L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
Pronoia è una parola inventata dall'autore che si colloca sul lato opposto della paranoia.
In stato paranoico si è succubi di pensieri e sensazioni negative, ansia e tensioni psicofisiche, lo stato “pronoico” invece si basa sull'apertura all'universo, un universo che addirittura “cospira” per riempirti di benedizioni.
Potrebbe sembrare l'ennesimo libro sul pensiero positivo e sulla legge dell'attrazione, ma in realtà il libro di Brezsny è approfondito, divertente e mai banale.
Un libro che offre ben 888 trucchi per diventare un maestro della “scalmanata felicità”.
Uno stile che ricalca quello dei suoi oroscopi stravaganti per la rivista “Internazionale”: un'astrologia che si esprime per aneddoti, storie al limite tra fantasia e realtà, curiose notizie recuperate chissà dove.
“Pronoia” è un libro a più direzioni, che si può leggere dall'inizio alla fine oppure seguendo l'istinto, un libro che invita il lettore ad essere co-autore perché in molte parti c'è lo spazio bianco necessario per avere il suo contributo, l'ultimo capitolo è addirittura caratterizzato da “istruzioni” che il lettore può seguire per disegnare o scrivere la vera “fine” a questo saggio.
Il lettore è invitato per prima cosa a “rendersi conto”: delle piccole gioie e benedizioni, dei miliardi di cellule e microrganismi che vivono nel nostro corpo e ci permettono anche solo di respirare o alzare un braccio, dei miracoli che si nascondono nel quotidiano.
Le pagine scorrono e con esse ci troviamo a riflettere su archetipi e miti antichi, su come armonizzare le parti discordanti del nostro essere per liberare il potenziale creativo.
I capitoli accolgono intermezzi poetici, “pubblicità sacre” e “ il network notizie” che regala fatti di cronaca o dati di realtà a sostegno dell'obiettivo “pronoia”.
Una serie di esercizi che accolgono anche il libero lamento, anzi invitano a a circoscrivere il dolore e il buio dell'anima ad un'ora infelice a settimana o al mese.
Una ri-educazione alla meraviglia che passa attraverso un addestramento alle giuste domande, alle quali rispondere, nello spazio bianco che chiama in causa l'inchiostro del lettore.
I titoli dei capitoli sono già di per sé manifesti di vita:
“Prometto di interpretare ogni esperienza come un'interazione diretta della Dea con la mia anima”, “Ognuno è nessuno – e nessuno è perfetto”, “Stiamo cercando le risposte, così potremo distruggerle,per poi sognare domande migliori”, “Non annoiare Dio, Non annoiare te stesso” “Solo voi potete prevenire il genocidio dell'immaginazione”,”Da quando ho imparato a vedere tre punti di vista per ogni storia, trovo storie sempre migliori”, “Siate creatori prolifici”...
Un libro da regalarsi, scartandolo piano piano, parola per parola, senza ordine e regola, un libro da tenere sul comodino per assaporarne un po' al mattino, prima che la mente razionale ci scaraventi in una giornata apparentemente uguale a quella passata.
ROB BREZSNY:
PRONOIA è L'ANTIDOTO ALLA PARANOIA
edizioni Spazio Interiore 2017
Il Gen. Luciano Iannetta |
Dopo aver pubblicato in assoluta anteprima, la notizia dell’uscita del libro del giornalista d’inchiesta ENRICO MALATESTA, “ORRORE E SANGUE SU ROMA, LA STRAGE DELL’ACQUA SANTA - 24 agosto 1917 / 24 agosto 2017”
con i documenti segretati sulla morte innocente di 240 giovani soldati di cui ancor oggi non si conosce il luogo della sepoltura, abbiamo rivolto al generale LUCIANO IANNETTA, che ha visionato i documenti pubblicati in assoluta esclusiva nel libro di Malatesta, questa semplicissima domanda :
- Generale, qual è, in breve il suo giudizio su questa sensazionale quanto terribile scoperta:
« Dall’esame degli atti che comprendono: il rapporto ispettivo del tenente colonnello Gloria, la relazione del maggiore Tealdi, l’interrogatorio del maggiore Bontempelli e il rapporto d’indagine della commissione affidata al Tenente Generale GUZZO, ritengo che i contenuti degli stessi collimino e siano ripetitivi per taluni aspetti.
Due errori, però, sono emblematici perché mettono in risalto l’incongruenza che c’è fra gli stessi e, in particolare:
- il maggiore Bontempelli, nel suo interrogatorio del 20 settembre 1917, fa riferimento al promemoria della commissione d’inchiesta e, ad alcuni argomenti specifici, ma quest’ultima chiuderà i suoi lavori solo il 30 settembre, allora come poteva conoscere i contenuti dell’operato di tale commissione ben 10 giorni prima del termine dei lavori, essendo, peraltro, egli stesso un probabile indiziato?
- come detto, il maggiore Tealdi asserisce che il rinforzo di 52 soldati giunse il 3 settembre 1917 mentre la commissione d’inchiesta colloca, invece, l’arrivo di tali rinforzi nella sera del 23 agosto 1917.
- Il chiarimento di tale discordanza è importante nell’economia del discorso perché, purtroppo, i 52 soldati sarebbero morti con lo scoppio, quindi come potrebbe considerarsi veritiera la collocazione temporale in una data successiva all’evento?;
- Non voglio tralasciare di sottolineare un particolare che ho notato scorrendo le carte che ho visionato: la macchina da scrivere. A mio modesto avviso sia il rapporto del Tenente Colonnello Gloria sia la relazione della commissione di inchiesta che seguirà, pare siano state scritte utilizzando la stessa macchina da scrivere, stante l’estrema similitudine dei caratteri e la ripetuta imperfezione di alcune lettere, e, per cose che dovrebbero essere state scritte da persone diverse, ciò appare, quantomeno, inverosimile e porta a pensare che tali documenti potrebbero essere stati stilati da stesse persone ed epurati, quindi, dalle notizie che avrebbero potuto, forse, danneggiare “qualcuno”.
- esistono elevate probabilità, quindi, che la macchina da scrivere utilizzata per trascrivere i rapporti e le relazioni di cui si è abbondantemente parlato sia stata sempre la stessa, cosa che farebbe ritenere che gli estensori degli scritti potrebbero essere le stesse persone, situazione che fa molto, molto pensare sulla loro attendibilità e porrebbe un macigno sulla realtà, ovvero sulla dinamica e le conseguenze degli eventi.
Si è compreso che la famosa scritta a sfondo terroristico doveva essere una “messa in scena”, un modo per distogliere l’attenzione sulle vere cause della strage. Un fatto così grave ed acclarato da sovvertire tutti i vertici dell’amministrazione della difesa quindi, forse fu ritenuto opportuno farlo considerare conseguenza di un atto terroristico. Infatti, come ritengo, sarebbe stato troppo grave sia per i vertici della Difesa, Ministro e Sottosegretari, sia per i militari ivi in servizio ma pare essere stato concertato il tutto per gettare solo fumo negli occhi, per far soffermare tutta l’attenzione su un fatto accidentale senza, quindi, responsabili.
Da un’analisi obiettiva dell’intera vicenda mi viene da pensare che l’unica cosa vera sia il rapporto del maggiore Bontempelli che, mettendo nero su bianco, tutte le lacune evidenziate nei periodi antecedenti la strage, portò a conoscenza di chi aveva potere decisionale e responsabilità, della cruda, pericolosissima e, come si vedrà poco dopo, tragica realtà in cui versava la polveriera dell’Acqua Santa.
L’ufficiale, purtroppo, non ebbe al riguardo alcuna risposta fino al verificarsi dell’incidente che, pur essendo prevedibile, arrivò in un momento inatteso ( ma quando potrebbe essere attesa una strage?), facendo esplodere non solo tutto il comprensorio, polveriera e deposito carburanti, ma anche tutta l’organizzazione che vi aveva messo sopra i tentacoli. A questo punto i vertici, primi responsabili della tragedia, dovettero “pensare bene” che sarebbe stato, opportuno insabbiare il tutto a salvaguardia di se stessi e delle loro “poltrone” organizzando, a tavolino, tutta una “copertura cartacea” da porre a corredo dell’intera vicenda, ivi compresa la sentenza “farsa”, quindi, alla fine, fare come se nulla fosse accaduto.
A noi posteri l’eredità di non lasciare sopita e nascosta questa brutta e vergognosa pagina di storia che ci deve far sentire coinvolti tutti, in modo totale.
Pertanto ribadisco - come in una Sentenza (morale) - ed esprimo il mio pensiero:
a. la polveriera è nata dal nulla, in una sede inopportuna, benché avrebbero potute essere adottate e scelte altre soluzioni infrastrutturali molto più consone e già esistenti nel presidio romano;
b. al maggiore Bontempelli direttore dell’ente, venne affidata la responsabilità della polveriera che doveva essere solo un capannone ubicato nelle vicinanze del forte Acqua Santa e che doveva essere utilizzato solo per immagazzinare materiale inesploso al fronte;
c. il maggiore, in realtà, non si arroga il diritto di scrivere direttamente alla direzione generale armi e munizioni, ma risponde ad una lettera verosimilmente scrittagli, direttamente, dallo stesso sottosegretario, primo organo di vertice ad aver ignorato la catena gerarchica;
d. Dal 1915 fino al 1918 al vertice della Direzione Generale armi e munizioni vi fu sempre la stessa persona, prima come Sottosegretario del Segretariato e poi, dal 16 giugno 1917 addirittura come Ministro, in conseguenza alla riconfigurazione dello stesso ministero, quindi si tratta della persona che era al vertice di quella amministrazione la notte dell’esplosione del 24 agosto 1917;
e. la relazione sull’ispezione alla polveriera del 7 agosto 1917 (tenente colonnello Gloria) appare, ai miei occhi, un falso, perché, ritengo, potrebbe essere stata scritta dopo l’incidente, scritta a corredo delle altre solo per depistare la realtà dell’accaduto e non far evidenziare le vere cause del sinistro, nonché per giustificare alcune probabili concause connesse all’incidente;
f. anche la relazione del maggiore Tealdi pare essergli stata indotta per alcuni aspetti, perché si rifà, in parte, a quella redatta dal vice questore intervenuto sul posto in seguito all’incidente di cui tratteremo in seguito;
g. la relazione della commissione Guzzo, infine, pare essere stata scritta con il preciso intento di riassumere in essa tutte le altre, sotto un’unica regia, finalizzata a nascondere i lati oscuri e pericolosi sia per la catena di comando che per i vertici politici.
h. La sentenza, infine, mi appare come l’atto finale più aberrante di tutta la vicenda! leggiamo l’intestazione della stessa: “la Commissione di Inchiesta…ha pronunziato la seguente sentenza”; da quando una sentenza viene promulgata da una commissione di inchiesta?
i. Scorrendo i documenti, fino ad un certo punto avevo pensato che il maggiore Bontempelli fosse rimasto vittima dell’incidente ma guardando e ritenendo autentiche le firme vergate dallo stesso in momenti successivi, come si evince dalle date, sono entrato nell’ordine di idee che la motivazione della sua assenza è, verosimilmente, riconducibile al fatto che, pur di salvaguardare (anzi, direi, salvare ) “qualcuno”, si rese indispensabile salvaguardare anche il maggiore che, comunque, guardando l’evento asetticamente, proprio per il ruolo che rivestiva, doveva essere considerato il primo anello della catena, e, quindi, il diretto responsabile della strage.
j. Quindi la strada più semplice da seguire, probabilmente, potrebbe essere stata quella di calmierare il tutto e nascondere il maggiore Bontempelli, aiutandolo a rimanere in incognita al fine di non coinvolgere altri.
L’amara conclusione dunque, da parte di chi ne aveva titolo: non è successo nulla e, quindi, non è necessario cercare colpevoli per qualcosa che non si è mai verificata per colpa ma è solo dovuta al fato (questa ovviamente è solo la tesi dei relatori). A mio modesto parere la verità è in tutt’ altra direzione e, si potrebbe/deve anche oggi “approfondire“ ! »
Viviana Isernia |
Conversazione con l’islamista Viviana Isernia, autrice de I mille volti dell’ Islàm
Sono molti anni, oramai, che seguo da vicino l’impegno assiduo e generoso di Viviana Isernia nel campo dei Diritti umani, in particolar modo attraverso l’attività educativa svolta all’interno di Amnesty International. Negli ultimi tempi, però, sto scoprendo e apprezzando soprattutto le sue non comuni competenze in ambito islamistico, espresse, seppur solo parzialmente, nel recente prezioso volumetto I mille volti dell’ Islàm.
Proprio ispirandoci ad alcuni temi affrontati nel suo libro, con il chiaro obiettivo di invitare a diffidare dei tanti luoghi comuni e dei tanti veri e propri strafalcioni ampiamente in circolazione, è nata fra di noi la conversazione che segue.
- Nella Premessa al tuo Mille e un volto dell'Islàm, scrivi che "E' facile credere di conoscere l'Islàm o l'islamismo: in realtà esiste una notevole confusione ...".
Intorno a quali aspetti della cultura islamica hai avuto modo di riscontrare maggiormente la presenza di lacune, incomprensioni e fraintendimenti?
Le prime lacune sono nell'uso della terminologia, dal semplice aggettivo italiano "musulmano" o "islamico", per cui ho inserito precise domande e risposte. Altre lacune riguardano la cornice storico-politica che è essenziale conoscere per comprendere molti versetti del Corano, ogni singola azione di un fedele della religione islamica e le nuove ideologie sorte in seno ad essa.
- Potremmo dire, quindi, che l' idea del tuo libro è scaturita dal fastidio che ti procura il ricorrente uso approssimativo e impreciso del lessico relativo alla cultura islamica?
Potresti farci alcuni esempi particolarmente significativi?
Gli esempi possono essere tanti, alcuni di essi sono ben spiegati nel libro, a partire dal termine Islàm, che si pronuncia con l'accento sulla a, semplicemente perché il termine con l'accento sulla prima vocale nella lingua araba non ha significato.
Un altro esempio che mi preme sottolineare riguarda l'accezione negativa che si dà al termine “islamista”. Nelle notizie che circolano riguardo agli attacchi terroristici compiuti da musulmani, si abbina il termine "islamista" al concetto di "militante dell'integralismo islamico", riprendendo tra l'altro in modo errato il termine islamiste dal francese.
In italiano, e qualsiasi vocabolario lo può attestare, islamista è colui che si occupa di studiare gli aspetti strutturali del pensiero, della storia e della spiritualità della religione islamica, ovvero colui che si occupa di Islamistica. Un sinonimo è "islamologo" (in francese, difatti, usano islamologue).
- Non si potrebbe obiettare, però, che, nella drammaticità della situazione internazionale delineatasi in questi ultimi anni, il soffermarsi su questioni così strettamente di ordine filologico possa apparire come una raffinatezza comprensibile soltanto agli occhi degli "addetti ai lavori", sembrare, cioè, una sorta di giochino intellettuale godibile solo per pochi eletti?!?
Sicuramente gli "addetti ai lavori" percepiscono maggiormente tali peculiarità, ma è importante - a mio avviso - che chiunque conosca il significato delle proprie parole.
Molto spesso, e in ogni lingua, vengono utilizzati degli stranierismi, ovvero termini di prestito straniero che possono più o meno essere adattati (ad esempio hennè)o dei realia, cioè parole della lingua popolare che rappresentano concetti tipici di un ambiente geografico, di una cultura o di peculiarità storico-sociali di un popolo e che sono portatrici di coloriture nazionali, locali o storiche che non hanno corrispondenze precise in altre lingue (ad esempio imàm).
Tra l'altro il termine imàm ha un diverso significato se si parla di musulmani sunniti e musulmani shi'iti.
L'uso approssimativo e impreciso del lessico relativo alla cultura islamica sta conducendo ad una serie di stereotipi che difficilmente si potranno eliminare velocemente nel tempo se non si inizia a diffonderne l'uso corretto, seconda motivazione per cui mi sono cimentata in questo lavoro. L'uso approssimativo dei termini conduce anche ad una scarsa volontà di comprendere il significato originario del termine. Un esempio è quando si parla di gihàd riducendolo al solo e unico concetto di "guerra santa".
- Sicuramente, il termine/concetto più equivocato (con conseguenze di grosso rilievo) è quello di "gihàd". Qual è la sua origine e qual è il suo vero significato?
Il termine gihàd per un musulmano ha due significati e per tale motivo si distingue in gihàd minore e gihàd maggiore.
Il maggiore è quello che ha più rilievo nella quotidianità di un musulmano e della umma (termine arabo per indicare la comunità) intera poiché gli viene richiesto di "sforzarsi a combattere il male", ovvero combattere i propri vizi e difetti per il bene stesso della società.
Poi vi è il gihàd minore che equivale a " lottare" contro i nemici della comunità musulmana", ovvero contro coloro che minano il concetto di monoteismo (i politeisti).
Il gihàd minore viene effettuato a mo' di difesa, come citato nel Corano "combattete per la causa di Dio contro coloro che vi combattono, ma non eccedete perché Dio non ama chi eccede" (Cor. 2,190).
A partire dalla prima Crociata di Papa Urbano II contro i musulmani, il gihàd inizia ad essere difensivo, ma il concetto religioso del termine viene meno, diventando più strettamente politico.
- Il ritenere giusto, anzi doveroso il combattere coloro che meritano di essere considerati "nemici della comunità musulmana" non è, però, pur con tutti i distinguo possibili e necessari, un pericoloso spalancare le porte ad un impiego pressoché incondizionato della violenza?
La lettura di un qualsiasi versetto del Corano deve essere sempre accompagnata dalla lettura del versetto precedente e di quelli successivi e possedere una minima conoscenza del quadro storico in cui tale versetto è stato rivelato.
In ogni modo, nel versetto sopracitato, in ogni caso, si sottolinea che il gihàd minore ha da essere solo difensivo e fatto senza eccessiva crudeltà e si fa riferimento ai politeisti quali "nemici della comunità musulmana", in quanto la loro dottrina semplicemente contrasta l'Unicità di Dio, la shahada (professione di fede) stessa che recita così: "Attesto che non c'è divinità all'infuori di Dio, e Muhammad è il suo Profeta".
Le violenze di cui si sente notizia contro cristiani, ebrei e altri musulmani (tra cui donne e bambini) non derivano da nessun precetto islamico.
24 agosto 1917 - 24 agosto 2017
CENTO ANNI DI SILENZIO SU
L’ “ORRORE E SANGUE SU ROMA”
DEI 240 E PIU’,
GIOVANI MORTI SENZA NOME E SENZA SEPOLTURA !..
DEL FORTE DELL’ “ACQUA SANTA”.
Eravamo preparati, a che nelle celebrazioni per il centenario della Grande Guerra qualcosa di poco “ortodosso“, prima o poi, dai polverosi archivi della Storia sarebbe saltato fuori. Eravamo preparati a che quella terribile parola - tanto spesa e pronunciata dai generali di Cadorna - “decimazione” non volesse significare l’annientamento del nemico ma l’inutile massacro dei propri soldati, atterriti dagli orrori in trincea. Ma allo sterminio in suolo patrio di giovani militi, lontano dal fronte e per scopo di biechi “interessi”, no !… A questo proprio, non eravamo preparati.
E’ la storia che stiamo per raccontare.
Una vicenda assurda, di giovani vite massacrate e nascoste non dal furore della guerra ma dal freddo calcolo di pochi. Da chi, per dovere ed amore patrio, invece, ne avrebbe dovuto custodire l’affidamento e l’identità.
A farla scoprire è il recente libro “ORRORE E SANGUE SU ROMA - LA STRAGE DELL‘ACQUA SANTA“ del giornalista d’inchiesta, Enrico Malatesta.
Come succede per le vicende che gridano giustizia, è stato un documento: un memoriale di un giovanissimo fante. Rimasto sepolto nella polvere del tempo, il testo dettato da un mutilato a Gorizia e trasportato all’ospedale Sales di Napoli, è raccolto da un altro giovane commilitone vicino di branda del primo, proprio al Sales. Qui, l’autore del racconto, disperato e stravolto perde la fede in Dio.
Ma la ritroverà grazie proprio ad un santo frate, cappellano militare nella Sanità, ispiratore del “Memoriale”. Il documento rimasto sepolto nella polvere del tempo per decenni, rivive ora nella ricostruzione dei fatti così come accaduti, nel racconto documentato di Malatesta.
Questi i fatti. E’ il 24 agosto 1917 e da poco sono scoccate le 20 e trenta, quando a Roma una micidiale esplosine riecheggia violentemente in tutta la capitale. L’immane fragore è così intenso da essere udito fino in centro, al palazzo della Regia Questura, dove il vibrare dei vetri dell’ufficio del questore, ricordano all’alto dirigente un’altra precedente vicenda. Una bomba nemica aveva distrutto nel 1916 la Polveriera di Roma in via Terme di Tito al Colosseo. Il primo pensiero del questore dunque, per la portata dell’onda d’urto, corre subito sul filo dell’angoscia, alla possibile esplosione della polveriera di Centocelle. Solo più tardi si scoprirà che quell’immensa sciagura riguarda invece la Caserma dell’Appia Nuova.
Già a partire da qui c’è la prima scoperta. La Caserma Appia, altro non è che il Vecchio Forte dell’Acqua Santa, ovvero il deposito carburanti per Aerostati e Dirigibili. In estrema segretezza e fuori del recinto murario del Forte, sono stati approntati due enormi capannoni che rilevati da privati, dopo lavori di ampliamento, erano stati attrezzati per la fabbricazione di bombe da lanciare proprio da mezzi d’aria come aerostati o palloni, sulle trincee nemiche.
Tutto quindi coperto dal più stretto riserbo, tanto da richiedere l’applicazione del “Segreto Militare di Stato”. E fin qui gli imposti “omissis” ci starebbero pure se, all’improvviso, non emergessero incredibili contraddizioni. Come a tal punto (queste poi emergeranno come giustificazioni addotte), di richiedere l’ausilio di militari ordinari e manovali al posto di personale competente come artificieri specializzati, proprio al fine di non attirare le attenzioni del controspionaggio nemico.
Una serie in somma, di “omissis” più utili a coprire “segreti” nostrani che la pericolosa azione di arguti “007” degli imperi Germanico ed Austro-Ungarico.
Ed a caratterizzare questa assurda storia, saranno proprio quelle menzogne camuffate da ridicole giustificazioni che alla futura inchiesta del Regio Tribunale Militare faranno emergere le peggio perplessità e saranno consacrate da una sentenza militare estremamente “equivoca”.
Come ad esempio la lista dei caduti, che non compare nella sentenza del Tribunale Militare ma al contrario è resa pubblica da una sentenza del Tribunale civile, finalizzato alla “sola trascrizione” dei morti, dichiarati nel numero di 79 caduti tutti, Aerostieri e Dirigibilisti. Ma colpo di scena: tra questi 79 c’è anche l’autore del memoriale che non è aerostiere ne tanto meno dirigibilista ma un semplice fante, ferito e mutilato a Gorizia che finisce al Sales di Napoli per finire i suoi giorni e restituire la salma ai genitori catanesi. Ma la caparbietà a salvargli la vita del capitano medico Digiannattasio, lo spedisce a Roma e dopo una nuova operazione che gli salva la vita, lo appoggiano per la convalescenza alla Caserma Appia, famosa per essere un posto tranquillo. Il giorno dopo il suo arrivo, la base militare esplode. E’ proprio dai riscontri effettuati dal bravo autore del libro “Orrore e sangue su Roma - la strage dell’Acqua Santa - che appunto Enrico Malatesta scopre che la presenza del fante mutilato, e fatto passare per essere un dirigibilista, rende quella lista “dei 79” un documento non rispondente al vero. Ma Malatesta fa di più, incrociando i documenti militari con altri altrettanto sconosciuti e segretati della Questura di Roma, scopre che i morti del Forte dell’Acqua Santa, alias Caserma Appia, sono più di 240 e sono tutti ragazzi tra i diciassette ed i vent’anni, analfabeti e soldati di bassa forza, senza la minima cognizione di competenze di artificieri, cui invece segretamente era ciò che facevano per armare bombe, granate ed altri proietti, con polveri anche scadenti.
Ma non vogliamo però svelare tutte le verità di questa storia assurda che invece meritano l’approfondita lettura di un libro zeppo di notevoli documentazioni inedite ed occultate, per nascondere la verità all’Italia di allora e presentate in questo libro con le trascrizioni integrali dei documenti e le fotografie degli originali. Ma non basta. Malatesta ha intervistato il Generale Luciano Iannetta il quale esaminando tutti i carteggi ha rilasciato una conferma sconcertante.
Concludiamo però, questa galleria di “orrori” voluti, della Grande Guerra con un “paradosso” agghiacciante: l’Italia di oggi è piena di Sacrari di morti della Prima Guerra Mondiale con tanto di nomi e gradi …. e allora perché si è dovuto proprio nascondere i nomi di questi caduti cui non si conosce neanche la doverosa sepoltura delle loro spoglie .… senza ne nome, ne bara ….. ?
Quasi tutto quello che abbiamo e siamo lo dobbiamo a loro. Senza di loro non avremmo imparato nulla, saremmo ancora una strana specie, indecisa su cosa essere e cosa diventare. O, cosa assai più probabile, non saremmo più, da molto tempo …
Sono stati i nostri grandi maestri in tutto. Tutto abbiamo imparato da loro: immensamente più forti, più silenziosi, più rapidi, più astuti, più perseveranti, più resistenti, più collaborativi, più ingegnosi, più coraggiosi, più generosi, più affettuosi …
Ma non c’è vergogna rimasta incompiuta. Non c’è viltà non praticata. Non ci sono abusi, vessazioni, incatenamenti, ingabbiamenti, attacchi, soprusi, violenze inenarrabili e massacri spietati da noi umani non attuati.
La nostra gratitudine si è fatta freccia, coltello, veleno, fuoco devastatore, piombo assassino …
Ma gli spiriti migliori da sempre hanno compreso la grandezza, non soltanto fisica, degli animali. Scrive Schopenhauer che
“Nella pacatezza dello sguardo degli animali parla ancora la saggezza della natura.”
E di sguardi degli animali (asini, soprattutto, ma anche cani) e di saggezza della natura molto efficacemente ci parla Alessandra Giordano nel suo delicatissimo L’asino sulla mia strada.
Qui, tra frammenti di itinerari autobiografici, di sottili personali riflessioni e di erudite solleticanti citazioni, si costruisce un vero e proprio inno all’incontro fra uomo e animale, una toccante “apologia del buon ciuchino”, un’ode, un’elegia dedicata al saggio Pablo, compagno di viaggio dell’Autrice … Ed è proprio lui, Pablo, il protagonista principale del libro. Anzi, il vero protagonista è l’amore raro, sconfinato, che ha allargato il cuore di Alessandra, che ha permesso a fiumi di calda felicità di entrarle dentro, facendole provare esperienze di lirica pienezza emotiva. Cambiandole la vita, cambiando lei stessa, rendendo la sua esistenza imprevedibilmente più rilucente di fiducia e di gioia. Perché quando Amore si fa strada fra i rovi spinosi della nostra anima, finalmente impariamo a vivere non più al di qua dei muri e delle cancellate, ma volando in cieli senza recinti.
L’asino sulla mia strada, libro denso di pensiero e di poesia, ci lancia un messaggio di affratellamento col mondo animale intriso di un
“senso di gratitudine estrema verso tutti gli animali del mondo, per quanto hanno fatto in termini di lavoro concreto in nostro aiuto, per quanto hanno dovuto accettare nel farsi vittime sacrificali ai nostri piedi, per quanto ci hanno dato in termini di insegnamento, compassione e amore senza condizioni …”
Chissà se questo libro riuscirà mai ad arrivare nelle mani di papa Francesco. Certamente gli piacerebbe.
Come piacerebbe moltissimo all’ ereticissimo Bruno …
L' asino sulla mia strada. Un libro del cambiamento
Editore: Edizioni del Gattaccio
Collana: Il nostro maggio
Anno edizione: 2016
è nata nel 1965 a Milano, un pomeriggio di fine settembre. Vive ancora là: le manca solo il mare e l’aria pulita; per il resto sembra ok.
Giornalista pubblicista e addetto stampa presso una casa editrice, ha da sempre lavorato con i libri e per i libri: la biblioteca e le bibliografie, le recensioni, le interviste a lettori illustri, l’editoria.
Ha pubblicato la raccolta di racconti “Cadorna non è una fermata. Momenti Metropolitani” (Viennepierre Edizioni, 2009) e la raccolta di tweet in eBook “Momenti Metropolitani” (BaccarinBoox Editore, 2013).
Ama gli animali. Oltre a cane e gatti ha un asino, Pablo, che le ha cambiato la vita. Con lui lavora: attività culturali per bambini e adulti. Ha fondato e dirige la prima rivista dedicata esclusivamente all’asino: Asiniùs.it
Per guardarla in faccia e sapere di più:
www.alessandragiordano.com dove si parla di parole e ragli.
Credo sia un dato di fatto indiscutibile che, negli anni successivi all’11 settembre 2001, il panorama editoriale relativo all’Islàm - pur continuando ad imperversare a livello mediatico non pochi deliri islamofobici - si sia vivacemente arricchito sia in quantità che in qualità.
Ciò nonostante, un libro come Mille un volto dell’Islàm, della giovane islamologa Viviana Isernia (ottimamente curato dalla Efesto di Roma), merita di essere notato ed apprezzato per ben precisi meriti e peculiarità:
perché riesce ad affrontare con esemplare rigore scientifico questioni di grande peso e di rara complessità;
perché sa offrire, sia al ricercatore sia al semplice lettore intellettualmente curioso, una ampia gamma di informazioni non sempre facilmente rintracciabili;
perché presenta con incisività e chiarezza (per quanto umanamente possibile) una rosa molto variegata di aspetti della cultura islamica, dalle sue origini storiche alle sue fonti sacre, dal concetto di sha’ria a quello di gihàd, dalle differenze fra sunniti e shiiti ai vari scismi e alle neocorrenti dei tempi vicini, ecc.
Il libro, quindi, pur non essendo certo un saggio ponderosissimo, né una compendiosa enciclopedia dell’Islamismo, si rivela essere uno strumento di conoscenza pregevole, sia per snellezza di stile, sia per l’accuratezza filologica, sia per la linearità della struttura e per l’attendibilità dei contenuti, mai contaminati da atteggiamenti ostilmente prevenuti o apologetici.
Particolarmente apprezzabile è, in particolare, il continuo invito che l’Autrice ci rivolge a rifuggire da banalizzazioni grossolane e da espressioni approssimative, fuorvianti e, come tali, offensive. L’Islàm è un universo sterminato, non meno di altre grandi tradizioni religiose. I suoi volti sono mille e forse anche più di mille. Alcuni luminosi, altri decisamente meno. Alcuni carichi di fascino, altri fonte di inquietudine e di problematicità.
Il libro di Viviana Isernia ci aiuta a penetrare all’interno di questo mondo, offrendosi a noi come guida dal passo paziente e sicuro, mettendoci efficacemente in guardia dagli errori più facili e sempre invitandoci a non scivolare nel “sentito dire” e nelle tante rappresentazioni stereotipate oggi sfortunatamente ricorrenti.
Mille e un volto dell'Islam
Editore: Edizioni Efesto
Roma, giugno 2017
Nata a Formia (LT) nel 1980, ha conseguito due lauree in Italia (“Studi Arabo-Islamici e del Mediterraneo” e “Teoria e Prassi della Traduzione Araba”) e una all’estero (“Lingua Araba Standard”) con il massimo dei voti. Da 10 anni collabora come traduttrice di lingua araba (settore letterario, giuridico, tecnico-commerciale) per case editrici, tribunali e agenzie di traduzione italiane ed estere. Ha pubblicato per Faligi Editore la traduzione dall’arabo all’italiano del romanzo “L’amante segreto” e per il Centro Italia-Asia e il portale telematico "Historia Regni" una serie di saggi su cultura e filologia arabo-islamica.
Dal 2005 è impegnata nel volontariato per Amnesty International, assumendo sin da subito il ruolo di Responsabile di Gruppo, Formazione Nuove Risorse e Organizzatrice eventi; da marzo 2013 ha ottenuto il ruolo – nella medesima Associazione – di Referente Attivismo della Circoscrizione Lazio, mentre attualmente ricopre l’incarico di Responsabile regionale. Ha, inoltre, conseguito l'attestato di Kartabianca in “Organizzazione Eventi & Ufficio Stampa”. In passato ha svolto consulenza in organizzazione eventi (presentazioni libri, spettacoli teatrali, cene solidali) per altre associazioni del territorio laziale e ha collaborato con guide locali per organizzazione tour in Tunisia. Al momento, è in fase di aprire una Azienda Agricola dedicata alla scoperta della natura per grandi e piccini.
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“Tutto il mondo è pieno di Dei” così scrive il filosofo Talete.
Demoni: da daimon che significa “colui che divide, che fa a pezzi” ma anche “colui che illumina”, già all'interno della prima parola del titolo si apre un ossimoro semantico che ben condensa il pensiero greco, che Dodds in un suo celebre libro aveva definito “irrazionale”.
Dio e demone in questa accezione luminosa possono essere quasi sinonimi, è lo stesso Omero a definire “daimones” gli stessi Dei greci.
Mostro da “monstrum”, che si connette al latino” richiamare alla memoria” ma anche “ammonire” e rimanda all'apparizione di qualcosa di insolito che non è necessariamente legato all'orribile, anzi, si collega più al prodigio che al brutto.
La genesi del soprannaturale non poteva che partire dalla coppia Echidna, la donna serpente e Tifone, uomo serpente ma con le dita che finivano a loro volta in teste serpentiformi.
Una coppia prolifica che darà vita alla Chimera sputafuoco, alla Sfinge, al leone di Nemea.
Chimera verrà sconfitta dall'eroe Bellerofonte a dorso del cavallo Pegaso, immagine che ricorda il mito di San Giorgio che uccide il drago.
Creature a metà che inglobano in un unica vita il regno animale e umano, trickster in bilico tra mondi, ma anche tra azioni nefaste o benevole, come nel caso delle ninfe e dei Centauri.
I Centauri, metà uomini e metà cavalli sono intemperanti, irascibili, sessualmente molto attivi.
Sono figli di Issione, un uomo davvero spregevole, che è riuscito a uccidere il suocero al banchetto di nozze per evitare di pagare la dote, e che avrà l'ardire di sedurre niente di meno che Era.
Zeus gli darà una nuvola a forma si Era con la quale si accoppierà dando vita a queste creature di sogno e di incubo. Ma tra i Centauri si esalterà il buon Chirone, saggio guaritore che sarà maestro dei più grandi eroi greci e dello stesso dio Esculapio, eccezione che sarà ricordata nella costellazione del Sagittario.
Una ambivalenza, quella tra bene e male che si ritrova anche in Pan, divinità visibilmente ibrida nel Pantheon greco divinità silvestre il cui corteo è così simile a quello dionisiaco.
Luce ed ombra si confondono in queste creature che solcano anni e e Paesi, tanto da far dire al filosofo Eraclito “ Lo stesso dio è Ade e Dioniso”: i riti in onore di Bacco si svolgevano di notte, nelle Antesterie dionisiache il confine tra vivi e morti si faceva labile, così come nelle feste Lemuria a Roma.
E che dire delle ninfe? Esse sono la natura, tanto da avere nomi differenti a seconda del luogo dal quale provengono: ninfe delle montagne, delle sorgenti, dei fiumi, dei mari, delle querce, dei frassini...Da una ninfa, Egeria, verrà saggiamente consigliato il re Numa Pompilio, per una ninfa, Calipso, si perderà Ulisse, figlio di una ninfa, Teti, è Achille.
Ai bambini deceduti troppo presto si dirà che sono state le ninfe a portarli via.
Il saggio di Ieranò ci accompagna poi ad esplorare le creature dell'Oceano, i demoni dell'Oltretomba, per presentarci i primi vampiri della storia e le creature che hanno incarnato l'inquietante femminile: Empuse,Lamie e Mormolykia.
Un viaggio dentro lo stupore nell'incontro con i fantasmi e con le prime fattucchiere dell'antichità.
Dove è finita la magia? Una parte è stata assorbita dalla religione, con importanti differenze.
Interessante è la presentazione nel libro di Apollonio di Tiana, che, come Cristo, faceva miracoli, esorcismi, resuscitava morti, accaparrandosi anche lui molte ostilità. Apollonio è di poco successivo a Gesù.
L'ultimo capitolo ci porta nei luoghi fantastici di creature monstruose e in rimpianti come Atlantide o l'Età dell'Oro.
“Anche noi, per il breve tempo di questo libro, torneremo a credere alle Ninfe e ai Minotauri, ai Satiri e ai Centauri, ai draghi e ai giganti, alle magie e ai prodigi. E poco importa se sono solo inganni. (…) Perché, dietro il velo egli inganni mitologici si nasconde il senso della nostra vita. Perché il mito, con le sue storie di ninfe e mostri, ci fa intuire qualcosa di profondo che non siamo capaci di esprimere altrimenti”. (cit).
Giorgio Ieranò
Demoni, mostri e prodigi:
L'irrazionale e il fantastico nel mondo antico
Sonzogno 2017
L'avventura di Fefè Editore nasce nel 2005 e ha preso ormai diverse direzioni, spaziando dalla saggistica psicopedagogica, all'alimentazione, alla narrativa, alle “curiositates” rinascimentali, all’attualità sociale; un amore per il libro in ogni sua fase perché Fefè Editore è anche agenzia di servizi editoriali e promuove corsi di Scrittura Collettiva (che ha “resuscitato” contaminando con dinamiche di gruppo e tecniche teatrali quella che faceva Don Milani sessant’anni fa).
Il filone psicopedagogico presenta sette titoli di ispirazione montessoriana, ma non solo; la sezione “Nutrizione” unisce a ricette culinarie anche intriganti sfumature letterarie; la sezione “Streghe” consta di saggi storico/antropologici insieme con racconti e romanzi; la collana “Superfluo Indispensabile” si snoda tra saggio e inchiesta giornalistica e tratta argomenti insoliti come la storia del pelo, la mitologia del serpente Uroboro, un’interpretazione di Geppetto come padre di Pinocchio, un Elogio del gatto nero etc...
La scorsa domenica si è aperta la quinta edizione del Premio “Streghe di Montecchio” che prende spunto dal libro e dalle ricerche di Pier Isa dalla Rupe sulla collina del Montecchio a Bagnaia, vicino Viterbo; attraverso i racconti degli anziani e attraverso ricerche documentaristiche antiche, Pier Isa ha dato inchiostro alle “Figlie della Luna”, donne bellissime che abitavano il suddetto colle.
Ma l'impegno e l'attenzione di Fefè su questo argomento è diventata un vero e proprio cavallo di battaglia. Non solo Fefè ha ha pubblicato tutti i libri di Pier Isa dalla Rupe e creato un premio letterario legato al luogo e al tema delle streghe d’Italia, ma si è concretizzata proprio la scorsa domenica di maggio con l'inaugurazione del “Bosco esoterico e letterario del Montecchio”, primo e unico in Italia ad essere riconosciuto tale dal Comune di appartenenza; tanto che il taglio del nastro è stato fatto dal Sindaco di Viterbo in persona.
Su tutto ciò poniamo qualche domanda a Leonardo de Sanctis, tra i soci fondatori di Fefè Editore e attuale Direttore editoriale.
Quando avete sentito l'esigenza di creare un nuovo marchio editoriale e perché?
Come spesso accade è stata una somma di “coincidenze” a indurci alla creazione di Fefè Editore: la chiusura di un ciclo, l’incontro tra persone, l’esigenza comune di creare qualcosa di personale quindi unico… In più il passaggio alla nuova attività venne facilitato dal fatto che personalmente avevo sempre avuto a che fare professionalmente con la scrittura: prima di creare la casa editrice per 25 anni sono stato giornalista quindi ho scritto, fatto scrivere, guidato altri a scrivere, creato prodotti editoriali di tipo giornalistico… Il passaggio è stato quasi naturale e mi ha consentito di portare con me l’esperienza e i contatti di qualche decennio di attività.
Streghe – Alimentazione – Psicopedagogia sono le macro-aree intorno a cui si muove la sezione saggistica: quali sono stati i libri che hanno “fondato” questi argomenti?
Per la serie “Streghe e mondo parallelo” è stata certamente la raccolta di racconti “Le Streghe di Montecchio” di Pier Isa della Rupe, che è stato l’inizio della ormai lunga “mitologia” legata al colle di Montecchio ed a Bagnaia.
Per la serie dedicata all’alimentazione, il via è venuto dalla richiesta dell’illustre nutrizionista Prof. Antonio Migliaccio di pubblicare con noi il suo “Manuale di Nutrizione Umana”. Ne abbiamo stampate tre edizioni che hanno aperto un filone legato al cibo dal punto di vista anche letterario e storico.
Per la psicopedagogia – a parte i legami familiari con la psicologia e la psichiatria dell’età evolutiva (di cui si occupavano mia madre, mio nonno e mio bisnonno) – fatale è stato l’incontro con due donne: Maria Montessori, che tutti conosciamo, e Giovanna Alatri, montessoriana atipica, che dopo anni continua ad essere la “suggeritrice” di tutte le nostre pubblicazioni delle serie.
Avete in mente altri progetti riguardo alla valorizzazione di luoghi magici come quello del Montecchio?
Ci concentriamo sul Montecchio: dopo aver ottenuto il riconoscimento ufficiale dal Comune di Viterbo di “Bosco esoterico e letterario del Montecchio”, e dopo quattro edizioni di Premio Letterario e una decina di libri legati a quel posto magico, desidereremmo veder nascere il “Monumento Naturale del Montecchio” (con la collaborazione del Comune di Viterbo e della Regione Lazio). Con l’aiuto e in collaborazione con altri, vorremmo creare una struttura di visita e promozione di quel luogo che ritengo straordinario perché assomma due, anzi tre “magie”: quella delle streghe, quella dello splendido ambiente naturale, quella della scrittura a quel luogo legata.
Come piccolo editore siete soliti trovare spazi d'ascolto all'interno delle grandi catene commerciali?
Direi che ci ignoriamo (o quasi) tranquillamente, senza sentire troppo la mancanza noi di loro e (suppongo) loro di noi. I canali (di diffusione, di commercializzazione, di conoscenza) di un editore indipendente come Fefè Editore e di un editore commerciale sono del tutto diversi, anche se formalmente coincidono e si ritrovano in alcune librerie di catena che prendono i nostri libri (ma poi li mettono nello scaffale, senza esporli neanche per qualche ora…).
Come vi rapportate al fenomeno e-reader, e-book?
Anche questo è un canale che ritengo sia o meglio debba essere estraneo ad un editore indipendente che punta a costruirsi e ampliare la propria nicchia di qualità. Il libro elettronico mi sembra, oltre che una contraddizione in termini, congeniale solo ad una editoria commerciale e – peggio che mai – all'auto-pubblicazione o all’editoria a pagamento.
Quali sono le prossime uscite editoriali?
Per il reparto “Streghe” abbiamo il saggio di Claudio Bondì “Le donne, la morte, il diavolo” su sei streghe storiche d’Italia, con prefazione di Elena Gianini Belotti. Per la psicopedagogia (in questo caso, intesa in modo particolare) abbiamo in uscita “Bambini e erbe medicinali” di Paola Beria con prefazione di Marco Sarandrea. Per la serie “Superfluo Indispensabile” dopo il successo del pamphlet “Peli” di Francesco Forlani, proseguiremo con “Mani” di Lucio Saviani e “Cuore” di Claudia Pancino. Per la narrativa presto uscirà una raccolta di racconti siciliani di memoria con prefazione di Franco Ferrarotti.
Buona lettura!
Qani Kelolli scrivere per essere d’aiuto ai giovani
In un romanzo a quattro mani la storia vera di un artista del narcotraffico mondiale.
‘Nato per arrivare lontano’ edito da Bibliotheka Edizioni segna l’esordio letterario di due autori: Qani Kelolli e Nazareno Caporali. Il libro è da considerarsi un’operazione particolare ed interessante: non è facile unire due stili di scrittura diversi e riuscire a raccontare con un buon ritmo narrativo la vita di un personaggio come Lushi Kaja, che diventerà un boss del traffico di droga internazionale. Sbarcato in Italia dall’Albania in cerca di fortuna si troverà coinvolto in situazioni complesse e pericolose. Tra crimini e illegalità prende forma una trama mozzafiato che proietta il lettore in uno stile di vita all’eccesso, dove potere e successo sembrano l’unico obiettivo da raggiungere ad ogni costo. Con un linguaggio semplice e scorrevole, gli autori ci fanno accedere in un mondo spietato e crudele, dove però tutto può cambiare all’improvviso.
Qani Kelolli, come è nata l’idea di scrivere un romanzo a quattro mani con Nazareno Caporali?
“Tutto è nato perché molte mie idee, vissute personalmente, combaciano perfettamente con il personaggio in questione, sia per la provenienza sia per il suo coinvolgimento nella narrazione. Nazareno e io abbiamo concordato, non nascondo il suo aiuto tecnico, un volere, cioè quello di offrire ai fruitori una storia avvincente e allo stesso tempo pericolosa. Questa bilateralità è servita ad unire la mia visione individuale e interna con il suo sguardo esterno, oltre a quello di terzi: i lettori”.
Avete avuto delle difficoltà nel coordinare la stesura del libro?
“Naturalmente urgeva una stima del tempo che avremmo impiegato per finire il lavoro. Abbiamo ragionato a lungo su alcune questioni, ma alla fine dopo varie riflessioni, siamo riusciti a trovare un punto d'incontro”.
Lushi Kaja il protagonista, lascia l’Albania in cerca di fortuna, ma si troverà coinvolto nel mondo del narcotraffico. Questa storia affronta il distacco dalle origini e la lotta per affermarsi in una nuova realtà, alla ricerca della felicità, è così?
“Tutti coloro che lasciano il proprio paese vogliono trovare condizioni migliori da quelle in cui hanno vissuto. La storia ci insegna che spesso nelle migrazioni accadono dei fatti dove una minoranza si trova costretta a fare delle scelte sbagliate per poter sopravvivere, provando gusto e piacere, scordandosi del passato e trovandosi in una sorta di felicità illusoria”.
Come siete riusciti a farvi raccontare nel dettaglio certi aspetti di questa rete internazionale alquanto pericolosa?
“Noi abbiamo avuto, purtroppo o per fortuna, esperienze vicine a questi mondi ‘paralleli’, non volevamo mettere in silenzioso questi fatti, ma appunto gridarli con una velata critica di lettura”.
Nel libro vengono descritte le regole del Kanun, il codice arcaico albanese. Cosa è rimasto oggi di quei valori simbolici e sociali?
“Il Kanun è un codice di leggi consuetudinarie che si sono trasmesse oralmente per secoli. Venne creato intorno alla metà del 1400 per dare una legislazione e tradizione propria al popolo albanese. Quei valori del Kanun, come la vendetta, si stanno frantumando grazie alla legge e agli interventi di varie associazioni. Negli ultimi anni diverse realtà si sono occupate della questione. Cito: Operazione colomba e Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, che dal 2010 è presente a Scutari, in Albania, per sostenere le famiglie sotto vendetta”.
Qani Kelolli |
Nella tua realtà di autore che significato ha il successo?
“Espandere le mie idee positive e cercare di essere d’aiuto ai giovani è una realtà che vorrei passasse come qualcosa di non illusorio, ma questo tipo di successo raccontato nel libro è soltanto una bellezza effimera. Per quanto mi riguarda condivido il pensiero di Pasolini quando dice: “Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta, a costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati”.
‘Nato per arrivare lontano’ è il primo volume. Qualche anticipazione del secondo?
“Nel secondo volume entriamo nelle viscere più interne e vere di una cultura ancora da scoprire. A due mani...”.
Gli autori
Qani Kelolli nasce a Berat, città albanese patrimonio dell’UNESCO, chiamata la città dalle mille finestre. Ha sempre amato le arti, ha letto con passione e questo gli ha consentito di imparare bene la lingua italiana fino ad arrivare a conseguire una laurea all’Accademia di Brera; ha scritto brevi racconti e poesie, cimentandosi infine in un romanzo completo che narra vicende incredibili. Ha partecipato a diversi concorsi letterari ricevendo numerosi premi e riconoscimenti.
Nazareno Caporali nasce in Toscana nel 1961. Da sempre appassionato di scrittura, ha scelto di mettersi in gioco con un romanzo. Ha partecipato e vinto numerosi premi di scrittura per racconti e poesie, nazionali e internazionali.
Sabato 27 maggio alle 16h30 presso il Museo Diocesano di Torino, piazza San Giovanni n. 4, si svolgerà la presentazione del libro/guida “I passi e il silenzio. A piedi, sulle strade di Chiara d’Assisi”, di Monica Cardarelli e Francesco Gallo, edizioni Porziuncola.
“Caminante, no hay camino, se hace camino al andar” scriveva in una celebre poesia Antonio Machado e ne sanno qualcosa Monica Cardarelli e Francesco Gallo che hanno sperimentato il passo dopo passo del Cammino di Chiara che, lentamente ma tenacemente, ora giunge fino a Torino.
Il cammino si fa camminando, e non si tratta solo di un cammino fisico ma anche umano, esperienziale e spirituale. Il cammino ti porta sempre a uscire da te stesso e ad incontrare la natura, l’altro e l’Altro.
Nel caso del Cammino di Chiara è andata proprio così: tutto è nato da una prima esperienza di cammino in solitario di Monica, appassionata di scrittura e affascinata dalla figura di santa Chiara, che con la Legenda di Santa Chiara di Tommaso da Celano è andata alla ricerca dei luoghi in cui la Santa avrebbe vissuto prima di arrivare a San Damiano. Fin qui nulla di strano. La curiosità nasce invece quando, una volta rientrata da questo piccolo e breve itinerario ma estremamente intenso e significativo per lei, le è stato chiesto di scrivere una guida sul cammino appena fatto.
A una simile richiesta da parte dell’editore, sembrava le mancasse il terreno sotto i piedi, ma la sfida e il desiderio di scrivere e raccontare la sua esperienza di cammino e di Chiara sono stati più forti della paura. Il destino ha voluto che le sia venuto in soccorso Francesco Gallo, una guida ambientale escursionistica umbra, con due lauree di cui una in teologia e uno spiccato interesse per il cammino, alla ricerca di nuovi itinerari francescani da proporre.
Da questo inaspettato incontro è nata la collaborazione tra Monica e Francesco che si sono subito messi a lavorare a quattro mani e a quattro piedi.
Il Cammino di Chiara, proposto con il libro, si snoda per circa 24 km intorno ad Assisi sulle strade che la giovane santa avrebbe percorso prima di giungere a San Damiano: dalla fuga dalla casa paterna alla Porziuncola; da lì al monastero benedettino di San Paolo delle Abbadesse, a Bastia Umbra; poi fino alla chiesetta di Sant’Angelo in Panzo, alle pendici del Monte Subasio, per giungere infine a San Damiano dove Chiara sceglierà di restarvi in clausura per più di 40 anni. A chi macina chilometri e colleziona credenziali questo cammino apparirà infinitesimale e senza interesse ma se proviamo a chiedere ai pellegrini che fino ad oggi hanno percorso il cammino proposto, ci rendiamo conto che non si tratta solo di cammino fisico, c’è dell’altro. Niente di che, piccole cose: sensazioni, emozioni, pensieri, piccoli cambiamenti forse impercettibili o forse ben chiari, conferme di decisioni prese o di scelte fatte….tutto da sperimentare.
Così, passo dopo passo, il Cammino di Chiara arriva anche a Torino, al Museo Diocesano per la precisione, sabato 27 maggio, alle 16h30.
Pellegrini e non, curiosi o appassionati di francescanesimo, femministe e famiglie, tutti possono avere l’opportunità di conoscere, dalla viva voce dei pellegrini/autori, questo cammino e saperne di più sulla figura di Chiara d’Assisi che è stata la prima donna nella storia della Chiesa a scrivere una Regola per le donne, oltre al Testamento, quattro Lettere ad Agnese di Praga, una lettera ad Ermenntrude di Bruges e la Benedizione.
Piccolo particolare in linea con la povertà evangelica per cui Chiara ha così tanto lottato; Monica e Francesco devolvono i diritti d’autore della vendita dei libri alle Sorelle Clarisse del Monastero di Cortona.
Ingresso libero. Per info: tel 339.6424357, mail: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.; ilcamminodichiara@yahoo.it; www.ilcamminodichiara.altervista.org
Mussolini e il caso Sacco- Vanzetti è senza alcun dubbio un libro prezioso, perché ci consente di acquisire una più ampia conoscenza della complessa vicenda dei due anarchici italiani stoltamente quanto crudelmente trucidati, quasi un secolo fa, tramite una delle più disumane invenzioni della morte di Stato. Lorenzo Tibaldo, che già in più occasioni si è dedicato alla tragica e appassionante vicenda, alla luce della documentazione consultata presso l’Archivio Storico Diplomatico di Roma eavvalendosi anche di un ottimo saggio dello storico americano Philip V. Cannistraro, riesce a ricostruire con illuminante efficacia il quadro politico entro cui collocare la controversa questione storiografica relativa al comportamento e alle scelte di Benito Mussolini. Le sue strategie oscillanti e spesso contraddittorie vengono infatti rese decodificabili da uno attento studio della sua personalità, della sua formazione culturale e politica, del suo travagliato percorso biografico, delle sue mutevoli e contrastanti istanze ideologiche, delle altrettanto cangianti operazioni tattiche. In questo modo, diventa possibile rispondere, in modo non superficiale e sbrigativo, a questi (e altri) interrogativi:
Quali furono le ragioni per cui Mussolini intervenne a favore di Sacco e Vanzetti dal momento della sua salita al potere alla morte dei due anarchici?
Fu per le sue radici anarco-socialiste?
O per la pressione a salvarli in quanto italiani?
Oppure per l’opportunità politica e propagandistica del regime fascista?
Quanto fu forte, convinto e sincero il suo impegno?
E ancora: come si mosse rispetto all’“amico” americano?
Il lavoro è inoltre arricchito dalla riproduzione, in Appendice, di un interessantissimo opuscolo dal titolo Le ragioni d’una congiura, curato dal SACCO-VANZETTI DEFENSE COMMITTEE (conservato presso il “Fondo Cavallini”, Biblioteca Comunale “Fabrizio Trisi”, Lugo-RA), nonché dalla riproduzione di documenti finora inediti o assai poco noti, fra cui lettere e telegrammi a firma del dittatore e una toccante lettera di Luisa Vanzetti, sorella di Bartolomeo.
Indice testuale
Mussolini, il caso Sacco-Vanzetti e gli anarchici: il contesto americano
di Philip V. Cannistraro
Il caso Sacco-Vanzetti e le inquietudini di Mussolini
di Lorenzo Tibaldo
1.Mussolini e l’“amico” americano
2.Inizia il caso Sacco-Vanzetti
3.Il fascismo e l’opposizione antifascista in America
4.Mussolini e l’anarchia
5.Mussolini e il caso Sacco-Vanzetti
Appendice
Regia Ambasciata d’Italia
Ministero degli Affari Esteri. Relazione a S.E. il Ministro
Le ragioni di una congiura di Sacco e Vanzetti
Biografia degli autori
Philip V. Cannistraro,
storico americano, è stato docente di Studi italiani al Queens College e alla City University di New York, nonché massima autorità nel mondo accademico statunitense riguardo agli studi sul fascismo. Tra le sue molte pubblicazioni, ricordiamo La fabbrica del consenso (Laterza, 1975).
Lorenzo Tibaldo,
professore di lettere, filosofia e storia, e studioso del Novecento. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: La religione non è una fiaba (Kosmos, 1995), Leggere, scrivere e far di conto (Alzani, 1999), Una società giusta (Alzani, 2002), Democrazia e solidarietà (Centro Studi Piemontesi, 2003), Gli italiani (non) son tutti fatti così. Le speranze deluse nella storia d’Italia (Petite Plaisance, 2017), e per i tipi Claudiana: Sotto un cielo stellato. Vita e morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti (2008), Il viandante della libertà. Jacopo lombardini (1892-1945) (2011), La Rosa Bianca. Giovani contro Hitler (2014), Willy Jervis (1901-1944). Una vita per la libertà (2015).
Editore: Claudiana
www.claudiana.it
Da un tragico incidente tante altre storie si intrecciano tra loro e ne esce un romanzo carico di emozioni che porta il lettore a confrontarsi con la vita e la morte.
Daniela Ippoliti inizia il suo percorso letterario con un romanzo intenso e davvero profondo per le tematiche che affronta. “Il giardino di Mattia” edito da Bibliotheka Edizioni parte da un avvenimento doloroso: un giovane ragazzo muore in un incidente stradale e gli amici rimangono sconvolti. Purtroppo è un fatto che accade di frequente sulle strade e che coinvolge molti ragazzi. La scrittura dell’autrice però non si ferma all’aspetto tragico con la scomparsa del protagonista, ma cerca di trovare un senso che porti ad una sorta di positività che si rinnova in altre cose. Così in un giardino, luogo dell’impatto, prendono forma incontri e storie che parlano di speranza, di nuova luce. La vita e la morte vengono messe a confronto con uno stile semplice, adatto alle corde di chi vuole cercare di capire meglio cosa significa esistere in quel transito che è l’esperienza terrena. La Ippoliti ci conduce in un viaggio di costante riflessione, dove il pensiero diventa strumento indispensabile per scendere nelle fragilità umane prendendo consapevolezza di quanto sia complessa e misteriosa l’esistenza.
Daniela Ippoliti, che cosa rappresenta per lei la scrittura?
“La scrittura per me è il metodo più naturale ed istintivo per esprimere emozioni. Quando leggo mi immergo nella lettura e, soprattutto se ciò che leggo mi piace molto, non mi sento mai sola. Scrivere è ancora più rilassante, divertente e coinvolgente di leggere. Si può scoprire molto della personalità di un individuo in base a quello che scrive, anche solo fosse il verbale di una riunione di condominio!”
Come è nata l’idea del romanzo ‘Il giardino di Mattia’?
“L’idea è nata dopo un incidente in cui è rimasto coinvolto un giovane ragazzo con il suo scooter. Il tragico fatto è avvenuto vicino casa mia. Ogni giorno passavo accanto al giardinetto…e da lì è partito tutto”.
La vita e la morte, lei come le considera?
“Considero la vita come un viaggio per il quale ci hanno regalato il biglietto di andata e di ritorno. Quello che succederà durante il viaggio, chi saranno gli altri viaggiatori lo vedremo strada facendo e se è vero che molte delle cose che ci capiteranno dipenderà dalle nostre scelte, le tappe del tour non dipendono solo da noi. Alla fine del viaggio si torna a casa, quella da cui proveniamo, dove rincontreremo chi ci ha preceduto e potremo stare di nuovo insieme. Questa è la morte”.
Oriana Fallaci scrisse: “La vita è un arcobaleno inesauribile di colori, un concerto interminabile di rumori, un caos fantasmagorico di voci e di volti”. Perché ha scelto questa citazione?
“Ho scelto questa frase primo perché adoro la Fallaci, di cui ho letto praticamente tutto o quasi, e poi perché riassume in poche parole ciò che penso dell’esistenza, ossia che la storia di ciascuno di noi
Daniela Ippoliti |
è legata a quella di tanti altri ‘viaggiatori’.
Da un tragico evento parte l’intreccio narrativo che si apre ad una serie di storie. Come è riuscita a strutturare e a sviluppare la trama?
“Ho immaginato la trama del libro come fosse un grande disegno in cui al centro c’era la morte di Mattia e tutto intorno tanti altri individui la cui vita, in un modo o nell’altro, veniva influenzata dall’incidente del ragazzo”.
E’ stato facile trovare l’incipit per questa sua prima esperienza editoriale?
“Credo che chi scrive lo faccia per essere letto da qualcuno, a meno che non si scriva un diario personale, specialmente se si crede in quello che stiamo scrivendo. Per questo, una volta terminato il lavoro, e dopo aver ascoltato il parere di parenti ed amici che lo hanno letto, ho cercato una casa editrice che lo pubblicasse. E alla fine sono approdata a Bibliotheka Edizioni.
Perché un lettore dovrebbe acquistare il suo romanzo? Secondo lei, cosa lo rende interessante rispetto ai titoli che ci sono in libreria?
“Penso sia una lettura piacevole, scorrevole e che in modo semplice e diretto dice che l’aiuto che ci serve può arrivare da ogni direzione, anche la più impensabile.”
Qual è il primo romanzo che ricorda di aver letto?
“E’ stato ‘Piccole donne’ di Luisa May Alcott. Avevo 6 anni”.
L’autrice
Daniela Ippoliti è nata a Roma nel 1964, dove vive attualmente insieme a suo figlio. Laureata in medicina e chirurgia presso l'Università di Roma La Sapienza e specializzata in dermatologia, lavora da molti anni presso un famoso istituto dermatologico della capitale. “Il giardino di Mattia” è il suo primo romanzo.
Il giardino di Mattia
di Daniela Ippoliti, Bibliotheka Edizioni
pagg. 160, 11 euro
Michela Zanarella
Mercoledi 03 maggio scorso si è svolta a Roma la presentazione del testo Anima Persa Anima ritrovata, periegesi all’interno dei giardini vaticani di Anna Bruno, edito dalla Palombi editori.. Sono intervenuti la dott.sa Maria Serlupi Crescenzi, responsabile della didattica ai Musei Vaticani e padre Guido Innocenzo Gargano, professore della Pontificia università Urbaniana e Pontificio Istituto Biblico.
Nel testo, l’autrice prende per mano il lettore trascinandolo in un percorso viatico, in un itinerum in mentis deum, all’interno di un giardino di tanti giardini, di gusto eclettico: i giardini vaticani appunto. E allora autrice e lettore si immergono amorevolmente amorevolmente nella storia e nella simbologia di questo verde e immaginifico luogo concluso vaticano, usando ogni fonte possibile: dalla letteratura, alla memoria dei sensi, dalla poesia ai versetti biblici e coranici, dall’ arte antica a quella contemporanea, invitando il lettore-visitatore-cercatore di profumi nonché pellegrino in una sorta di “convivialità delle differenze”, per usare le parole tanto famose di don Tonino Bello.
“Un racconto come una visione in cui tutto scorre gustosamente davanti agli occhi in uno scenario di grande suggestione” racconta Mons. Luigi Renzo nella sua presentazione e continua “(…) ed è come essere presi per mano e condotti in ogni angolo, anche il più segreto, di questi giardini che, nell'immaginario collettivo, restano un sogno e un arcano di bellezza inarrivabile. Invece lei con la semplicità del racconto, ce li rende avvincenti facendoci penetrare in ogni anfratto, come in un gioco di realtà e di fantasia.” E a mano a mano il giardino le porge la vita.
Il percorso trifasico, di dantesca memoria, approfitta di un giardino eclettico e, superato il frammento di muro di Berlino, offerto a papa Giovanni Paolo II nel 1989, attraversa il boschetto all’inglese, simbolo del mistero e perciò della perdita dell’anima. “Ma la perdita non è vuoto, non è assenza” assicura la “novella Beatrice dantesca”, la perdita è rinascita. Ed è proprio nel boschetto che gli incontri si fanno tappe necessarie al passaggio dal materiale allo spirituale e in aiuto a lei e al suo lettore, accorrono imperatori e dèi di pietra, animali veri e scolpiti, piante, fiori, fontane e papi protagonisti di questi giardini delle meraviglie. Ma soprattutto, accorrono protagoniste le piante e con esse i giardinieri del papa, che compaiono ora come precettore, ora come poeta, ora come esperto della potatura o della fioritura liturgica, o ancora come ortolano.
Tra un giardino e l’altro le soglie si trasformano in passaggi definitivi per nuovi ambiti del proprio sé. “L’autrice, a cui non sfuggono vibrazioni e sfumature, l’autrice è tutt’intesa a cogliere i significati profondi, quelli in cui i popoli, nella loro infanzia, hanno tradotto il bisogno del divino attraverso simboli, metafore, favole, istituendo con essi la religione.” E il giardino si propone dunque come nutrimento dell’anima, dell’autrice quanto del suo lettore che, di volta in volta, accumulano e assimilano e a mano a mano che risalgono il giardino, essa scende fino al punto più profondo del proprio sé. E parallelamente i giardini dei papi si rivestono di colori e essenze, ecletticamente così come li avevano progettato i suoi ultimi ideatori: Pio XI (1922-1939), il papa dei Patti Lateranensi (11 febbraio 1929) e il suo architetto Giuseppe Momo. Ma in chiave contemporanea rivisitati dall’autrice, guida vaticana dal 2006 e da Luciano Cecchetti fino al 2014 responsabile e giardiniere lui stesso dei Giardini Vaticani e delle ville Pontificie. Come è giusto che sia, perché la creatività e la fantasia continuino il loro corso!
La seconda soglia è la soglia della salvezza, la ripresa dopo la perdita, e consente all’autrice e al suo lettore di entrare nel giardino alla francese i cui viali confluiscono fino alla copia della grotta di Lourde, punto focale del giardino. Qui il giardino risveglia l’anima alla gioia e alla vigoria, rivestendosi nell’immaginazione della stessa autrice (e del suo precettore), come fosse tela nuda di forme, linee e colori prima di entrare nella terza e lunga tappa del giardino all’italiana, dove l’autrice si intrattiene con gli stili che si susseguono, dal tardo rinascimentale a quello settecentesco, dai non più esistenti giardini di Paolo III Farnese (1468 – Roma 1549) e Clemente VIII (1592-1605) a quello di papa Borghese, Paolo V, con le sue imponenti fontane, via via fino al giardino del cimitero teutonico e a quello giapponese in fieri.
Il percorso infine discende dal cortile della Pigna e, passando per quello del Belvedere, si ferma a piazza S. Pietro. Qui l’autrice e il suo lettore trovano il loro punto aureo, per tornare tra la folla, dopo aver congedato quanti l’avevano accompagnata. Le due anime, dunque, quella sua e del suo lettore, sono pronte a tornare nel limite che la vita sempre propone e con esso il suo superamento.
Titolo: Anima Persa, Anima Ritrovata
Sottotitolo: periegesi all’interno dei giardini vaticani
Progetto: l’arte pittorico-simbolica del giardino
Autore: Anna Bruno, sito www.periegeta.it
Erika Maderna, laureata in Etruscologia e Archeologia Italica presso l'Università degli Studi di Pavia, scrive articoli, traduzioni e saggi di cultura e archeologia classica.
Ho conosciuto Erika Maderna attraverso uno dei suoi libri “Medichesse”, un libro che è andato a colmare una lacuna bibliografica: sono rari i testi che ripercorrono la medicina al femminile perché, tranne rare eccezioni, le guaritrici sono rimaste nell'ombra, essendo spesso donne del popolo, eredi di un sapere antico.
Medichesse è il terzo libro dell'autrice, preceduto da “Antichi segreti di bellezza” (Aldo Sara Editore, 2005); e da “Aromi sacri Fragranze profane: simboli, mitologie e passioni profumatorie nel mondo antico” (Aboca, 2009).
Se il primo libro indaga la cosmesi antica, nel secondo il protagonista è il profumo: gli aromi sono strettamente legati sia all'esperienza religiosa che a quella profana, le essenze oscillano tra erotismo e magia, connettendo l'uomo alla sua parte più emotiva. Attraverso aneddoti, curiosità e mitologie l'autrice offre al pubblico un libro prezioso e di scorrevole lettura su un tema sempre intrigante.
Le protagoniste del quarto libro, “Le mani degli Dèi” (Aboca, 2016) sono le piante officinali raccontate nel loro aspetto mitologico e simbolico.
Il melo delle Esperidi, la viola di Attis, l'anemone di Adone, l'erba Moly di Circe, il giglio di Era, il mirto di Afrodite, la menta di Mintha e molte altre creature vegetali sono qui raccontate con eleganza e
ERIKA MADERNA |
passione, restituendo a queste piante ed alberi, conosciute per la loro valenza fitoterapica, una dimensione narrativa. Erbe connesse alla Grande Madre antica, erbe capaci di guarire ma anche di uccidere, mitologie vegetali che l'autrice offre al lettore anche attraverso gli articoli scritti e pubblicati per il Wall Street International.
“Medichesse” declina il verbo “curare” al femminile ripercorrendo la storia della medicina dalle civiltà matrifocali fino a Isabella Cortese. Secondo te quale è stata la difficoltà più grande che le medichesse antiche hanno dovuto affrontare per ricevere la giusta considerazione?
Elencare le difficoltà affrontate dalle donne nella pratica della medicina ci riporterebbe a un’aneddotica curiosa e ricca di esempi. Ci sono state donne costrette a vestire abiti maschili per poter praticare la professione; altre che hanno sfidato divieti pericolosissimi, e hanno rischiato il rogo pur di non tradire la propria missione; altre ancora che hanno scelto la protezione del monastero per potersi dedicare in sicurezza alla ricerca e alla cura. Può sembrare strano, ma le epoche più antiche hanno mostrato maggiore apertura e tolleranza verso le medichesse; dopo il Mille, la misoginia e la paura atavica della magia diabolica delle streghe determinarono la brusca rottura di un già fragile equilibrio, e l’esclusione delle donne dalla pratica professionale divenne una battaglia ideologica perseguita con crudele caparbietà dalla medicina ufficiale.
Secondo te, oggi, è stata ottenuta la giusta considerazione delle donne curatrici o pensi che la figura maschile del medico adombri ancora quella femminile?
Negli ultimi decenni le presenze femminili all’interno delle facoltà di Medicina sono aumentate esponenzialmente, anche se alcune specializzazioni rimangono, più di altre, resistenti al cambiamento. Credo che le donne, dopo aver compiuto un lungo e faticoso percorso con la determinazione che le caratterizza, si stiano riappropriando finalmente del pieno riconoscimento del loro ruolo professionale. Certo, ora non sono più medichesse, sono donne medico; hanno colmato quel gap che nella parte più antica della storia ha differenziato fortemente il sapere maschile da quello femminile. Eppure, forse ancora portano traccia dell’antica vocazione di sacerdotesse...
Maghe pharmakìdes erano Elena, Circe, Medea... le herbarie medievali condannate come streghe curavano anche attraverso l'aspetto “simbolico” e vibrazionale delle piante: cosa ha perso la medicina sradicando la magia dai medicamenti?
Il mito e le fonti antiche ci riportano esempi straordinari di erbe o farmaci mistici o spirituali, spesso legati alle conoscenze mediche delle donne e alla sfera della cura dei mali della psiche. Questi esempi descrivono la funzione della malattia nel suo aspetto allegorico, ridotta alla semplicità del simbolo, e allo stesso tempo la ricerca, nelle piante curative (dette anche “semplici”), della purezza di ciò che ora la scienza chiama principio attivo, ma che allora era considerato forza divina. Ancora oggi questo aspetto è esplorato con grande interesse dall’approccio psicosomatico della medicina, che in realtà ripercorre intuizioni che vengono da molto lontano.
Le piante e la sfera del sacro erano indissolubilmente legate: i primi santuari furono le foreste, templi vegetali a tutti gli effetti; pensi che questo rapporto con il sacro “vegetale” sia andato del tutto perduto? Quale momento storico, secondo te, ha segnato la fine della sacralità vegetale?
Il senso del sacro legato alla percezione della natura era più forte quando l’umanità non comprendeva le leggi dell’universo, le temeva e le rispettava per non incorrere nella punizione divina. Abbattere una pianta significava violare lo spirito che vi dimorava e il timore della vendetta tratteneva la mano dell’uomo. Molti popoli, inoltre, erano convinti che la stirpe umana discendesse dagli alberi, e li onoravano come antenati. Con l’avanzare della civiltà del logos e della scienza, la devozione si è trasformata in volontà di dominio, certezza di superiorità, logiche che oggi sembrano prevalere nel nostro “uso” spregiudicato delle risorse naturali.
Nei tuoi tre libri compaiono spesso ricette di cosmesi femminile. Quale rituale antico è maggiormente connesso alla cosmesi?
La cosmesi è parte viva dell’approccio femminile alla salute, e lo dimostra il fatto che le ricette di bellezza tramandate dalle donne alle donne compaiono in tutti i trattati medici antichi scritti da mani femminili. Non si tratta di indulgere in frivolezze e vanità, bensì del lascito di una filosofia del benessere che non considera medicina soltanto ciò che è utile a curare il morbo, ma amplia la visuale alla cura di sé, alle pratiche igieniche, alla ricerca della bellezza come strumento di soddisfazione. Ogni epoca ha avuto le sue mode cosmetiche. Nelle culture mediterranee antiche, e poi in quelle classiche, la profumazione del corpo costituiva sicuramente il rituale più importante, e a questo interesse dobbiamo l’elaborazione di una tecnologica avanzata della produzione degli unguenti aromatici. La valenza della profumazione rispondeva a molteplici necessità: in origine l’olio aromatico aveva una funzione deodorante, emolliente, ma anche protettiva dell’epidermide, e solo col tempo prevalse quella cosmetica. In epoca rinascimentale, il paradigma della bellezza si spostò verso un ideale estetico femminile di candore e purezza; il “far bianco” divenne la pietra filosofale dell’alchimia cosmetica, e si moltiplicarono le ricette utili a illuminare l’incarnato del volto, a sbiancare le mani e i denti, a schiarire i capelli.
In “Aromi sacri Fragranze profane” e in “Le mani degli Dei” le protagoniste sono le piante (e gli alberi): quale rapporto ti lega al regno vegetale?
Il profumo ha costituito la prima forma di comunicazione tra l’uomo e la divinità; un linguaggio etereo e ineffabile quanto il destinatario del messaggio. Il mondo vegetale nasconde simboli profondissimi e scoprirli significa raggiungere le radici più antiche della religiosità. Sono proprio questi aspetti simbolici ad avermi affascinata, tanto da spingermi a procedere per successivi approfondimenti. In un mito vegetale possiamo rintracciare livelli di lettura interessantissimi: non solo la leggerezza dell’invenzione narrativa, ma informazioni botaniche e intrecci impensati tra archetipi sacri, vis terapeutica della pianta, natura umana. E la natura ha sempre qualcosa da suggerirci, se sappiamo scavare fra i significati.
Quale personaggio della mitologia antica senti più vicino a te? Quale medichessa?
Mi affascinano tutte le grandi figure dell’immaginario, per la loro capacità di evocare gli archetipi più profondi: Circe, Medea, che hai già citato, e in generale le grandi maghe conoscitrici di farmaci, splendide e terribili al contempo, che sono state il prototipo e il fondamento iconico dell’herbaria e della strega. Tra le medichesse della storia, invece, non posso non nutrire una profonda ammirazione per la figura di Ildegarda di Bingen, che dedicò parte della sua attività intellettuale all’approfondimento di una filosofia medica di grande impatto filosofico. A Ildegarda interessa l’uomo nella sua complessità e completezza di corpo, psiche e spirito, e da questo approccio olistico si sviluppa la necessità di ricercare nell’armonia fra queste componenti la chiave per il benessere. Ma la grande novità della medicina ildegardiana è l’interesse per la salute femminile, che la santa ha indagato con profondità di riflessione: la donna deve onorare e conoscere la propria femminilità se vuole essere felice, e deve avere un rapporto soddisfacente con il proprio partner se vuole prevenire i disturbi tipici dell’apparato ginecologico. Un personaggio così sfaccettato è difficile da riassumere in pochi tratti, ma mi piace quella definizione di “Sibilla del Reno” che fa di questa grande santa visionaria un anello di congiunzione tra la pratica sciamanica delle sacerdotesse pagane, l’approccio empirico tipico della tradizione medica femminile e la nuova indagine filosofica sulla salute.
Su quale ricerca ti stai concentrando in questo momento?
Sono tornata a studiare la storia della medicina femminile, questa volta dedicando un approfondimento alla cosiddetta “medicina delle streghe”. Moltissime delle donne bruciate sui roghi dell’Inquisizione, dal medioevo fino alle soglie del Settecento, erano curatrici empiriche, che praticavano i loro saperi nelle campagne attingendo a una tradizione ricchissima di medicina magica che si è tramandata rimanendo per secoli quasi immutata per modalità e contenuti. E’ importante riportare all’attenzione questi risvolti distruttivi del nostro passato, cercando di illuminare la prospettiva delle vittime, su fatti che sono stati raccontati solo dai documenti dei carnefici; è un tributo necessario al sacrificio assurdo di donne che hanno subito torture e atroci sofferenze senza comprendere quale fosse la propria colpa.
Per approfondire:
Erika Maderna presenterà il libro “Medichesse: la vocazione femminile alla cura” Domenica 26 marzo alle ore 17 presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma, via della Lungara 19.
A seguire ci sarà lo spettacolo “Herbarie: le chiamavano streghe” a cura del progetto Anemofilia Teatro.