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Amnesty International, in un rapporto pubblicato a metà dello scorso dicembre, ha provveduto a denunciare come, in almeno 60 stati, le forze di polizia, in nome dell’applicazione e del rispetto delle misure di contrasto alla “pandemia covid 19”, abbiano fatto ricorso a forme di violenza tali da produrre gravi violazioni dei diritti umani e, in alcuni casi, anche peggioramenti della crisi sanitaria.
Molti stati, inoltre, vengono accusati di aver utilizzato pretestuosamente e strumentalmente l’allarme pandemico, introducendo leggi e prassi che hanno violato i diritti umani, riducendo le garanzie in materia, come ad esempio le limitazioni innecessarie ai diritti alla libertà di manifestazione pacifica e alla libertà d’espressione.
Il quadro che scaturisce dal rapporto è quanto mai allarmante:
persone sospettate di aver violato le misure di contenimento o che protestavano per le condizioni di detenzione sono state ferite o uccise;
è stato violentemente represso il dissenso;
un po’ ovunque sono stati effettuati arresti di massa (persone accusate di aver violato la quarantena, trasgredito al divieto di spostarsi da un luogo all’altro, tenuto riunioni, preso parte a manifestazioni pacifiche e criticato la risposta del governo alla pandemia);
imposti rimpatri illegali;
effettuati sgomberi forzati e repressioni violente di manifestazioni pacifiche.
Ecco qualche caso particolarmente eloquente e emblematico:
· In Iran, le forze di polizia hanno usato proiettili veri e gas lacrimogeni per stroncare le proteste nelle carceri, uccidendo e ferendo parecchi detenuti.
· In Kenya, solo nei primi cinque giorni di coprifuoco, le forze di polizia hanno ucciso almeno sette persone e hanno costretto altre 16 al ricovero in ospedale.
· In Sudafrica le forze di polizia hanno sparato proiettili di gomma contro persone che “vagabondavano” in strada durante il primo giorno di lockdown.
· In Cecenia, alcuni agenti hanno aggredito e preso a calci un uomo che non indossava la mascherina.
· In Angola, tra maggio e luglio, sono stati uccisi almeno sette giovani.
· Nella Repubblica Dominicana, tra il 20 marzo e il 30 giugno, le forze di polizia hanno arrestato circa 85.000 persone accusate di aver violato il coprifuoco.
· In Turchia, tra marzo e maggio, 510 persone sono state arrestate e interrogate per aver scritto “post provocatori sul coronavirus”, in evidente violazione del diritto alla libertà d’espressione.
· In Etiopia, nella Zona di Wolaita, almeno 16 persone sono state uccise dalle forze di polizia per aver protestato contro l’arresto di dirigenti e attivisti locali accusati di aver manifestato in violazione delle limitazioni adottate per il contrasto alla pandemia.
· In numerosi stati le forze di polizia hanno mostrato un’attitudine discriminatoria e razzista nell’applicazione delle norme sul Covid-19, colpendo, in particolar modo, rifugiati, richiedenti asilo, lavoratori migranti, persone Lgbti o di genere non conforme, lavoratori e lavoratrici del sesso, persone senza dimora.
· In Slovacchia, durante la quarantena, le forze di polizia e l’esercito hanno isolato gli insediamenti rom, contribuendo ad alimentare lo stigma e il pregiudizio che quelle comunità già subivano.
· In Francia, tra marzo e maggio, i volontari di “Osservatori sui diritti umani” hanno documentato 175 casi di sgombero forzato di migranti, richiedenti asilo e rifugiati nella zona di Calais.
Dure ed inequivocabili le parole di Patrick Wilcken, vicedirettore del programma Temi globali di Amnesty International:
“Durante la pandemia, in ogni parte del mondo le forze di polizia hanno ampiamente violato il diritto internazionale ricorrendo a una forza eccessiva e innecessaria per far rispettare il lockdown e il coprifuoco. Col pretesto di contrastare la diffusione della pandemia, in Angola un ragazzo è stato ucciso per aver violato il coprifuoco e in El Salvador un uomo è stato ferito alle gambe mentre era uscito di casa per andare a comprare qualcosa da mangiare”.
Aggiungendo che, pur considerando che il mantenimento dell’ordine pubblico rappresenta senza alcun dubbio un elemento fondamentale nella protezione della salute e della vita delle persone, un
“eccessivo affidamento a misure coercitive per applicare le limitazioni per motivi di salute pubblica sta facendo peggiorare la situazione” e che il “profondo impatto della pandemia sulla vita delle persone richiede che le forze di polizia agiscano nel pieno rispetto dei diritti umani”.
“È fondamentale - ha dichiarato inoltre AnjaBienert, direttrice del programma Polizia e diritti umani di Amnesty International Olanda - che le autorità diano priorità alle migliori prassi sanitarie rispetto ad approcci coercitivi che si sono dimostrati controproducenti. I dirigenti delle forze di polizia devono dare al loro personale istruzioni e ordini precisi affinché i diritti umani siano al centro di ogni valutazione posta in essere. Coloro che hanno esercitato i loro poteri in forma eccessiva o illegale devono essere chiamati a risponderne. Altrimenti, si verificheranno ulteriori violazioni dei diritti umani”,
L’organizzazione umanitaria invita, pertanto, i governi di ogni parte del mondo ad assicurare che le forze dell’ordine rispettino correttamente e coerentemente la loro più importante missione: servire e proteggere la popolazione.
Infine, Amnesty International richiede che, nei casi in cui si siano verificate violazioni dei diritti umani derivanti da operazioni di mantenimento dell’ordine pubblico e dall’uso della forza, gli stati svolgano tempestivamente indagini approfondite, efficaci e indipendenti, in modo da assicurare che i responsabili ne rispondano in un giusto processo.
“ABBANDONATI”
Degno della massima attenzione risulta anche il Rapporto della sezione italiana di Amnesty, dall’eloquente titolo “Abbandonati”, presentato sempre alla metà del mese di dicembre, relativo alle violazioni dei diritti umani verificatesi nelle strutture di residenza sociosanitarie e socioassistenziali italiane durante la pandemia da Covid-19.
Lo studio, che raccoglie oltre 80 interviste effettuate in tre regioni d’Italia (Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto), analizza l’impatto delle decisioni e delle pratiche adottate dalle istituzioni all’interno di dette strutture, rilevando la mancata tutela del diritto alla vita, alla salute e alla non discriminazione degli ospiti anziani.
“Oltre a violare il diritto alla vita, alla salute e alla non discriminazione, decisioni e pratiche delle autorità a tutti i livelli hanno anche avuto un impatto sui diritti alla vita privata e familiare degli ospiti delle strutture ed è possibile che, in certi casi, abbiano violato il diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti”, ha dichiarato Donatella Rovera, ricercatrice esperta di crisi di Amnesty International.
“La pandemia - ha aggiunto Martina Chichi, campaigner di Amnesty International Italia - ha mostrato l’inadeguatezza del sistema di controllo delle strutture per anziani. La nostra indagine ha evidenziato che nel periodo in cui i controlli avrebbero dovuto essere più frequenti e più approfonditi – vista l’impossibilità di vigilanza da parte dei familiari o altri nel periodo di chiusura delle case di riposo al mondo esterno – spesso invece le verifiche condotte dalle aziende sanitarie locali sono state solo formali e amministrative” .
Il Rapporto, fra le altre numerose osservazioni critiche, evidenzia come l’emergenza sanitaria abbia acuito problemi sistemici delle strutture oggetto della ricerca, come la carenza di personale (aggravata dall’alto numero di operatori sanitari in malattia e dai reclutamenti straordinari dei presidi ospedalieri), cosa che ha comportato un grave abbassamento del livello di qualità dell’assistenza e della cura degli ospiti e fatto sì che si realizzassero condizioni di lavoro terribili per gli operatori stessi, sottoposti a un grave stress fisico e psicologico e sovraesponendoli al rischio di contagio.
Infine, in considerazione del fatto che, a partire dall’inizio dell’emergenza sanitaria, governo e autorità regionali e locali non hanno mai reso pubblici dati e informazioni omogenei e completi relativi alla diffusione del contagio nelle strutture residenziali sociosanitarie e socio assistenziali (essenziali per una lettura puntuale del fenomeno e tale da consentire, tra le altre cose, di rispondere alle esigenze del settore evitando il ripetersi delle violazioni e della mancata tutela dei diritti alla vita, alla salute e alla non discriminazione dei pazienti anziani), l’Organizzazione umanitaria, oltre a richiedere alle autorità di garantire agli ospiti delle case di riposo il diritto al più alto standard di assistenza ottenibile e l’accesso non discriminatorio alle cure, nonché di attuare politiche di visita che permettano un contatto regolare con le famiglie, esprime l’importante esigenza di un’inchiesta pubblica e indipendente che chiarisca le responsabilità e suggerisca misure concrete per affrontare le criticità riscontrate (tra cui il miglioramento dei meccanismi di sorveglianza delle strutture) e sottolinea il dovere ineludibile delle autorità di assicurare la massima trasparenza sui dati relativi alla gestione dell’emergenza sanitaria.