L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Publishing (169)

 

Andrea Signini
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February 16, 2020

Perchè gli esseri umani sono così attratti dal narrare?

È una domanda a cui risponde Jerome Brune nei suoi libri, soprattutto ne “La mente a più dimensioni” e nel “La fabbrica delle storie”.

Jerome Bruner, psicologo stantunitense, è stato un pioniere della psicologia cognitiva e culturale, andando ad integrare e ampliare le ricerche di Piaget e Vygotskij e divenendo interprete dello strutturalismo pedagogico.

Essere un “animale narrativo” ha consegnato alla specie umana un vantaggio evolutivo e Bruner nei suoi libri ci spiega perchè.

Narrare deriva etimologicamente dalla radice gna-, che significa “rendere noto”, “consapevole”- ma può anche includere la definizione “Chi sa in un determinato modo[1] a cui si aggiunge il suffisso -zione, connesso all'azione. Narrare quindi presuppone consapevolezza e punto di vista, ed è, quindi, un'operazione mai innocente, ma che ingloba sempre dei fini più o meno espliciti.

In La mente a più dimensioni, Bruner descrive due modalità cognitive diverse e complementari: la comprensione paradigmatica e la comprensione narrativa.

La prima organizza la conoscenza in modo geometrico: categorizzando, mettendo in relazione la causa con l’effetto, comparando, calcolando: può essere definita una forma di conoscenza di tipo scientifico che, seguendo un tracciato lineare basato sul criterio logico, consente una sola rappresentazione alla volta della realtà, utilizzando, per la validazione dell’esperienza, il principio fondato sul binomio vero/falso. Il suo linguaggio è disciplinato dai requisiti della coerenza e della non contraddizione.

Diversamente la modalità narrativa consente una pluralità di ricostruzioni/rappresentazioni contemporanee, avvalendosi non della logica causa-effetto ma dei diversi e numerosi piani di realtà che conducono il pensiero verso rotte infinite, come infinite sono le interpretazioni e le logiche possibili. Il pensiero narrativo interpreta i fatti umani mettendoli in relazione fra di loro e costruendo storie connesse al contesto, che non possono presciendere dalll' intenzionalità (voler fare qualcosa) e dalla soggettività (il proprio punto di vista) dei protagonisti.

In La fabbrica delle storie, Bruner offre un’interessante lettura comparata della relazione tra il Sé e la narrazione:

il Sé è teleologico, pieno di desideri e di aspirazioni, intento a perseguire scopi ed è di conseguenza sensibile agli ostacoli, risponde al successo o al fallimento: ed è vacillante nell’affrontare esiti incerti; il Sè ricorre alla memoria selettiva per adattare il passato alle esigenze del presente e alle attese future ed è orientato su “gruppi di riferimento” e su “altre persone importanti” che forniscono criteri culturali mediante i quali giudica se stesso; può rendere ragione e assumersi la responsabilità delle parole con cui formula se stesso e prova fastidio se non trova le parole; è capriccioso, emotivo, sensibile alle situazioni ma tende a ricercare e difendere la coerenza, evitando la dissonanza e la contraddizione mediante procedure psichiche altamente evolute.

Sul piano narrativo, le stesse peculiarità del Sé possono diventare regole per scrivere un buon racconto, coscienti del fatto che un racconto vuole una trama e per avere una trama interessante sono necessari ostacoli per il conseguimento di un fine; gli ostacoli fanno riflettere le persone e dotano i propri personaggi di alleati e relazioni.

Una storia apre porte, sprona a riflettere su infinite possibil interpretazioni, instilla il dubbio laddove la logica, consolidata dall’abitudine, condurrebbe sempre alla stessa risposta: crea disordine dove c’è ordine; infrange regole e si sviluppa nelle crepe dell’ovvio e del prevedibile. Una storia è vita.

Bruner J. La fabbrica delle storie, Laterza, pg 31

January 28, 2020

Lorenza Mazzetti, Lory per i tanti che le sono stati amici, ha da pochi giorni portato a termine il suo cammino terreno iniziato 92 anni fa.

Lorenza è stata originale regista d’avanguardia, scrittrice di travolgente talento e pittrice dalla delicatissima sensibilità.

La sua esistenza è rimasta segnata dalla tragedia abbattutasi sulla famiglia degli zii che, rimasta orfana, l’avevano accolta con loro, insieme alla sorella gemella Paola. Nella strage della famiglia Einstein (nota anche come strage di Rignano o del Focardo), verificatasi il 3 agosto 1944, nel territorio di Rignano sull’Arno, ad opera delle milizie naziste, morirono tre donne: Cesarina (Nina) Mazzetti, Luce e Annamaria Einstein, moglie e figlie di Robert Einstein (cugino di Albert), il quale si diede la morte nell’anno successivo. Dalla strage (destinata certamente a colpire il grande scienziato fuggito negli USA), Lorenza e Paola si salvarono perché “di un’altra razza”.

Da questa terribile esperienza nascerà, molti anni dopo, Il cielo cade, il libro più bello di Lorenza e uno dei libri più belli del nostro intero panorama letterario del XX secolo.

Con lei, esce dal piccolo palcoscenico di questo incomprensibile e misterioso mondo una donna di intelligenza rara, eterna bimba-monella, sempre bramosa di nuove monellerie.

In campo cinematografico è stata una pioniera. In campo letterario ci ha regalato gioielli di brio narrativo e di straordinaria intensità lirica. In campo pittorico, ci ha continuamente stupito per la ricchezza della sua zampillante creatività.

Sul piano umano, ci ha lasciato dentro il suo immenso bisogno di amare e di essere amata, la sua insaziata e insaziabile voglia di scoprire e di inventare; la sua impertinente capacità di riuscire a sorridere alla vita, anzi, di far sorridere la vita; la sua mai spenta volontà di aiutare il mondo ad essere un po’ meno folle, ad essere un po’ meno crudele, ad essere un po’ più in grado di desiderare il Bello e il Vero, rivolgendo lo sguardo, sempre, a chi ha mani fragili e cuore grande, voce debole e diritti negati.

Lorenza Mazzetti viene perlopiù amata, ammirata e ricordata per essere stata vittima e testimone delle atrocità delle persecuzioni razziali naziste, ma non andrebbe assolutamente dimenticato il fatto che essa abbia saputo farsi anche analista lucidissima del fenomeno della Shoah, riuscendo come pochi a cogliere i legami profondi tra antisemitismo moderno e antigiudaismo cristiano.

In una intervista di qualche anno fa, dopo aver messo in luce come l’odio verso gli ebrei “fosse legato al disprezzo e alimentato e ‘giustificato’ dal disprezzo”, sottolineava come odio e disprezzo non fossero una creatura di Hitler, bensì una pesante eredità pervenutagli da un lontano passato in cui la civiltà cristiana si è insistentemente prodigata nella costruzione teologica dell’ “immagine demonizzata di un intero popolo colpevole di ‘deicidio’, macchiato da una colpa, cioè, di una gravità unica e incommensurabile, da una colpa capace di contaminarlo indelebilmente e per sempre, senza possibilità di perdono.”

Nella stessa intervista, poi, facendo riferimento al Saggio sul dono dell’antropologo francese Marcel Mauss, mi colpì anche la sua capacità di farsi pensatrice interprete-terapeuta dei mali del mondo contemporaneo. Nel confrontare, infatti, la sensibilità arcaica di un’umanità “primitiva”, legata al culto degli antenati e al sacro rispetto nei confronti della natura, con quella oggi imperante, giungeva a rimproverare noi moderni (schiacciati “dall’orrenda logica dominante del profitto”) di aver smarrito la capacità di “guardare a tutto ciò che ci circonda come a un immenso ‘dono’”, venendo ad infrangere, in tal modo, “il circolo virtuoso del dare-ricevere-ricambiare”, con la tragica ineluttabile conseguenza di non riuscire più a “coltivare in noi un profondo, inesauribile sentimento di riconoscenza”.

Chi sa dare e chi sa accettare - aggiungeva poi - sa che non può vivere solo, sa che non può vivere senza restituire la solidarietà umana.”

E, con solare saggezza, concluse la chiacchierata esprimendo la speranza che ai giovani si potesse riuscire ad insegnare la “cosa più importante”:

la bellezza della riconoscenza e il suo sorriso risanatore”.*

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*Roberto Fantini, Il cielo dentro di noi, Graphe.it, Perugia 2012, pp. 22 e 26.

Lorenza Mazzetti, di famiglia valdese, ha vissuto l’infanzia in Toscana con la zia Nina Mazzetti sposata a Robert Einstein, cugino di Albert, che l’aveva adottata insieme alla gemella. Il trauma dell’assassinio politico della sua famiglia adottiva, perpetrato dalle SS per rivalsa contro Einstein che si era rifugiato in America, ha segnato tutta la sua vita. Su questo tema e su questi ricordi ha scritto : Il cielo cade (Premio Viareggio 1962),  Uccidi il padre e la madre (ripubblicato da La nave di Teseo con il titolo Mi può prestare la sua pistola per favore?), Con rabbiaDiario Londinese e Album di famiglia

È stata una delle fondatrici del Free Cinema Movement. Ha realizzato due film: K e Together, entrato nel palmarès del Festival di Cannes come miglior film d’avanguardia.

La sua mostra “Album di famiglia” è stata presentata in molte città italiane ed europee.

Sempre desiderosa di fare conoscere la tragedia della sua famiglia e di favorire una giusta memoria e una attenta e responsabile coscienza etica e civile, anche in età avanzata, ha preso parte a innumerevoli iniziative culturali, con particolare interesse al mondo dei giovani.

La sua ricca esperienza terrena si è conclusa lo scorso 4 gennaio.

December 27, 2019

Il 20 di dicembre del 2014 ci ha lasciato un amico caro: una bella persona, come si dice nel linguaggio corrente. Lo conobbi frequentando il corso di filosofia presso l’Università Salesiana e conseguimmo insieme il diploma superiore. Studiammo insieme tutte le materie e condividemmo idee e principi filosofici che ci aprirono orizzonti sconfinati. È stata un’esperienza indimenticabile perché ci fece trascendere il grigiore della vita quotidiana. La sua cultura era straordinariamente eclettica e tutto il suo scibile confluiva nella scrittura delle poesie. Era autore di diversi libri: “sogno dopo sogno” , “c’era un domani” , “gorgheggi d’amore”, “pioggia di cenere” e ultimo “bussano i tempi” dove condensò in versi tutto ciò che avevamo imparato durante il corso di filosofia. D’altra parte fu Heidegger che diceva che il miglior modo per esprimere la filosofia era proprio la poesia. Un comune amico, Roberto, ha detto nella sua lettera di commiato delle cose che condivido pienamente e qui riporto : “Avevi una vena nostalgica e intimista. Poesie eleganti, belle, passavi dall’amore, alla storia, all’attualità politica. Sullo sfondo le suggestioni dei nostri studi liceali, il mondo dei miti greci, Omero, Virgilio, Seneca, Sant’Agostino, l’antica Roma, la filosofia con le sue risposte insoddisfacenti, lo smarrimento di fronte all’Entità suprema, al mistero. Avevi talento, profondità, ragione e sentimento. Il verso, elegante, facile, armonioso. Eri una persona per bene, un uomo onesto, un signore. Ti indignavi per le ingiustizie, per le squallide figure dell’Italia di mezzo, avevi una tua idea personale per cambiare, aderire al “partito del non voto”.” E ancora il comune amico di cui, ripeto, condivido il pensiero e il profondo sentire nei confronti di Gianmanlio così continua : “ …. Con il tuo modo ironico e signorile dicevi che quando fossi morto, finalmente la gente avrebbe apprezzato la tua opera letteraria. Avevi in mente Foscolo, i grandi che vivono anche dopo la morte. Protagonista di questi tuoi messaggi era proprio la morte, avvertivi che si avvicinava, la chiamavi “la luminosa signora”, quella morte in cui tutto si ricompone e che a tutto infine da senso. Mi brucia la tua perdita. Ho perso un compagno di viaggio, un confidente senza segreti, un fratello d’elezione, ti voglio bene e mi mancherai. Roberto” .

Sposo in pieno i sentimenti e i pensieri del comune amico e aggiungo che mi mancherà soprattutto la sua garbata ironia con la quale sapeva prendere le distanze dalle miserie di questo mondo e quando ero triste e arrabbiato, con una battuta, mi faceva cambiare subito di umore. Ci siamo scambiati centinaia di sms dove si prendeva in giro rispettosamente la condizione umana. Dopo la morte di mia mamma, caro Gianmanlio, sei stato uno delle persone a me più vicino e mi hai aiutato a superare, con la cultura e l’ironia, quel momento difficile. Mi piace citare anche il pensiero di don Mauro Mantovani, ex-decano della Facoltà di Filosofia e ex decano della Facoltà di Comunicazione Sociale, ora Rettore Magnifico della Università Pontificia Salesiana, che, ha sempre apprezzato i contenuti altamente filosofici delle sue poesie e nella prefazione di “Bussano i tempi” dice : “ I tempi veramente bussano: per essere capaci di aprire loro, dobbiamo educarci ed educare a saperci aprire a nostra volta: in profondità, attorno a noi, in avanti ed in alto.” Rimane da pubblicare postuma una raccolta di Gianmanlio “Dio ed io” dove il nostro caro amico ci lascia il suo testamento spirituale ed estrapolando solo pochi versi di questa raccolta inedita, mi piace citare questi : “Dio tu sei vertice di ogni prospettiva/di te si farebbe bene a tacere/solo pregare ciò che si può fare /senza neanche la certezza/che tu sia lì disposto ad ascoltare./ Quel minimo che da te mi aspetto/lo sai mio Dio è la beata nullitudine/ quel tornare racchiuso in Te/sgombro d’ogni perché/ignaro persino di me stesso/in Te completamente perso/bimbo ancora dentro la sua mamma…/.

In questa raccolta c’è condensata l’idea che ha caratterizzato tutta la vita di Gianmanlio: il desiderio di Dio e la difficoltà a raggiungerlo. Esperienza questa che, peraltro, è comune a tanti uomini. In quest’opera Gianmanlio Gianturco ha sintetizzato un po’ le tematiche che avevamo svolto durante il corso di Metafisica dell’Assoluto e fondamentalmente questo desiderio di conoscere Dio, i suoi attributi e cioè la Bontà insieme alla Bellezza, l’Unità e la Verità. Questa tensione veniva fuori spontaneamente dai suoi versi tesi principalmente a togliere quel velo con cui la materia avvolge l’invisibile. In queste righe introduttive mi sembra significativo citare un ampio stralcio del discorso del nostro amato Papa Emerito Benedetto XVI, quello che pronunciò mercoledì 7 novembre 2012 in Piazza San Pietro in occasione dell’apertura dell’Anno della Fede. Non ci sono migliori parole per esprimere ed esemplificare il concetto del desiderio di Dio iscritto nel cuore dell’uomo che Gianmanlio Gianturco, in questa raccolta ha dimostrato ampiamente : “….Dunque, l’esperienza umana dell’amore ha in sé un dinamismo che rimanda oltre se stessi, è esperienza di un bene che porta ad uscire da sé e a trovarsi di fronte al mistero che avvolge l’intera esistenza.

Considerazioni analoghe si potrebbero fare anche a proposito di altre esperienze umane, quali l’amicizia, l’esperienza del bello, l’amore per la conoscenza: ogni bene sperimentato dall’uomo protende verso il mistero che avvolge l’uomo stesso; ogni desiderio che si affaccia al cuore umano si fa eco di un desiderio fondamentale che non è mai pienamente saziato. Indubbiamente da tale desiderio profondo, che nasconde anche qualcosa di enigmatico, non si può arrivare direttamente alla fede. L’uomo, in definitiva, conosce bene ciò che non lo sazia, ma non può immaginare o definire ciò che gli farebbe sperimentare quella felicità di cui porta nel cuore la nostalgia. Non si può conoscere Dio a partire soltanto dal desiderio dell’uomo. Da questo punto di vista rimane il mistero: l’uomo è cercatore dell’Assoluto, un cercatore a passi piccoli e incerti. E tuttavia, già l’esperienza del desiderio, del «cuore inquieto» come lo chiamava sant’Agostino, è assai significativa. Essa ci attesta che l’uomo è, nel profondo, un essere religioso.”

E dopo questa ampia estrapolazione ringraziamo Gianmanlio Gianturco che ha saputo tradurre in versi ciò che Benedetto XVI ci ha spiegato nel Suo discorso. Siamo sicuri che Gianmanlio sta già contemplando il volto di Dio e ci sta preparando un posto in paradiso.


Gian Manlio Gianturco, poeta e scrittore, nacque a Santa Maria Capua Vetere (CE) il 10 settembre 1945 ed è tornato alla Casa del Padre il 20 dicembre 2014 a Roma.

 Raccolta di poesie “DIO ED IO”
– Edizioni Screenpress 2015

December 22, 2019

Berlino 13 agosto 1981, venti anni dopo la costruzione del Muro. Un gruppo di artisti reduci un po’ disadattati del ’68 romano, berlinese e olandese fonda il No Future Project.

10 anni dopo alle 6 del pomeriggio del 24 marzo 1991 una telefonata da Berlino a Roma: “Ario è sparito”, la storia comincia.

il Muro con le sue scritte e CM un’intelligenza artificiale che però risponde solo usando versi della Divina Commedia, guidano la ricerca.

Lennon Not Lenin è un libro di fantascienza, di comunicazione politica, un giallo, mah?!, certo gioca con la fantascienza, con le parole, con le scritte sul Muro di Berlino, con i versi della Divina Commedia, con il cinema, le guerre fredde e calde, le rivoluzioni, le idee del gruppo No Future Project che vive tra Trastevere a Roma, Charlottenburg e Kreuzberg a Berlino e Arnhem in Olanda.

Lennon not Lenin è una delle scritte sul Muro che da’ il titolo al libro.

Il Muro di Berlino erano due: uno tangente Ovest ed uno tangente Est. In mezzo la terra di nessuno dove pascolavano libere grandi mandrie di cavalli di Frisia. Uno pieno di scritte e di turisti, l’altro di finestre sbarrate, fili spinati, limiti e impossibilità di ogni tipo. Perché si parla sempre e solo del Muro di Berlino, quello Ovest?

Il libro è parte integrante della campagna contro tutti i muri inziata nel 2017 e che nel 2019 ha trovato un alleato con quella del manifesto iorompo.it

 

Il libro si può comprare su Amazon Lennon_not_Lenin_Amazon

December 15, 2019

CONVERSAZIONE FILOSOFICA CON GABRIELLA GAGLIARDI: SUL DOLORE, LA MORTE, LA SPERANZA E LA GIOIA DI VIVERE

 

     

 
 Gabriella Gagliardi

Lo scoprirsi ammalati, improvvisamente traditi e abbandonati da quella cosa preziosissima (e spesso ignorata) che chiamiamo salute, ci getta, in modo del tutto imprevisto e incommensurabilmente doloroso, in una condizione in cui il senso di fragilità e di vulnerabilità arriva ad opprimerci l’anima e a toglierci il respiro. Tutto, all’improvviso, cambia colore, cambia sapore, cambia di valore e di significato. Nulla è e nulla potrà restare come prima. E, soprattutto, ci invade con prepotenza la consapevolezza che, mai e poi mai, riusciremo a ritornare, noi, come prima eravamo … ciò che prima eravamo.

             Ma, proprio quando un sentimento di vertigine paralizzante ci stringe la coscienza, qualcosa può accadere. Qualcosa può accendersi in noi. Un varco, uno spiraglio può aprirsi. Può cominciare a respirare, dentro di noi, un nuovo soffio vitale e rivitalizzante. Può cominciare a percepirsi, lentamente (o anche travolgentemente) un nuovo respiro del mondo e un nuovo sorriso del mondo. Un nuovo modo, anzi, di sorridere nel mondo e al mondo.

           Gabriella Gagliardi* ha vissuto e sta continuando a vivere un’esperienza difficile, un’esperienza che l’ha condotta a fare scoperte nuove e a riscoprire tesori antichi. E ce ne ha parlato in un piccolo ma densissimo libro**, in cui, pur partendo dal suo incontro con il dolore, riesce a regalarci echi di una saggezza lontana, capace di avvicinarci alla vita, di prenderci per mano per continuare, con nuova fiducia, nuovi cammini ricchi di infinite frontiere da oltrepassare e di nuovi territori da esplorare.

           Con lei, per cercare di comprendere meglio la complessità e la ricchezza dei percorsi interiori che sta affrontando, è nata la seguente conversazione.

-        Tu sostieni che il superamento di grandi difficoltà possa produrre una vera e propria trasfigurazione esistenziale.

In che senso, “superato l’ampio spettro di frastornanti sensazioni umane” (p.64), si finirebbe per approdare a “un mondo nuovo”?

La dolorosa consapevolezza della nostra fragile condizione di precarietà non potrebbe, assai più facilmente e prevedibilmente, farci apparire la terra e l’intero universo come un luogo tutt’altro che accogliente ed ospitale? In cui forse non varrebbe tanto la pena di vivere?

           Propendo per una visione di segno fortemente positivo e intendo dire che c’è un “Mondo Nuovo” dopo la malattia, perché si guarda al mondo con occhi diversi. Quando un bene si sta per perdere, lo si apprezza e considera molto di più. C’è più consapevolezza del valore della vita. Si assapora ogni momento di essa. La vita non si arrende. Ha una forza sovversiva. E ci induce a godere anche del semplice ma grandioso incanto del quotidiano. Altro che non vale la pena di vivere!

In un certo senso, il dolore insegna, come ci hanno già detto gli antichi, in particolare i tragici greci.

Eschilo fa dire ad Agamennone: “Zeus a saggezza avvia i mortali, valida legge avendo fissato, conoscenza attraverso dolore.” (Agamennone, vv176 e ss). Cito anche la Karen Blixen: “La cura per qualsiasi cosa è l’acqua salata: il sudore, le lacrime o il mare”.

La malattia, dunque, ha una sua etica. L’etica della malattia è portare un bene all’anima.

Circa la seconda parte della tua domanda sono d’accordo con te a proposito della fragilità della condizione umana, ma questa, più che un vizio, potrebbe diventare un valore. In verità, siamo tutti dei “Sisifo”, ma Sisifo è un uomo che si sa fragile e impara a volersi tale. Sisifo non è un eroe, non è Eracle. Sisifo è uomo perché quella pietra è destinata a ricadere e il suo cammino a riprendere senza sosta. Certo, non è felice la sua costrizione, ma c’è da considerare il percorso, il viaggio, gli incontri, la condivisione della fatica. Stessa strada, stessa salita, stessa fatica. Egli lo sa. Eppure sale. E risale. Perché è come una “canna pensante” (Pascal) e soprattutto perché “la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo: bisogna immaginare un Sisifo felice”. Così ci dice questa bellissima frase di Camus. Io la condivido, e vedo in questo mito la metafora dell’esistenza umana: la vita è fatica e la fatica è vita. Ma anche con la fatica si può amare la vita.

-        In che senso “la paura della morte” andrebbe distinta dalla “percezione della morte”?

               Sì, “la paura della morte” è altro dalla “percezione della morte”. Nel senso, come dice Epitteto, che una cosa sono le cose, un’altra l’opinione che noi ci creiamo di esse. Quindi, una cosa è la “cosa-paura”, altra cosa la sua percezione. La prima è una realtà oggettiva, e reale appunto, la seconda è una espressione soggettiva e personale, l’idea che noi ci formiamo in quanto sensazione individuale. Potremmo sartrianamente parlare di puro cinestetico, di puro sentire. In particolare, poi, nel caso del paziente oncologico, la morte non è più qualcosa di generico e vago, come per tutti i mortali, ma si presenta in costante agguato: è percepita come una sorta di vero e proprio “avviso di scadenza”, addirittura forse come un pre-sentimento. La si tocca quasi con mano. Anche per questo, poi, una volta superato il rischio della morte reale, si vive meglio e di più! L’esperienza dello scampato pericolo ci fa rivivere. Diventa la nostra resurrezione. Si cerca sempre un di più, di tempo, di qualità, di desiderio,* di attività.

Non muore il desiderio”, appunto!

-        Tu fai riferimento, con grande delicatezza e con un velo di toccante poesia, alla serena saggezza di tua madre che amava ripetere : “Quando il Signore mi chiama sono qua.”

E dichiari anche che conquistare una analoga condizione di serenità rappresenta per te l’aspirazione più grande.

Ora, però, credo che sia impossibile sganciare la saldezza interiore di una persona come tua madre dalla sua visione della vita intrinsecamente religiosa, imperniata su incrollabili certezze relative alla sopravvivenza dell’anima e all’esistenza di una dimensione trascendente. Per cui, mi chiedo e ti chiedo:

tu che non abbracci (e non intendi abbracciare) una simile visione della realtà, restando ancorata ad una concezione di carattere ateistico, come pensi di poter mai riuscire a condividere con tua madre lo stesso atteggiamento di fronte all’evento della morte?

                 Prima di rispondere, devo fare due precisazioni, una su mia madre e una su di me.

Non credo che mia madre traesse la sua forza solamente dalla fede. Lei aveva una sua “saldezza interiore” - uso le tue parole - insita nel suo carattere: una spontanea saggezza, una dolcezza, una serenità e una gentilezza d’animo innate, con cui aveva affrontato sempre ogni esperienza della sua vita: cinque figlie, una guerra, il lavoro, la casa. Quindi, il suo essere così non era solo frutto della sua fede (e, fra l’altro, non era certo una bigotta, ma amava la vita e il piacere della vita).

A riprova di quanto affermo, basterebbe notare quante persone, convintamente cattoliche e credenti, non siano poi così miti, ma, all’opposto, inquiete, pessimiste, chiuse e, sovente, anche egoiste.

Per quanto riguarda me, poi, io non mi sento di potermi definire perentoriamente atea. Sono forse agnostica, più che altro incredula, dubbiosa, ma ho, a modo mio, sviluppato, nel corso degli anni, una particolare forma di religiosità, tutta mia e personale.

Talvolta, ho pregato e, dal pregare, ho potuto trarre sollievo. Strano? Contraddittorio? Può darsi, ma è così.

E, quindi, vengo a rispondere alla tua domanda, che potrebbe sembrare quasi retorica, su come io pensi di riuscire, da non credente, a condividere con mia madre lo stesso atteggiamento di fronte alla morte, dicendo che … questa è la mia scommessa.

La mia speranza è di poter raggiungere la stessa serenità ereditando il suo modello fatto di impegno, altruismo, solidarietà e fiducia. Spero, cioè, che la mia cultura, assieme a questi valori che costituiscono il mio bagaglio etico, possano, alla fine, premiarmi!

-        Trovo molto bella l’esortazione di tua madre (“Vogliatevi bene!”) di fronte alla tragedia di una figlia morta: una sorta di pragmatica risposta di sapore leopardiano-schopenhaueriano all’ineffabilità e all’inaccettabilità del Male?

           Sì, è proprio così. L’esortazione “vogliatevi bene” era una sorta di pragmatica risposta alla ineffabilità del Male. Con quella frase, era quasi come se mia madre avesse voluto dire: affrettatevi ad amarvi, non indugiate, non perdete tempo, non restate inerti. Perché si muore, e si muore anche giovani. E, così dicendo, affermava, senza rendersene conto, una profonda verità: il dolore trova la sua unica cura nell’amore.

-        Da quello che hai scritto e dalle cose che mi stai dicendo adesso, emerge in maniera evidente il peso che la tua formazione filosofica ha esercitato sul tuo cammino interiore e sulle tue scelte di vita.

Ma quanto ti ha potuto aiutare l’esperienza della scrittura?

             Passione filosofica e scrittura sono state la mia linfa vitale. La seconda ha avuto un valore non solo liberatorio, ma anche ludico e sublimante. L’io creativo che risponde all’io biologico. La libertà alla necessità!

Così è nato questo piccolo libro, che non è affatto uno scritto sul malessere, ma, anzi, sulla vita e sulla sua bellezza. Un elogio di essa.

Ho cercato di esprimermi in forma gradevole, e, finora, ho ricevuto lusinghieri apprezzamenti.

             Una cosa a cui tengo molto è sottolineare che il ricavato delle vendite sarà devoluto alla Ricerca per la lotta contro il cancro. Per cui, mi auguro che, oltre al consenso della critica, ci potrà essere anche un generoso consenso di pubblico!

*Gabriella Gagliardi, nata a Salerno, laureata a Napoli in Filosofia Morale, vive da molti anni a Roma dove ha insegnato Filosofia, Pedagogia e Psicologia nell’indirizzo sperimentale pedagogico di un Istituto Magistrale.

 

 

**Gabriella Gagliardi

Psicologia del malato oncologico. Non muore il desiderio
Pag. 80

Euro 10

Armando Editore,

Roma 2019

N.B. Con la speranza di poter essere di aiuto a qualcuno, Gabriella Gagliardi sarà ben felice di ricevere commenti e opinioni di qualsiasi tipo:

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December 03, 2019

 

Siamo esseri narrativi, siamo fatti e modellati dalle storie. La scrittura ci modella dentro un immaginario. Quali sono le storie che ci abitano? E soprattutto: quali storie sono state cancellate dalla nostra storia e perché?

Risponde a queste domande la penna di Ginevra Bompiani e lo fa mossa dall’ansia tratteggiando tre figure ricorrenti: la distruzione, la punizione e la mistificazione. Tre ferite che hanno origini precise ma che non sono sempre esistite. Il fondamento di questi tre nuclei si rintraccia nelle religioni delle civiltà patriarcali indoeuropee.

Respiriamo distruzione nel nostro contemporaneo, una distruzione che parte dall'uomo e che lo coinvolge, in una vera corsa suicida. Distruggono Sodoma gli angeli sterminatori, con il diluvio solo Noè si salva, crolla Babele sotto i dettami del Dio sterminatore. La distruzione positiva crea spazio, reinventa il caso, come quando i bambini gridano “di nuovo” davanti a una novità che li entusiasma. La distruzione negativa è ripetizione, ritornello stanco di un tempo senza tempo.

La creazione biblica vede prima di tutto gli Elohim che creano due volte, “di nuovo”. Elohim è un Dio molteplice, composto di maschile e femminile, che riflette la sua natura nella creazione dell'umano che nasce maschio e femmina insieme. “Gli Elohim, creando l'uomo a loro immagine e somiglianza, lo lasciano libero. La memoria collettiva, confondendo le due origini, ha dimenticat la sua libertà”.

Peccato che la storia biblica abbia esaltato Jahvè a discapito degli Elohim. Jahvè pretende obbedienza e per ottenerla punisce.

“Il dio geloso, dotato di mani e voce, ha vinto, forse perchè l'uomo vuole sentirselo addosso, forse perchè gli permetteva di spiegare le sue pene, forse perchè gli conferiva il potere sulla donna, responsabile di tutti i suoi mali”.

La grande mistificazione si collega al titolo: l'”altra metà di Dio” è ciò che ci è stato nascosto, ovvero le civiltà che abitavano l'Europa prima dell'arrivo degli Dei patriarcali.

“Non vi è mistifcazioen più antica e durevole, più tenace e silenziosa di quella che qualche migliaio di anni fa ha sostituito il mondo pacifico ed egualitario delle società matrifocali con il patriarcato, facendo delle prime il grande rimosso della storia”.

Catal Huyuk (7400- 5400 aC) ci consegna una città evoluta senza mura difensive, persino senza porte di casa; a fondare il loro immagianario la Dea steatopigia.

Cosa ha favorito, dunque, questa rimozione, questo rimpiazzamento?

La religione e la scrittura (oltre alle armi dei conquistatori Kurgan).

“La scrittura serve a ricordare, ma anche a dimenticare”: a leggi non scritte obbedisce Antigone, a leggi scritte obbediscono i personaggi biblici e mitologici che arrivano persino a sacrificare i loro figli.

Con una scrittura evocativa e poetica, Ginevra Bompiani, ci sussurra una storia che sarebbe importante ritrovare e riscoprire nel nostro dna narrativo. Che sia una storia antica a fondare un futuro arcaico.

 

Ginevra Bompiani 
L' altra metà di Dio
Feltrinelli 2019

December 02, 2019

La Storia avanza spedita e noi qui, il suo fugace quarto d’ora, a dissipare occasioni di evoluzione umana e civile.

Per reggere l’urto della complessificazione delle migrazioni contemporanee, Tiziana Grassi * ha avvertito la necessità di approfondirne i molteplici aspetti in un’ottica corale. Perché interpretare i profondi mutamenti socio-culturali in atto attraverso la lente ampliante del confronto tra diverse discipline e punti di osservazione, è forse l’unica via per affrontare l’insostenibile egemonia delle attuali miopie su fenomeni epocali. Da osservare con il giusto e necessario respiro e con quella visione d’insieme e a più voci che ci dice che un’altra direzione è possibile.

Scegliendo da che parte stare, ha voluto raccontare quell’Italia invisibile e reale, viva e solidale, di donne e uomini che non hanno mai smesso di essere dalla parte delle persone e dei diritti umani, di pensare universalmente, di compartecipare, di accogliere. Capace di partecipare con fermezza silenziosa alle vicende umane, è l’Italia che non si rassegna al clima d’odio e anzi coltiva la socialità rendendola pratica quotidiana nella sobrietà di gesti semplici e proattivi che includono e uniscono. Quella che, nel senso comunitario di umanità e di giustizia rivolte al bene comune, riconosce i propri fondamentali, i valori grandi ed essenziali che restituiscono all’essere umano tutta la sua centralità.

Ha voluto raccontare quell’Italia aperta all’incontro dialogante che, nella pacifica e conviviale coesistenza delle differenti identità, abbraccia la crescente complessità dei processi migratori contemporanei costruendo ponti, legami e relazioni significanti in un quotidiano spesso destinato a non ‘fare notizia’. L’orizzonte ideale e la valenza connettiva di questa comunità civile che ogni giorno genera gesti importanti di altruismo, che cresce anche tra i giovani e ci fa sperare, pervade diffusamente e a maglie strette il nostro Paese.

In questo volume si fa dunque luce sulle ombre di infondati quanto corrosivi allarmi sociali che - in attesa di una proposta di governance europea organica e lungimirante - hanno voluto far passare l’immigrazione come uno dei problemi più gravi e urgenti del Paese [...]

 

 

 

* Tiziana Grassi

Tiziana Grassi è nata a Taranto, vive e

lavora a Roma.

Giornalista, laureata in Lettere Moderne,

studiosa di emigrazione-immigrazione e di sociologia della comunicazione, autrice di programmi televisivi di servizio per gli Italiani all’estero a Rai International, consulente di programmi di cultura e cronaca per Rai1 e  Rai2.

In tema di migrazioni e di multiculturalismo collabora con testate nazionali e internazionali. Ha svolto e svolge la propria attività professionale in ambito di didattica e ricerca in Master presso il Dipartimento di   comunicazione e Ricerca Sociale, Sapienza Università di Roma; l’Università Cattolica “A. Gemelli” di Roma; la Lumsa di Roma; le Università di Teramo, Bari-Taranto, Macerata.

Per la Società Dante Alighieri, ha collaborato alla programmazione scientifica della Prima Conferenza dei Giovani Italiani nel Mondo promossa dal Ministero degli Affari Esteri (Fao, Roma 2008).

Tra i riconoscimenti per il giornalismo sociale: Premio internazionale “Globo Tricolore - Italian Women in the World all’eccellenza italiana nel Mondo” (2010); Premio internazionale “Nelson Mandela” per i diritti umani (2014); Premio internazionale “Giornalisti del Mediterraneo” (2015); Premio Internazionale “Italia Diritti Umani 2019” - Free Lance International Press (2019).

Dal 2015 è referente per la Comunicazione e la Stampa dell’INMP (Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto alle malattie della Povertà), centro di riferimento  nazionale per le problematiche di assistenza sanitaria verso le popolazioni migranti e la povertà. L’ente, afferente al Ministero della Salute, è un’eccellenza riconosciuta best practice dall’OMS, Agenzia dell’ONU.

Tra le sue pubblicazioni: Dicono di Roma - 50 interviste per il terzo millennio (Palombi, Roma 2000); Noi bambini e la tv prima e dopo l’11 settembre (Stango, Roma 2002); Dicono di Taranto - Semiotica del territorio - Lontananza. Appartenenza. Percorsi (Provincia di Taranto-Ink Line, Taranto 2004); con Mario Morcellini (a cura di), La guerra negli occhi dei bambini - Le immagini televisive dei conflitti tra critica e proposta (Rai-Eri-Pellegrini, Roma-Cosenza 2005); con Catia Monacelli e Giovanna Chiarilli (a cura di) l’opera multimediale in dvd Segni e sogni dell’emigrazione - L’Italia dall’emigrazione all’immigrazione (Eurilink, Roma 2009); anatomie degli Invisibili. Precari nel lavoro, precari nella vita (Nemapress, Alghero 2012); Taranto. Oltre la notte (Progedit, Bari 2013); eu-Calendario solidale L’Aquila+Taranto. Insieme oltre la notte (L’Aquila, 2013); Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo, progetto e co/curatela (SER ItaliAteneo-Fondazione Migrantes, Roma 2014.

 

November 19, 2019

Questo lo scenario descritto ieri sera a Mussomeli durante la presentazione del libro “La mafia dei pascoli” da Giuseppe Antoci, sopravvissuto fortunosamente all’attentato avvenuto in territorio dei Nebrodi, la notte fra il 17 e il 18 maggio 2016: un affare da 5 miliardi di euro perpetrato ai danni della Comunità Europea con il tacito consenso delle Istituzioni regionali.

In un clima di intimidazioni e vessazioni che umiliava i contadini onesti impedendogli di partecipare ai bandi pubblici, pena la condanna per “Lesa Maestà”, si è creato quel fertile humus in grado di alimentare la fonte principale di sostentamento della mafia in Sicilia, l’Agricoltura.

Basti pensare che la latitanza di Messina Denaro si è mantenuta proprio “grazie” ai fondi europei per l’agricoltura.

A partecipare ai bandi in un territorio molto esteso, capace di includere anche più province, sempre e solo un’azienda, con incremento di 1- 1,50 euro al massimo per asta.

Ad ogni bando veniva costituita una nuova società sempre con infiltrazioni mafiose dove affitti che normalmente rendono 36- 36,40 euro compreso IVA ad ettaro riuscivano a lucrare anche 1.300 euro adottando lo stratagemma di applicare più misure con una sola particella.

Contratti medi da 5 a 9 anni per una stima di 7/8 milioni di euro ad affare.

Cercando anche di contenersi per “non dare all’occhio”!

I cognomi sempre gli stessi: Riina, Madonia, Ercolano, Santapaola, Gallino, Pesce, … colleghi fuori isola compresi, che, sempre “grazie” alla Legge dello Stato sugli appalti, POTEVANO partecipare ai bandi con certificato antimafia autocertificato, una procedura di evidentissima semplicità.

E così, con i fondi europei destinati ed erogati per l’agricoltura, si mantiene Cosa Nostra e si alimentano i mercati illeciti…e qualora qualche mafioso dovesse, per fortuite circostanze, trovarsi a scontare qualche debito di giustizia, ecco i figli sfrecciare in paese con le loro Jeep di lusso a rimarcare un potere che non si sconfigge.

Ma il bando civetta di Giuseppe Antoci, uscito proprio 5 giorni prima dell’approvazione del Protocollo, a stessa firma, che impone alle aziende la presentazione del certificato antimafia rilasciato dalla Prefettura, ha scoperchiato un calderone pericoloso e incandescente…perché, come riferisce, “in italiano puro”, il Giornalista Nuccio Anselmo, coautore del libro, con le sue spiccate doti di cronista: “La mafia si scatena quando vai a toccare la sacchetta”.

E da quel momento la reazione è stata spietata.

Intimidazioni in tipico stile mafioso sfociate poi la notte del 17 maggio in quel tentato attentato che è stato e continua ad essere motivo di dibattito non solo nazionale, (del caso Antoci ha parlato anche la più importante emittente televisiva cinese) peraltro anche controverso, viste le incongruenze e le divergenze fra gli organi preposti a Fare Giustizia.

Perché, di fatto, ancora Giustizia non è stata fatta…e, su quel teatrino fatto di mashere e “mascariamenti”, paradossi e recite a soggetto, ancora ci si chiede quale, fra le tre opzioni, proposte dall’Antimafia sia la più plausibile!

Perché in questa terra la mistificazione la fa da padrona e così chi fa agisce nell’ambito della legalità è un “cornuto” (così, almeno, veniva definito Antoci dai mafiosi nelle loro comunicazioni intercettate) e chi vive nell’ inganno e nel sopruso ci appare come paladino del bene.

E’ quello status quo che, ad un anziano signore, con in mano il bastone da pastore, fa rispondere alle domande provocatorie di un giornalista: “Ma signor mio siamo nella pace e ci dobbiamo mettere nelle guerra”?

“Il giuoco delle parti”… Pirandello docet!

Intanto le indagini sono state archiviate, senza assicurare alcun colpevole alla Giustizia, senza “risarcire” gli uomini della scorta né tantomeno Antoci che rivendica la perdita della propria libertà e che, alla sottesa domanda: “Ma cosa ne pensa della relazione conclusiva dell’Antimafia?”, secco, risponde: “Mi sarei aspettato che l’Antimafia si occupasse delle collusioni e delle connivenze, di tutti quei funzionari regionali che, nel visionare pratiche riportanti certi “cognomi illustri” quantomeno accennassero a un sospetto, piuttosto che mettersi a discutere su dei particolari che, a suo modo, inquinassero la scena del mancato crimine”!

E quello che, per l’efferatezza e il modus operandi è stato paragonato agli eventi stragisti del 92/93 , rimane comunque un caso irrisolto.

Il debito di giustizia non vale solo per i morti!

Non solo i morti sono eroi ma anche quanti hanno fatto e continuano a fare per una terra che, indubbiamente, non è solo Cosa Nostra.

E Cosa Nostra qualche volta perde, lo provano i 14 arresti scattati immediatamente dopo l’applicazione del Protocollo, un Protocollo di legalità adottato ad oggi in tutto il Paese.

November 17, 2019

 

Ai miei tempi sono stata chiamata in molti modi: sorella, amante, sacerdotessa, maga, regina. Ora, in verità, sono una maga e forse verrà un giorno in cui queste cose dovranno essere conosciute...” con queste parole la scrittrice Zimmer Bradley ci presenta Morgana, antagonista degli “eroi solari” Artù, Ginevra e Merlino.

È dall'albero genealogico di Morgana che le autrici fanno emergere dieci ritratti di donne. “Strane, difficili, non convenzionali e persino stronze... un seme che passa di mano in mano e arriva a chiunque, maschio o femmina, voglia vivere senza dover giustificare l'unicità della propria storia

Ci sono storie solari che ci trasmettono messaggi “puliti”, e ci sono eroine torbide, confuse, che sono controcorrente per il solo fatto di aver scelto e perseguito la via della propria unicità.

Il libro prende origine dal podcast https://storielibere.fm/morgana: è un progetto è importante e mai scontato: riscoprire il valore della biografia, quando la storia narrata e la vita si intrecciano per creare un valore intrinseco.

Vite distanti, nel tempo e nella realizzazione, come le prime due storie: quella di Caterina da Siena e quella di Moana Pozzi: due figure visionarie.

Visioni interiori sono quelle di Caterina da Siena che sfida i dettami dell'epoca che l'avrebbe inchiodata al ruolo di moglie sottomessa, e grazie alla castità, fa del suo corpo “il teatro costante del dialogo con Cristo” (p. 41). Caterina arriverà persino ad essere la consigliera del Papa, potrà viaggiare, altro atto per sé rivoluzionario.

Moana Pozzi, che apre il libro, fa del suo corpo una liturgia perfetta, si offre alla visione altrui, mantenendo protetta la sua vita privata fino alla fine: un'esteriorità costruita alla perfezione in un'interiorità fatta di ricerca e spiritualità.

Dal cinema alla religione, il progetto Morgana ingloba poi le sorelle Bronte, “pioniere sventurate” (p. 78), che hanno ribaltato la loro infanzia difficile attraverso la scrittura: le loro opere, presentate in principio sotto lo pseudonimo maschile dei fratelli Bell, faranno la storia della letteratura, ognuna con uno stile differente.

Segue la storia di Moira Orfei, regina brilante del tendone che nessuno riuscirà mai a domare.

Morgana ingloba poi figure meno note come Tonya Harding, la prima donna a fare un triplo axel sui pattini, ma per l'estetica e per i suoi costumi è stata sempre penalizzata. Ad essere da esempio è anche il suo coraggio di moglie soggetta a soprusi.

Shirley Temple, angelo biondo dell’America, dovrà confrontarsi con il tempo che scorre che, da bambina, la trasforma in donna. Quando le cineprese si spegneranno, sarà l'attivismo a contraddistingerla, come deputata e ambasciatrice.

Marina Abramović, artista unica, ha messo al centro il corpo, i suoi limiti, i suoi simbolismi. Si è spinta oltre, nella carne e nell'arte.

Dieci vite che aprono spiragli di rivoluzione, biografie che mettono al centro l'autenticità con se stessi.

Michela Murgia e Chiara Tagliaferri  
MORGANA: storie di ragazze che tua madre non approverebbe
Mondadori 2019

November 04, 2019

 Con la pubblicazione di Due secoli di fantasmi. Case infestate, tavoli giranti, apparizioni, spiritisti, magnetizzatori e medium, di Simona Cigliana*, le Edizioni Mediterranee ci permettono di riappropriarci di un’opera decisamente fuori dal comune, precedentemente apparsa una decina di anni fa per l’ Editore Fazi, e presto esaurita e divenuta pressoché introvabile. Il volume, che incontrò, all’epoca, un buon successo anche a livello di critica qualificata e attenta, nell’ambito dei maggiori quotidiani, settimanali e riviste, è stato felicemente ampliato e aggiornato e dotato di una nuova veste scientifica arricchita da una preziosa bibliografia.

Va subito precisato che titolo e soprattutto sottotitolo potrebbero risultare fuorvianti, dando l’impressione di trovarci di fronte ad una mera rassegna di curiosità paranormali, ovvero ad una sorta di passeggiata panoramica nel campo delle varie fenomenologie relative a quello che potremmo definire il “mondo dell’Occulto”. Ebbene, nulla di più sbagliato. Con il volume di Simona Cigliana, siamo di fronte ai risultati di una imponente ricerca condotta in vari settori del sapere, volta a presentarci, in maniera scrupolosamente documentata, “un lato della storia della cultura rimasto in ombra, su cui nessun manuale si sofferma”, e desiderosa di farci comprendere quanto la cultura occidentale, soprattutto del XIX secolo e della prima metà del XX secolo, sia stata impregnata di “spiritismo, occultismo ed esoterismo, con il loro corredo di spiritualità alternative”, e quanti e quali siano state le significative e assai proficue occasioni di interazione con tale multiforme sfera di interessi teorici e pratici.

L’opera si prefigge, innanzitutto, di dimostrare che il cosiddetto mondo dell’Occulto non dovrebbe essere relegato con sprezzante alterigia nello scantinato delle cose buffe, stravaganti e insulse prodotte dalle morbosità della fantasia umana, bensì considerato come un ingrediente tutt’altro che trascurabile della cultura contemporanea. E che di conseguenza, quindi, meriterebbe di essere studiato e indagato senza pregiudizi, e non trattato sbrigativamente come qualcosa di affine alla superstizione, al fanatismo, alla truffa, intendendolo e adoperandolo, anzi, come indispensabile strumento interpretativo.

Questo perché, qualora volessimo intestardirci a ritenere di poter prescindere dalle chiavi di lettura offerte dalla immensa letteratura magico-spiritistica, teosofico-antroposofica, esoterico-orientalistica fiorita nella cosiddetta età del Decadentismo, ben poco sarebbe possibile adeguatamente comprendere delle esplorazioni culturali, delle creazioni rivoluzionarie, nonché delle innovative scoperte scientifiche dei vari V. Kandinsky, E. Munch, P. Mondrian, A. Schonberg, W. B. Yeats, W. Crookes, C. Flammarion, H. Bergson, ecc …

E per poter fare tutto ciò, il mondo dell’Occulto, rappresentando una realtà sterminata e assai variegata, dai contorni alquanto sfuggenti e indeterminati, non certamente riducibile a qualche tavolino traballante, andrebbe considerato, a tutti gli effetti, degno di accurata indagine storico-culturale condotta con il necessario rigore critico.

Cosa questa che, per poter essere effettuata, liberati dai prevedibili pregiudizi e dalle logore etichette, richiederebbe pazienza, impegno e grandi quantità di tempo. Basti pensare, tanto per fare solo qualche riferimento di particolare rilievo, alla vastità e alla complessità di opere abissali come l’Iside Svelata o la Dottrina segreta di Helena Petrovna Blavatsky, alla monumentale pluritematica produzione steineriana, alla sconfinata ricerca di Ernesto Bozzano nell’ambito della fenomenologia del cosiddetto paranormale. Ma, accanto ai colossi menzionati, non andrebbero certo ignorate o trascurate le varie forme di filosofia esoterica e occultistica, nonché le varie sperimentazioni e indagini di natura spiritistica e metapsichica che hanno dato vita ad un vero e proprio oceano di riviste, libri, libroni e libretti avidamente divorati da molte fra le massime figure della cultura dell’epoca (soprattutto nell’ambito delle numerose avanguardie). Riviste, libri, libroni e libretti, quindi, che, indipendentemente dai loro (non pochi) pregi e dai loro (indubbi) limiti, avendo costituito un immenso e ribollente serbatoio di ispirazioni e sollecitazioni, non potrebbero dover essere ignorati, ma anzi andrebbero ritenuti indispensabili per riuscire davvero a penetrare all’interno delle coordinate etiche, psicologiche e speculative di tutti coloro che se ne sono avvalsi, spesso dando vita a sperimentazioni artistiche, a sincretismi, a ibridazioni e contaminazioni filosofico-scientifiche e filosofico-religiose, capaci di promuovere uno straordinario rinnovamento radicale dell’intero panorama culturale contemporaneo.

E così, la Cigliana ci guida (anzi ci trascina!) in un rutilante viaggio all’interno di angoli della nostra storia quasi del tutto ignorati o trascurati, dalle vicende delle sorelle Fox alla vita avventurosa di Franz Anton Mesmer, dalla figura eccezionale di Daniel Dunglas Home alle ricerche di William Crookes e alla sua enigmatica Katie King, da Conan Doyle ad Eusapia Palladino. Particolarmente densi e interessanti, poi, il capitolo dedicato alle tesi reincarnazionistiche di Giuseppe Mazzini e quello dedicato alla presenza della dimensione del soprasensibile all’interno della letteratura e delle arti figurative di fine Ottocento e di inizio Novecento.

In definitiva, il libro di Simona Cigliana non può che essere considerato, senza alcuna esitazione, un libro felicemente riuscito. Perché si tratta di un’opera che riesce ad assemblare con ariosa padronanza una mole vastissima di informazioni, sempre documentate in maniera puntigliosamente accurata, risultando sempre in grado di alimentare suggestive curiosità conoscitive. E perché riesce, inoltre, ad accalappiare l’attenzione e l’interesse sia di lettori mediamente preparati in ambito storico-culturale, pur se del tutto (o quasi) ignari nel campo dell’”occulto”, sia di lettori di solida preparazione nell’uno e nell’altro campo. Perché, infine, si tratta di un libro scritto con vena instancabilmente briosa e zampillante, con prosa nitida e controllata; di un libro ponderato e incisivo sotto il profilo intellettuale, avvincente, dalla prima all’ultima pagina, come una grande, imprevedibile, entusiasmante avventura.

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Simona Cigliana ha insegnato Letteratura Italiana, Critica Militante e Letterature Europee Comparate alla “Sapienza” di Roma e in altre Università italiane ed europee. È autrice, in Italia e all’estero, di numerosi studi scientifici su Luigi Capuana, Giovanni Verga, Luigi Pirandello, Massimo Bontempelli, Filippo Tommaso Marinetti e diversi autori otto-novecenteschi. Tra le sue pubblicazioni, relativamente all’ambito dei rapporti tra occultismo, spiritualismo e storia delle avanguardie, ricordiamo: Futurismo esoterico. Contributi per una storia dell’irrazionalismo italiano tra Otto e Novecento (Napoli, Liguori, 2002); La seduta spiritica. Dove si racconta come e perché i fantasmi hanno invaso la modernità (Roma, Fazi, 2007); “Il fantasma senza spirito. Storie di apparizioni, spettri ed ectoplasmi da Mesmer a Baudrillard (passando per Marx)”in Ritorni spettrali. Storie e teorie della spettralità senza fantasmi (Bologna, Il Mulino, 2018).

Simona Cigliana

Due secoli di fantasmi. Case infestate, tavoli giranti, apparizioni, spiritisti, magnetizzatori e medium

    

Editore: Edizioni Mediterranee

Anno edizione: 2018

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