L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Publishing (179)

 

Andrea Signini
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October 09, 2021

Scrittrice di grande qualità e sensibilità, seguita da un pubblico sempre più ampio, rappresenta mirabilmente le energie, le passioni, i palpiti e la stessa ricca – e troppo spesso – poco conosciuta Storia della Terra di Sicilia.

Quando è iniziata la sua passione nello scrivere?      

La scrittura e il teatro sono le mie due vere, grandi, passioni.

Solitaria l’una, rivolta al pubblico l’altra. Non credo di aver mai ‘iniziato’ a scrivere, così come ho sempre recitato. Dal momento in cui ho scoperto che quelle formichine sulla carta potevano diventare nomi, sentimenti, sogni, me ne sono innamorata. Le vedevo prendere vita, emanare suoni, colori e mi piaceva comporle, disporle, far loro assumere significati e sfumature diverse. Comunicare per me significa questo. A teatro ho la possibilità di vivere tante vite, trasformandomi nei vari personaggi che interpreto. Nella scrittura sono i personaggi che entrano in me e vivono accanto a me, raccontandomi le loro storie.

Per lei scrivere è solo un piacevole hobby?

Inesatto definire la scrittura un hobby, se per hobby si intende un piacevole passatempo che ti rasserena e ti rilassa. La scrittura è piuttosto una necessità che a volte diventa dura e difficile da affrontare, come tutto quello che è necessario fare. La paragono all’atto meraviglioso del partorire un essere vivo, dopo una lunga gestazione fatta di riflessione e di ricerca, quando la felicità e la soddisfazione di aver creato qualcosa spazza via ogni traccia di sofferenza. Non per niente chiamo i miei libri ‘i miei figli di carta’.

Ci sono argomenti che preferisce trattare, più di altri?

Non ho mai scelto aprioristicamente l’argomento di un mio romanzo o il periodo in cui ambientarlo. Per quanto possa sembrare strano la scrittura per me ha un aspetto un po’ magico, paranormale quasi. Un’immagine, un fotogramma, un’espressione di un viso mi vengono in mente e cominciano a crescere. I protagonisti vivono la loro vita senza che io possa in qualche modo influenzarla tanto che non so mai quale sarà la fine della storia che racconto. Sono persone non personaggi perché non riesco ad inventare nulla che non abbia radici nella realtà. Quando mi chiedono se un mio scritto è autobiografico rispondo naturalmente di sì perché tutto quello che scrivo è fatto di pezzi di vita che conosco, che ascolto, e che si mescolano in una specie di caleidoscopio. Che una storia sia ambientata nel passato o nell’età contemporanea non fa molta differenza. A me interessa indagare il comportamento delle persone, originato da sentimenti e pensieri che sono comuni a tutte le epoche ma che si declinano diversamente a seconda dell’ambiente e delle situazioni storiche.

Quali i suoi romanzi precedenti e quali gli impegni attuali?

Ognuno dei miei libri mi ha lasciato, una volta finito, un senso di vuoto. Per questo ho sentito la necessità di affrontare un nuovo impegno, un nuovo studio, perché lo scrivere è una forma di studio, dell’uomo, della società, della psicologia umana. Nel primo – ‘I ragazzi della piazza’ – ho cercato di far rivivere l’atmosfera degli anni ’60, su cui tanto si è scritto, attraverso la mia esperienza e quella di coloro che li hanno vissuti. In un altro – ‘Cielomare’ -, in cui i due elementi del titolo si incontrano e si scontrano, emerge lo scontro, violento e doloroso, di giovani contro un destino beffardo che colpisce

alla cieca. Progetti? Tanti, in questo momento anche di teatro e di televisione, e riempiono le mie giornate. Dopo ‘Il commissario Montalbano’ ho girato alcuni episodi di ‘Makari’ la nuova serie di RAI 1, un film sulla situazione dei migranti e un documentario sulla mia terra. La strada non è ancora finita.  Per quanto riguarda la scrittura vorrei allargare gli orizzonti dei miei scritti precedenti, arrivando fino ai nostri giorni, con storie e personaggi che vivono nella nostra terra, magica e demoniaca, dolce e terribile, una terra stretta fra i due mostri del vulcano e del mare, che ci assalgono ma anche ci nutrono. Una ispirazione continua.

Leggere i suoi scritti o assistere a una sua performance, quali sensazioni suscita nei lettori e nel pubblico?

Vorrei essere una mosca per spiare le reazioni di chi legge un mio scritto. La lettura è un innamoramento e come tale, inspiegabile. Posso solo promettere ad un eventuale lettore che nelle mie pagine troverà una voce vera, che parlerà anche di lui, che gli svelerà un angolo nascosto di sé che non pensava di conoscere, e che leggendo proverà emozioni e sentimenti vivi come nella realtà, come avviene nei sogni.

Ci parli del suo ultimo, recente, romanzo: LA MALAEREDITA’.

Nel mio ultimo romanzo ‘La Malaeredità’, mi sono immersa in un passato abbastanza vicino che da giovane consideravo noioso inutile e polveroso. Poi, attraverso lettere e documenti da cui emergevano vicende intense e disperate, intrecciate agli avvenimenti politici e sociali della Sicilia di quel periodo, ho

ricostruito storie che sarebbero andate perdute, come lo sono cento altre storie di cui non possiamo conservare memoria. I fatti narrati sono realmente accaduti, i palazzi e le campagne che fanno da sfondo sono ancora oggetto di meravigliate visite turistiche. Pur essendo stato pubblicato in piena pandemia, questo romanzo mi ha dato molte soddisfazioni per i riscontri ottenuti dai lettori e dai critici e per alcuni premi letterari, come il concorso internazionale Città di Cattolica. Andare indietro nel tempo è come sottoporsi ad una seduta di ipnosi, che ti insegna a conoscerti, ad accettarti, anche affrontando qualche luogo oscuro della mente. Mi sono dovuta scontrare con le ingiustizie e i pregiudizi di una società che stava celebrando senza saperlo la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova. Per comprendere meglio la grande storia è necessario indagare le vite private di coloro che l’hanno interpretata, senza mai avere la pretesa di giudicare buoni e cattivi.

Grazie alla Scrittrice Maribella Piana per questa intervista!

Per gentile concessione della “http://www.betapress.it

September 28, 2021

Grazie alla lettura di quasi tutti i suoi numerosi bellissimi lavori e un collaborativo rapporto amicale, non ho mai nutrito dubbi in merito alle qualità veramente fuori dal comune di una donna come Paola Giovetti, ricercatrice infaticabile dai mille interessi, sempre pronta ad indagare gli aspetti misteriosi della realtà e ad esaminare, con animo spregiudicato e onesto, i vari campi dell'ignoto, dell'esoterico, del mistico e del paranormale Ma la lettura del suo ultimo lavoro ( Incontri nel mondo dei misteri , Edizioni Mediterranee, Roma settembre 2021) è stata, anche per me, una splendida sorpresa.

In quest'opera, infatti, Paola ripercorre il suo ricchissimo cammino di esploratrice dell'occulto, dando vita ad una rassegna variopinta di esperienze vissute in prima persona, a diretto contatto con personaggi dal grandissimo fascino, e facendo sempre prezioso riferimento alle sue pubblicazioni apparse nel corso degli anni, proprio sulla scia di tali incontri.

Inoltrarsi nella lettura di questo suo ultimo libro, quindi, significa intraprendere un suggestivo viaggio dalle mille sorprese, in grado di consentirci di entrare in relazione, di volta in volta, con veggenti e sensitivi come Erik Jan Hanussen, Gustavo Rol e Gerard Croiset, con studiosi come Jan Stevenson e Raymond Moody, con maestri di saggezza come Helena Petrovna Blavatsky e Roberto Assagioli. E sentendoci sempre invitati a riflettere, in maniera apertissima e intelligentemente equilibrata, su fenomeni medianici, materializzazioni, bilocazioni, apparizioni, ricordi di altre vite, esperienze di pre-morte, ecc.

Insomma, un libro gradevolissimo, coinvolgente come un grande romanzo autobiografico e, nello stesso tempo, densissimo di informazioni e di suggerimenti per quanti vorranno provare ad allargare e approfondire le proprie conoscenze sugli infiniti volti del Mistero.

Paola Giovetti
INCONTRI nel mondo del mistero
Edizioni Mediterranee

July 18, 2021

Letizia scrive il racconto al passato, in prima persona, circa otto anni dopo le vicende narrate, quando è diventata una giovane donna e la società italiana ha manifestato il cambiamento, iniziato negli anni sessanta. La descrizione che fa di se stessa, del suo mondo, delle persone con le quali vive le sue esperienze, è figlia del suo tempo, delle leggi vigenti per il Diritto di Famiglia, del Sistema Scolastico, nonché della condizione storico-sociale italiana negli anni sessanta. La ragazza riuscirà a trasformare le sue paure, l'incapacità di vivere la realtà da protagonista, in una nuova consapevolezza, che la farà sbocciare come donna.

Maria Foffo è nata a Roma, dove vive tuttora. Laureata in Pedagogia alla presenza dei figli, ha esperienza nella scuola Statale Primaria, poi nella Secondaria Superiore, lettere, fino al pensionamento nel 2013. Nel 1992 ha iniziato l'Il volontariato, nella Casa Famiglia Bice Porcu ", nel 1998 con l 'Ass.ne “Arché” (lotta all'AIDS Pediatrico), dal 2018 insegna italiano ai migranti, con l'Ass.ne “Monteverde Solidale”. Ha pubblicato il libro  “Stelle cadenti” (ed Albatros), nel 2016; diverse poesie in varie Antologie(Rizzoli ed. e Masolino ed.); due racconti nel libro “Bloggami 2020” nel 2021.

Elaborazione grafica di Sheyla Bobba sbscomunicazione@gmaiLcom>

 

 

July 09, 2021

Eternamente Roma di Isabella Alboini è una video guida turistica accessibile a tutti. I 48 QR CODE presenteranno all'interno del libro, su ogni monumento, permetteranno al lettore di viaggiare nella Città Eterna. Ogni articolo sarà quindi accompagnato da un'immagine, da una cartina geografica, il qr code del video ed il relativo link cliccabile sulla versione del libro digitale.


July 04, 2021
 
 Michele Giuttari

Ci sono scrittori che hanno la capacità di trasportarci in mondi, situazioni e condizioni tali da sentirci quasi partecipi e testimoni durante la lettura. Non è facile: ci vuole maestria, competenza, cognizione di ciò che vanno a raccontate rendendo l’immaginario perfettamente reale nella testa e nella sensazione del lettore attento.

L’autore che oggi ho l’onore di intervistare fa parte di questa élite ed è uno dei migliori scrittori che il nostro panorama italiano può vantarsi di annoverare. La sua esperienza in campo investigativo ha preceduto l’attività di scrittore legando l’esperienza lavorativa- professionale alle stesure dei  libri che ha scritto ricevendo le giuste gratificazioni del pubblico. Parliamo di Michele Giuttari.

Ha fatto parte della Squadra Mobile di Reggio Calabria, ha diretto la Squadra Mobile di Cosenza. Ha svolto le indagini di mafia nel 1993 quando Firenze subì la tremenda  strage di Via Georgofili. 

Dal 1995 al 2003 è stato Capo della Squadra Mobile di Firenze. Capo del pool investigativo GIDES (Gruppo Investigativo Delitti Seriali).

Di fondamentale importanza la sua attività investigativa sul Mostro di Firenze e sui “compagni di merende”così scaltro e attento nelle investigazioni da suscitare processi e ingiuste polemiche  su fatti  infondati  successivamente azzerati perché sterili e inutili oltre che inesistenti.

A volte la verità viene fatta tacere (n.d.r.).

 

·LIBRI DI MICHELE GIUTTARI

 

·Compagni di sangue- 1998 con la collaborazione di Carlo Lucarelli

·Assassini a Firenze- 2001

·Scarabeo - 2004

·La loggia degli innocenti- 2005

·Il Mostro. Anatomia di un'indagine- 2006

·Il basilisco - 2007

·La donna della ‘ndrangheta- 2009

·L’Ammiratore – 2009 Racconto in Tre metri sotto il cielo

·L'investigazione- 2010 (saggio)

·Le rose nere di Firenze- 2010

·I sogni cattivi di Firenze- 2012

·Il cuore oscuro di Firenze- 2013

·Confesso che ho indagato- 2015 (autobiografia)

 

Veniamo adesso a conoscere meglio il nostro autore:

 

Gentile dott.re Giuttari, intanto grazie per la sua gentile disponibilità.

 

 

D-La prima domanda che vorrei farle, è sapere quanto della sua Carriera in Polizia ha avuto importanza nella sua attività di scrittore

 

R- La mia esperienza investigativa, acquisita sul campo in oltre 30 anni in zone particolarmente impegnative (Sardegna – Sicilia - Calabria – Campania – Toscana), è stata importante nella mia seconda vita di scrittore nella costruzione delle storie e anche dei personaggi.

Il mio vissuto, però, non ha costituito la trama portante perché, in questo caso, non mi sarei divertito a raccontare fatti già conosciuti da molti, ma ha fornito diversi spunti.

Mi riferisco alle procedure d’indagine, al linguaggio dei poliziotti, all’atmosfera che si respira negli uffici di polizia, alle tecniche d’indagine (interrogatori, perquisizioni, intercettazioni telefoniche e ambientali). In pratica agli strumenti reali di un investigatore. Un patrimonio inestimabile diventato fonte di ispirazione trasferito sulle pagine di un thriller che per definizione, come ogni romanzo, è finzione e la fedele realtà cambia per ubbidire alle leggi dell’efficacia della trama. Ecco allora che in un gioco enigmistico i tempi necessariamente si abbreviano, come pure gli ostacoli di varia natura , quali quelli burocratici o delle piste false che nella scrittura scompaiono o sono solo accennati per non appesantire i lettori mentre nella realtà rivestono un peso talvolta notevole. Conta, dunque, molto l’abilità per conseguire un esito piacevole quanto credibile in grado di soddisfare i lettori.

 

D- Cosa la infastidisce di più come uomo di giustizia?

R- Come uomo di giustizia non tollererei certe situazioni come quando i superiori dovessero disapprovare il lavoro o i magistrati dimostrare di non crederci ovvero ancora  quando si potrebbe intuire che altri personaggi di ambienti diversi dovessero cercare di mettersi di mezzo rimanendo nell’ombra.

Questa sarebbe una giustizia malata destinata a lasciare certi casi insoluti e forse addirittura avvolti da un’aureola di mistero. E credo che di questi casi se ne siano registrati diversi nel nostro Paese anche durante il fenomeno del terrorismo.

Certo la vita di un investigatore può essere segnata anche da episodi di questo tipo, ma è importante non farsi condizionare e proseguire dritto nel cammino intrapreso con la coscienza a posto fiducioso che col tempo la serietà del lavoro sarà dimostrata e ti verrà riconosciuta venendo ripagato degli eventuali colpi bassi che hai incassato.

 

D- Quanto di Michele Giuttari uomo e investigatore trasferisce nelle sue storie?

R-In realtà le mie attività di uomo e investigatore e di scrittore si sono complementate in maniera del tutto spontanea anche perché non ho avuto bisogno di ispirarmi a nessun vero investigatore per il protagonista delle storie avendo preso a modello me stesso.

In Michele Ferrara, infatti, c’é molto di me. Mi somiglia perfino fisicamente e ha il mio stesso carattere un pò chiuso, il mio senso del dovere, la stessa fedeltà alla propria donna, e anche la stessa determinazione a raggiungere la verità a tutti i costi, anche scontrandosi con le istituzioni. Può darsi che nel descrivermi mi veda un pò meglio di quanto in effetti non lo sia. Non sta, però,  a me giudicare.

Non saprei proprio a quale degli investigatori di carta potrei paragonarlo. Forse un po’ a Maigret, un po’ a Dupin…ma non riesco a trovare un modello preciso perché forse assomiglia davvero parecchio a me stesso.

 

D- Nella sua produzione libraria si sente molto l’autorevolezza e la grande esperienza investigativa. Come nascono le storie dei suoi libri?

 

R- La scrittura è nata come un hobby, che mi faceva prendere le distanze dalla quotidianità del mio lavoro aiutandomi a rilassarmi dagli impegni delle indagini reali. Ho iniziato ispirandomi a temi veri (serial killer, pedofilia, massoneria deviata…) con riferimenti di vita vissuta rielaborati dalla fantasia contestualizzandoli in altra epoca ed in altro luogo. Ho cercato di curare in particolare la trama che deve essere avvincente per tenere incollato il lettore a ogni pagina. Forse in un thriller è proprio la creazione di una trama che funzioni la parte più difficile del lavoro. Inoltre cerco di far capire la realtà di tutti i giorni esplorata in diverse delle sue pieghe convinto che anche con un romanzo poliziesco, comunque possa definirsi, può parlarsi del nostro mondo reale, dei problemi presenti (criminalità, droga, mafia…).

E’ importante poi la cura dei personaggi che devono essere dalla vita interessante, ben definiti e credibili anche nel linguaggio, con i quali potremmo interagire per vari motivi nella quotidianità.

Una volta delineata la traccia, anche solo generica, della trama è poi la scrittura che man mano che avanza mi porta a svilupparla definendola sempre meglio anche con l’inserimento delle mie esperienze lavorative.

 

D- So che ci sono grandi novità editoriali in arrivo. Sappiamo che prima di un’uscita vige una specie di “silenzio stampa” ed è giusto così. Ma in confidenza e sottovoce, può dirci qualcosa in merito? Giusto due parole...

R- Ormai è prossima la pubblicazione del nuovo thriller edito da Fratelli Frilli Editori.

E’ una nuova avventura del commissario Michele Ferrara alle prese con una complessa indagine che si svolge non solo a Firenze e che fa capire come il mondo non è tutto nero o bianco perché è sufficiente chiudere un attimo gli occhi per vederlo grigio.

Come gli altri, ha il tipico taglio anglosassone e alla fine ritorna l’ordine, sconvolto dai delitti, in maniera del tutto normale senza alcuna forzatura grazie alle tecniche investigative.

D- Il titolo del suo ultimo romanzo è “Sangue sul Chianti” Uscirà il 15 luglio 2021. Ha già qualche data di presentazione? Quando e dove?

 

R- Sono già diverse le richieste di presentazione a partire dai primi giorni di agosto (Pontremoli al Salotto d’Europa, Salsomaggiore, Orzinuovi…) e spero di aderire alla maggior parte ove possibile per incontrare i miei lettori anche in Toscana e a Firenze come per i precedenti libri. Sono occasioni a cui cerco sempre di non mancare anche all’estero partecipando, come in passato, alle  più importanti manifestazioni Crime ad Harrogate, Unna, Dortmund, Monaco, Usa….

 

D- Lascio sempre ai nostri autori una domanda “bianca” dove liberamente ci piacerebbe che scrivessero di propria iniziativa quel “qualcosa” che amano rendere pubblica. Non importa quale argomento, non importa se è il classico sassolino nella scarpa o il desiderio di comunicare una sensazione, una notizia o semplicemente raccontare di sé.

 

R- Mi piace concludere spiegando agli amanti delle indagini di polizia quali sono per me le qualità e le doti di un vero investigatore. In fondo anche di quello di carta.

Pazienza, sagacia, esperienza possibilmente di casi simili, intuizione, particolare capacità di analisi dei fatti dando il valore giusto a quanto si va raccogliendo e osservando, anche a quei dettagli che in quel momento potrebbero apparire insignificanti. E soprattutto essere propositivo rappresentando al pubblico ministero, titolare dell’inchiesta, non solo i fatti, nudi e crudi, ma anche la prospettiva tecnica-operativa ritenuta utile per lo sviluppo dell’inchiesta.

E’ questo il vero investigatore. E Michele Ferrara credo che presenti queste caratteristiche.

La ringrazio per le interessanti domande.

 

Ed è con questa strana ultima domanda che la voglio salutare in attesa di essere presente alla presentazione del suo nuovo parto letterario dove sarò onorata di stringerle la mano- L’aspetto a Firenze!

 

 

 

 

 

 

June 22, 2021

La trasformazione digitale della società e della economia è, insieme alla transizione ecologica, la principale scommessa per il futuro del pianeta. Vincerla significa affrontare sfide organizzative, tecnologiche, gestionali che comportamentali ed etiche che coinvolgeranno le imprese e anche le persone, visto che le aziende potranno ottenere in grado di colmare deficit di abilità digitale che comporta la rivoluzione culturale.

Il volume VOLARE DIGITALE (sottotitolo. e competenze per una trasformazione senza confini) da Maria Grazia De Angelis per NeP ci guida alla elaborazione ed analisi delle esigenze che impongono imprese e persone tale vincerla. Un libro che, come scrive prefazione Maurizio Quarta, ricorda già nel titolo come “ il digitale vada veloce ” e come “ il percorso vada veloce da parte di persone ed aziende deve anch'esso essere veloceper “ introdurre e accelerare ” il cambiamento necessario ..

Una esigenza ancora più forte dopo che la pandemia ha innescato una crisi inedita e sovvertito i principali paradigmi e parametri che hanno caratterizzato società ed economia. Lo conferma la esperienza delle imprese che, grazie a investimenti in digitalizzazione, hanno meglio fronteggiato la situazione emergenziale nell'anno segnato dalla pandemia, reingegnerizzando rapidamente relazioni e processi e garantendo significa continuità di business e concorrenza.

La tecnologia digitale infatti, attraverso lo sviluppo di processi collaborativi e un utilizzo virtuoso dei dati, si è dimostrata essenziale per la ridefinizione di tutto ciò che, a partire dalle relazioni con stakeholder, clienti e fornitori, è legato al servizio o ne determina il successore . Nei tradizionali settori così per quelli più innovativi, nelle piccole così come nelle grandi imprese, la digitalizzazione rappresenta la principale leva del cambiamento non solo per le attività commerciali e distributive ma anche per l'automazione dei processi produttivi, per la ricerca e sviluppo e per monitorare la filiera

Partendo dall'importanza , nell'era della servitizzazione, dell'innovazione tecnologica per ottenere i divari di produttività, del digitale una leva per guadagnare guadagnando e rinnovare i modelli di business, la tesi di fondo sostenuta dalla Deangelis è la necessità di accelerare il processo di trasformazione digitale per le persone e per le imprese italiane, anche piccole e medie imprese, per superare le barriere che ostacolano il percorso di trasformazione digitale. A condizione che si lavori con una visione integrata di lungo termine in cui gli investimenti non siano solo la risposta all'emergenza magari agevolata da sostegni pubblici di varia natura, o siano circoscritti a singole attività.Per coglierne a pieno i benefici, la trasformazione digitale richiede infatti tempo e una revisione profonda e sistemica dei sistemi aziendali e delle competenze delle persone.

Un messaggio forte che arriva più volte al lettore, quasi in modalità carica, durante la lettura di un libro che, pur ponderoso, si legge agimente grazie ad una struttura organica chiara e una modalità espressiva piana che ne fanno una guida “ hands on ” in grado di far comprendere i passi necessari a rispondere alle domande sulle sfide che la digitalizzazione ad aziende e individui.

“Volare digitale” è dunque un libro che, anche per i concreti riferimenti a recenti esperienze di digital trasformation, rappresenta una preziosa guida   per orientare anche il percorso professionale sia per chi, imprenditori e manager che si trovano a dovere gestire ed affrontare con metodo la complessità del cambiamento digitale , già svolge attività lavorative sia per i giovani alle prime esperienze . A tal proposito molto utili sono le conclusioni (in cui sono richiamati e sintetizzati i passi necessari per affrontare la complessa sfida della digitalizzazione) la sitografia e bibliografia in calce.

La riflessione della De Angelis si sviluppa in due parti principali. La prima (" i motori del Cambiamento ") si muove dall'analisi del contesto attuale, in continua Evoluzione, per descrivere i driver delle   Importanti Trasformazioni Che Stanno pervadendo le Organizzazioni e le Azioni necessarie per Vincere Diversità e Resistenze al Cambiamento, sviluppare le capacità di adattamento al nuovo e gestire le nuove complessità del mondo globalizzato e connesso. Particolarmente interessante, sulla base della considerazione che non c'è innovazione senza adeguate competenze,   sono le pagine dedicate alle competenze, alla centralità della formazione continua e alla comunicazione. Per l'offerta, infatti, perchè questa transizione possa avverarsi, occorre investire in modo massiccio nello sviluppo di competenze digitali, a partire dal sistema educativo e agendo sia dal lato dell'offerta che dal lato dello sviluppo alla domanda di competenze digitali.

Nella seconda parte (“ noi e il digitale ”), il volume descrive riflessi che la trasformazione digitale ha sulle persone, analizzando il valore delle soft skill e descrivendo profili professionali innovativi, come l'E leader, un mix tra leadership tradizionale e digitale, e il responsabile temporaneo. Figura il cui ruolo è centrale per portare in azienda, non solo la progettualità digitale, ma anche le competenze necessarie in condivisione, responsabilizzazione e fiducia nel cambiamento.

Oltre la persona e l'impresa c'è perciò una terza dimensione ed è il “sistema Italia”, il cui coinvolgimento è imprescindibile se davvero di vuole scommettere sulla transizione digitale per sostenere il rilancio anche delle PMI dopo le restrizioni della pandemia. Per generare innovazione e benessere, sia sociale che economico, il cambiamento deve interessare, osserva infatti la De Angelis, anche il Sistema Paese. Per consentire la trasformazione digitale del tessuto produttivo è fondamentale costituire un ecosistema favorevole al processo di digitalizzazione delle imprese. I benefici della digitalizzazionesi cioè a condizione di coinvolgere, insieme a grandi imprese e PMI, le pubbliche amministrazioni che giocano un ruolo centrale nell'ecosistema.

Oggetto della riflessione della De Angelis sono così anche le esigenze e gli interventi che occorre mettere in cantiere a livello Paese se si vuole giocare la partita della trasformazione digitale. L'autrice ribadisce a tal proposito che la trasformazione digitale potrà essere realizzata a pieno solo se si riuscirà ad ottenere la diffusione di cultura, competenze e servizi digitali tra i cittadini italiani. L'Italia è infatti ultima in Europa nell'area Capitale Umano dell' indice DESI  (Digital Economy and Society Index), con i cittadini che accusano importanti criticità in termini di competenze digitali. (Secondo i dati Eurostat sul 2019, solo il 42% degli italiani possiede competenze digitali almeno di base e l'Italia fa peggio della media europea e degli altri Paesi UE praticamente in ogni categoria, persino tra i giovani tra i 16 ei 24 anni , tra gli individui più istruiti e tra gli abitanti delle città). Una condizione che si riflette sulla difficoltà a reperire a reperire le professionalità sul mercato da parte del mondo imprenditoriale.

Alla prospettiva dell'economia fondata su talenti individuali e imprese innovative l'Italia deve guardare con particolare attenzione e interesse se vuole giocare la partita dell'innovazione ” afferma perciò Maria Grazia De Angelis che considera quella italiana “ una realtà socio-economica povera di risorse materiali, ma ricca di un potenziale tecnico e scientifico che deve essere capitalizzato” . Ribadendo la necessità per l'Italia di cogliere le opportunità offerte dai Fondi europei per promuovere i processi di trasformazione digitale delle imprese con una politica industriale attenta al rilancio degli investimenti e alla creazione di un sistema dell'innovazione in grado di rafforzare anche il collegamento tra Ricerca e Industria.

Considerazioni che investono anche i giovani perché è necessario, come osserva ancora la De Angelis “ dare fiducia e sostegno alla crescita all'autorealizzazione personale che sempre più anche in Italia porta i giovani a creare nuove imprese. L'orientamento d'assumere è simile a quello che ha ispirato la cultura del “miracolo economico”, cioè la fase di intenso sviluppo con cui l'Italia ha compiuto un decisivo passo in avanti nel processo di industrializzazione, proprio in virtù del peculiare modello di imprenditorialità dal basso che ne è stato alla base.Per questo è cruciale la presenza di istituzioni economiche e politiche capaci di stimolare, attraverso una struttura di incentivi e semplificazioni burocratiche, lo sviluppo dei settori innovativi e delle nuove a base tecnologica e l'interesse degli investitori di venture capital .

Parole in linea con quanto nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza la cui prima è propria volta alla “ Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura ” e missione prevede interventi che hanno l'obiettivo di compensare l'incertezza del contesto le imprese che investono nell' innovazione e digitalizzazione dei propri processi produttivi. In particolare le PMI alle quali viene riconosciuto un ruolo chiave per la ripresa e lo sviluppo del paese.

 
 Maria Grazia De Angelis

Maurizio Quarta nella prefazione, che l'uomo nasce analogico e poi diventa digitale e che la sfida sarà vinta solo con “ una interazione virtuosa tra le due componenti ” in modo da accrescere le abilità digitali degli analogici ma anche far ritrovare ai nativi digitali le radici analogiche del pensiero e dell'agire. Perché, osserva la De Angelis, se si conserva a credere negli effetti miracolistici della tecnologia, si dimentica ancora una volta l'uomo, si corre il rischio di perpetuare uno dei più grandi e si preferisce equivoci del nostro tempo. Un libro con un obiettivo ambizioso dunque. far comprendere che per catturare i benefici della digitalizzazione occorre una realestrategia per l'ammodernamento del Paese e un importante cambiamento socio-culturale . Precondizioni senza le quali la trasformazione digitale non potrà diventare così il motore per la ripartenza post pandemia del Paese che avrà perso l'ennesima occasione di un nuovo miracolo economico e ricostruire un futuro competitivo .

April 26, 2021
April 15, 2021

Gli anni dei manicomi del dolore e della solitudine

ADALGISA CONTI

Il diario di una donna reclusa:

Saggio sulla vita di Adalgisa Conti malata psichiatrica e rinchiusa in manicomio dal 1913 al 1978

Ho conosciuto personalmente la malata che venne internata all'Ospedale Psichiatrico di Arezzo nel 1914, all'età di ventisei anni, struttura nella quale lavorava come infermiera mia madre. Adalgisa Conti fu rinchiusa e ricoverata con violenza in manicomio, dove trascorse tutto il resto della sua vita. La diagnosi medica dell'epoca fu "delirio di persecuzione tendente al suicidio", ma in realtà i maltrattamenti, i tradimenti e la violenza psicologica di suo marito l'avevano resa semplicemente depressa, male che in quei tempi non era riconosciuto come malattia. libro nasce da alcune lettere che la stessa Adalgisa scriveva nello studio del suo psichiatra dove veniva accompagnato sempre da un'infermiera di turno per poi vivere il resto della sua vita in un lungo e doloroso mutismo.

Il dr Luciano Della Mea curò un volume con la storia della malata / degente all'Ospedale Psichiatrico Arezzo:

Manicomio 1914

"Gentilissimo sig.re Dottore, questa è la mia vita"

storia di Adalgisa Conti

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Adalgisa Conti nacque il 28 maggio 1887 e venne ricoverata nell'ospedale psichiatrico di Arezzo il 17 novembre 1913 a soli 26 anni. Ella morirà a 95 anni nello stesso ospedale psichiatrico. Un'intera vita.

Il libro Manicomio 1914 “Gentilissimo dottore, questa è la mia vita” contiene la stessa autobiografia della Conti, una ricostruzione cronologica della degenza della malata dal 1913 al 1977 e cartelle cliniche della stessa Adalgisa Conti. Il libro contiene anche le testimonianze delle varie infermiere che l'hanno avuta in cura, fra le quali mia madre Alda Fabbrini entrata come infermiera professionale nel 1960 e andata in pensione nel 1992.

Adalgisa è entrata in manicomio due anni dopo essersi sposata, donna a detta di chi l'aveva conosciuta prima della degenza, (anche dal sindaco stesso del paese di Anghiari) molto estroversa, comunicativa intelligente ed estrosa. Fu ricoverata dallo stesso marito Probo Palombini (tipografo), la diagnosi fu: "personalità affetta da delirio di persecuzione con tendenza al suicidio".

All’interno dell’ospedale psichiatrico Adalgisa venne chiamata dal medico dell’epoca, il dottor Viviani, in parlatorio, ovviamente accompagnata da un’infermiera per scrivere la propria vita come forse terapia o semplicemente esperimento o intenzione di pubblicare un libro. Scriverà varie pagine e ne verrà fuori una donna sensibile, con una sessualità chiara, ma repressa che per pregiudizi culturali e ignoranza del proprio corpo, sacrificherà alle esigenze di un marito burbero e padrone. Scriverà diverse lettere; nell’ultima, indirizzata al proprio medico curante, racconterà della storia dei 26 anni trascorsi ad Anghiari, prima del ricovero ospedaliero, e dopo quello scritto, tacque per sempre e iniziò il suo viaggio manicomiale fino alla morte.

Un libro denuncia, un caso letterario dove la piaga diventa l’istituzione manicomiale che solo attraverso le terapie a volte non mirate verso alcuni malati, non tenevano conto di quei disturbi che non rasentavano minimamente la pazzia, ma solo problemi a carico di ansie e depressioni oggi curate per fortuna con altri sistemi. Uno strumento letterario, che denuncia ogni tipo di segregazione e violenza psicologica e sociale sulle donne. Un caso umano, una cultura sbagliata, una mentalità chiusa che condannò una donna che aveva solo la colpa di sentirsi in primis sbagliata o contorta per avere pensieri sessuali normali mai accettati.

Nell’introduzione del libro scritta dal giornalista Luciano Della Mea, si legge: «Questo non è il caso di Adalgisa Conti, è la storia di una donna prima della sua vita, raccontata da lei stessa, poi dalla sua “morte” nella regressione istituzionale: anzi si potrebbe dire c’è una storia, poi per 64 anni non c’è più niente se non un tempo vuoto, scandito da annotazioni sempre uguali, da aggettivi stereotipati, gli stessi che si ritrovano in tante cartelle cliniche di lungodegenti che non sono più storia».[1]

Dalla cartella clinica originale* di Adalgisa Conti:

Ha 26 anni, padre bevitore avvelenato per errore di un farmacista, madre vivente e sana.

Ha avuto 17 tra fratelli e sorelle, ma solo 7 viventi: lei è la secondogenita. Dei 5 fratelli e delle tre sorelle, nessuno è sofferente per malattie nervose. La madre ha avuto tre aborti: cinque sono morti piccini ma dopo paralisi. Ha avuto a dodici anni un’emorragia dalla bocca che fu interpretata come un mestruo vicariante e un’enterorragia rilevante. Carattere sensibile, impressionabile: è nipote della Conti Rosa nei Corsi già ricoverata. Ha cominciato ad amoreggiare a 16 anni ed ha sposato a 24 anni. E’ sempre stata gelosissima e molto affezionata verso il marito. Era affetta da anemia fin da giovanissima i mestrui erano irregolari ed appena accennati. Da circa tre mesi ha cominciato ad accusare dolori al capo, soffriva di insonnia, si è fatta melanconica, ha enunciato idee di persecuzione (non voleva uscire fuori perché tutti la deridevano e la guardavano male). Aveva accessi di pianto frequenti. Tre giorni fa, tornato il marito da caccia alla sera, trovò che già la suocera l’aveva fatta trasportare in casa propria avendo dato segni di alienazione mentale e di avere detto di tentare il suicidio ecc

* Dalla cartella clinica di Adalgisa Conti:ricostruzione a cura di Luciano Della Mea

All’interno della cartella clinica vi è una lettera scritta dalla stessa Conti al medico, lettera scritta all’inizio della degenza (1913)[2]

* Gentilissimo e carissimo dottore,

stamani avevo principiato a scrivere, ma poi presa da un momento di eccitazione nervosa, l’ho strappata. Oggi di bel nuovo, mi ha preso il capriccio di rimettermici.

Sono di carattere un po’ volubile e abbastanza sudicia, faccio come una banderuola messa in cima a un campanile o un faro che si volge verso il vento che tira. Lei tanto buono vorrà compatirmi e perdonarmi se vengo a disturbarlo e a domandargli se in un modo o nell’altro vuole accondiscendere e approvare quanto le chiedo. Se la mia vita dovesse trascorrere sempre fra pene e guai, preferisco benché ancor giovane morire che continuarla. Lei che tutto può, io a lei mi affido perché mi faccia andare a casa o a lavorare perché le assicuro che non mi sarebbe di alcun sacrificio. Le ripeto nuovamente che mi do pienamente nelle sue mani, mi uccida o mi renda felice. Sento attrazione per lei, per il Nenci, e per l’Aretoni come se fossi di vita spensierata. Una donna onesta veramente non dovrebbe fare come faccio io, che a dire il vero mi par d’essere prostituta o mantenuta che è la medesima cosa, senza indovinare da chi e a quale scopo…

Numerose sono le lettere che Adalgisa Conti scrisse al medico, lettere che denotano una continua coerenza di pensiero, ma dove il senso di colpa è sempre presente.

Il dottor Viviani, curante dell’epoca, scrive: «Ebbi ad esaminarla, ella ripeteva di essere convinta che non era una donna come le altre, che era maledetta, che era condannata alla dannazione, che doveva scontare grossi peccati, incapace di fare figli perché non ha mai avuto mestrui, che era insensibile durante il coito con il marito ma che praticava, contro la religione, manovre masturbatorie per avere soddisfazione sessuale, non essendo lei una donna normalmente costituita. Non si è ribellata all’idea di entrare in manicomio. Durante il viaggio però ha tentato di gettarsi sotto al treno e all’Albergo di buttarsi dalla finestra».[3] *

Nella cronologia degli anni passati al manicomio, vi è spesso la voce che sottolinea il desiderio di Adalgisa del perdono da parte del marito Probo. La parte del libro che è la cronologia degli anni comprensivi fra il 1913 al 1977, anno prima della chiusura dei manicomi, sottolinea poi i vari processi della malattia che mai cambiano o sviluppano. I giudizi medici anno per anno, la danno come: Conti laboriosa ma disordinata, Conti sudicia, elemento che   ama ornarsi di ciondoli e di trine, Conti Adalgisa che si fa sui capelli meches con i propri escrementi, condizione invariata della malata, personalità inaffettiva, di natura incantata.

Dal 1958 si legge che ha imparato a essere più ordinata, gentile, socievole e che aiuta le altre malate, intontita, e sempre fissata che qualcuno le butti una polverina sulla testa. Adesso ama mettersi carte di caramelle fra i capelli e anellini fatti con fili colorati. Timidamente pronuncia piccoli passi di danza.

La parte finale del libro contiene le varie testimonianze delle infermiere che giustificano la Conti e che parlano di lei come le migliori conoscitrici dell’internata stessa. Le infermiere che hanno visto in lei la donna e non solo la malata, la reclusa, la creduta pazza solo perché in un periodo d’ignoranza e impreparazione anche medica verso la malattia mentale, si credeva di ogni problema psicologico una forma di alienazione da curare con il trattamento carcerario/ospedaliero e una farmacologia inadeguata.

Personalmente condivido quanto espresso da Luciano Della Mea nella sua prefazione e alle sue considerazioni mi piace aggiungere il mio ricordo di Adalgisa Conti quando andavo a fare visita a mia madre infermiera, ricordo Adalgisa Conti a sedere nelle panche del grande manicomio di Arezzo, Adalgisa magrissima con un grande grembiulone e con candidi capelli bianchi. Adalgisa che alla fine, molto anziana, dormiva dentro un lettino a cancelli perché fragile, anziana, e prossima alla morte, Adalgisa che poteva cadere, farsi male e restare inerme nei suoi lunghi silenzi.

Negli anni ’70 Franco Basaglia s’impegnò nella battaglia per la chiusura dei manicomi diventando testo di legge il 13 maggio del 1978 con la famosa legge 180 una legge dalle basi certamente legittime sui principi generali, ma anche teoricamente estremizzata e elargita ad ogni forma psichiatrica, anche nei casi di forti e irriducibili manie. Ciò creò molte associazioni pro e a sfavore di tale legge, questo perché , si dovevano prima creare strutture e organizzazioni tali da sopperire i bisogni che poi i malati hanno necessitato in seguito. TSO (Terapie Speciali Ospedaliere), centri di ricovero di cura ed altro. Spesso le famiglie con parenti di gravi patologie hanno dovuto sostenere, presso la propria abitazione, i parenti come meglio potevano. Ci sono stati gravi incidenti, situazioni scomode, vere e proprie difficoltà a carico di chi non aveva certamente le facoltà e le possibilità a sopperire e gestire certi gravi disagi. In seguito furono costruite quelle che vennero chiamate “case famiglia” dove i malati con patologie curabili con terapie farmacologiche, hanno con il tempo imparato una certa autogestione sotto una sorveglianza infermieristica. Con gli anni si sono creati all’interno di vari ospedali civili, reparti psichiatrici dove s’interviene (in genere con T.S.O.) sul degente con farmaci e incontri psichiatrici.

La malattia mentale un tempo era estesa anche a chi soffriva di gravi depressioni, demenze, persone abuliche, elementi apatici, a chi soffriva di manie, di autismo, molti i casi di sindrome di down, omosessuali ecc. Negli anni, dopo esperimenti sugli umani, fra i quali farmacologie errate, elettrochoc, camicie di forza, terapie invalidanti , coercizioni varie, siamo arrivati finalmente a comprendere molto di più su questo mondo di follia dove spesso l’essere umano è solamente un uomo da curare . La psichiatria ha notevolmente raggiunto una preparazione maggiore e un’attenzione importante ai fabbisogni del malato che è seguito fin dai primi disturbi e curato in modalità diverse da caso a caso. E’ fondamentale che all’interno di ogni famiglia vengano notati i vari atteggiamenti inusuali di figli, parenti e altri componenti e non sottovalutare mai le depressioni, le eccessive fobie e manie di chi abbiamo intorno. Non esiste vergogna e non deve esserci alcun tabù per chiedere aiuto, prima che i danni siano irreparabili e irreversibili. Adalgisa Conti sarebbe forse guarita dalla sua depressione e insicurezza se chi la prese in cura avesse cercato di guardare oltre . Adalgisa che entrata in manicomio a soli 26 anni, quando ancora aveva la voglia di dialogare, di raccontare della propria vita, di esprimersi e di confessarsi. Adalgisa che parlava del suo amore al medico, della propria sessualità che credeva anormale, dei suoi giorni trascorsi con il marito.

Adalgisa che dopo avere scritto lettere / confessioni al proprio psichiatra, credendo di essere ascoltata e forse compresa, si accorse forse che tutto era inutile, smise così di parlare per sempre ed entrò in quel mutismo che l'accompagnò fino alla morte all'età di 90 anni passati interamente tra le mura della follia.

* IL presente saggio fu inserito nell'occasione di un evento “disagio e letteratura e pubblicato in seguito da TPLM nell'antologia omonima nell'anno 2014

  

Marzia Carocci

[2] * Da una lettera scritta da Adalgisa Conti nello studio del dottore curante.

[3] * Appunti del dottor Viviani (psichiatra), sul comportamento della malata Adalgisa Conti

March 24, 2021

E 'da poche settimane in libreria l'ultimo lavoro di Gabriella Gagliardi, Coronavirus. La paura il coraggio l'impegno. Frammenti di emozioni e pensieri (Armando Editore), un libro, nonostante la sua tematica, dalle tinte delicate, suggestivamente emozionante e capace di suggerire riflessioni sottili. Un libro che, senza pretendere di spiegarci tutti i perché della tragedia in cui stiamo vivendo, si offre di guidarci, con passo cadenzato e lieve alimentato da saggezza antica, a scrutare il nostro mondo interiore denso di fragilità e paure, ma anche di tanta voglia di coraggiosa reazione e serietà di impegno.

Un libro che, mentre ci troviamo immersi in una campagna vaccinale ipnotizzante e sottoposti, ancora una volta, a durissime  misure di libertà individuali e collettive, divisi e contrapposti tra coloro che invocano e apprezzano tali misure, considerandole necessarie e doverose per la tutela pubblica, e coloro che, invece, le intendono come le ulteriori mosse di un piano volto a seminare paura e povertà per un vantaggio esclusivo di una mega cupola mondiale, ci può aiutare a metterci con onestà e fiducia di fronte a noi stessi, favorendo uno sguardo più penetrante e consapevole sulle nostre dinamiche psicologiche e favorendo, altresì, una meditata capacità di fronteggiare le nostre ansie dinnanzi agli interrogativi presenti e futuri delle nostre vite.
Con Gabriella, collega di tempi lontani ed amica ritrovata, è nata la conversazione che segue.

* Hai dedicato il tuo libro agli anziani e ai giovani. Perché?
Forse perché sono quelli che più si sono trovati a vivere in una condizione di forte cambiamento, di grandi rinunce, di lacerante deprivazione socio-affettiva?

- La dedica è una cosa importante che sorge dal profondo.
Sì, mi sembrano loro i più esposti e, soprattutto gli anziani, i più inermi. Ma c'è, nella mia dedica, anche un motivo autobiografico.
Io ho avuto il privilegio di poter vivere accanto a mia madre la sua vecchiaia, provando una tenerezza infinita. Lei era talmente delicata e gentile che, se appena le rispondevo con un tono di voce leggermente più alto, lei diceva: “scusa!”. A me quello “scusa” mi risuona sempre, non senza un sentimento quasi di colpa o di dispiacere. A tutti raccomando  quindi di non sminuire mai il proprio amore per i nostri vecchi.
Anche i giovani sembrano particolarmente esposti a mancanze e privazioni. Essi sono stati definiti la generazione "senza padri e senza maestri". Ma hanno però un vantaggio, una forza inalienabile: la vita! E quindi il futuro e il coraggio. Sono perciò i protagonisti della storia a venire.
Ne parlo in conclusione del libro.
Per questo motivo ho la speranza viva per loro. Ne ho conosciuti molti veramente degni, seri e valorosi.
E 'per questa ragione che ho dedicato a entrambi il mio lavoro.
Agli anziani per la loro silenziosa saggezza.
Ai giovani per la loro fragorosa potenza di azione.

* Nella fase conclusiva del tuo libro, ci esorti a non essere risucchiati né dall'ottimismo “degli sciocchi”, né dal pessimismo “degli stolti”, a non lasciarci, cioè, ingabbiare e paralizzare all'interno dell'antinomia del “tutto andrà bene ”e del“ tutto andrà sempre peggio ”.
Ora, a distanza di diversi mesi, con uno scenario angosciante di enorme impoverimento di larghe fasce di popolazione, con attività scolastiche, culturali, artistiche e sportive quasi totalmente azzerate e, soprattutto, con una immensa difficoltà ad intravedere concreta possibilità di vera ripresa e di prospettive lavorative per i nostri giovani, quanto, mi chiedo e ti chiedo, è e ancora sarà possibile mantenere desta una realistica fiducia nel prossimo futuro?

- Anch'io oggi vacillo un po '. I problemi sono tanti e di grossa entità, e certo non si può pretendere di risolverli dall'oggi al domani; in più, proprio mentre scrivo, ci troviamo nel mezzo di una difficile crisi politica. Sembra un paradosso: una crisi nella crisi! Una vera alienazione della ragione.
Tutt'intorno c'è silenzio. Gli intellettuali tacciono. Sento solo le voci del Papa e del Presidente Mattarella (a vuoto!) ...
Di fronte a questo scenario, io stessa resto perplessa e provo momenti di scoraggiamento ...
Ma, tuttavia, la vita scorre e ci richiama a sé con la sua forza. A me bastano poche cose per riprendermi dallo smarrimento.Le poche cose sono piccole cose: una giornata di sole, il volto di un bambino, un affetto, la lettura di un libro con la scoperta di nuove verità, e tante altre occasioni di gioia. Ed è per esse che mi soffermo sempre su una riflessione, anche nei momenti estremi. La riflessione è semplice: è un avvertimento di me a me stessa. E 'come se io mi dicessi: so bene che certi princìpi alcune persone non li capiranno mai e che, pertanto, la lotta fra Eros e Thanatos per l'affermazione del Bene non avrà mai fine. Come dico nel libro, non ho certezze al riguardo. Ma io non posso, solo per questo, cedere all'inerzia del nichilismo. Se perdo l'impegno, perdo la speranza. E, se perdo entrambi, perdo la vita.
Che significato avrebbe la vita senza un senso da dare ad essa! La lezione di Camus ne La Peste risulterebbe vana e neanche io (e non solo certi politici) l'avrei appresa, allora!
Quindi, la mia risposta è SI '... è ancora possibile. Deve esserlo.
E, se non sarà una fiducia del tutto salda e realistica, sarà almeno una calma e impegnata attesa rispetto al futuro e anche una speranza, un orizzonte utopico per aiutarci a camminare.

* Molto dense di filosofiche riflessioni sono le pagine centrali che tu hai dedicato al tema della paura, giudicata come "l'emozione più grande". Sfortunatamente, la paura continuiamo ad incontrarla quotidianamente per strada, negli occhi di chi cammina diffidente, barricato dentro una o più mascherine, magari anche in un parco semideserto o in riva al mare ... ma questa paura, considerando l'assillante martellamento praticato dalla grancassa mediatica 24 su 24, credo che assai difficilmente possa essere considerata casuale o “naturale” ...
Ricordi Antonio Albanese con il suo orrendo personaggio del Ministro della Paura?

“IO SONO IL MINISTRO DELLA PAURA, E, COME BEN SAPETE, SENZA LA PAURA NON SI VIVE! UNA SOCIETA 'SENZA PAURA E' COME UNA CASA SENZA FONDAMENTA: PER QUESTO IO CI SARO 'SEMPRE NEL MIO UFFICIO BIANCO, CON LA MIA SCRIVANIA BIANCA DI FRONTE AL MIO POSTER BIANCO ... AAH CHE PAURA! CI SARO 'SEMPRE CON I MIEI ATTREZZI DEL LAVORO, LA MIA PULSANTERIA, PULSANTE GIALLO, PULSANTE ARANCIONE, PULSANTE ROSSO RISPETTIVAMENTE POCA PAURA, ABBASTANZA PAURA, PAURISSIMA. "
Insomma, dietro alla paura dilagante, non credi sia possibile scorgere una vera e propria (efficientissima)" industria della paura "?


- Magari fosse!
Purtroppo la paura è reale e il pericolo anche: tutt'altro che fantasioso.
Paura di morire (da soli) e paura di ammalarsi (da soli). E Morte reale e malattia reale coincidono. Entrambe non mi sembrano fabbricate o prefabbricate.
Diversa, semmai, è la speculazione sulla paura. Sì, quella può esserci, come indicato simpaticamente dalle parole di Albanese. Ma questa, purtroppo, è sempre esistita. Basti pensare soltanto, per esempio, ai populisti di tutto il mondo, che soffiano sui timori della gente per interessi di altro tipo. Anche quelli sono “pandemici”.
Ma, allora, anche in questo caso, sia pur ammettendo tutto quello che tu sembri supporre, tanto più risulta valida la mia risposta precedente in merito all'impegno.
Tanto più si insidia il Bene, tanto più dobbiamo mobilitarci per esso. Tu, che da tempo ti occupi di difesa dei diritti umani, lo sai sicuramente meglio di tanti altri.

* Nel tuo libro, da ex docente di filosofia e, soprattutto, da eterna studentessa eternamente innamorata della filosofia, tendi a sottolineare l'importanza del fare filosofia, in particolare modo di fronte alle grandi domande e sfide che la vita ci presenta. Non pensi, però, che il fare non dovrebbe avere una finalità eminentemente di carattere quietivo o consolatorio, ma risultare, bensì (come i grandi maestri soprattutto dell'Ottocento ci hanno insegnato), fonte inesauribile e spregiudicata di coltivazione del dubbio, di esercizio del sospetto e di attività di smascheramento?
E non ti sembra che, salvo rare eccezioni, di tutto ciò, in questo doloroso periodo, ci sia stato ben poco?
Non ti sembra che ad occupare la scena siano altri soggetti (politica, scienza, tecnologia, ecc.) E che, nelle varie scelte sostenute ed attuate dai vari governi mondiali, si possa scorgere (soprattutto per come sono state drasticamente limitate le libertà di infanzia , adolescenza e senilità) un doloroso deficit di approccio filosofico, ma anche di sensibilità e competenze psicologiche e psicosomatiche?

 Gabriella Gagliardi


- Alla filosofia si attribuiscono tanti diversi significati, ruoli e definizione. Io, ispirandomi ad Aristotele, per il quale essa nasce dal dolore e dalla meraviglia, la definisco: “Curiosità e dolore”.
Perché la filosofia è l'uomo, quindi gioia e dolore, felicità e pianto; è l'uomo pensante.
Il pensiero è l'uomo stesso, l'elemento divino dell'uomo, come diceva Pico della Mirandola.
In quanto pensiero, dunque, è tutto quello che tu dici. Contiene dubbio, prima di tutto, consolazione, smascheramento e, perché no, come conseguenza, forse anche sospetto. Ma con le dovute differenze e distinzioni, a seconda delle circostanze.
Oggi, davanti alle grandissime difficoltà, è, più che altro, aiuto: ci soccorre e ci consola, come la preghiera.
Dubbio e sospetto li attribuirei ad altre situazioni. E, comunque, fra dubbio e sospetto, farei una distinzione. Il primo ha una connotazione più razionale ed è ermeneutico. E 'senz'altro positivo. Il secondo contiene un elemento emotivo, in quanto comporta la paura dell'inganno, ed è sì lecito, ma una condizione che non venga trasformata in certezza, perché, in questo caso, diventerebbe il contrario del dubbio.
Il dubbio è sempre aperto. Il sospetto esige la verifica. Se le prove non possono essere certificate, può finire per affermare certezze marmoree quanto quelle ufficiali.
Vorrei aggiungere, fuor di allusioni e fraintendimenti, che io, comunque, nel mio libro, non affronto il tema delle politiche mondiali messe in atto per fronteggiare il virus, ma mi limito ad analizzare gli stati d'animo, le emozioni, i pensieri e le diverse reazioni dell'essere umano rispetto a tutto ciò che lo minaccia. E lo faccio per un particolare interesse verso la profondità del nostro io. In definitiva, è un saggio (non triste) sull'uomo di fronte alle prove della vita.

* Fra le cose più belle presenti nel tuo lavoro, credo meriti una particolare menzione la poesia di una bimba sul tema dell'Infinito, definito come "il nostro più fidato amico e la nostra più temuta paura". Perché questa tua scelta?

- Quando scrivo di cose serie, mi piace intervallare e alleggerire il discorso con qualche notazione di altro genere. Così è capitato con la poesia della bambina che ha introdotto una nota di freschezza nella trattazione. L'ho fatto anche nelle pagine successive, con un'altra storiella molto speciale che riguarda due gatti, Mao e Dybala, ed un loro soccorritore. La poesia me l'ha inviata Sara, una bambina che ama leggere e comunicare, con cui mi diletto a dialogare.
Ho notato come una bimba, proprio in un clima di clausura, ha sentito la spinta a parlare di infinito. Trovando quindi, una evasione da momenti difficili. Ho avuto la conferma che l'infanzia è creativa per antonomasia, e ho fatto un paio di considerazioni:
* anche nelle situazioni più difficili può nascere un momento di gioia;
* la cultura è importante sempre e tutte le età, anche per i piccoli, perfettamente in grado di sorprenderci.
Quindi, vorrei offrire al lettore per chiudere la nostra chiacchierata, in anteprima e per intero, questo piccolo componimento.


L'infinito si estende tra di noi;
l'infinito non è paragonabile;
esso percorre le nostre vite
ed i nostri pensieri;
Lui è il nostro più fidato amico
E la nostra più temuta paura.
Non lo ha mai capito nessuno.
E 'l'incognita più grande e oscura
E finché la morte vivrà
Mai nessuno lo capirà.

Gabriella Gagliardi

Coronavirus. La paura il coraggio l'impegno. Frammenti di emozioni e pensieri
Editore: Armando Editore

Gabriella Gagliardi, nata a Salerno, laureata a Napoli in Filosofia Morale, vive da molti anni a Roma dove ha insegnato Filosofia, Pedagogia e Psicologia nell'indirizzo sperimentale pedagogico di un Istituto Magistrale. Fra i suoi libri, ricordiamo: Psicologia del malato oncologico. Non muore il desiderio, Armando Editore, Roma 2019
(https://www.flipnews.org/component/k2/psicologia-del-malato-oncologico-non-muore-il-desiderio.html)

March 21, 2021
Tre, sono i romanzi più difficili che ho incontrato, nel corso della mia vita di lettore e  che non sono riuscito a leggere fino in fondo (se non dopo vari tentativi), “per un recalcitrare dell'anima mia ”..
“Auto da Fè”, di Elias Canetti, “Storia di amore e di tenebre”, di Amos Oz, e “La vita breve” di  Juan Carlos Onetti.
Auto da Fè, un libro di mia madre, stampato anni fa ancora in una veste grafica e  tipografica ormai abbandonata, è “un testo a facile naufragio” ..
Trovo che il lettore dopo qualche centinaia di pagine si ritrovi parzialmente  demotivato a continuarlo, per via di una prosa troppo descrittiva, minuziosa, poco  avvincente in alcune parti e, allo stesso tempo, che pecca di un tipo di concettualismo  (non facilmente esplicabile) che è proprio più dei saggisti che dei romanzieri tout-court.
Canetti, a mio avviso, è stato molto più un saggista che un romanziere, nonostante  abbia ricevuto un nobel per la letteratura, nel 1981: ma si sa, il nobel è un po 'un premio politico ed ideologico, dato spesso a chi incarna meglio i valori dominanti della propria epoca. 
Certamente mi sbaglierò, ma si pensi al nobel / paradosso, per la Pace, dato ad un   recente presidente Usa che, a ben vedere è stato l'ennesimo guerrafondaio, arrivato alla Casa Bianca ..
Il testo di Oz, ha invece una prosa più moderna e scorrevole di quella di Canetti, ma  oscilla tra capitoli coinvolgenti che riguardano la sua vita, la sua famiglia e le   connessioni di essa con le vicende storiche del popolo ebraico, e altri, un po 'troppo  auto-biografici, in cui sistema un po' troppo al centro della storia l'ego di questo bambino, il protagonista (lui), determinando alla fine un calo mortale, nel  lettore, dell'interesse, e della necessità di giungere in fondo al libro.
La vita breve, di Onetti, è un testo quasi introvabile e, credo, ormai assente dagli  scaffali impolverati delle ultime “librerie analogiche”, destinate a non riaprire (si sappia).
Onetti, per chi non lo sapesse, viene considerato, da un certo numero di grandi  scrittori dell'america-latina il più grande, contemporaneo.
Sicuramente è stato uno dei più grandi, ossessionato dalle parole fino alla morte,  avvenuta nella sua stanza di casa, in cui s'era rintanato a scrivere, tra pile di libri e cataste di fogli scritti, da cui non usciva da settimane.
La vita breve è un romanzo straordinario, del quale è assolutamente indispensabile  leggere la premessa, pena l'incapacità del lettore di procedere nella storia, di capirla nella sua struttura e sviluppo.
Almeno: questo è quello che è accaduto a me, quelle quattro o cinque volte che l'ho approcciato  e che, dopo un centinaio di pagine me lo ha fatto abbandonare, sdegnato ..
 
 Elias Canetti
Sono sicuro però che ci siano dei lettori molto più scaltri del sottoscritto, che non  necessitano di questa guida iniziale (la premessa di cui parlavo) per affrontare e venire a capo della vita breve.
La vita breve è un po '(forse) - seguo qui le tracce della premessa - questo svettare  reiterato verso uno o più mondi irreali / onirici cui, chi più chi meno, verte, si sposta di tanto in tanto, per poter allontanarsi giusto un pochino da una realtà un tantino  affligente.
A tratti.
(Ora spesso, però)
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