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Negli ultimi anni Roberto Fantini, da sempre attivo in Amnesty International, insegnante di filosofia e pittore sottilmente visionario, ha iniziato a pubblicare alcuni libri di piccole dimensioni, molto curati, densi ma leggibilissimi. Ricordo La morte spiegata ai miei figli, Dogliani 2010 e Vivi o morti? Efesto 2015, testi molto diversi tra di loro nonostante il tema comune – il secondo è sui trapianti d’organo, tema che nasconde alcuni aspetti oscuri, di cui mai si parla.
Questa volta Fantini ci invita a leggere uno dei pensatori italiani più rivoluzionari del Novecento, Aldo Capitini, conosciuto da pochissimi, al punto che è difficile reperirne i testi. Capitini (1899-1968) ebbe grande influenza sulla generazione degli intellettuali che hanno vissuto sotto il fascismo, ma avendo mantenuto una grande coerenza di comportamento e per il suo altissimo concetto della politica, rimase fuori da qualsiasi partito. Qualche anno fa fu ricordato nella trasmissione di RAI3 Uomini e profeti, dopo la sua morte sono usciti alcuni testi a lui dedicati, che Fantini cita e ai quali attinge, ma rimane un autore da scoprire.
Il contributo di Fantini, come egli stesso spiega nella prefazione, vuole essere appunto quello di avvicinarci a un pensiero vivificato da una vita gandhianamente costruttiva, cioè orientata a valori che ci si sforza di mettere in pratica. Quando Fantini scrive, nella stessa prefazione, dell’aiuto che ci può venire quando ci abbeveriamo alla sorgente capitiniana, parla esplicitamente di una schiavitù intellettuale e morale alla quale siamo vincolati. Con eleganza Fantini evita di fare riferimenti più precisi e conviene seguirlo, anche se si affollano alla mente tanti, ma veramente tanti, riveriti “maîtres à penser” il cui pensiero non ci aiuta per nulla ad affrontare costruttivamente le grandi sfide con cui ci dobbiamo confrontare. Quello di cui abbiamo bisogno non è l’ennesima analisi di ciò che non va e delle presunte ragioni per cui il mondo funziona così male, ma di una visione che ci sollevi e ci indichi una direzione diversa, da percorrere umilmente ma con tenacia e senso di affratellamento. L’idea del nemico ha già fatto abbastanza danni, è una costruzione mentale di chi non vuole vedere la fondamentale unità, se non del Tutto, quanto meno di tutti gli abitanti di questo pianeta, animali inclusi, e piante e perché no, minerali.
Fantini suddivide il libro in capitoli in parte biografici, in parte tematici. L’antifascismo, la religiosità autentica, singolare, profonda, perché aconfessionale, e infine un capitolo sul vegetarianismo di Capitini, espressione di rispetto e intuizione del fatto che una nonviolenza che comincia dai non umani è più vera. Molto utili sono le pagine in cui sinteticamente l’autore ricorda le moltissime fonti occidentali e alcune anche orientali della religiosità di Capitini.
In un testo tutto sommato davvero di dimensioni contenute, Fantini arriva così allo scopo che si era prefisso: invogliarci a leggere Capitini, a cercare e a reclamare i suoi libri quasi irreperibili, a far uscire la sua luce da sotto il moggio, a respirare le sue parole per assorbirle e trasformarci in persone attivamente efficaci nella ricerca di una migliore convivenza con tutti e fra di tutti.
Roberto Fantini. Aldo Capitini. La bellezza della luce.
Roma, Efesto 2015, pp. 104, € 12,90.