere il turno di Wesley Purkey, Alfred Bourgeois e Dustin Honken.
Da notare che Wesley Purkey, affetto dal morbo di Alzheimer, è ora ritenuto del tutto demente.
“La decisione dell’amministrazione Trump di riavviare le esecuzioni federali dopo una pausa di 16 anni è scandalosa. È l’ultima indicazione del disprezzo di questa amministrazione per i diritti umani“. Così, già la scorsa estate si era espressa Margaret Huang, direttrice esecutiva di Amnesty International Usa.
Daniel Lee |
C’è da sottolineare, tra l’altro, che la scelta dell’amministrazione Trump appare in contrasto con le crescenti moratorie sulla pena di morte adottate da vari Stati negli ultimi dieci anni: da un lato per le controverse iniezioni letali, accusate di causare eccessiva sofferenza, dall’altro per la carenza delle sostanze da usare, perché le grandi case farmaceutiche rifiutano di fornirle nel timore di essere associate ad una prassi che molti considerano inumana e incivile.
“L’uso della pena di morte - ha aggiunto poi la Huang - non è in linea con le tendenze nazionali e internazionali. Ventuno stati negli Stati Uniti e oltre la metà dei paesi del mondo hanno già stabilito che la pena di morte non rispetta i diritti umani e non ha posto nelle loro leggi”.
di Luca Scantamburlo
COMMENTO PERSONALE da non addetto ai lavori
Al secondo comma dell'art.32 Cost. la riserva di legge non solo é assoluta, ma pure é rinforzata: deve sempre essere garantita dal Legislatore, la dignità, il "rispetto della persona umana", nell'eventualità la legge disponga un trattamento sanitario obbligatorio. E ci deve essere una consultazione e vaglio parlamentare. Necessariamente.
Ecco perché la riserva assoluta in Costituzione, ed anche rinforzata, non ammette in tal caso che un provvedimento di ordinanza extra ordinem, imponga un trattamento sanitario obbligatorio non previsto dalla legge.
Figuriamoci poi una circolare ministeriale, semplice atto amministrativo di comunicazione fra Ministero e dirigenti /uffici .
E men che mai un DPCM, norma sublegislativa che non e' un atto avente forza di legge, ma appunto una ordinanza extra ordinem.
Oppure una ordinanza regionale, che voglia imporre un tampone alla popolazione : non lo può fare, può solo invitare e raccomandare. Non imporre un trattamento sanitario obbligatorio.
Per via della riserva di legge, assoluta (e pure rinforzata nello specifico).
Luca Scantamburlo
15 giugno 2020
P.S. per approfondimenti rivolgersi ad un giurista ferrato in diritto costituzionale
P.P.S. alcune ordinanze regionali, recenti, come una di quelle emanate in Sicilia ad esempio, erano e sono ILLEGITTIME, per via della violazione della riserva di legge legata a libertà e diritti civili, che sono stati conculcati senza rispettare la riserva.
Inclusi diversi DPCM, in palese violazione della riserva di legge, a causa della delega in bianco che il Parlamento ha concesso al Governo, in fase conversione dei decreti legge di febbraio e marzo 2020, poi convertiti (ma senza circoscrivere il potere dell'Esecutivo, che e' divenuto arbitrario)
♦️ Cosa è la riserva di legge, ottimo video tutorial esplicativo:
? https://youtu.be/GhddEDoAWBU
Mai come in momenti come il presente, in cui ci troviamo quotidianamente immersi in fiumi di notizie allarmanti, meritano la nostra massima attenzione le notizie che ci permettono di intravedere un futuro migliore.
E’ questo certamente il caso di quanto recentemente accaduto in Colorado, divenuto ufficialmente il 23 marzo il ventiduesimo stato degli Usa ad avere abolito la pena di morte ed il decimo a farlo dal 2004.
Conseguentemente all’approvazione dei due rami del parlamento e la firma del governatore Jared Polis, le tre condanne a morte ancora in attesa di esecuzione sono state prontamente commutate in ergastolo.
Non è stato, però, un risultato semplicissimo da raggiungere, vista la ferma resistenza operata dai repubblicani, schierati a sostegno della necessità assoluta della pena capitale a soddisfazione dei legittimi diritti dei familiari delle vittime di omicidio di vedere definitivamente risolta la propria tragedia grazie alla morte dei responsabili.
Quanto accaduto fornisce una ulteriore, preziosa e gradita conferma del fatto che negli Usa, che per il terzo anno consecutivo non compaiono tra i primi cinque stati per numero di esecuzioni (al settimo posto nel 2016, all’ottavo nel 2017, al settimo nel 2018), il fronte abolizionista stia conquistando sempre più forza e consenso, soprattutto grazie al diffondersi della consapevolezza di quanto ci sia di arbitrario e di iniquo nell’applicazione della pena capitale.*
«Sono commosso dalla testimonianza e dal dibattito che abbiamo ascoltato» - ha dichiarato il presidente dell’Assemblea, il democratico Alec Garnett. «Spero in una società - ha poi aggiunto - in cui spendiamo le nostre risorse in riabilitazione, non in appelli; nel trattamento delle tossicodipendenze e non nella somministrazione di iniezioni letali».
Oltremodo sagge e illuminanti le parole di Robert Dunham, direttore esecutivo del Death Penalty Information Center, il quale, al termine di una lunga dichiarazione, ha così concluso:
“Il parlamento del Colorado si è impegnato in un dibattito sentito, rispettoso e sincero su problematiche molto sensibili. Alla fine, ha basato la sua decisione sulle prove e sui sentimenti personali di ciascun parlamentare riguardo a ciò che fosse giusto fare per il popolo del Colorado. Il Governatore Polis ha riconosciuto che, per quanto orrendi fossero i crimini commessi dagli ultimi tre condannati a morte, era meglio chiudere questo capitolo della storia della giustizia penale del Colorado, piuttosto che lasciare che il problema imputridisse mentre venivano spesi inutilmente milioni di dollari dei contribuenti.”
*Otto stati americani hanno messo a morte nel 2018. Il Texas ha quasi raddoppiato i numeri dell’anno precedente (da 7 a 13), rappresentando poco più della metà del totale nazionale, dopo che la Corte suprema ha concesso un numero inferiore di sospensioni delle esecuzioni. Il Nebraska ha eseguito la sua prima condanna a morte dal 1997, il South Dakota dal 2012 e il Tennessee dal 2009. Tuttavia, a differenza dell’anno precedente, Arkansas, Missouri e Virginia non hanno eseguito sentenze capitali, determinando lo stesso numero di stati esecutori del 2018 come del 2017.