L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

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Lorena Isabellon
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May 22, 2016

L'autrice di Medichesse torna a stupire con un saggio di profonda cultura ed eleganza sulla mitologia delle piante medicamentose.
“Tutto è pieno di Dei”, affermava Talete: nelle religioni antiche il senso del sacro permeava il vivente e si esprimeva attraverso riti, preghiere, racconti mitologici.
Gli uomini manifestavano profonda gratitudine verso quelle piante o alberi che svolgevano un'azione curativa, e la pracatio omnium herbarum, preghiera che veniva recitata prima della raccolta delle piante officinali, ne è una testimonianza.
L'azione farmacologica della pianta era legata non solo alle sostanze in essa contenute ma anche al rito della raccolta che prevedeva purificazione, attenzione alla posizione del sole, invocazione, incantesimo rivolto al Dio al quale essa era consacrata.
Trasferire il principio curativo dalla pianta all'uomo assume il senso di gesto sacro, rivelatore del legame amoroso tra natura e creatura.

Le piante e la sfera del sacro erano indissolubilmente legate: i primi santuari furono le foreste, templi vegetali a tutti gli effetti; il timo porta, nella sua etimologia, il significato delle fumigazioni sugli altari. Gli Alberi sacri abitano le mitologie antiche con topoi simili: nei poemi mesopotamici l'albero Khuluppu è disturbato da un'aquila e da un serpente, proprio come accade al frassino Yggdrasill della tradizione nordica, due animali che esprimono forze opposte ma complementari; anche l'albero del giardino delle Esperidi è sorvegliato dal serpente, così come quello della conoscenza del giusto e dello sbagliato che troviamo nella Genesi.
Nella mitologia greca non assistiamo ad una metamorfosi effettiva di Dei in creature vegetali, sono piuttosto le ninfe ad essere mutate in alberi o piante.
La ninfa rappresenta la memoria di un'età più vicina allo stato di natura, dove il femminile era il paradigma delle forme vegetali: nel mito greco incarna un ideale femminile di vita libera e selvaggia , condotta nei boschi in armonia con i cicli naturali.

Dalle lacrime e dal sangue, fluidi di vita e di morte, nascono piante significative, come la viola di Attis o l'anemone di Adone.
Dee legate alle piante curative erano Era e Afrodite, che rappresentano le polarità dell'amore in costante tensione: ne è testimonianza la storia del giglio, nato dal latte di Era, ma modificato da Afrodite con l'aggiunta di un pistillo malizioso. Dee legate alle piante officinali erano anche Artemide, Kore e Demetra. Nella storia della ninfa Mintha, (amante di Ade trasformata nella pianta di menta da Demetra), risulta evidente la correlazione tra la storia narrata e il suo aspetto fitoterapico: la “freschezza” dell'amore libero entra in contrasto con la castità matrimoniale di Demetra/Kore.
Dee pharmakides legate al Sole sono Calipso, Circe e Medea (quest'ultima accoglie nel nome il verbo mèdomai che significa “io curo”).
Maga pharmakides è anche Elena di Troia, che viene chiamata in alcune fonti “dendrite” ovvero “arborea”, è lei che maneggia erbe consolatrici che dissolvono il dolore.
In Afrodite, Era, Demetra, Kore, Artemide, come anche in Dafne, Medea, Circe riecheggiano le antiche Dee Madri preindoeuropee, dee della vita, ma anche dee della morte.

Il libro di Erika Maderna, arricchito da immagini di antichi erbari e da quadri della pittura moderna è un'opera necessaria per restituire alle piante la loro dimensione narrativa. Vedere la pianta solo come un insieme di principi attivi è come vederla con un occhio solo, quello che la lega alla sfera dell'utile. Apriamo dunque anche l'altro occhio, perché Gustare la bellezza di un racconto può essere una prima forma di avvicinamento; aprire lo scrigno che ne contiene i segreti equivarrà ad affacciarsi alla soglia del mistero. Forse, se riusciremo a sciogliere qualche enigma, ma anche a recuperare un po' di quell'antico sguardo innocente, torneremo a cercare nella natura l'ispirazione per un nuovo modello di vita, più sensibile ai valori spirituali. Potremo allora credere che abbattere una foresta equivalga a violare le ninfe che vi dimorano.

 

Erika Maderna
Le mani degli Dèi
Mitologie e simboli delle piante officinali nel mito greco
Aboca 2016

May 09, 2016

Mentre tutto sta cambiando, con la riforma e l'accorpamento delle soprintendenze, nella prospettiva di una maggiore interazione, nel timore che, gattopardescamente, nulla cambierà e nella speranza che non cambi ciò che di buono c'era, è stato pubblicato per i tipi dell'Electa, il volume dedicato ad Amatrice, comune laziale della provincia di Rieti.
La soprintendenza dei Beni Storico, Artistici ed Etnoantropologici del Lazio aveva avviato e attivato un programma di valorizzazione, promozione e tutela del territorio di sua competenza, nell'ottica anche del decentramento del turismo gravitante su Roma e, specificatamente, su pochi siti bersagliati.
Le autrici, Anna Imponente Soprintendente alle Belle Arti e Paesaggio delle Marche (ma in precedenza del Lazio) e Rossana Torlontano dell’Università di Chieti, specificano che, Amatrice, forme e immagini del territorio, vuole rappresentare un «discorso coordinato a più voci e competenze specialistiche, tra soprintendenza e altri studiosi». La bellezza naturale e la situazione geografica hanno attirato l’attenzione sul luogo, che, l’intervento dell’uomo, ha assecondato e arricchito.
Questo discorso a più voci, tiene e rende conto delle culture e delle influenze che si sono incontrate nel territorio, crocevia di più regioni. Si dipana in modo cronologico, dal medioevo con la scultura dei portali di Sant’Agostino e di San Francesco, si passa alla pittura tra Trecento e Quattrocento. Nel XV secolo le oreficerie di Pietro Vannini, gettano luce sulla suppellettile liturgica, troppo spesso sottovalutata e sconosciuta. Mentre la pittura ha il suo campione in Pierpalma da Fermo nella chiesa della Filetta. Il XVI secolo vede gli esordi di Cola dell’Amatrice, la sua formazione è stata influenzata da grandi pittori precedenti e contemporanei come Antoniazzo Romano, Melozzo da Forlì, Perugino, ma anche meno conosciuti, ma non per questo meno importanti, come Saturnino Gatti. Un altro dei capitoli del Rinascimento è dedicato alla pittura, con Dionisio Cappelli e il Maestro della Madonna della Misericordia. Sempre il XVI secolo è protagonista di un capitolo che rende conto dell’incontro tra linguaggi artistici diversi nel territorio di Amatrice, nei borghi satellite come Varoni e Preta. Anche l’epoca barocca ha lasciato delle testimonianze. Ma forse la sorpresa più grande è quella che riservano il Novecento e la committenza religiosa in particolare. Dopo la Grande Guerra i problemi sociali del Mezzogiorno d’Italia si fanno ancora più pressanti, in risposta, il sacerdote Giovanni Minozzi, originario di Preta, paesino vicino ad Amatrice, e il barnabita Giovanni Semeria, fondano l’Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia. Alla realizzazione e decorazione degli istituti di assistenza collaborarono gli artisti dell’epoca, come testimoniano la chiesa di Santa Maria dell’Assunta e la fontana delle Pecore ad Amatrice. Nella chiesa, Ferruccio Ferrazzi ha dipinto La Resurrezione nel 1956. Negli stessi anni Venanzo Crocetti, che stava già lavorando alla Porta dei Sacramenti della Basilica di San Pietro a Roma, realizzava sei formelle a bassorilievo.
L’ultimo capitolo è dedicato all’etnografia: tra le curiosità, il Libro dei secreti, che svelava soluzioni e rimedi a svariati problemi di ordine quotidiano. Ma forse ancora più accattivante è la sezione dedicata al cibo, dove un paragrafo svela i segreti della pasta all’amatriciana, diffusasi a Roma «almeno dalla fine del XVIII secolo».

Anna Imponente, Rossana Torlontano
Amatrice. Forme e immagini del territorio
Mondadori Electa, Verona 2015, €.50,00

April 17, 2016

Le piante sono intelligenti e dispongono dei 5 sensi (udito, olfatto, vista, tatto, gusto), anzi ne hanno altri 15 in più. Dalle piante dipende la nostre esistenza, eppure l'uomo si rifiuta di riconoscere il ruolo che esse hanno sul pianeta.
Sin dall'antichità ci sono stati uomini che si sono schierati apertamente dalla parte dei vegetali (Democrito, Linneo, Darwin padre e Darwin figlio, Delpino) e chi, invece, le considerava “immobili”, non degne di considerazione, esseri inferiori.

Cinquecento milioni di anni fa le piante scelsero per uno stile di vita stanziale, ricavando dalla luce, dalla terra, dall'aria tutto ciò che a loro occorreva per sopravvivere. Tale scelta ha comportato tutta una serie di modifiche per arrivare alla sopravvivenza, primo tra tutti la struttura modulare, ovvero il comporsi di parti divisibili allo scopo di resistere agli attacchi dei predatori. La pianta è un dividuo, dunque, a differenza dell'animale che è un individuo, ovvero indivisibile nelle sue parti. Nella struttura modulare la pianta non concentra un organo in un punto specifico ma lo dissemina su tutte le parti.

Oltre ai benefici universalmente noti (produzione di ossigeno, mitigazione del clima, aspetto fitoterapico, nutrimento), nuove ricerche coinvolgono le piante sul piano del benessere: la semplice vista di una pianta apporta calma e rilassatezza. I malati che, negli ospedali, hanno una finestra sul verde utilizzano meno analgesici e vengono dimessi in tempi più brevi, i bambini che, a scuola, godono della vista su piante e alberi hanno un miglioramento della capacità di attenzione.

Il terzo capitolo indaga i sensi delle piante, non senza sorprese.
La capacità di vedere è strettamente connessa al fototropismo, ovvero alla crescita in direzione della luce.
La pianta non solo riesce a distinguere la luce dall'ombra ma è anche in grado di riconoscerne la qualità in funzione della lunghezza d'onda dei suoi raggi. I recettori della luce sono concentrati soprattutto nelle foglie, ma si trovano anche nello stelo e nelle radici. Gli alberi caducifoglie vanno in letargo, dormono, per superare l'inverno.
Il senso dell'olfatto lascia davvero sorpresi perchè attraverso gli odori le piante comunicano in un avera e propria lingua vegetale: mandano messaggi di pericolo, di attrazione o repulsione.
La parte deputata al gusto sono le radici che si spostano assaggiando i nutrienti del terreno; un “gusto” a parte è dato dalle piante carnivore, che mangiano insetti nella ricerca di azoto, necessario per la produzione di proteine.

La pianta che “incarna” il senso del tatto è la “mimosa pudica” capace di chiudere in modo repentino le foglie se viene toccata. Alcuni fiori si chiudono sugli insetti impollinatori per “sporcarli” meglio di polline, mentre le piante che hanno i viticci tastano gli ogggetti intorno per scegliere da chi farsi sorreggere.
L'udito è dato dalle vibrazioni della terra , captate da tutte le cellule della pianta grazie a dei canali meccano-sensibili: la musica applicata all'agricoltura delle viti ha prodotto, a Montalcino, risultati sorprendenti: il vino di quelle viti era più ricco di sapore, colore e polifenoli.

Oltre ai 5 sensi che abbiamo in comune, le piante ne hanno sviluppati altri 15.
Il quarto capitolo indaga la comunicazione delle piante, accenniamo al fatto, per esempio, che esse riconoscono i parenti e i batteri che possono essergli amici.

Ogni anno migliaia di specie di cui non sappiamo nulla si estinguono e, con loro si perdono definitivamente chissà quali regali per l'umanità. Forse, essere consapevoli che le piante sentono, comunicano, ricordano, imparano, risolvono problemi, potrà un giorno aiutarci a considerarle più vicine a noi e magari fornirci l'opportunità di studiarle e proteggerle con maggire efficacia.

Le piante meritano diritti, e la discussione su questo punto non è più rimandabile.

STEFANO MANCUSO E ALESSANDRA VIOLA
VERDE BRILLANTE: sensibilità e intelligenza del mondo vegetale
Giunti 2015

April 04, 2016

La prima volta in cui ho sentito parlare di un caso di pedofilia che fece molto scalpore in Albania e indignò l'opinione pubblica, fu nel 2004 in una casa famiglia per bambini orfani e abbandonati. La comunità si chiamava “I Suoi Figli” ed era gestita da una fondazione religiosa di cittadini inglesi, americani, olandesi e belgi.

Gli orrori che raccontarono i bambini quando tre componenti della fondazione, compreso il presidente inglese, furono denunciati da una volontaria olandese del centro, superarono i peggiori incubi che avessi mai avuto nella mia vita. Uno di loro, religioso, prima di abusare dei bambini, leggeva loro la Bibbia. Non riuscivo neanche a leggere fino in fondo le notizie che giravano in rete, che raccontavano testimonianze di bambini abusati e violentati brutalmente.

L'opinione pubblica in Albania rimase scioccata... Nell'Albania maschilista, chiusa per cinquant'anni sotto la dittatura di Hoxha e portatrice nei secoli di una cultura che imponeva regole rigide regolarizzate dal Kanun, un codice medievale, secondo il quale i bambini non si toccano, questo bruttissimo evento, purtroppo, non sarebbe rimasto l'unico.

La società albanese contemporanea deve fare i conti adesso con le problematiche sconosciutissime alla sua cultura secolare tradizionale: la pedofilia, l'incesto, la vendita come una merce qualsiasi di bambini destinati al mercato nero degli organi, la prostituzione minorile, l'adozione illegale. Si sono moltiplicati vertiginosamente i casi dei bambini scomparsi nel nulla. A questo si aggiunge un’altra inaudibile grettezza: si uccidono i bambini nel nome di Kanun e del debito di sangue, disonorando lo stesso codice che condanna fortemente questi orrori.

Io credo che parlare di queste storie, affrontate anche nel mio nuovo romanzo “I bambini non hanno mai colpe”, aiuti la società a prendere coscienza di questi fenomeni loschi che toccano tutti i paesi. Perché le richieste per il mercato nero degli organi, la prostituzione minorile e l'adozione illegale arrivano dai paesi più sviluppati e industrializzati del mondo, Italia compresa, approfittando della povertà della gente nei paesi poveri e in via di sviluppo. È matematico: se non ci fosse richiesta, si annullerebbe l’orribile tratta degli esseri umani. Ecco perché bisogna raccontarle senza tabù, esattamente come sono in realtà: la vergogna dell'umanità.

Il silenzio molte volte uccide.

Ismete Selmanaj Leba

01/04/2016



 Ismete
 Ismete Selmanaj Leba

Ismete Selmanaj è nata a Durazzo, in Albania. Nel 1991 si laurea all'Università di Tirana presso la Facoltà di Ingegneria Edile, ma la passione per la letteratura, che l’ha accompagnata sin da quando era bambina e che le ha fatto vincere medaglie e numerosi premi, non l’ha mai abbandonata. Vive sulla sua pelle la crisi politica albanese: nel 1992, infatti, decide di trasferirsi in Italia, risiedendo da allora in provincia di Messina.

Con Bonfirraro lo scorso anno ha pubblicato il libro di successo Verginità Rapite che segna il suo esordio in lingua italiana, adottato dalla cattedra di “Cultura e Letteratura Albanese” presso l’Università di Palermo. I bambini non hanno mai colpe è il suo secondo romanzo, in cui la fa da padrona l’attualità e la sua piaga più mostruosa, la pedofilia, a cui viene intersecato il Kanun, il codice di comportamento albanese di tradizione medievale che grida perennemente alla vendetta.

March 30, 2016

Il prossimo 27 gennaio esce per i Ricci delle Edizioni Gruppo Abele il nuovo libro di Daniele Poto "Italia diseguale. Poveri e ricchi nel Belpaese"

«L’Italia e un paese ricco abitato da poveri o un paese povero abitato da ricchi?».
La domanda, volutamente provocatoria, percorre il libro di Daniele Poto.
Il 28,4 per cento degli italiani e a rischio povertà e la Sicilia ha la quota più alta in Europa con un ragguardevole 55,3 per cento. I ricchi tengono le posizioni. La classe media s’inabissa, i poveri tradizionali si avvicinano a uno status infimo di pura sopravvivenza. Ma nonostante questi dati preoccupanti (e i molti altri che il libro riporta, nello stile giornalistico che contraddistingue la scrittura dell’autore) i governi sembrano continuare a posticipare la necessità di mettere al primo posto nell’agenda politica la lotta alla povertà.

L’autore, in queste pagine, riporta con lo stile snello e accessibile che contraddistingue la sua scrittura giornalistica, numerosi dati e esempi, mettendo in mostra mancanze e contraddizioni di questo nostro Paese, in cui i pochi ricchi si contrappongono sempre di più ad un numero crescente di poveri, il familismo impera, la corruzione e il potere delle attività criminali sembra non diminuire, la filantropia diventa metodo di arricchimento, in un excursus in grado di fornire una visione generale dell’attuale crisi in atto.
Al più famoso PIL si accosta il FIL (indice di felicità). Nella particolare classifica stilata del World Happiness Report l’Italia è al cinquantesimo posto; dopo di noi, in Europa, solo la Grecia, sconvolta da una crisi economica di dimensioni ben maggiori. Che ne è stato, quindi, del Belpaese?

Sei milioni di poveri: questo è il combinato disposto dei cancri che abitano il Belpaese. Corruzione, evasione fiscale, mafie declinate al plurale. Una tassa fissa di 550 miliardi di euro che impedisce un qualunque avanzamento nelle gerarchie di crescita dell’Unione Europea. Eppure le priorità dei Governi che si sono succeduti al potere nella seconda Repubblica inclinano ad altre distraenti priorità. Daniele Poto ne “l’Italia diseguale” risale alle cause endemiche della povertà, indicando con precisione i fattori di depauperamento della nazione, comprendendo nell’analisi il tiro al bersaglio, soprattutto fiscale, su alcune categorie facilmente colpibili come i pensionati e i lavoratori dipendenti. Il miraggio del rilancio grazie a Expo 2015 o alle velleitaria candidatura per l’Olimpiade del 2024 la dice lunga sulla volontà di sopravvivenza della casta politica che con questi target evoca obiettivi e conquiste che non mutano le difficili condizioni di vita di una larga parte di italiani. Un connazionale su sei oggi rinuncia a curarsi per l’impossibilità di provvedere al pagamento delle spese sanitarie. E nelle graduatorie di corruzione in Europa solo la Bulgaria ci batte. La resistenza all’introduzione del reddito di cittadinanza, la china obbedienza ai diktat europei descrive un paese immobile, sigillato da un apparato burocratico che lascia poche speranze.

L’analisi muove dalla povertà che attanaglia l’intero pianeta ma subito si addentra, come un racconto di avventura, nei meandri delle ragioni politiche e strutturali della crisi dell’Italia: un paese di vecchi e nuovi poveri, sei milioni in totale, con il rigonfiamento di una classe media che si inabissa portando involontariamente a fondo l’economia e che lo Stato colpevolmente non sostiene.
Per arrivare alla meta finale il testo affronta la povertà da molteplici punti di vista, che diventano altrettanti capitoli: la politica drogata dei derivati, l’accanimento sulle pensioni, la politica fiscale, lo “sfogo” della beneficenza, il mancato reddito di dignità o di cittadinanza, l’incidenza della criminalità e della corruzione a livello endemico, il familismo imperante, lo scenario internazionale, l’etero-direzione del Brussels Group e molto altro ancora.

 

L'autore

Daniele Poto, giornalista, scrittore e ricercatore, si occupa di legalità, socialità, sport e gioco d'azzardo. Ha all'attivo diciotto libri che oscillano tra letteratura e saggistica, tra cui Le mafie nel pallone (Edizioni Gruppo Abele, 2010). Impegnato in Libera (Associazioni, nomi e numeri contro le mafie), gira l'Italia cercando, con alterni risultati, di spargere semi di sensibilità civile e culturale.

Per saperene di più:
www.edizionigruppoabele.it
www.facebook.com/EdizioniGruppoAbele
@AbeleEd

March 26, 2016

 Rinascimento: sono gli anni di Leonardo, Botticelli, Michelangelo, gli anni della cultura umanistica. Ma sono anche gli anni nei quali si consuma la strage delle donne, bollate come “streghe”, anni nei quali inizia la dissociazione tra corpo e psiche, tra materia e spirito che dominerà fino ai nostri giorni.

1400 e 1500: è del 1426 il rogo di Matteuccia da Todi, è del 1589 il rogo di Crezia Mariani, e non sarà l'ultima ad essere torturata e bruciata.

Tra le donne accusate c'erano molte curatrici di campagna, unici punti di riferimento medico per molte persone. Perché la Chiesa e lo Stato si sono accaniti così tanto contro di loro? Il libro “Donne senza Rinascimento” è l'unico che indaga questa questione.

Nel medioevo l'attività curativa delle donne si affianca a quella di altri operatori, ed è ancora valutata positivamente, ne sono una testimonianza gli scritti della scuola medica salernitana, tra i quali vengono riportate ricette e preparati proprie della tradizione delle mulieres.

Nel rinascimento senza donne la malattia e il corpo entrano nelle Università, subentra una visione duale: si separa il corpo dalla totalità dell'essere umano, disanimandolo, per farne oggetto di osservazione, insieme alla malattia, anch'essa oggettivata, resa atemporale, da affrontare uniformemente.

La salute è sempre stato un terreno ambito dai poteri forti: la restrizione delle molteplici figure di guaritori e guaritrici (empirici, farmacisti, speziali, litotomi, levatrici, aggiustaossa, rinoplastici, herbari...) è cominciata con le “patenti” , una sorta di licenza con la quale si poteva continuare a lavorare.

Con l'avvento delle università si delinea la figura del medico addottorato (che sa il latino) che si distingue dal pratico empirico.

Nel 1511 lo stato di Milano stabilisce che chiunque voglia medicare debba essere approvato dal Collegio dei Fisici. Ad essere colpite sono le basi dell'autonomia e dell'uguaglianza sociale.

La medicina ufficiale è galenica, si basa sulla teoria degli umori e trova come strumenti di azione soprattutto salassi e purghe, pratiche contro le quali le herbarie e le medichesse si scagliavano, perché il sangue è vita e non va disperso, preferendo rimedi dolci, come i massaggi, le tisane, gli impacchi, senza far mancare l'ascolto attivo.

Le scoperte fisiologiche e i principi dell'umoralismo del tempo reintroducono e riconfermano il topos dell'inferiorità femminile: il corpo femminile è più cagionevole perché formato da elementi meno dinamici e privi di calore che implicano il prevalere, a differenza dell'elemento aereiforme e ligneo dell'uomo, di quello terracque che significa staticità, passività, freddezza, e soprattutto incapacità di procedere oltre l'intuizione.

La donna risulta “interessante” solo come strumento di riproduzione. Il corpo femminile si fa oggetto di conquista, e il primo passo è quello di “eliminare” le sapienti levatrici (pensiamo al Lucia Bertozzi, definita dagli stessi inquisitori “strega eccellentissima”). La ginecologia entra a far parte del settore specialistico controllato dagli uomini, la mollities fisica femminile va sostenuta perché impossibilitata a gestire il proprio corpo.

Nel frattempo la magia si va accostando al demoniaco, portando con sé tutte quelle pratiche di cura che non rientrano nei dettami istituzionali.

I roghi fanno comodo ai physici perché tolgono di mezzo avversarie spesso particolarmente efficienti, come accade nel caso di Crezia Mariani di Lucca, donna che curava con erbe, massaggi, unzioni, ma anche con parole e segni, caso storico che il libro indaga in dettaglio.

Una donna come Crezia, del sottoproletariato contadino, viene facilmente relegata tra gli scarti della storia (..) ma essa può anche servire quale testimonianza ed esemplificazione di una medicina empirica popolare un tempo a protagonismo femminile che ormai si è deteriorata e appare scomoda, anche perché presupponeva l'impossibile: che nel gruppo di riferimento e nel corpo sociale le donne mantenessero spazi in cui veder riconosciuto e rispettato un loro modo autonomo di operare, di fare.

Chiaramonte Enrica, Frezza Giovanna,Tozzi Silvia
Donne senza rinascimento
Eleuthera edizioni, 1991

March 10, 2016


Negli ultimi anni Roberto Fantini, da sempre attivo in Amnesty International, insegnante di filosofia e pittore sottilmente visionario, ha iniziato a pubblicare alcuni libri di piccole dimensioni, molto curati, densi ma leggibilissimi. Ricordo La morte spiegata ai miei figli, Dogliani 2010 e Vivi o morti? Efesto 2015, testi molto diversi tra di loro nonostante il tema comune – il secondo è sui trapianti d’organo, tema che nasconde alcuni aspetti oscuri, di cui mai si parla.

Questa volta Fantini ci invita a leggere uno dei pensatori italiani più rivoluzionari del Novecento, Aldo Capitini, conosciuto da pochissimi, al punto che è difficile reperirne i testi. Capitini (1899-1968) ebbe grande influenza sulla generazione degli intellettuali che hanno vissuto sotto il fascismo, ma avendo mantenuto una grande coerenza di comportamento e per il suo altissimo concetto della politica, rimase fuori da qualsiasi partito. Qualche anno fa fu ricordato nella trasmissione di RAI3 Uomini e profeti, dopo la sua morte sono usciti alcuni testi a lui dedicati, che dghhFantini cita e ai quali attinge, ma rimane un autore da scoprire.

Il contributo di Fantini, come egli stesso spiega nella prefazione, vuole essere appunto quello di avvicinarci a un pensiero vivificato da una vita gandhianamente costruttiva, cioè orientata a valori che ci si sforza di mettere in pratica. Quando Fantini scrive, nella stessa prefazione, dell’aiuto che ci può venire quando ci abbeveriamo alla sorgente capitiniana, parla esplicitamente di una schiavitù intellettuale e morale alla quale siamo vincolati. Con eleganza Fantini evita di fare riferimenti più precisi e conviene seguirlo, anche se si affollano alla mente tanti, ma veramente tanti, riveriti “maîtres à penser” il cui pensiero non ci aiuta per nulla ad affrontare costruttivamente le grandi sfide con cui ci dobbiamo confrontare. Quello di cui abbiamo bisogno non è l’ennesima analisi di ciò che non va e delle presunte ragioni per cui il mondo funziona così male, ma di una visione che ci sollevi e ci indichi una direzione diversa, da percorrere umilmente ma con tenacia e senso di affratellamento. L’idea del nemico ha già fatto abbastanza danni, è una costruzione mentale di chi non vuole vedere la fondamentale unità, se non del Tutto, quanto meno di tutti gli abitanti di questo pianeta, animali inclusi, e piante e perché no, minerali.
Fantini suddivide il libro in capitoli in parte biografici, in parte tematici. L’antifascismo, la religiosità autentica, singolare, profonda, perché aconfessionale, e infine un capitolo sul vegetarianismo di Capitini, espressione di rispetto e intuizione del fatto che una nonviolenza che comincia dai non umani è più vera. Molto utili sono le pagine in cui sinteticamente l’autore ricorda le moltissime fonti occidentali e alcune anche orientali della religiosità di Capitini.
In un testo tutto sommato davvero di dimensioni contenute, Fantini arriva così allo scopo che si era prefisso: invogliarci a leggere Capitini, a cercare e a reclamare i suoi libri quasi irreperibili, a far uscire la sua luce da sotto il moggio, a respirare le sue parole per assorbirle e trasformarci in persone attivamente efficaci nella ricerca di una migliore convivenza con tutti e fra di tutti.


Roberto Fantini. Aldo Capitini. La bellezza della luce.
Roma, Efesto 2015, pp. 104, € 12,90.

February 23, 2016

Quando pensiamo ad una iniziazione ci viene in mente il passaggio dall'adolescenza all'età adulta o l'ingresso in una setta o in un culto misterico. Il percorso iniziatico nel nostro immaginario è connesso all'ingresso di un io (individuo) all'interno di in un noi (collettività).

I confini del mondo sfata questi presupposti parlando di un modo strettamente personale di superare se stessi e di diventare nuovi.

L'iniziazione passa attraverso differenti fasi: allontanamento dal consueto, impreparazione, paura, mascheramento, potenziamento dell'attenzione, morte rituale, rinascita.

Il merito di Sibaldi, come esegeta, è quello di invitare a ri-scoprire l'insegnamento di alcune parti della bibbia e dei vangeli attraverso l'etimologia ebraica, capace di dischiudere riflessioni fuori dal comune e profondamente attuali.

Un libro sull'iniziazione non poteva, quindi, non partire dalla Genesi, da Adamo, o meglio dall'adam, termine ebraico che indica l'umanità, ma anche, sciogliendo i significati delle singole lettere ebraiche: la potenzialità, le braccia del delta di un fiume e lo spazio circoscritto. Adam è la circolazione psichica delimitata, un limite che la psiche stessa non può vedere perché se ne potrà accorgere solo quando il confine sarà superato. L'iniziazione prevede che l'involucro venga infranto, che l'adam incontri l'adamah, l'invisibile.

Dio differenzia due facoltà dell'adam: ys cioè l'apparato razionale e l'isah, la donna, la moglie, che nelle lettere ebraiche assume il significato di capacità di conoscere l'invisibile. È l'isah a guidare l'ys fino all'albero della conoscenza.

In realtà e' all'adam che YHWH vieta la conoscenza non all'ys. Dio rimprovera l'adam, per la disobbedienza, e non l'ys.

Il messaggio iniziatico si ritrova anche nelle fiabe classiche.

L'autore ci accompagna nella ri-scoperta di Aladino, dove l'isah è rappresentata dal Genio, e l'allontanamento dal consueto passa attraverso l'atto dell'accorgersi. È l'accorgersi che interrompe il dialogo interiore e tutta la realtà che esso permetteva di vedere, e che diventa poca.

Cappuccetto rosso indossa l'adam in testa, nel cappuccio, e lo abbandona lasciando la casa della madre, ma anche passando attraverso la maschera della nonna-lupo e la morte rituale all'interno del felino.

L'iniziato saprà allora che la nonna non è e non è mai stata soltanto la nonna, bensì una sacerdotessa che ha voluto presentarsi come nonna prima e come Lupo poi; e scoprirà ben presto che il Cacciatore è quel che lui stesso ha imparato a diventare, nel buio del ventre del Lupo.

L'iniziazione di Cenerentola presuppone l'abbandono del focolare e del grembiule.

Cenerentola, cenere, il rischio del rogo. È una che conosce i segreti: è una strega.

La nostra capacità di conoscere le cose invisibili poggia un piede nel mondo noto, l'altro piede è scalzo, perché cammina in un'altra dimensione.

La bara di Biancaneve è anche la bolla/specchio dalla quale aveva guardato il mondo finora; la sua iniziazione è favorita dai sacerdoti-nani.

Pinocchio è una favola cabalistica iniziatica piena di simboli e “botole” semantiche da aprire, a partire dal suo principio ”C'era una volta un pezzo di legno” (tz ebraico è il legno ma anche l'albero-crescita).

Amleto, il Conte di Montecristo, Jekyll e Hyde sono le altre storie che l'autore indaga e svela da un punto di vista iniziatico, tornando poi indietro nel tempo al mito egizio di Thot-Hermes.

Un libro che si pone come coraggioso esempio di revisione e riscoperta di nuovi inaspettati significati all'interno del conosciuto, per aprire la strada all'altro, all'oltre, all'inaspettato.

IGOR SIBALDI
I CONFINI DEL MONDO:STORIE E DINAMICHE DELL'INIZIAZIONE PERSONALE
ARTE DI ESSERE 2015

January 01, 2016

La nostra biografia, cioè le esperienze che plasmano la vita, diventa la nostra biologia.

 

Le relazioni, gli eventi traumatici, gli atteggiamenti, le fedi e le superstizioni vengono codificate e immagazzinate dal sistema cellulare. I pensieri entrano nel corpo sotto forma di energia. C'è equivalenza tra energia e potere: il potere fa da mediatore tra il nostro mondo interiore e quello esteriore, comunicando attraverso il linguaggio del mito e dei simboli.

Denaro, sicurezza, bellezza, autorità, lavoro: ognuno si costruisce simboli di potere, ai quali è associata una controparte biologica; è necessario identificare quali sono i nostri simboli di potere e il linguaggio metaforico che utilizziamo per descrivere il loro effetto su di noi. L'ascolto del corpo e dei suoi messaggi è già una strumento per comprendere a fondo le questioni mentali ed emotive sulle quali dobbiamo lavorare.

La cura è passiva, mentre la guarigione è un processo attivo. La guarigione non può prescindere dal recupero del potere personale e da un re-indirizzamento di tale potere. Questo potere è dato dalla nostra capacità di scegliere in ogni momento quali sono le direzioni da prendere.

Ogni essere vivente vibra di energia carica di informazioni; queste informazioni possono essere percepite dall'intuizione ed espresse in modo simbolico.

Dalla tradizione orientale proviene il sistema dei 7 chakra o centri energetici: a questi l'autrice collega i 7 sacramenti cristiani visti nel loro ambito simbolico: battesimo, comunione, cresima, matrimonio, confessione, ordine ed estrema unzione. Caroline Myss dipana questi 7 centri di potere all'interno delle 10 sephirot dell'albero cabalistico. Le dieci sephirot sono le qualità del divino che costituiscono anche l'archetipo dell'essere umano. Chakra, sacramenti, cabala: 3 sistemi di pensieri si incontrano per fornirci strumenti di guarigione spirituale

Fondere le tradizioni induista, buddhista, cristiana ed ebraica in un complesso ordinato e dotato di verità sacre comuni significa creare un potente sistema di orientamento capace di elevare la nostra mente e il nostro corpo, e di mostrarci come gestire lo spirito del mondo.

Il primo livello riflette il nostro attaccamento alla tribù, intesa come famiglia o gruppo originario, il secondo livello amplia la sfera energetica alle relazioni personali e alla comunità, il terzo livello ci indica il livello di autostima e di rispetto di sé, il quarto livello esce dalla sfera concreta per iniziare un percorso nel divino.

Ricerca dell'approvazione, rabbia, incapacità di perdonare, persone che sentono il bisogno di controllare, sentirsi legato a qualcuno o qualcosa ci rendono acquisitori di potere dall'esterno togliendo energia dal campo magnetico corporeo per indirizzarla all'esterno.

Il libro offre domande per comprendere gli schemi di pensiero associati ai 7 livelli e delle meditazioni quotidiane per auto-valutare la propria condizione energetica.

La cosa importante non è tanto il tipo di cambiamento quanto la decisione di modificare quegli aspetti della nostra vita che ci impediscono di guarire.

 

Caroline Myss
Anatomia dello spirito: I sette livelli del potere personale
Anima edizioni 2011

 

 

 

December 06, 2015

Asclepio è il dio, o meglio il semidio della medicina. Secondo Pindaro è figlio di Apollo e Coronide e fu istruito all'arte della cura dal centauro Chirone, a sua volta figlio di Zeus e della ninfa Filira, poi tramutata in tiglio. La medicina nasce incorporata alla sfera religiosa per distaccarsene con Ippocrate. Nel nome Ascelpio è contenuta la parola epios che significa “dolcemente”, poiché dolce era la sua cura.

Salute e malattia erano emanazione diretta delle divinità, che, inviandole, premiavano o sanzionavano i comportamenti degli uomini.

La medicina antica integrava in sé l'aspetto rituale, caratterizzato da gesti, preghiere, incantesimi. Una medicina legata ad Apollo ma anche ad Atena e alla gorgone Medusa. Fu la dea a trasferire in Asclepio le vene di Medusa, quella adibita a guarire e quella adibita alla morte; la superbia del dio fu quella di utilizzare la vena che guarisce anche per resuscitare i morti, riuscendo a superare persino il padre Apollo.

In suo onore furono costruiti templi, detti Asklepieia, nei quali i sacerdoti apportavano la guarigione praticando la chirurgia e la fitoterapia; nella parte del tempio detta abaton i visitatori dormivano a terra nella speranza che il dio stesso comparisse loro, in sogno, a consigliare il rimedio. Nel tempio circolavano liberamente cani, serpenti e oche, animali a lui cari.

Chi beneficiava della cura lasciava scritto nel tempio quali rimedi erano stati seguiti e quale parte del corpo era stata coinvolta.

Sia Plino il Vecchio che Strabone riportano la notizia secondo la quale Ippocrate avrebbe ricopiato i documenti che i visitatori lasciavano negli Asklepieia, documenti che riportavano il rimedio suggerito loro dal dio, per poi dar fuoco al tempio, in modo da istituire una forma di medicina detta clinica.

Secondo Celso fu Ippocrate a staccare la filosofia dalla medicina che venne divisa, così, in differenti branche: diaiteike (cura attarveros il cibo), pharmaka (cura attraverso le erbe) e chirurgia.

Il saggio di Squillace passa in rassegna anche i botanici antichi e i medici di corte, per poi approfondire i medicamenti.

Olio, vino, aceto e miele erano utilizzati sia per le estrazioni dei principi attivi delle piante, sia come rimedi di per sé. La farmacopea era composta da vari tipi di rimedi,: frizioni, colliri, decotti, cataplasmi, fomenti, malagmi, impiastri, unguenti, pessari...

La parte finale del libro indaga le piante utilizzate, e un capitolo a parte riguarda la cosmetica, dal verbo kosmeo che indica il “mettere in ordine”, portare il cosmo nell'aspetto esteriore.

Le numerose immagini tratte dell'arte antica, fanno de I balsami di Afrodite un'opera preziosa.

Giuseppe Squillace
I balsami di Afrodite: Medici malattie e farmaci nel mondo antico
Aboca 2015

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