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La befana vien di notte con le scarpe tutte rotte...
Cosa si cela dietro l'immagine/archetipo contenuto nell'Epifania che tutte le feste porta via?
La Befana è una figura universale, presente pur con notevoli differenze, di forme e di tempi, anche in zone lontanissime rispetto alla cultura indoeuropea e al mondo Mediterraneo.
In questo saggio unico nel suo genere gli autori portano avanti una ricerca approfondita nel tempo e nello spazio, un libro importante per chi studia le origini dei culti antichi, o per chi vuole comprendere meglio quali riti vengono messi in atto, ogni anno, nei momenti di passaggio.
La funzione principale che la Befana svolge da secoli è quella di mediatrice culturale tra il mondo dei vivi e l'aldilà, tra la nostra vita quotidiana e il tempo degli antenati.
Ha una natura complessa e ambivalente, la vecchia sulla scopa, che ha ben poco di infantile e che pone in risalto la funzione protettiva dell'antenato che ritorna nella famiglia portando doni ai bambini.
Le feste antiche di Roma come i Divalia, i Matronalia, i Compitalia, erano tutte feste dedicate agli antenati che si svolgevano nei momenti di passaggio dell'anno in modo da sottolineare sempre il contatto diretto ma definito nel tempo con lo spirito degli antenati.
Il nucleo originario della figura è antichissimo e va ricercato nel mondo dei cacciatori paleolitici nel quale avevo un ruolo essenziale la grande antenata del clan, che era signora degli animali e delle foreste ma anche la “nonna fuoco”.
Nel tempio di Vesta, a Roma, il fuoco era custodito dalle vergini vestali; il fuoco era un elemento essenziale per la vitalità della tribù antiche e non è un caso che il Dio che parteggia per gli uomini sia Prometeo che ha nascosto una scintilla di fuoco dentro un nartece per donarlo agli uomini.
Il fatto che la Befana esca fuori da un comignolo ricorda l'antico rito della profusio che nell'antica Roma consisteva nel versare cibo e bevande in un canale sotto la casa per nutrire gli antenati.
La figura della Bertha della Germania meridionale ha molte cose in comune con la Befana, a partire dalla scopa come emblema. Bertha ha le spalle coperte da una pelle di mucca, che poi sarà sostituita da rattoppi alla “Arlecchino”.
La mucca è un animale che ritroviamo in moltissime feste agrarie come quella di Bacugno che si svolge il 5 agosto, Festa della Madonna della Neve, nella quale si svolge il rito della genuflessione del bue aratore; con il nome di korovai si indica in Russia il pane natalizio, l'etimologia del nome significa “mucca”: nel Salento si chiama Vaccarella una pagnotta di pane per gli amici, in Calabria Vaccarella è una schiacciata di pane per i bambini.
La befana è la nostra “strega buona”, infatti Babayaga, la strega delle fiabe russe, vola sulla scopa, ha con sé un mortaio di ferro e incita il suo volo con un pestello e spazza via le sue tracce con la scopa.
La scopa è un elemento sciamanico poiché nelle antiche feste greche, come ad esempio nelle Tesmoforie, si usava alla fine della festa spazzare via i resti, implicando così la fuoriuscita delle impurutà.
Una scopa realizzata anticamente con rami di betulla o salice, due alberi legati alla Grande Madre nel suo aspetto di portatrice di vita e di morte.
La calza della befana si ricollega antico rito della tessitura: le tre Parche o Moire, infatti, detenevano il potere sulla vita e sulla morte, la tessitura è strettamente legata quindi sia all'incarnazione dell'anima che alla sua morte.
La vecchia sulla scopa richiama anche l'immagine di Diana – Erodiade, la dea delle streghe che, con il suo volo notturno, raggiungeva luoghi sacri, definiti dalla presenza di un albero come il noce, sotto le cui radici albergavano le tre keres, personificazioni delle Parche o Moire.
La Befana porta il carbone ai bambini che non sono stati diligenti: la cenere è un altro elemento antico presente alla fine di ogni festa agricola che si chiudeva con un falò collettivo, le cui ceneri venivano gettate nei campi per propiziare la fertilità futura.
“Il bambino non può più fare a meno di quel rapporto con la vita che continua anche oltre la morte, di riprendere quel legame con il mondo spirituale degli antenati, lasciando aperte quelle porte che sono in grado di mettere in contatto questi due mondi e lasciandosi ancora incantare dalle fiabe dal mito della befana, da quel millenario patrimonio di tradizioni e conoscenze che da sempre fanno parte della vita dell'uomo nella sua dimensione personale e sociale.”
Claudia e Luigi Manciocco: L'INCANTO E L'ARCANO.
Per una antropologia della Befana
Armando editore 2006
Non è facile parlare della morte. Nessuno sembra volerne più parlare. Il nostro tempo appare sempre più come il tempo dell’avere avido, del continuo rincorrere sogni proibiti, del continuo darsi nuovi inarrivabili obiettivi, del perenne dilatarsi dell’esistenza terrena, del sistematico rinviare al domani ogni pensiero che riguardi il nostro (ineluttabile) andar via da questo mondo, ogni riflessione sul “dopo”, su quello che potrebbe essere la sorte che ci attende e che, magari, ci stiamo preparando. Forse dobbiamo ancora liberarci da secoli di terrori infernali e di visioni cupe e angoscianti dell’oltretomba … O forse siamo semplicemente succubi del dominio delle paranoie consumistiche e di un edonismo volgare e insaziabile …
Fortunatamente, ci sono ancora fra noi pensatori e ricercatori che continuano a ritenere assai utile, se non addirittura necessario, il continuare ad interrogarsi sull’evento della morte e su cosa siamo e saremo mai in grado di sapere o almeno di ipotizzare in merito al mare sconfinato dell’aldilà.
Paolo Ricca, teologo valdese di statura internazionale, dopo essersi cimentato su simili tematiche con un piccolo lavoro, una quarantina di anni fa (Il cristiano davanti alla morte), è tornato sull’argomento con un libro ben più corposo, apparso nella passata estate, sempre per i tipi della torinese Claudiana.
Scrive Paolo Ricca che oggi “il tema dell’aldilà e di un’ipotetica vita futura non interessa più nessuno, o quasi.” (p.9) E ciò perché la speranza sempre più diffusa e condivisa risulta essere quella del prolungamento massimo dell’esistenza terrena. E anche le chiese ne parlano sempre meno, “praticamente mai”, come se la stessa trascendenza fosse stata “autorevolmente declinata come ‘trascendenza nell’al di qua’” (p.15), come se la questione dell’aldilà fosse stata estromessa dagli orizzonti delle problematiche degne di attenzione.
Ricca ci invita, invece, con ragionamenti limpidi e un bell’argomentare privo di pregiudizi ideologici e confessionali, a sentire la questione della morte come uno dei compiti (o addirittura dei doveri) che non andrebbero mai elusi, perché parte sostanziale del nostro essere uomini nel mondo. Perché riflettere sul nostro comune destino mortale ci può permettere di acquisire una più robusta coscienza della nostra finitudine, obbligandoci, in un certo senso, a doverci fare i conti, senza scappatoie o sotterfugi.
“La coscienza del limite può dunque svolgere un ruolo decisivo sul modo di impostare e vivere questa nostra vita unica, ma non infinita.” (p. 13)
Occuparci della morte dovrebbe, di conseguenza, indurci ad affrontare il problema della “preparazione alla buona morte”, costringendoci a porci prioritariamente, con la massima serietà e sincerità, il problema della “buona vita”.
In merito, poi, al problema del “dopo”, Paolo Ricca puntualizza che all’impossibilità di tutti noi di dimostrarne l’esistenza corrisponde in maniera antinomica l’impossibilità di dimostrarne la non esistenza. Navigando, pertanto, senza apriorismi di sorta e facendo anche a meno di “prove certe”, servendoci dell’umile ma intraprendente vascello della ragione, ci resterebbe sempre possibile condurre una stimolante opera di esplorazione nell’ambito del pensiero umano, esaminando e valutando con cura le tesi che, nella storia, sono state sostenute. Tesi che vengono ridotte a tre:
“la prima è che con la morte tutto finisca definitivamente e di chi è morto non rimanga più nulla;
la seconda è che tutto finisca solo provvisoriamente, solo per un tempo più o meno lungo (…). Dopo di che chi è morto tornerà in qualche modo in vita – molto diversa dalla precedente, ma pur sempre ancora vita (…);
la terza è che con la morte non tutto finisca, perché c’è nell’uomo una componente immortale, qualcosa che non finisce con la fine del corpo, qualcosa che non muore perché non può morire.” (p. 17)
E sono proprio la presentazione e l’accurata analisi critica di dette tesi a costituire il vero cuore dell’opera.
L’ A., così procedendo, passa in rassegna una ricca gamma di posizioni filosofiche e teologiche, da Platone ai Padri della Chiesa, da Agostino a Tommaso d’Aquino, da M. Lutero a G. Calvino.
Di particolare interesse l’ampio capitolo dedicato all’ipotesi reincarnazione, in cui, fra l’altro, si affronta il problema della presenza o meno di credenze reincarnazionistiche sia nella Bibbia che nel cristianesimo storico. Capitolo questo particolarmente degno di attenzione perché il Ricca, senza rinunciare affatto alla propria identità culturale e dottrinale, nell’affrontare una teoria tanto convintamente rifiutata dalle varie teologie cristiane, e spesso combattuta con aspra durezza (stile Piolanti) o svilita con grossolana altezzosità (stile Messori), mette in luce grande serenità di giudizio e di chiarezza intellettuale. Della teoria reincarnazionistica, infatti, vengono colti (e anche apprezzati) alcuni aspetti fondamentali, quali la valenza pedagogica e quella emendatrice (la molteplicità delle vite implica molteplicità di occasioni per comprendere, maturare, crescere spiritualmente e liberarsi gradualmente dai propri limiti ed errori) immanente alla dottrina del karma, nonché il forte effetto eticamente responsabilizzante (impossibilità radicale di condoni, indulgenze, assoluzioni e salvazioni vicarie).
“Si tratta dunque, - scrive il teologo valdese - sostanzialmente, di un processo di redenzione, di cui l’anima stessa è protagonista. E’ sua la presa di coscienza iniziale (il “risveglio”), è sua la fatica del progressivo apprendimento delle lezioni di vita, è sua la piena assunzione di responsabilità del proprio destino fino alla sua conclusione in Dio. Si tratta dunque di un processo di auto redenzione, nel senso alto e nobile del termine.” (p. 101)
Molto di più e di meglio, invece, si sarebbe potuto fare nel toccare il tema della presenza della teoria della reincarnazione nel moderno Occidente, non limitandosi ad un fugace cenno all’antroposofia steineriana, ma dedicando doverosa attenzione alla fondamentale opera di elaborazione concettuale e di appassionata divulgazione realizzata dalle grandi personalità della Società Teosofica delle origini, prime fra tutte Helena Petrovna Blavatsky e Annie Bésant.
Meritevoli di menzione, infine, sono le suggestive esperienze di pre-morte relative ad un amico e collega e al padre dello stesso autore (intese non come “prove” ma almeno come indizi e spiragli verso l’esistenza di un’altra vita), nonché le preziose appendici, con testi poco noti di Lutero, Calvino e Bonhoeffer.
In conclusione, non abbiamo esitazioni nel riscontrare con piacere come Paolo Ricca sia felicemente riuscito nel suo intento, riuscendo a costruire un libro che, pur approdando fideisticamente alle tesi cristiane incentrate sulla resurrezione di Gesù, sa trattare, esaminare e confrontare altre visioni dell’aldilà con intelligente rispetto e stimolante desiderio di conoscenza, suscitando nel lettore, di qualsiasi fede o di nessuna fede, interesse vivo e sincera voglia di approfondimento.
Dell’aldilà e dall’aldilà |
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sottotitolo |
Che cosa accade quando si muore? |
autore |
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editore |
Claudiana |
Indice testuale
Introduzione
1. Che cosa succede quando si muore?
2. Immortalità dell’anima e teologia cristiana
2.1 Giustino Martire (ca 100-165 d.C.)
2.2 Tertulliano (ca 155-dopo il 220)
2.3 Agostino (354-430)
2.4 Tommaso d’Aquino (1225-1274)
2.5 Il Concilio Lateranense V (1512-1517)
2.6 Martin Lutero (1483-1546)
2.7 Giovanni Calvino (1509-1564)
2.8 Karl Barth (1886-1968)
2.9 La voce dell’Ortodossia
3. L’ipotesi «reincarnazione»
3.1 Reincarnazione e Bibbia
3.2 Reincarnazione e cristianesimo storico
3.3 Che cos’è la reincarnazione?
4. Concezioni cristiane
4.1 La risurrezione di Gesù
4.2 Che cos’è la risurrezione?
4.3 Le vie dell’aldilà
Conclusione
Appendici
Martin Lutero, Sermone sulla preparazione alla morte
Giovanni Calvino, Meditazione sulla vita futura
Dietrich Bonhoeffer, Due tipi di morte
Biografia dell'autore
Paolo Ricca
ha insegnato storia del cristianesimo presso la Facoltà valdese di Teologia di Roma.
Per Claudiana dirige la Collana «Opere scelte – Lutero», di cui ha curato alcuni volumi. Fra le molte pubblicazioni ricordiamo: Le dieci parole di Dio. Le tavole della libertà e dell’amore(Morcelliana, 1998), L’Ultima cena anzi la Prima. La volontà tradita di Gesù (Claudiana, 2014) e Dal battesimo allo “sbattezzo”. La tormentata storia del battesimo cristiano (Claudiana, 2015).
"Strisce di stelle", raccolta di racconti del giornalista Dario lo Scalzo sui temi di nonviolenza, solidarietà internazionale, ambiente, dialogo interculturale e interreligioso
Alla libreria Feltrinelli di Viale Libia, a Roma, è stata presentata "Strisce di stelle", di Dario Lo Scalzo, giornalista, scrittore e videomaker, redattore dell' agenzia stampa internazionale "Pressenza" , collaboratore della tv svizzera italiana RSI. Una raccolta di racconti (Firenze, Multimage ed., 2018) che - ha rilevato la giornalista e scrittrice Susanna Schimperna - "vuole ricordarci che ognuno di noi, nel suo piccolo, può fare qualcosa, ogni giorno, per rendere migliore il mondo; cercando di cambiare situazioni anche minime che, in realtà, hanno sempre una loro importanza". Lo fa, l' Autore, con una serie di racconti che, muovendo da una visione di base nonviolenta, olistica, umanistica, affrontano temi come guerra e pace, ambiente, inquinamento, migrazioni, diritti e doveri dell' uomo, evoluzione dei costumi sessuali.
"Questo libro di Dario Lo Scalzo - ha sottolineato il prof.Foad Aodi, medico fisiatra, presidente dell' AMSI, Associazione Medici di origine Straniera in Italia, e del movimento internazionale e interprofessionale "Uniti per Unire - è in piena sintonia con i fini che da sempre perseguono le nostre associazioni: e cioè anzitutto il dialogo interreligioso e interculturale, e un approccio ai problemi politico-sociali in chiave nonviolenta e solidaristica, volta a valorizzare lo scambio internazionale di esperienze e conoscenze nella medicina e in tutte le altre professioni. E' per questo che, a nome dell' Ufficio di Presidenza di "Uniti per Unire", conferisco a Dario lo Scalzo la nomina di socio onorario di Uniti per Unire: al cui interno abbiamo appena costituito un apposito "Dipartimento Scrittori". Visto il contributo dei più di 25 scrittori aderenti al movimento U. x U. e l' importanza della scrittura come mezzo di dialogo e conoscenza interculturale e interreligioso, e come cura per la crisi sociale e le guerre tra i poveri, basate sui pregiudizi e sulla paura della diversità", conclude Aodi invitando tutti ad investire nella lettura e nella conoscenza della diversità e delle altre civiltà.
"Questa presentazione del mio libro - aggiunge Dario Lo Scalzo - dimostra come siano ancora in tanti a credere nei valori del rispetto, della solidarietà e della dignità umana. E' stato un incontro con la partecipazione di quasi 50 persone, che rincuora e dà un forte segnale di speranza, e sostegno all 'affermazione dei diritti umani. Un libro come questo, che non parla contro qualcuno ma prova ad indicare costruttivamente le vie dell' amore e del risveglio spirituale, trova il consenso di chi crede proprio in una trasformazione sociale sulla strada della nonviolenza. E accolgo così con fierezza la nomina, da parte del Prof. Aodi, a membro di Uniti per Unire":
“L’ iniziativa di creare un dipartimento interamente dedicato agli scrittori , all’interno del movimento Uniti per Unire", commenta Nicola Lofoco, giornalista, portavoce nazionale di U.x U., "è senz’altro positiva . Tutti coloro che si sono cimentati nell’ opera della scrittura possono dare un positivo contributo intellettuale all’ interno del movimento, da anni impegnato nel sensibilizzare l’opinione pubblica su temi come la solidarietà tra i popoli, il rispetto dei diritti umani e il dialogo inter-religioso. Accolgo quindi con gioia la proposta del presidente Aodi di esserne coordinatore nazionale “.
"Gli scrittori- aggiunge Salameh Ashour, portavoce della Comunità palestinese in italia, coordinatore del Dipartimento Dialogo interreligioso delle Co-mai, Comunità del Mondo Arabo in Italia - devono sempre esprimere quella che è l'anima e la cultura d'un popolo: portando i lettori a riflettere sui temi fondamentali della vita e della società. Altrimenti, la letteratura diventa vuota esercitazione, o al massimo narcisistica esternazione della psicologia dell' autore".
Fumetto, animazione, games e cinema: attese 200 mila presenze tra ragazzi e famiglie. 100 eventi in calendario in quattro giorni. Anteprima di “Predator” e “Mirai”. Live con lo storico autore di Disney Marco Gervaso.
Mancano pochissimi giorni all’inizio della XXIV mostra di Romics dal volto del Dragone sul Colosseo del designer Paolo Barbieri, evento sul fumetto attesissimo dal 4 al 7 ottobre. Una kermesse ricca di rendez-vous trasversali ed emozionanti: cartoni animati, immagini, cinema, games, moda e illustri personaggi per un pubblico adolescente e adulto. Una grande manifestazione fitta di momenti live e laboratori per grandi e piccini. Gli artisti, in duetto, mostreranno la loro arte su dei grandi pannelli giganti. Scoprire attraverso Romics come si muove il mondo attuale, così come ad XFactor cade la pioggia dorata sui premiati, al Comic ci sono i Romics d’Oro, come quello riconosciuto a Charlotte Gastaut, illustratrice tra magia e poesia di progetti e moda o al romano Marco Gervaso, laureato in economia e storico disnelliano, notato dal maestro Carpi viene introdotto nell’accademia Walt Disney Company Italia, diventa disegnatore delle indimenticabili storie di Topolino e Fantomius, dei dollari di Paperone e crea la copertina di Papertotti l’ater ego papero di Francesco Totti, capitano della AS Roma. “Con un titolo di dottore in economia e commercio in tasca, nessuno poteva disegnare meglio di me i dollari di paperone - scherza Gervaso –al Romics sarò presente con 60 tavole di Fantomius , rappresentativo di un grande lavoro svolto fino ad oggi. Metterò in scena anche un comic live per mostrare come nasce un disegno, dal bozzetto a matita – continua il fumettista - alla china fino alle tavole colorate”. Un altro super Gold è Chris Warner 30 anni , carriera fumettista made in USA ,sceneggiatore con competenze trasversali, ha lavorato con grandi brand, Dark Horse, Batman e Predator .
Un saluto particolare arriva da Pietro Piccinetti Direttore Generale della Fiera di Roma che ospita il Romics e dal Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. “Questa 24ma mostra si fortifica di anno in anno – spiega il Direttore - per il talento e la cultura in senso lato”. In piedi tante novità: l’ingresso economico e la fila veloce per le famiglie, gli special guest delle anteprime, la presenza del mondo giornalistico, autori ed editori diversi. Percorsi visivi esperienziali di cinema nei padiglioni (ndr padglione n.5). Omaggio a Sergio Zaniboni autore di Diabolik, scomparso lo scorso anno, con una grande mostra di originali dedicata al ladro più spietato e amante appassionato di Eva. Uno spazio dedicato per omaggiare i 25 anni della Scuola Romana dei Fumetti, un incontro-dialogo tra lo scrittore Marcello Simoni e Stefano Caselli disegnatore di Spider-Man. Gara Cosplay mondiale che coinvolge 40 paesi, due rappresentanti per ogni paese, da Singapore all’Africa. Comic City Romic, la casa del fumetto, dedicato a laboratori di disegni live, murales dedicaces e due enormi padiglioni riservati al game video. Come supporto alla didattica il Miur lancerà nei prossimi giorni la terza edizione del Concorso i linguaggi dell’Immaginario per la Scuola. Con Sci-fi Anime Attack si inaugurano le rassegne per il ventennale del mondo manga e mondo anima prediletto dagli adolescenti. Giornate open con panel sull’ eredità del ‘68 con particolare attenzione al cambiamento del linguaggio, memoria per i giovani su un periodo significativo della storia italiana: 12 artisti internazionali daranno vita a esibizioni in progress come l’incontro con tra gli scrittori Stefano Casini e Gianfranco Manfredi, intervistati da Luca Valtorta di Repubblica. “E’ un momento molto vivace per il fumetto - spiega il direttore artistico di Romics Sabrina Perucca – presente, ormai, nelle librerie made in Usa. L’Italia ha molto da offrire da questo punto di vista, infatti, in aprile ci sarà il concorso Romics sulle grandi opere dell’anno precedente, interventi significativi come quello di Francesco Cattani vincitore del Gran Premio”. Dunque oltre 100 eventi in programma tra i panel e il lancio, a fine ottobre, della terza edizione del concorso sull’immaginario di 700 elaborati degli alunni delle scuole materne, elementari e medie con la narrativa fantasy per i ragazzi. Tante domane e richieste per il cinema il Romics apre, infatti, con i film noir, di genere, horror, fantascienza e new cult. Al cinema Adriano il 4 ottobre esce “The Predator”, IV episodio di Shane Black, il 15 novembre “I Crimini di Grindewald” e il 15,16,17 ottobre arriva l’attesissimo film di animazione “Mirai”. Ma esiste anche il Cinema anni ’80 , per mostrare alle nuove generazione, film cult degli anni ’80: the Wall. Presente al festival anche Alessandro Siani attore comico con la commedia all’italiana, panel speciali A-X-L robot e intelligenza artificiale. Ma la vera novità di questo anno è Yep , biblioteca digitale dedicata a centinaia di fumetti visibili on line o off line su smarthphone e tablet.
info: 069396007-0693956069
Scritto a quattro mani dalla stessa Antonella Lualdi con lo scrittore e regista Diego Verdegiglio, sarà presentato il prossimo 4 ottobre presso la casa del cinema di Roma jl libro “Io Antonella, amata da Franco” edito da Manfredi Edizioni.
Un libro ricco di storia, di aneddoti e di foto che ci riportano a quel meraviglioso quanto complicato Cinema del Novecento. Il libro parte da una giovanissima Antonella Lualdi che si teneva un po’ in disparte rispetto allo star system che già a quei tempi cominciava a serpeggiare tra star come Gina Lollobrigida, Silvana Mangano, Silvana Pampanini, Lucia Bosè. Lei, Antonella, appariva più riservata, più introversa, preferendo l’impegno all’apparenza.
Poi l’incontro con Franco Interlenghi che aveva appena debuttato nel film “Sciuscià” del Maestro Vittorio De Sica, primo film italiano ad aggiudicarsi l’Oscar.
Racconta Antonella: “Dalla mia famiglia di origine sono passata a vivere con mio marito e, quando il nostro matrimonio è entrato in crisi è stato più onesto separarsi. Di lui apprezzavo soprattutto la sincerità. Non mi importava nulla che fosse un divo. Ne ammiravo le qualità umane, quelle che mi hanno fatto compagnia per tanti anni colmando i vuoti d’affetto presenti in me fin dall’infanzia.”
D. Diego Verdegiglio, attore e scrittore anche con esperienze da regista. Come nasce la tua collaborazione con Antonella Lualdi per questo libro?
R. Come scrivo nell'introduzione del volume, l'attrice e giornalista Olga Bisera - con la quale avevo collaborato a tre suoi libri autobiografici - mi propose di incontrare Antonella per raccontare insieme la sua vita. Per me fu un sogno che si realizzava, perché fin da ragazzo ero rimasto letteralmente "stregato" dalle stupende fattezze di un'attrice che era sulle copertine dei rotocalchi. Riviste che io ovviamente acquistavo tutte.
D. Com'è stato il lavoro di scrittura?
R. La vita di Antonella è stata ed è ancora ricchissima di incontri, sorprese, cambiamenti, alti e bassi di tutti i tipi. Un suo amico, Lino Belleggia, aveva raccolto dalla sua voce l'enorme quantità di "materiale grezzo" che ho avuto il compito non facile di riordinare, limare, sistemare cronologicamente. Ci siamo accordati con Antonella nell'eliminare o ridurre episodi e persone della sua esistenza che nulla avrebbero aggiunto di fondamentale alla storia. Particolarmente curata è stata infine la scelta delle tantissime fotografie che arricchiscono i capitoli.
D. Antonella è soddisfatta del risultato che avete raggiunto?
R. Si, molto. E lo sono anch'io. Paola Poponi della Maretti Manfredi Edizioni ci è stata vicina e si è confrontata con noi in ogni fase della scrittura, con suggerimenti, correzioni e idee sempre condivisibili per migliorare il volume.
D. Il libro è dedicato a Franco Interlenghi.
R. E non poteva essere diversamente. Il grande divo del neorealismo italiano, scomparso da alcuni anni, ha lasciato in tutti noi un ricordo indelebile, ma per Antonella è qualcosa di più: è l'amore della sua vita che lei porterà nel suo cuore fino alla fine dei suoi giorni. E quindi credo ancora a lungo, perché Antonella ha fatto sua la massima di Marcello Marchesi che inorridiva all'idea di finire i suoi giorni in un letto di ospedale privo di forze e di memoria: "Bisogna che la morte ci trovi vivi", cioè in piena lucidità e attività.
Cosa sarà nel futuro globalizzato e nell’era del cyberspazio dei Servizi informativi? Alcuni sostengono che la Rete sia già uno dei maggiori teatri di guerra esistenti e c’è chi parla di cyber intelligence affidandole il compito di sviluppare competenze e capacità operative in grado di raccogliere, decodificare, analizzare e disseminare i segnali provenienti dalla rete stessa, e che potrebbero rivelarsi di una minaccia (carattere difensivo), oppure di un vantaggio tecnologico, economico o politico (offensivo) agli interessi nazionali.
Per essere davvero funzionale, in un’era d’incertezza quale quella che stiamo vivendo, l’intelligence deve essere in grado di sviluppare e sostenere una strategia per gestire la conoscenza a livello globale, visto che la conoscenza e la copertura informativa costituiscono un’esigenza vitale per la sicurezza e la prosperità di qualsiasi Paese.
Aldo Capitini |
Una illuminante ricerca di Livia Romano.
Nell’ambito della ormai ricchissima bibliografia relativa ad Aldo Capitini, ritengo meriti un posto di particolare rilievo il bellissimo libro di Livia Romano La pedagogia di Aldo Capitini e la democrazia. Orizzonti di formazione per l’uomo nuovo (Franco Angeli, Milano 2014), illuminante ricerca che ruota intorno alla ferma convinzione che l’intera opera di Capitini sia sorretta da un forte progetto pedagogico e debba essere considerata, pertanto, una vera e propria “filosofia paidetica” (p.13) avente come obiettivo la costruzione di una democrazia capace di spingersi oltre i propri limiti, facendosi “omnicrazia”.
La natura della democrazia - infatti - essendo necessariamente dialogica, implica e impone il rispetto di sé e degli altri, e la democrazia, di conseguenza, per potersi realmente affermare, non dovrà essere semplicemente “insegnata”, bensì occorrerà educare ad essere democratici. La democrazia, infatti, non è cosa su cui potersi limitare a riflettere, bensì cosa da vivere.
Alla base di tutto il pensiero di Capitini sarebbe possibile riscontrare la presenza di una vigorosa esigenza educativa che, prendendo le mosse da una coscienza appassionata della finitezza, intenda produrre un processo di “crescita eterna” mirante al raggiungimento dell’”omicrazia”, “attraverso la costruzione di una democrazia comunitaria che afferma la centralità di un soggetto relazionale e aperto”, apertura di credito verso chiunque, in quanto ritenuto sempre capace di operare radicali cambiamenti evolutivi (pp.14-15).
Ed educazione democratica, per il filosofo perugino, “ mosso com’è dalla preoccupazione di dare voce agli esclusi dalla storia, alle minoranze che si trovano in una condizione di svantaggio e di emarginazione” significa - sottolinea opportunamente la Romano - innanzitutto educazione alla differenza, “un’educazione che si propone di superare l’angoscia dell’alterità, l’idea che gli altri rappresentino una forza di aggressione di fronte a cui l’individuo si chiude in se stesso come un atomo, non riconoscendosi nella comunione con i tutti” (p.14).
Ma l’educazione democratica è anche vera pratica religiosa e la riforma religiosa rappresenta in Capitini la premessa ineludibile di una efficace riforma sociale e politica. (p.16)
Il mondo intero, infatti, viene sentito come laboratorio in cui il “persuaso” è chiamato a mettere alla prova, realizzandola praticamente, la propria religiosità, in una sorta di “misticismo militante”, in cui l’impegno pratico prevale su quello contemplativo, venendo così ad annullare il dualismo fede-politica.
Quello di Capitini sarebbe un vero “misticismo pratico”, frutto di un attento e meditato confronto fra tradizione mistica occidentale e grandi maestri spirituali orientali.
La democrazia profetizzata da Aldo Capitini è una democrazia planetaria rivolta all’”uomo nuovo”, protagonista di una civiltà cosmica, in un mondo senza confini fondato sull’amore. E ciò sarà reso possibile solo grazie ad una educazione alla democrazia incentrata sul valore della “compresenza” (p.19), intesa come apertura al “tu-tutti” e implicante una conversione del cuore in interiore homine (p.24), “come atto religioso che naturalmente conduce ad una realtà diversa e liberata”, nella prospettiva della creazione di una democrazia pienamente realizzata: l’ “omnicrazia”.
Aprirsi alla compresenza significa che l’io non è più solo, ma con altri, con i tutti, ivi inclusi (ed è senz’altro uno degli elementi più originali del pensiero capitiniano) i morti.
“Apritevi e muterete la vostra vita, - scrive il filosofo della nonviolenza - accorgendovi che la compresenza c’è.” (Ed. ap. 1, cit. p.73)
Lo sguardo di Aldo Capitini è quello di un acuto (e scomodo) “maestro del sospetto”, con forti affinità soprattutto con Schopenhauer, per la cruda e onestissima consapevolezza dei limiti, del male e della sofferenza presenti nella natura. Ma la “disperanza” del filosofo tedesco si trasforma, in lui, in luminosa speranza, incentrata sul concetto di compresenza, ovvero nella convinzione di poter ritrovare Dio nell’intimo della coscienza e viverlo nell’incontro corale fra tutti gli esseri.
Riconoscimento della finitezza, quindi, senza rimanerne intrappolati. E coscienza del limite non disperata ma appassionata, facendo sì che la tensione religiosa si aggiunga positivamente sia all’appello leopardiano all’affratellamento solidale che alla nirvanica aspirazione schopenhaueriana (p.32), ricomponendo “nella compresenza la lacerazione tra realtà contingente e realtà trascendente” (p.33), e dando vita ad un movimento continuo e aperto tra finito e infinito. E ben fa la Romano ad evidenziare le non poche affinità, soprattutto per quanto attiene all’apertura verso il pensiero orientale, con Pietro Martinetti, altro grande pensatore del nostro primo Novecento ancora troppo poco conosciuto e studiato. (p.37)
Capitini, in quanto “mistico militante”, si fa quindi continuamente e insistentemente “filosofo della prassi” (p.94) in cui la relazione con Dio si configura come
“ incontro dinamico che avviene con un tu che è insieme Dio e tutti gli esseri, viventi e non viventi, che partecipano alla stessa comune realtà della compresenza”. (p.96)
Il suo Dio non è un Dio che si rivela, ma un dio che “si dà nella compresenza” e di cui sentiamo la massima vicinanza vivendo la realtà di tutti e l’apertura alla realtà liberata. Dio è infinita possibilità e apertura, “perciò è atto di unità amore con tutti, verso l’intimo, e aggiungente una realtà liberata.”
E il dio capitiniano è un dio deinfernizzato che “salva tutti”, che esclude categoricamente la possibilità di distinguere, separare e contrapporre eletti e dannati. Un dio che potrebbe essere inteso come la raffigurazione suprema della triade di:
libertà – gratuità – amore.
“Il “mistico pratico,” - scrive Livia Romano - grazie all’incontro con il divino, sa di appartenere a un’altra dimensione, la realtà della compresenza”.
In Capitini è fermissima e irrinunciabile l’esigenza di affermare una dimensione religiosa liberata da ogni tendenza alla separazione, in modo tale da far coincidere educazione religiosa con educazione democratica. E ciò non in una prospettiva utopica che rinvii ad un domani che potrebbe rivelarsi un “mai”, bensì in quella di una tramutazione che comincia oggi. (p. 101)
Perché Capitini
“vuole indicare all’essere umano la via per uscire fuori dalla storia, cioè dall’insieme di tradizioni, guerre, violenze, soprusi, ingiustizie, e creare le condizioni necessarie per fare posto ad un’altra storia, una storia i cui protagonisti non siano più gli eroi, i ricchi e i potenti, ma tutti, anche gli emarginati, gli umili, i folli, i derelitti, i poveri, i malati.” (p.157)
Il principale obiettivo è quindi una formazione “post-egoica” che sappia restituire l’uomo a se stesso.
“L’utopia di Capitini - conclude efficacemente la Romano - non è un sogno irrealizzabile, è molto di più, è una profezia per il nostro tempo, che è possibile realizzare attraverso un’ educazione democratica che si concretizzi nel rapporto reciproco e fruttuoso tra religiosità autentica e politicità consapevole. La sua profezia è quindi un’utopia pedagogica. Che ha in sé una progettualità educativa che la apre alla sua futura realizzazione concreta. E’ possibile, credo, nel tempo della liquidità e della post-democrazia, rileggere la compresenza come un principio pedagogico che ha il compito di aprire nuovi orizzonti internazionali: infatti l’omnicrazia, riconducendo tutti all’unità-amore, eleva la coscienza individuale e collettiva, portandola al massimo orizzonte possibile. L’educazione alla post-democrazia dà così vita ad una nuova comprensione e alla necessità di una collaborazione internazionale che, come pensa Capitini, non può limitarsi ad una conoscenza superficiale degli altri e delle istituzioni internazionali, ma deve muovere anche l’animo a sentire l’unità con tutti.”
(p.217)
Livia Romano
La pedagogia di Aldo Capitini e la democrazia. Orizzonti di formazione per l'uomo nuovo
Franco Angeli, Milano 2014
“Ho scritto questo libro con lo scopo di presentare un sistema di insegnamenti e di pratiche dell'occulto che affondano le radici nel contesto della tradizione e della fede cristiana.”
Con questa premessa l'autore compie un vero e coraggioso atto letterario: trovare un collegamento tra occultismo e cristianesimo, considerati spesso incompatibili.
Per capire meglio l'impostazione del libro è di notevole aiuto la prefazione, nella quale si indaga la biografia dell'autore, il suo rapporto con il cristianesimo (il sodalizio con il reverendo Duncan), e dalla quale emerge un concetto di “magia” inteso come sviluppo dell'immaginazione creativa.
I capitoli seguono un percorso ben preciso che segue un cammino personale simbolico, affondando però le conoscenze in situazioni storiche, religiose o letterarie ben precise.
In chiusura ogni capitolo presenta delle meditazioni molto interessanti, che possono essere eseguite anche in pochi minuti, che sostengono la vitalità e la concentrazione.
I primi capitoli offrono un excursus storico che va dal regno alessandrino (Alessandro Magno con le sue conquiste apportò un sincretismo religioso e l'idea dell'unico Dio), al rapporto iniziale tra ebraismo e cristianesimo, passando per Gioacchino da Fiore e l'eresia francescana, i Templari, il ciclo arturiano e l'amor cortese, l'alchimia, la cabala, la Divina Commedia...
Un concentrato di conoscenze che a volte rende difficile la lettura, che deve avere il tempo per “sedimentarsi”.
Un libro per “cercatori”, per chi si pone in un percorso di auto-conoscenza che unisca studio, impegno e creatività, un libro che rispecchia l' impegno editoriale di Spazio Interiore, attento da sempre alle tematiche spirituali affrontate con studio e originalità di punti di vista.
Gareth Knight
Viaggio iniziatico nei mondi interiori:
un corso in magia cabalistica cristiana
Spazio interiore 2018
Il potere e la magia dei tarquini nella città eterna con il libro sulla monarchia dei Re di Roma di Sposito e la mostra della civiltà etrusca ai Musei Capitolini aperta fino a gennaio 2019: un periodo storico del governo di Roma poco studiato ma affascinante.
Il mondo etrusco, contaminato con quello romano, raccontato dal libro di Silvio Sposito : gli Ultimi Re di Roma (Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo), un finestra aperta sulla monarchia etrusca (616 a.c. fino al 509 a.c.) che governò la città eterna (edizioni Cangemi). Un popolo, i Tarquini, diluito con i romani, conquistatori, ma rispettosi della cultura altrui, fino a promuovere cittadino romano (Civis Romanus) lo straniero. E mentre noi alziamo muri gli avvenimenti ci insegnano di un’osmosi tra la cultura greca, romana ed etrusca presente oggi nei nostri luoghi come le tombe dipinte della necropoli dei Monterozzi a Tarquinia, i resti di Norchia, Roselle, Populonia, Vetulonia, del Foro Romano e del Palatino oppure negli affreschi della tomba di Francois di Vulci. Un tomo di 352 pagine presentato presso il Circolo del Ministero degli Affari Esteri a Roma, durante un luglio infuocato, così come lo è stata la conquista del potere dall’ultimo Re etrusco, Tarquinio il Superbio, tanto crudele quanto astuto. Il suo potere dura 40 anni, e prende il comando al Senato gettando il predecessore e suo suocero, Servio Tullio, dalle scale. La figlia, Tullia, in perfetta in sintonia con il marito Tarquinio Il Superbio, pone fine alla vita del padre, investendolo con un carro. Insomma non si facevano poi tanti problemi all’epoca, ma tutto sommato pensandoci bene, neanche oggi. Le pouvoir pour le pouvoir, tante è che anche l’imperatore Claudio (etruscologo ante litteram) viene avvelenato dalla moglie con un piatto di funghi e al suo alter ego, un ipotetico bibliotecario dell’Imperatore, viene affidata la narrazione del libro (ndr avendo a disposizione molti testi antichi del suo erudito padrone).
Il libro presentato nella Sala della Musica del Circolo, da autorevoli personaggi del mondo accademico artistico e culturale, come l’ex ambasciatore Umberto Vattani, classe 1938, noto per aver ricoperto diversi incarichi di governo, per le sue decisioni non sempre condivise ma uscito indenne dal mondo della politica. Forse l’amore per l’arte lo ha salvato è , infatti , un’ affezionato socio del circolo del Ministero Affari Esteri e promotore del libro sugli Ultimi Re di Roma di Silvio Sposito medico e scrittore originario di Tarquinia. Un testo stuzzicante, sugli eventi culturali e politici etruschi, dove la donna aveva gli stessi diritti dell’uomo mentre i sogni erano presi in seria considerazione per interpretare i fatti presenti e futuri, e avevano anche un potere onirico curativo e lenitivo (ndr l’oniromanzia – incubatio – praticata dal medico greco Ermocrate sull’isola Tiberina, sorta di antecedente classico della moderna psicoterapia). “ L’On. Vattani (profusore di energie per migliorare il Circolo) - racconta lo scrittore – ha veramente letto il mio libro, lo si capisce dalla padronanza che ha del testo. Un giudizio critico e lusinghiero – continua Sposito - mi è giunto dal prof. Paolo Carafa, archeologo della Sapienza di Roma. E’ un libro di facile lettura ma di vicende importanti. Lo scopo del testo non vuole essere un mero intento commerciale ma prevalentemente culturale e, spero, artistico. I fatti e gli episodi più salienti sono accompagnati da riproduzioni di celebri opere d’arte, sia antiche che moderne e contemporanee, ad essi ispirate”.
La dinastia degli Etruschi si chiude con una fatto tragico l’episodio della morte di Lucrezia, la bella e virtuosa matrona collatina, moglie del suo primo e unico marito, Spurius Lucretius Tricipitinus, prefetto dell’ urbe, violata dal tracotante e viziato Sextus, figlio del Re, ammaliato dalla bellezza pudica della donna. Lucretia non regge al disonore , si sente contaminata (ndr da una tintura maleodorante e indelebile), e alle conseguenza di una possibile gravidanza, si uccide…si trafigge il cuore, confessando, però, prima al marito e al padre il gravissimo misfatto. Inizia così una rivolta per vendicarla e per togliere il potere tirannico alla dinastia di Tarquinio il Superbio. La prepotenza del Principe come i fatti del Circeo dove ragazzi ricchi e viziati abusano di due ingenue giovani donne, ecco, questo succede quando la ricchezza e il potere non sono bene orientati.
Hanno introdotto l’evento anche la Prof. Luisa Chiumenti architetto e docente, coordinatrice di mostre a Valle Giulia e altre importanti città italiane, film e immagini di Roma con le musiche di Moricone. Viviana Vannucci storica dell’arte, giornalista, promotrice di rassegne organizzate a Castel Sant Angelo di Roma nascosta. Giuseppe Sartori, storico e archeologo. Adelaide Paolini insegnante e attrice in una serie di episodi ed eventi. “Silvio Sposito – chiosa la Chiumenti - mi colpi subito per come proponeva gli eventi ai soci del circolo, trasmettendo l’eredità della storia ,con le sue stratificazioni e comunicandola fuori dagli ambienti circoscritti. Portare la cultura fuori dai luoghi ristretti - continua l’architetto - mostrare una città in miglioramento, all’epoca furono fatti importanti opere, vedi, la cloaca massima, ed oggi con il consiglio nazionale degli architetti, l’obiettivo è di costruire ambienti felice e luoghi belli”
Per chi vuole toccare con mano il vicus cuscus, così chiamato dagli emigrati dell’Etruria in seguito all’ascesa dei re tarquini, vi segnaliamo l’esposizione archeologica inedita sulla civiltà etrusca aperta fino al 29 gennaio 2019 presso i Musei capitolini di Roma. In ottobre invece in una location autorevole, il Campidoglio, nuova introduzione del libro testè descritto.
Il Papa attuale ha riportato in primo piano la figura di Francesco d'Assisi, nome scelto per “ricordarsi dei poveri” come lui stesso ha sottolineato.
Ma la storia di Francesco ha subito stravolgimenti importanti che il libro ben documentato di Chiara Mercuri espone con una scrittura scorrevole.
La biografia ufficiale di Francesco è stata scritta da Bonaventura da Bagnoregio. Ufficiale per ordine del papa e dello stesso Bonaventura che, durante il capitolo generale, tenutosi a Parigi nel 1266, ordinò di distruggere tutte le precedenti biografie di Francesco, affinché non vi possano essere confusioni nell'interpretazione della volontà del Santo, questa la “scusa ufficiale” mal' intento programmatico era quello di nascondere le vere intenzioni di Francesco, la cui storia, dunque, è stata “negata”.
Perché questo accanimento contro gli scritti precedenti? Cosa contenevano quella biografie molto più veritiere di quella ufficiale perché scritte dai suoi contemporanei, fratelli che avevano condiviso con lui la vocazione iniziale?
Forse perché quegli stessi insegnamenti di Francesco non si conciliavano con una Chiesa che era a tutti gli effetti una Stato, arricchitasi tramite riscossioni di tributi, un Chiesa lontana dagli ideali pauperistici del Santo, per il quale tutto doveva basarsi sul lavoro manuale, senza accumulare ricchezze. Il movimento francescano è stato utile alla Chiesa che si è rifatta, tramite gli ordini mendicanti, un'immagine di istituzione vicina agli ultimi. È pur vero che Francesco ha sempre manifestato un'obbedienza alle istituzioni ecclesiastiche, ma forse era proprio l'esempio della sua vita a risultare “scomodo” alle gerarchie ecclesiastiche.
Il Francesco di Bonaventura è un asceta, un mistico, e nel ripercorrere la sua vita l'autore cancella la parte “umana” con lo scopo di rendere il santo qualcosa di difficilmente imitabile. Persino lo scritto più famoso di Francesco, il “Cantico delle creature” viene omesso dalla biografia.
Sparisce l'uso della lingua francese, lingua dell'affettività e dell'autenticità dell'uomo Francesco, che si ricollegava anche alla sua cultura cavalleresca, lettore e buon conoscitore delle saghe in lingua d'oil, sparisce il rapporto di Francesco con Chiara, la sua “prima pianticella”, spariscono le tensioni avvenute nell'ordine già mentre Francesco era in vita, sparisce la “grande tentazione”da lui avuta negli ultimi anni di vita, di ribellarsi.
L'immagine che Bonaventura vuole dare è quella di un santo da non imitare, senza cultura, con tratti quasi misogini, senza esitazioni.
Il santo che ebbe l'ardore di andare a parlare con il sultano durante la quinta crociata, aveva invece un'altra storia, che Sabatier riscopre nel 1997. Sono gli scritti di Frate Leone, confinato a Greccio, convento che ha ospitato i primi compagni di Francesco, allontanati proprio perché “scomodi”.
La corrente degli “spirituali”, ala del movimento francescano che voleva un ritorno al “Testamento” di Francesco e alle sue esplicite volontà (censurate nella biografie ufficiali) sono stati fatti tacere.
In pochi sanno che un secolo dopo la morte di Francesco 4 frati francescani saranno arsi vivi a Marsiglia per aver diffuso le idee di un altro francescano scomodo Gerardo da Borgo San Donnino, seguace di Gioacchino da Fiore il quale aveva annunciato un'epoca nuova, quella dello Spirito Santo. L'età dello Spirito ricomprende le età precedenti in un regno dove i conflitti sono pacificati, le guerre eliminate e l'uomo rigenerato dallo svelamento dei misteri, una teoria che poco piaceva alla Chiesa del tempo, caratterizzata da concubinato, simonia e ricchezza.
Il libro apre gli occhi sulla figura di Francesco, stimolando la curiosità di conoscere anche le altre correnti cristiane condannate e sterminate dalla chiesa, correnti che proponevano un ritorno alla povertà, e un rapporto con il Vangelo senza intermediari.
Chissà se Francesco sarebbe stato contento di vedere il suo nome all'apice delle cariche ecclesiastiche...
CHIARA MERCURI
FRANCESCO D'ASSISI: UNA STORIA NEGATA
Laterza 2018
Margo Jefferson |
Una serata, il 4 luglio giorno dell’indipendenza americana, dove ti aspetti al Maxxi di Roma, di ascoltare il racconto di un libro singolare sul’Africa autobiografico della scrittrice Margo Jefferson, caldo, intimo e sorprendente, ed invece ti ritrovi a mettere insieme i pezzi di un periodo della nostra storia da Obama a Trump dove il razzismo è tornat . Le vicende dolorose del passato sull’intolleranza non hanno insegnato abbastanza e senza consapevolezza siamo ricaduti in una nuova ondata di apartheid. “Sarà la crisi economica - spiega il Direttore di Repubblica Mario Calabresi - intervenuto all’incontro, o perché i sacrifici dei padri non servono più a portare benessere ai figli, e abbiamo paura dell’altro perchè ci ruba il lavoro”. Infondo Obama, non era visto perché nero come il ladro della Presidenza degli Stati Uniti all’uomo bianco?
Interviene alla prefazione del libro anche la ex Ministra Govanna Melandri , e ci racconta di un Italia, secondo una ricerca sociologica di Bruxelles, come primo paese razzista in Europa. Melandri è nata negli Stati Uniti, ha doppia cittadinanza, italiana e americana, ha partecipato alla campagna elettorale di Obama ed è proprio a Filadelfia, durante l’incontro con i democratici, nota uno strisciante razzismo all’interno di quel partito. “I neri d’America devono dimostrare di più di quello che valgono, la campagna elettorale di Obama era misuratissima, lui non poteva permettersi sbavatura nel parlare o nei gesti come fa oggi Trump” I neri per essere accettati devono dimostrare di più e Obama per i Democratici non poteva essere il loro Presidente poiché non era nato in America. Un Italia con vicinanze a impensabili organizzazioni, come ci racconta Calabresi quando incontra in Florida, anni fa, dei membri del cucuKlan, e li scopre amici dell’Italia perché simpatizzavano con un partito nostrano, La Lega, con cui trascorrevano le vacanze a sciare in montagne. Basta con le quote dedicate alle minoranze dicevano i signori del cucuklan, per vincere dobbiamo infiltrarci nel partito repubblicano.
Di cosa abbiamo oggi bisogno quindi per uscire da questo impasse? Si chiede la scrittrice Margo Jefferson. “creare alleanze ed organizzare tutto quello che può essere fatto, anche attraverso la scrittura. Oggi vengono lanciati degli attacchi contro le donne, vedi quello che è successo in America, ai bambini allontanati dai loro genitori i quali non torneranno più con le famiglie di origine. (Il danno è fatto come diceva una madre a cui avevano tolto la figlia al confine con gli Stati Uniti). Combattere insieme e in tutti i modi, contro questa cultura dell’intolleranza che presto arriverà anche in Italia. I modi da bullo di Trump i suoi show-televisivi, entusiasmano la gente, ma non sarebbero mai stati perdonati ad Obama, anzi sarebbe stato subito cacciato dalla Casa Bianca”. “Obama ha dovuto dimostrare – chiosa la Melandri - durante il suo mandato, di essere quel tipo di nero che non urla e non gesticola, un nero occidentale impeccabile, era costantemente sotto osservazione per vedere se usava toni elevati.” Insomma come dice John Waider, Obama non è un vero nero perché non parla come un nero.
E se il Presidente Trump posta su twitter che il primo Ministro canadese è weak=debole mentre il dittatore della Corea del Nord di 28 anni incontrato a Singapore responsabile di purghe e stragi nel suo paese, è cool=fico, un bravo ragazzo, intelligente come dice Trump che ha ereditato dal padre la guida della Corea, come se fosse normale ereditare un paese. Questo vuol dire che la democrazia liberale è fiacca, mentre le dittature sono a posto. Il Presidente di una delle nazioni più forti del mondo è libero di dire quello che vuole anche gli altri quindi si sentono liberi di spararle grosse. Se lo fa il Presidente Trump lo faccio pure io. Libero lui Libero anche io. Il linguaggio ha perso il valore dell’umanità quando il viceministro italiano scherza mentre si fa un selfie con le gondole e dice” non sono però le barche degli immigrati” mentre il presidente ungherese manda ai confini del suo paese i cani e caccia i siriani.
Poi se vai a chiedere ad alcune persone perché - racconta Calabresi – mi coprono di insulti sui social, come succede anche alla onorevole Boldrini, non ti sanno rispondere e mi dicono, non so perché l’ ho fatto, non ero io”.
Il razzismo è alle porte, chiediamoci se è mancata una visione, se abbiamo crato le condizioni per far crescere estremismo. La politica deve reinventarsi per evitare un escalation di intolleranza verso le minoranze, i deboli e il diverso. Le due mostre presenti in questi giorni al Maxxi fino al 4 novembre organizzate in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale “african metropolis. Una città immaginaria” e “Road to Justice” ed il libro “Come raccontare l’Africa” di Margo Jefferson, con i 40 artisti in mostra, raccontano la voglia di superare i muri e spostare lo sguardo sulle trasformazioni sociali e culturali in atto in Africa, di come riorganizzare gli spazi e utilizzare le memorie, la rabbia, il dolore senza farsi imprigionare ma e per riconciliarci e guardare al futuro di un Africa nuova con nuove interpretazioni e prospettive.
Maxxi orario di apertura mart-dom. dalle 11.00 alle 19.00 giov. 11.00-22.00 info 39 063201954
“Come facevano le altre, quelle che riuscivano ad essere felici con il loro lavoro?
Cosa dovevo fare più che investire tutta me stessa, ogni giorno, nella mia passione?
E come potevo trasformarla in un bonifico mensile sul mio conto?
Insomma cosa dovevo inventarmi per vivere la mia vita ed essere felice?”
La domanda è la strada che può portarti oltre, lessi in un libro di Jostein Gaarder, con queste 4 domande che aprono percorsi, l'autrice si porta “oltre”, 4 domande da far radicare dentro per far fiorire i propri talenti.
Filomena Pucci, è ideatrice del progetto “Appassionate”, che si snoda tra editoria, conferenze e workshop.
Dopo averci raccontato la sua storia l'autrice ci accompagna in un percorso di individuazione dei propri talenti, diviso in 9 tappe.
Si parte dal piacere, un piacere da scoprire prima e da strutturare poi, per uscire dalla zona di comfort fatta di doveri e, perché no, disillusioni.
“Siamo abituati a farci guidare dal dovere, educati a credere che la certezza della ricompensa stia nel sacrificio”.
Dal piacere al potere passando per il desiderio, potere che etimologicamente ci riporta al “potis esse”, poter essere: “potere significa poter essere se stessi”.
C'è differenza tra piacere e desiderio, sottolinea l'autrice, se il primo è innato, il secondo implica una scelta, e un ascolto profondo di sé, è necessaria una ri-educazione all'atto del desiderare, soffocato da anni di sottomissione al dovere (e questo soffocamento del desiderio di autoaffermazione, al femminile, è stato potenziato da una secolare lotta contro l'istinto primario all'aggressività, intesa come difesa del proprio spazio vitale, come sottolinea la psicanalista junghiana Marina Valcarenghi nel libro “L'aggressività femminile”).
Tra le pagine incontriamo storie di donne che si sono messe in gioco e sono riuscite a seguire la propria passione e in chiusura di capitolo degli esercizi per mettere a fuoco ed esercitare la propria determinazione.
Si percepisce che questo libro è frutto di fatica, di ricerca, di amore, si avverte l'autenticità delle parole scelte con cura; come lettori non possiamo che accogliere questo libro come un dono, per noi stessi, prima di tutto.
Filomena Pucci:
Quello che ti piace fare è ciò che sai fare meglio.
Come ogni donna può far fiorire (e fruttare) la propria passione
Fabbri 2018
Storia di una donna, di bambini, di Gnomi e di Folletti, Rina, nella sua attività di volontariato, con un approccio alla vita da “adulta”, dovrà modificare il suo punto di vista nei confronti della realtà che la circonda.
Grazie alle storie della piccola Gioia e ai comportamenti dell’iperattivo Gianni, si rifarà viva in lei, più forte che mai, la parte perduta di bambina che è ed è sempre stata.
L’autrice, con uno stile semplice e lineare, propone un racconto che assomiglia ad una fiaba, con caseggiati che diventano castelli, di Gnomi e Folletti che accompagnano nella vita di tutti i giorni bambini che riescono ad accorgersi di loro. Un astoria che, da semplice finzione, arriva a toccare i temi più complessi, portando il lettore a riflettere su tanti aspetti della vita quotidiana.
Maria Foffo è nata a Roma, dove vive tutt’ora. Laureata in Pedagogia, con i suoi figli presenti, ha insegnato lettere nella scuola statale Primaria poi nella Secondaria Superiore. Ora è in pensione. Dal 1992 è nel Terzo Settore (volontariato) dedicato ai bambini che soffrono in difesa dei loro diritti. Circa 45 anni fa ha pubblicato alcune poesie in due antologie di giovani poeti; al pubblico si presenta come “Aspirante scrittrice”.
L’Atlante delle guerre è all’ottava edizione e si presenta come uno strumento indispensabile per chi vuole studiare il fenomeno della guerra. Ma Atlante delle guerre non è solo un libro ma anche un sito (partner di Pressenza) e molte altre cose. Ne parliamo con Emanuele Giordana, che affianca, come direttore editoriale del sito, il lavoro dell’Associazione 46° Parallelo fondata e diretta da Raffaele Crocco che del quotidiano online è il direttore responsabile.
Non solo un atlante, puoi fare un quadro della vostra proposta globale?
L’Atlante cartaceo e il sito web atlanteguerre.it sono due facce della medesima medaglia. l’Atlante è uno strumento di studio e consultazione. Il sito, a parte la sezione che consente di leggere le vecchie edizioni cartacee in versione telematica, è un luogo di approfondimenti che, in un certo senso, aggiornano ogni giorno l’edizione cartacea che esce una volta all’anno. Il mondo, anche quello delle guerre, corre veloce e dunque era necessario accompagnarlo con un sito web, un quotidiano che stesse al passo con l’evoluzione dei conflitti e delle situazioni di crisi che possono trasformarsi in una guerra. In redazione ci sono Alice Pistolesi, che cura i dossier settimanali del martedi, e con Andrea Tomasi, che produce anche la trasmissione “Caravan”, gli aggiornamenti quotidiani. Beatrice Taddei Saltini, una delle colonne con Raffaele Crocco dell’intero progetto, è la persona che cura la relazione tra il cartaceo e il web. Giorgia Stefani ha un ruolo di coordinamento generale (e fondamentale) e Daniele Bellesi, che ha curato l’intera impostazione grafica sia dell’Atlante sia del sito, è la persona che è riuscita a tradurre graficamente un percorso di aggiornamento sui conflitti. Infine ci sono una serie di collaboratori fissi, giovani e pieni di idee: Elia Gerola e Lucia Frigo – che seguono la parte social – Edward Cucek, Claudia Poscia e Teresa Di Mauro che sono in giro per il mondo… Li cito tutti perché il sito è un lavoro collettivo e non solo un insieme di collaborazioni. Quanto all’Atlante cartaceo, le schede sono invece affidate ad esperti d’area che comunque ci danno un contributo anche durante l’anno. Non credo di sbagliare se dico che attorno a questo progetto lavorano oltre cinquanta persone.
Un atlante della guerra per studiosi ma che prende posizione sui conflitti, come è nata questa iniziativa e come si è sviluppata?
Vorrei rispondere in breve con la frase che ci connota di più e che è il nostro chi siamo: “Noi rivendichiamo il diritto ad essere partigiani, cioè di parte. Siamo e saremo sempre contro la guerra”. In due parole volevamo fare una scelta di rigore professionale – ossia essere imparziali nel riferire le notizie – ma conservando il diritto di non essere neutrali. Di restare sempre dalla parte delle vittime.
Un’inziativa che parte dal basso e non conta su grandi finanziamenti istituzionali. Come funziona l’Atlante? Che si può fare per appoggiarlo?
Si possono fare dei versamenti individuali dal sito ma anche partecipare offrendo una collaborazione volontaria. Con fatica riusciamo ad ottenere alcuni finanziamenti a progetto ma è ovvio che i denari non bastano mai se uno cerca di lavorare con qualità e, appena ne ha la possibilità, di allargare il numero di collaboratori. Anche un versamento di 10 euro però può aiutarci ad andare avanti.
La sensazione è che ci sia uno stretto legame tra il fatturato dell’industri bellica e le guerre in corso: secondo te è possibile rintracciare questo legame?
Ci stiamo provando anche se è un lavoro complesso e non solo di natura industriale. E’ anche una questione culturale perché tanti sono ancora convinti che le guerre siano necessarie. Lavoriamo anche per cambiare quest’ottica.
A occuparsi delle guerre da un punto di vista pacifista si riesce a scorgere il momento in cui le guerre cesseranno di far parte del fare dell’Umanità?
E’ una marcia in salita inevitabilmente con un obiettivo lontano ma non impossibile. La guerra è ancora un fatto diffuso ma, fortunatamente, fa sempre meno vittime. E il movimento pacifista, comunque lo si intenda, è molto più vasto di quanto non si creda. Non vedrò un mondo senza guerre molto probabilmente, ma sono certo che ogni cucchiaino che provi a svuotare il mare servirà persino in un’impresa che sembra impossibile. E che per adesso magari si limita solo a frenare la forza delle onde…
Recenti studi delle neuroscienze hanno escluso la “naturalità” della violenza nell’essere umano: possiamo dare, anche dati alla mano, un messaggio di speranza alle nuove generazioni?
Il mito del guerriero è duro a morire così come l’ineguaglianza di fronte ai diritti universali, il limite all’accesso ai beni primari, l’ineguale distribuzione della ricchezza. Ma io vedo svilupparsi molte tendenze positive che dipendono da una maggior diffusione dell’informazione, da nuovi strumenti che consentono di organizzare lotte e proteste contro patenti ingiustizie, dal fatto che oggi è più facile andare a scuola e dunque è più facile sviluppare un senso critico perché studiare significa conoscere ed avere più strumenti per capire, giudicare, reagire. Anche la nuova coscienza ambientalista va nelle direzione di un rispetto sempre maggiore non solo dell’uomo ma del mondo animale e di quello vegetale. Esistono guerre per l’acqua, contro lo sfruttamento dissennato della terra, per un maggior controllo della filiera alimentare e per una maggior attenzione a come vivono gli animali di cui (ancora) ci nutriamo. Sono segnali e che, alla fine, hanno sempre a che vedere coi conflitti. Superare la guerra come strumento di negoziato, richiederà anni ma questi segnali fanno ben sperare. L’uomo può vivere in pace, accogliere, condividere e lasciare la clava in cantina? Penso di si. Direi che ho una sorte di certezza di fondo che stiamo andando in quella direzione. Vedo un mondo dove la guerra sarà solo un fatto museale per ricordarci che un tempo, anziché parlarci, ci uccidevamo. Utopia? Le utopie cambiano il mondo. E non bisogna mai smettere di sognare.
Per gentile concessione dell'agenzia di stampa Pressenza