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SUI CODICI IDENTIFICATIVI NON E’ POSSIBILE ATTENDERE ANCORA

By Roberto Fantini June 23, 2021 2686

Vent’anni sono trascorsi dalle terribili vicende del G8 di Genova, da quelli che Amnesty International ebbe a definire come “una violazione dei diritti umani di dimensioni mai viste nella recente storia europea”. In molti, fra gli agenti coinvolti in quegli eventi, sono rimasti totalmente impuniti, non soltanto per via della prescrizione, ma anche a causa dell’impossibilità di individuazione dell’identità dei responsabili.

Due funzionari di polizia, tra l’altro, Pietro Troiani e Salvatore Gava, condannati in via definitiva a tre anni e otto mesi più cinque anni di interdizione dai pubblici uffici (Troiani per aver introdotto le due bombe molotov nei locali della scuola Diaz e Gava per averne illecitamente registrato il ritrovamento) hanno anche potuto ricevere, nello scorso ottobre, una sconcertante promozione alla carica di vicequestore. Promozione opportunamente definita dal Direttore generale di Amnesty Italia Gianni Rufini come “un’offesa alle centinaia di persone che vennero arrestate, detenute arbitrariamente e torturate in quella pagina nera della storia italiana”.

Negli anni successivi, non sono certo mancate altre circostanze in cui agenti di polizia hanno fatto ricorso ad un uso sproporzionato della forza, nel corso di manifestazioni o assemblee pubbliche.

Vedi, ad esempio, il caso del tifoso del Brescia, Paolo Scaroni, che, il 24 settembre 2005, ebbe l’esistenza distrutta a causa di una violenta aggressione da parte delle forze di polizia: due mesi di coma e stato di invalidità al 100%.

Nel suo, come in casi analoghi, non è stato possibile ottenere giustizia per l’impossibilità di identificare i suoi aggressori.

La risoluzione del Parlamento europeo del 12 dicembre 2012, sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea ha esplicitamente esortato “gli Stati membri a garantire che il personale di polizia porti un numero identificativo”.

Anche da parte del Relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto alla libertà di assemblea pacifica e di associazione e di quello sulle esecuzioni extragiudiziali è provenuta, in merito alla corretta gestione delle manifestazioni, la raccomandazione secondo cui “ i funzionari delle forze di polizia siano chiaramente e individualmente identificabili, ad esempio esponendo una targhetta col nome o con un numero.” Ora, nella maggior parte degli stati dell’Unione europea (21 su 28), identificare gli agenti di polizia impegnati nel mantenimento dell’ordine pubblico è diventata la regola. La Germania la prevede in nove regioni su sedici, mentre in Ungheria e in Svezia, pur non essendoci un obbligo, gli agenti espongono nome, carta d’identità, grado sull’uniforme e un codice sull’ equipaggiamento speciale.

Al momento, restano ancora fuori soltanto: Austria, Cipro, Lussemburgo, Olanda e Italia. Al fine di raggiungere l’obiettivo anche nel nostro paese, Amnesty International sta rivolgendo una petizione alla Ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, in cui, fra l’altro, si dice:

“Crediamo sia ormai urgente la previsione di misure che consentano l’identificazione degli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico. (…) Crediamo fortemente che l’introduzione dei codici identificativi sarebbe non solo uno strumento di garanzia per il cittadino, ma anche e soprattutto di maggiore tutela per tutti gli agenti che svolgono il proprio lavoro in maniera corretta.”

(https://www.amnesty.it/appelli/inserire-subito-i-codici-identificativi/)

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Last modified on Thursday, 24 June 2021 04:37
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