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In occasione della giornata contro la violenza di genere organizzata dall'Istituto San Gallicano di Roma una conferenza Internazionale per combattere il dramma delle mutilazioni genitali femminili.
Le mutilazioni genitali femminili (MGF) si riferiscono a tutte le procedure che comportano la rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre lesioni agli organi genitali femminili per motivi culturali o di altro tipo non medico.
Dal 2012 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha designato il 6 febbraio come Giornata Internazionale della tolleranza zero per le Mutilazioni Genitali Femminili (MGF), al fine di intensificare l'azione globale contro questa violazione dei diritti di donne e ragazze. Il tema delle MGF investe ambiti a maglie strette intorno all'individuo e richiama un'attenzione multidisciplinare, di tipo sanitario, socioantropologico, giuridico ed etico.
Nessuna religione promuove la pratica delle MGF. Tuttavia, più della metà delle ragazze e delle donne, in quattro paesi su 14 in cui sono disponibili i dati, vedono le MGF come un requisito religioso. La MGF spesso purtroppo è percepita come collegata all'IsIam, forse perché è praticata da molti gruppi musulmani, ma non tutti i gruppi islamici praticano la MGF, e molti gruppi non islamici la eseguono, tra cui alcuni cristiani, ebrei etiopi e seguaci di alcuni religioni tradizionali africane.
Le MGF sono quindi più una pratica culturale piuttosto che religiosa. In effetti, molti leader religiosi lo hanno denunciato.
Il Novecento è stato il secolo in cui il concetto di salute ha delineato un valore universalmente inteso ed ha esteso le aree di intervento nei paesi sia a Nord che a Sud del mondo. Purtroppo gli sforzi delle comunità internazionali risultano essere ancora insufficienti se confrontati con il fenomeno delle MGF. Oltre 250 milioni di donne e bambine, infatti, hanno subito una forma di MGF e ogni anno, 4 milioni di bambine nel mondo, rischiano di essere sottoposte a questa "pratica tradizionale". Eseguito in oltre 30 paesi di Africa e Medio Oriente, il fenomeno interessa anche donne immigrate che vivono in Europa occidentale, Nord America, Australia e Nuova Zelanda. Abolire le MGF è uno degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell'OMS per il 2030.
Oltre la metà delle ragazze che ha subito una forma di MGF non ha compiuto ancora cinque anni di vita, mentre sarebbero almeno 4 milioni le bambine e adolescenti ad averle subite entro i 14 anni. In questa fascia di età la disparità maggiore è stata riscontrata in Gambia, con il 56 per cento, in Mauritania con il 54 per cento e in Indonesia, dove circa la metà delle bambine fino a undici anni avrebbe subito una delle diverse forme di mutilazione. I Paesi con la più alta prevalenza tra le ragazze e le donne tra i 15 ei 49 anni sono Somalia (98 per cento), Guinea (97 per cento) e Gibuti (93 per cento). Occorre rimarcare che si tratta di una vera e propria violenza sulle bambine, un problema globale dei diritti umani che colpisce le ragazze e le donne in ogni regione del mondo e che non si può più pensare che venga confinato in un determinato paese, visto anche l'enorme
video dell'intervento del prof. Aldo Morrone |
aumento dei fenomeni migratori a livello globale.
Anziché diminuire con il tempo, queste pratiche sembrano diventare ancora più diffuse, anche in Paesi dove prima erano apparentemente sconosciute. Secondo il Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta, (CDC) persino negli Stati Uniti il numero degli interventi è addirittura triplicato negli ultimi anni, a causa dell'incremento del fenomeno migratorio.
Per comprendere, invece, quanto le MGF siano diffuse in Europa basta guardare al numero delle donne che chiedono asilo provenienti da Paesi a forte tradizione escissoria. Nel 2008 erano 18.110, nel 2013 hanno superato le 25mila, oggi sono oltre 36mila.
In Italia, si stima che nel 2020 siano almeno 88 mila le donne che abbiano subito una delle diverse forme di MGF nel loro Paese di origine di MGF. Stando a questi dati, anch'essi comunque considerati inattendibili, stando la clandestinità in cui viene eseguita questa pratica, il nostro paese sarebbe al quarto posto in Europa, come numero di vittime delle MGF.
Questi alcuni Target dell'obiettivo 5 dell'Agenda ONU 2030 in merito:
1) Porre fine a ogni forma di discriminazione nei confronti di tutte le donne, bambine e ragazze in ogni parte del mondo
2) Eliminare ogni forma di violenza contro tutte le donne, bambine e ragazze nella sfera pubblica e privata, incluso il traffico a fini di prostituzione, lo sfruttamento sessuale e altri tipi di sfruttamento
3)Eliminare tutte le pratiche nocive, come il matrimonio delle bambine, forzato e combinato, e le mutilazioni dei genitali femminili
4) Garantire alle donne la piena ed effettiva partecipazione e pari opportunità di leadership a tutti i livelli del processo decisionale nella vita politica, economica e pubblica
5) Garantire l'accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai diritti riproduttivi.
L'Istituto San Gallicano di Roma da oltre 30 anni è presente nei principali Paesi Africani, in particolare nel Corno d'Africa, nell'Africa Sub-Sahariana e nel Medio Oriente con iniziative volte all'accoglienza, all'ascolto delle donne e delle bambine, con la realizzazione di campagne di sensibilizzazione volte a dissuadere le donne a far praticare le MGF alle bambine, coinvolgendole in attività di tutela della salute. Inoltre numerose iniziative sono state messe in atto per facilitare l'accesso alle scuole per le bambine. Sono stati realizzati numerosi centri per la tutela della salute materno-infantile sia in aree urbane, ma soprattutto in regioni rurali remote.
Non di meno l'istituto ha sempre operato per porre fine alla pratica delle MGF anche attraverso la formazione di personale socio-sanitario e scolastico in vari Paesi a forte tradizione escissoria, in particolare in Africa e in Medio Oriente dove l'impegno costante e strutturale ha portato , in molti casi, all'approvazione di leggi che proibiscono la pratica delle MGF. "La nostra capacità di accoglienza e sensibilizzazione, di cura e assistenza, è proseguita anche durante la pandemia" afferma il Direttore Scientifico Istituto San Gallicano (IRCCS) di Roma, il professor Aldo Morrone.
Per il professore durante il lockdown le mutilazioni sono aumentate. Sempre più donne e bambine rischiano di subire una MGF perché, negli ultimi tre anni, le scarse risorse sanitarie destinate alla prevenzione e al contrasto di questa pratica sono state dirottate sulla pandemia da COVID-19, inoltre la chiusura dei servizi socio-sanitari e scolastici insieme al confinamento a casa, come misura di contrasto alla diffusione del SARS-CoV-2, ha provocato almeno un milione in più di bambine vittime di MGF. La pandemia da COVID-19 ha squarciato il velo delle ipocrisie sulle disuguaglianze e le iniquità in tema di salute e ha determinato una battuta d'arresto ai risultati significativi ottenuti a livello globale per contrastare le MGF. La pandemia da Covid-19, ha determinato anche un peggioramento clinico ed epidemiologico di tutte le altre malattie trascurate come l'AIDS, la Malaria e la Tubercolosi.
Le conseguenze delle MGF sulla salute psichica, sessuale e fisica delle donne mutilate sono molteplici e spesso particolarmente gravi. Tra quelle immediate di più frequenti riscontro possiamo includere la morte, le emorragie, le infezioni sovrapposte sino alla setticemia, la ritenzione urinaria acuta e lo shock emorragico e, tra quelle tardive, vanno sottolineate le difficoltà di guarigione delle ferite, ascessi, cheloidi, le fistole vescico-vaginali, stenosi dell'orifizio vaginale e complicanze del parto. I problemi legati alla gravidanza e al parto possono essere molto gravi. È stata segnalata con sempre maggiore evidenza l'infezione da HIV da Chlamydia, Gonorrea, e Papillomavirus umano (HPV).
Le MGF rappresentano un potenziale fattore di rischio per l'infezione da HPV. Le donne sottoposte a MGF, infatti, presentano prevalenze di infezione da HPV fino a quattro volte più elevate rispetto alle donne non mutilate. Il ruolo causale dell'HPV nello sviluppo del carcinoma della cervice uterina rende le donne sottoposte a MGF a maggior rischio di tumore del collo dell'utero.
Oggi in Italia la Legge 9 gennaio 2006, n. 7, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 14 del 18 gennaio 2006, recante "Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazioni genitali femminili", prevede il divieto di praticare le MGF, considerandole un grave reato. La legge però non ha più ricevuto fondi per consentire l'avvio di campagne di sensibilizzazione e di dissuasione della pratica delle MGF. Una stima approssimativa delle donne che hanno subito una delle forme di MGF nei loro Paesi di origine, e che vivono in Italia, indicherebbe una cifra intorno a 88 mila donne di cui oltre 7 mila minorenni.
La Commissione Europea stimava a febbraio 2022 che, almeno in 13 paesi europei di questa, come minimo 180.000 bambine continuino a essere a rischio di mutilazione, mentre 600.000 donne convivono con le conseguenze delle MGF in Europa.
La domanda a cui dobbiamo porci è: si riuscirà davvero ad eradicare le MGF? Per rispondere a ciò l'Istituto San Gallicano, guidato dal professor Morrone, ha organizzato il 6 di febbraio scorso a Roma, presso il Ministero della Salute, un congresso internazionale contro la violenza di genere dal titolo “Mutilazioni Genitali Femminili – Restituire Dignità e Salute alle Donne tra Nord e Sud del Mondo”. Ne hanno discusso studiosi, rappresentanti politici e istituzionali, della società civile e del volontariato.
Proseguono le battaglie democratiche dei prof Francesco Benozzo e Luca Marini
Francesco Benozzo e Luca Marini sono stati i docenti universitari italiani che, da subito e senza alcuna esitazione, si sono opposti (voci isolate in uno sconcertante silenzio accademico) alle politiche “anticovid” adottate dai nostri governanti, denunciandone, apertamente e con la massima chiarezza, gli aspetti illogici e pericolosamente antidemocratici.
Nell’agosto 2021, in piena emergenza sanitaria, si rivolsero al Presidente Mattarella con una lettera (rimasta senza risposta) in cui venivano evidenziati gli aspetti a loro giudizio discutibili della campagna vaccinale in corso, dichiarando la propria volontà di cittadini e di docenti universitari di non accettare acriticamente gli incostituzionali provvedimenti del Governo in merito all’obbligo vaccinale.
A distanza di un anno e mezzo dal loro Appello, in seguito anche al fatto che gli stessi “soggetti più direttamente interessati alla
promozione della campagna vaccinale hanno ammesso apertamente la verità: ossia di non avere mai cercato, e di non avere mai avuto alcuna prova in merito alla presunta efficacia e alla presunta sicurezza del cosiddetto vaccino”, hanno scritto, sempre alla Presidenza della Repubblica, una seconda lettera (inviandola, p.c., anche al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente del Senato della Repubblica, al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente della Corte costituzionale).
In questo secondo Appello, i due docenti, constatato che
esprimono la convinzione secondo cui, sulla base delle evidenze emergenti in tutta Europa, “che stanno rivelando una verità troppo a lungo celata”, in merito alla mai scientificamente provata efficacia e sicurezza dei cosiddetti “vaccini”,
il Presidente Mattarella farebbe ottima cosa se decidesse di chiedere scusa “a tutti gli italiani per il male che è stato fatto loro”.
Inoltre, in un corposo articolo apparso su La Voce delle Voci del 5 novembre scorso, di fronte all’auspicio di una “pacificazione nazionale post-Covid”, proveniente da più parti, esprimono il timore che dietro a tale proposta si possa annidare il progetto di scoraggiare o impedire possibili inchieste e azioni giudiziarie, in modo da “mantenere celate, agli occhi del vasto pubblico, le relazioni organiche e funzionali tra le élite finanziarie transnazionali, da una parte, e i circuiti scientifici, accademici, tecnologici, produttivi, industriali, commerciali, culturali, mediatici e politici, dall’altra”, e facendo, così, “calare definitivamente la cortina dell’omertà e dell’impunità sui crimini e i misfatti commessi, ancora una volta, in nome della scienza.”
Per i due docenti, è impensabile e improponibile parlare di pacificazione nazionale (e ancor più di perdono!) per coloro (innumerevoli) che hanno promosso, avallato e applaudito affermazioni come:
– “Non ti vaccini, ti ammali, muori” (M. Draghi);
– “Escludiamo chi non si vaccina dalla vita civile” (S. Feltri);
– “Penso che lo Stato prima o poi dovrà prendere per il collo alcune persone per farle vaccinare” (L. Annunziata);
– “I rider devono sputare nel loro cibo” (D. Parenzo);
– “Serve Bava Beccaris, vanno sfamati col piombo” (G. Cazzola);
– “Prego Dio affinché i non vaccinati si infettino tra loro e muoiano velocemente” (G. Spano).
Né potrebbe esserci pacificazione o perdono per coloro che hanno concepito e imposto “strategie e strumenti abietti come la “tachipirina e vigile attesa”, l’obbligo vaccinale e il Green Pass”.
Cosa auspicare quindi?
La speranza e la proposta dei due prof è che, da parte di coloro che, in maniera più o meno rilevante e diretta, hanno imposto provvedimenti liberticidi, nonché sostenuto e diffuso minacciosamente tesi e accuse insultanti, possano essere pronunciate chiare richieste di scuse.
Fermo restando che in nessun caso si dovrebbe rinunciare di pretendere, a livello nazionale e internazionale, un doveroso, accurato, imparziale e rigoroso accertamento delle reali responsabilità civili e penali di tutti i soggetti coinvolti.
Purtroppo, però, come ha ben scritto Susanna Tamaro nel suo splendido Tornare Umani, fino ad ora, almeno, non ci è dato scorgere e registrare “alcun segno in questa direzione”…
Fonti:
- https://presskit.it/2022/10/29/lettera-aperta-mattarella-chieda-scusa-tutti-gli-italiani-male-firmata-due-docenti-universitari/
- http://www.lavocedellevoci.it/2022/11/05/benozzo-e-marini-sempre-in-prima-linea/
- https://www.arezzoweb.it/2022/prof-benozzo-e-prof-marini-presidente-mattarella-chieda-scusa-a-tutti-gli-italiani-per-il-male-che-e-stato-fatto-loro-541481.html
- Susanna Tamaro, Tornare Umani, Solferino 2022
Sette accademici italiani* hanno recentemente diffuso un documento-manifesto con il quale esprimono giudizi fortemente critici nei confronti delle strategie antipandemiche adottate dai governi Conte e Draghi (accusate di essere dogmaticamente antiscientifiche e di essere risultate fallimentari), salutando invece con favore l’inizio di un nuovo corso avviato dal nuovo governo.
Queste, in sintesi, le loro argomentazioni:
Ciò dovrebbe farci riflettere in merito alla scarsa qualità delle nostre strutture sanitarie e in merito alle modalità adottate nella registrazione dei decessi.
nello scoraggiare le autopsie “(che ci avrebbero permesso di capire in anticipo la fisiopatologia del virus)”;
nell’imporre “regole assurde (paracetamolo e vigile attesa, banchi a rotelle)”.
“Si voleva che il vaccino emergesse come salvifico e insostituibile? Questo è il modus operandi delle tecniche di persuasione basate sulla paura, che hanno ispirato i media con l’obiettivo di sostenere il vaccino finanche a negarne gli effetti collaterali.”
Per cui, se un vaccino non è in grado di mettere al riparo dal contagio, se non previene l’infezione, perché continuare a considerarlo tale?
In base, quindi, alla chiara assenza di fondamento scientifico, sarebbe pertanto “saggio e logico” che l’imposizione liberticida del green pass (che ha avuto, tra l’altro, il tragico effetto di alimentare “risentimento e divisioni all’interno del nostro stesso popolo”), venisse al più presto rimossa.
E’ insensato invitare a “credere” in un qualche vaccino. Per avallare una terapia non è certo necessario abbracciare la via della fede: occorre, bensì, essere “convinti dai dati”.
Fideismo e dogmatismo sono radicalmente antitetici al metodo scientifico.
Inoltre, non andrebbe ignorato o sottovalutato il fatto che la principale azienda impegnata nella produzione vaccinale anticovid “in passato si è resa responsabile di fatti eticamente inaccettabili, spesso penalmente rilevanti.”
Incomprensibile, poi, risulta la “segretezza sui contratti di acquisto dei vaccini e sulle modalità di produzione degli stessi”.
Anche l’ossessivo ricorso ai tamponi (dimostratisi incapaci di fornire dati affidabili) andrebbe prontamente accantonato.
Pertanto, le misure adottate dal nuovo governo vengono salutate come “frutto del buon senso che rifugge dall’ideologia”, volte a sanare “una frattura con quei medici che, spinti dal dubbio critico, si erano sottratti a un obbligo che costituzionalmente resta dubbio se non arbitrario e che ora sono doverosamente riabilitati per quanto ancora attendano il giusto risarcimento.”
*Mariano Bizzarri, Francesco Fedele, Gennaro Sardella, David Conversi (Università La Sapienza, Roma)
Marco Cosentino (Università Insubria)
Vanni Frajese (Università di Roma Foro Italico)
Paolo Bellavite ( Università di Verona-in quiescenza)
Ciro Isidoro (Università del Piemonte Orientale)
Roberto Verna (Università La Sapienza, Presidente WASPaLM)
Il dolore è ancor più dolore se tace (Giovanni Pascoli)
La fibromialgia è una malattia cronica caratterizzata da dolore diffuso, rigidità muscolare, disturbi del sonno, della memoria, stanchezza cronica, e conseguente riduzione del tono dell'umore. Può compromettere seriamente lo svolgimento delle comuni attività quotidiane, oltre ad avere un impatto negativo sulla maggior parte degli aspetti legati alla qualità della vita. Vi è un continuo, costante, a tratti intenso malessere fisico, causato da tutta questa serie di disturbi e relative difficoltà giunte a minare la vita del paziente. Tutto ciò, arriva nel tempo a creare un umore deflesso, soprattutto perché fibromialgia e relative difficoltà ribaltate nel quotidiano, sono spesso sottovalutate o incomprese sia a livello medico, che familiare, che lavorativo.
Questa malattia colpisce circa 2 milioni di italiani ed il suo esordio si manifesta generalmente tra i 25 e i 55 anni, con una particolarità: le donne hanno molta più probabilità di sviluppare la fibromialgia rispetto agli uomini.
Non essendone note le cause, a tutt’oggi non esistono cure specifiche per la fibromialgia. Sono tuttavia disponibili diversi farmaci, studiati ed usati per la cura di patologie appartenenti ad altre branche specialistiche, e che per alcune caratteristiche compatibili, sono usati per cercare di controllare ed alleviare i disturbi (sintomi) della fibromialgia.
Di questa patologia vorremmo saperne di più, e vorremmo conoscere anche a che punto siamo arrivati con la medicina.
Chiederemo a Rosaria Mastronardo, di Firenze, facilitatrice del Gruppo Auto Aiuto "Fibromialgia: affrontiamola Insieme", socia di "Cittadinanza Attiva Toscana" e socia del Coordinamento Toscano dei Gruppi di Auto Aiuto, malata lei stessa da anni di questa patologia.
D-Buongiorno Rosaria, prima di porti nello specifico domande inerenti al tuo impegno per rendere sempre più nota ai più questa patologia, vorrei sapere quando ti sei resa conto del tuo personale problema e soprattutto delle difficoltà che hai incontrato per farti riconoscere "fibromialgica"
R-Purtroppo, lo ricordo benissimo, era il 2015.
Iniziai a non sentirmi bene: ero particolarmente stanca e pensavo fosse influenza, oppure fosse solo stanchezza causata dalla mia frenetica routine. Mi facevano male le gambe e facevo fatica a camminare: dolori ovunque. All’inizio, proprio perché convinta si trattasse di un virus influenzale, cominciai ad assumere paracetamolo. Andai avanti per qualche tempo, ma senza risultato, anzi, i dolori aumentarono a tal punto che mi accorsi di non avere più sensibilità dal bacino in giù.
Purtroppo, ricordo molto bene quel periodo, perché fu l’anno della tesi di mio figlio. Strano vero? Arrivò il giorno della laurea, il livello di euforia era alto, ero stanca ma con la felicità alle stelle, perché vedevo finalmente realizzarsi un sogno, quello che è uno dei più bei traguardi nella vita del proprio figlio, soddisfazione infinita per tutta la famiglia. Era il 1° dicembre del 2015: non posso dimenticare quello che è avvenuto dopo, perché ancora oggi soffro terribilmente, non solo per la fibromialgia ma per tutte le altre patologie che in questi anni sono emerse. Subito dopo i festeggiamenti, non avevo nessuna intenzione di rovinare la festa a mio figlio e a tutti gli invitati, convinsi mio marito a portarmi al pronto soccorso. Quel giorno non si può dimenticare, avevo paura, tanta paura. Mi sottoposero a numerosi esami, ma fortunatamente tutti i risultati erano buoni; gli stessi medici che mi visitarono non sapevano dare una collocazione a quei sintomi. Alla fine, il medico di turno mi disse che mi avrebbe fatto visitare da un neurologo. Fece lui stesso le pratiche per affidarmi a questo specialista. Fui fortunata: mi affidarono al primario di neurologia di quella struttura. Intanto la mia paura aumentò, insieme ai miei dolori: quella sensazione di non avere sensibilità, quelle scosse che avvertivo quando mi toccavo le gambe erano sempre lì: sentivo le gambe pesantissime come se fossero di cemento. Passarono 9 mesi tra esami di tutti i tipi, risonanze al cervello, radiografie, ecografie, esami ematici, di tutto e di più. Nel frattempo, cominciai a perdere i capelli a manciate. Stress, confermato anche dal dermatologo a cui mi rivolsi. Furono mesi lunghissimi, durante i quali mi imbottirono di farmaci per alleviare i dolori, i quali si attenuavano ma non più di tanto, quel poco da permettermi di non stare ferma immobile nel letto. Farmaci che mi portarono anche ad un notevole aumento di peso, che non aiutava; mi si continuava a dire che non sapevano cosa darmi e che, soprattutto, non sapevano cosa io avessi. Alla fine, quando tutti gli esami furono finiti e non vi era nulla che giustificasse quella condizione, il neurologo pronunciò la diagnosi: fibromialgia.
Relativamente alla domanda sulle difficoltà che si incontrano per farsi riconoscere "fibromialgica", ti dirò che, ancora oggi, così come nel 2015, come tutti coloro che convivono con questa malattia, ho difficoltà, abbiamo tante difficoltà. Ci sono diversi motivi. Il primo motivo è caratterizzato dal sintomo principale della malattia: il dolore. Il dolore è qualcosa che nessuno vede, nessuno può toccare, il dolore lo sente e lo vive chi lo porta con sé, chi lo subisce in tutta la sua intensità, cupa e sorda; tieni presente che il dolore della fibromialgia è un dolore sì, fluttuante come intensità, ma costantemente presente, perché trattasi di dolore cronico. In alcuni momenti il dolore è talmente intenso, che quando l’ondata di picco passa, ti sembra quasi di stare bene, ma non è vero, è solo passato il picco. Nessuno di noi sa più cosa sia una giornata senza dolore, piccolo o grande che sia. Per capire cosa possa essere il quotidiano da gestire quando il dolore ti sovrasta, prova ad immaginare la tua vita, i tuoi tantissimi impegni di lavoro e famiglia, che già fatichi a coordinare. Fatti davanti che improvvisamente cominci a sentire dolori costanti, che ti tolgono la concentrazione in ogni momento, qualsiasi sia l’attività a cui ti stai dedicando. Esiste una linea di demarcazione fra malattia acuta e malattia cronica. Il nostro corpo riesce a tollerare benissimo una malattia acuta, benché fortemente debilitante, perché come è sorta, poi finisce. Ma quando si entra nel cronico, si inserisce anche un meccanismo psicologico di sempre meno sopportazione, che ti fa piombare nella non accettazione della tua sopravvenuta condizione. Bisogna lavorare molto su sé stessi per poter gestire questa nuova realtà.
La stessa OMS, nel 1992 definì la fibromialgia una malattia cronica ed invalidante ma, ad oggi, pochi la considerano, ancora pochi la conoscono, e alla diagnosi purtroppo si arriva per esclusione, non essendoci un marcatore, un qualsiasi tipo di esame che individui incontrovertibilmente la malattia, nonostante i significativi e numerosi sintomi che la caratterizzano (ad oggi se ne contano più di 200).
Un altro motivo, legatissimo al primo, è la tua “invisibilità”. Il paziente fibromialgico è un malato cronico a tutti gli effetti, ma non ha nessuna tutela, questo perché la malattia in Italia non è riconosciuta, o meglio, lo è solo in alcune Regioni. La situazione in Italia, sulla fibromialgia, per far capire a tutti, è a “macchia di leopardo”. Ciò è dovuto all’autonomia regionale in ambito sanitario, ogni Regione decide da sé. Quindi c’è questo paradosso assurdo, cittadini di una stessa Nazione, ma tutelati dai 20 Sistemi Sanitari diversi, in modalità diverse, a seconda della propria regione di residenza.
Ulteriore motivo di difficoltà nel farmi riconoscere fibromialgica, e che riguarda tutti noi malati fibromialgici, è la difficoltà di far comprendere ai datori di lavoro quali siano le difficoltà nello svolgimento delle nostre mansioni lavorative, ed il motivo è sempre lo stesso: il mancato riconoscimento ufficiale della malattia, con definizione precisa della patologia, relative cure, cut-off e tutele. Anche se ci presentiamo al nostro datore di lavoro con il referto del medico specialista che attesta la nostra malattia, non è che si possa chiedere tanto, quasi sempre il gesto non sortisce alcun effetto. A volte, anzi direi quasi sempre, devi spiegare tu al datore di lavoro che cos’è la fibromialgia, questa sconosciuta, perché la maggior parte dei manager non sa che cosa sia la fibromialgia e cosa comporti.
A noi capita spesso di non riuscire a svolgere la nostra mansione come vorremmo, o di non riuscire a svolgerla affatto, dobbiamo di conseguenza spiegare al nostro datore di lavoro il tipo di sofferenza e difficoltà che la malattia porta giorno dopo giorno, durante tutto l’arco lavorativo, con connotazione di ingravescenza progressiva. A questo punto bisogna solo sperare che l’interlocutore dinnanzi a noi, sia dotato di una buona dose di empatia, e capisca sia meglio chiudere un occhio davanti alle nostre eventuali defaiance, se ad esempio ci vede fermi o seduti per un attimo per recuperare le forze. Se è intelligente, può comprendere che la scelta migliore per lui, per entrambi, sia tentare un nostro cambio mansione. Se si trattasse addirittura di datore di lavoro dal cuore d’oro, potrebbe arrivare addirittura a proporre un part time, o l’attivazione del telelavoro o dello smartworking, quando possibile. Se invece al posto del cuore, il datore di lavoro, ha un sasso, appena notata la discontinuità di rendimento, grafici e statistiche alla mano diventi automaticamente una zavorra, una voce passiva di bilancio, e senza alcun rimorso mette in atto tutto un meccanismo che ti spinge a licenziarti, a trovarti una soluzione più consona, praticamente ti stringe la mano e ti accompagna alla porta.
D-Quali ostacoli burocratici hai incontrato prima di essere riconosciuta fibromialgica?
R- I miei ostacoli sono quelli di tutti i fibromialgici. Noi siamo malati cronici “invisibili”, in assenza totale di diritti e di una vera e propria presa in carico da parte del Sistema Sanitario Regionale, per alcune Regioni per il motivo che ho spiegato sopra, come succede per tutti i malati cronici. Senza dimenticare i problemi legati al lavoro. Io mi reputo fortunata, rispetto alle altre malate come me, perché lavoro in una Pubblica Amministrazione e usufruisco della legge sul telelavoro ma solo perché il mio lavoro è tele-lavorabile però tutte le volte, ogni anno, questo è l’assurdo, devo ripresentare tutti i miei referti sulla fibromialgia per il rinnovo del Telelavoro. Come se una malattia per definizione cronica come la fibromialgia, potesse da un anno all’altro, smettere di esistere, quando invece di fatto non può guarire mai. Dimmi, spiegami questo: che senso ha rifare tutto, ogni anno d’accapo quando hai una malattia cronica? Il termine “cronica” sta a significare che NON PASSA MAI, quella c’è e ti rimane. Ho scritto che mi reputo fortunata perché sono venuta a conoscenza di tante altre “amiche di sventura” che come me soffrono di fibromialgia, e pur lavorando in una Pubblica Amministrazione ed avendo un lavoro tele-lavorabile, non hanno la possibilità di usufruire di questa legge. Siamo all’assurdo, perché addirittura si tratta di aziende pubbliche sanitarie locali, che dovrebbero per prime tutelare il lavoratore, in quanto sono proprio le aziende che si occupano di controllare rischi e sicurezza sui luoghi di lavoro, ed hanno inoltre al loro interno un team di medici legali, e medici competenti che possiedono tutti i mezzi possibili per poter valutare il rischio che può comportare far continuare un malato a svolgere una determinata mansione. Chi controlla il controllore?
D-Quale impegno stai portando avanti? con chi?
R-In questi anni i miei impegni sono stati tantissimi, avevo “solo” la fibromialgia, che “gestivo” alla meglio, ora con un farmaco ora con altri. All’inizio ho collaborato con due associazioni, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla nostra condizione, poi ho lasciato, anzi sono stata costretta a lasciare le associazioni, e faccio da sola, quello che posso, sempre la stessa cosa, sensibilizzazione a 360° sulla fibromialgia, per il suo riconoscimento, sulla presa in carico del paziente e tanto altro. Durante la malattia sono entrata in contatto con il Coordinamento Toscano dei Gruppi di Auto Aiuto, ho conosciuto la referente scientifica Francesca Gori, sono diventata facilitatrice e attualmente facilito due gruppi, uno in presenza e l’altro on-line. Il primo è attivo da ben 4 anni e vorrei ricordare che per il Coordinamento Toscano è il primo gruppo sulla Fibromialgia sorto a Firenze, l’altro è nato durante il periodo della pandemia. Il Covid ci aveva rinchiuso in casa, non potevamo incontrarci in presenza e così mi è venuta l’idea di vedersi on-line. La cosa ha fatto “colpo” sulle altre fibromialgiche della regione ma anche fuori dalla Toscana ed è rimasto attivo anche dopo la fine del lockdown. Con il Coordinamento e grazie alla loro collaborazione ho potuto realizzare tante cose, eventi, dibattiti discussioni sulla nostra condizione, mi sono stati sempre vicini, mi hanno accolta e sostenuta, posso affermare, senza piaggeria che nel Coordinamento ho trovato quello che le associazioni non ho avuto: ascolto, vicinanza, comprensione e appoggio, supporto, in tutto L’altro mio impegno è con Cittadinanza Attiva e il Tribunale del Diritto del Malato. Ricordo che ho cercato io il Coordinatore, il Dottore Franco Alajmo, persona, umana, preparata e interessato molto alle mie idee, iniziative per la fibromialgia. Insieme abbiamo fatto tante cose, tantissime e altre sono ancora da fare e sono sicura si porteranno a termine, perché con Franco Alajmo credo di avere una cosa in comune, siamo entrambi, determinati e testardi.
Ho collaborato anche con la SISP (Società Italiana per la Promozione della Salute) con loro ho partecipato a diversi meeting organizzati ogni anno in città diverse. Ho preso parte a quello di Potenza e Bari, dove ho portato la mia testimonianza sull’esperienza con i gruppi di auto aiuto. Purtroppo la mia situazione di salute si è aggravata e non posso più partecipare ai loro meeting, però devo tanto, tantissimo alla Dott.ssa Filomena Lo Sasso e al Dottore Sergio Ardis che mi hanno permesso di fare queste belle esperienze. Ad oggi con loro, quando posso, in modalità webinar seguo i loro interessantissimi lavori e sono onorata di averli conosciuti e di avermi dato queste opportunità.
D- Vuoi spiegare a chi soffre di questa malattia subdola come iniziare a chiedere aiuto? che passi deve fare?
R- Solitamente, quando c’è un problema di salute, la prima cosa da fare, è consultare il proprio medico di medicina generale, è giustissimo. I medici di medicina generale occupano una posizione diagnostica chiave, perché guidano la gestione precoce del dolore e hanno un ruolo cardine nella selezione dei pazienti per specifici approcci terapeutici. La terapia farmacologica è selezionata in base al tipo di dolore: determinare se esso sia nocicettivo o neuropatico è il prerequisito per adottare l’approccio corretto. Lo stesso medico di medicina generale può prescrivere esami per capire la natura del problema. Ma ciò, dobbiamo sottolinearlo, succede solo se il medico di medicina generale ha una minima conoscenza della fibromialgia, perché se ne è a digiuno, tu malata ti trovi in una “gabbia”, non sai dove sbattere la testa, sei confusa, disorientata. Cosa posso consigliare a chi, nonostante tutti i suggerimenti del medico di famiglia, continua a dover gestire il proprio dolore sul tutto il corpo, la stanchezza invalidante che non va via… posso dire di rivolgersi al medico indicato per questo tipo di patologia, cioè il reumatologo. Oppure sarebbe ancora meglio recarsi in un centro multidisciplinare per la fibromialgia. L’elenco di questi centri può essere consultato dal sito della SIR (Società Italiana di Reumatologia) anche se devo ammettere, non è sempre aggiornato. In ogni modo questo è il sito: https://www.reumatologia.it/registro-fibromialgia
Se cerchiamo la Toscana, ad oggi sono indicati 3 soli centri. Consiglio i centri in modo particolare, perché si possono trovare in queste strutture, medici che non ignorano la malattia e che sanno come trattare il paziente fibromialgico. Non suggerisco nessuno dei tre, solo perché so per certo che la scelta del medico che ti deve seguire deve avere la tua fiducia, la scelta del medico è molto soggettiva, suggerisco però caldamente i centri multidisciplinari perché presso la SIR, con il patrocinio del Ministero della salute, con cui è stata costruita la partnership scientifica ed istituzionale, è stato istituito un Registro della Fibromialgia, il quale ha l’obiettivo di realizzare uno strumento che consente ricerche nel campo della fibromialgia e favorisce lo sviluppo della medicina di precisione, in questo ambito. Grazie al registro sarà possibile definire l’incidenza della malattia, misurare il grado di severità, migliorare la conoscenza della storia naturale della malattia, definire l’intervallo di tempo tra l’esordio dei sintomi e la diagnosi, monitorare ed aggiornare il percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale (PDTA) e valutare gli esiti e l’impatto socio/economico. Quello sulla fibromialgia rappresenta uno dei primi registri relativo alle malattie da dolore cronico in Europa. Il registro Italiano per la fibromialgia è un progetto strategico, che consente una raccolta osservazionale e prospettica dei dati clinici e clinimetrici dei pazienti fibromialgici sul territorio nazionale.
D- Che tipo di lamentele ti senti di esprimere? Cosa manca affinché questa patologia sia riconosciuta?
R-Manca sicuramente un marcatore, un qualsiasi tipo di esame che permette subito l’identificazione della malattia e il suo riconoscimento ufficiale, ed è quello che nelle varie udienze presso le commissioni al Senato, ci siamo sentiti dire, dietro le numerose richieste di riconoscimento della malattia. da parte di tante associazioni ma, non è semplice anzi sembra una meta irrealizzabile. Io credo, questo è un mio parere personale, ci tengo a precisarlo subito, che ci sono tante altre malattie riconosciute che però non hanno un marcatore, oppure un esame diagnostico che la definisca con precisione. Pensiamo ad esempio alle malattie come il disturbo bipolare di personalità. In alcune malattie tipo questa, non c’è un marcatore, non c’è un esame diagnostico, sono sintomi che il paziente riferisce, eppure nel caso di disturbo bipolare di personalità, il riconoscimento c’è, nei soggetti fibromialgici, che riferiscono di avere “sintomi”, numerosi sintomi, pretendono debba esserci un marcatore, questa cosa io personalmente non l’ho mai capita.
Poi è necessario fare una precisazione, dobbiamo distinguere tra l’approvazione di un disegno di legge per il riconoscimento della fibromialgia e il suo inserimento nei LEA - Livelli Essenziali di Assistenza, che sono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket), con le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale.
Infatti, a livello Nazionale, si sta tentando di lavorare su questi due fronti:
l’inserimento della patologia nei LEA e l’approvazione di un disegno di legge.
Però mi preme raccontare un po’ di storia VERA su questo tema.
Per quanto riguarda l’inserimento della fibromialgia nei LEA, le associazioni coinvolte, e non le indico, il motivo si capirà dopo, hanno cominciato con un’istanza presentata al Consiglio Superiore della Sanità, che ha seguito il suo iter fino a fermarsi all’Istituto Superiore di Sanità. Questo perché, in parallelo, si stanno discutendo a livello politico ben 5 disegni di legge. Il primo, a firma della Senatrice Paola Boldrini, è stato accorpato in Commissione sanità con altri quattro disegni di legge, a favore del riconoscimento della fibromialgia. La Commissione sanità ha convocato le Associazioni e gli specialisti: il documento è stato finalizzato per passare in aula al Senato. Purtroppo l’iter si è poi fermato a Giugno 2020, a seguito dei cambiamenti politici. Il percorso dei LEA e dei disegni di legge ha indotto il Ministero a procedere, incaricando la Società italiana di reumatologia (SIR) di presentare uno studio prospettico sulla definizione dei Cut-Off e della cronicità sulla fibromialgia, anche in virtù del famoso registro di cui abbiamo accennato sopra. La SIR ha trasmesso i suoi risultati e il Ministero della Sanità ha poi ufficializzato l’intenzione di convocare in audizione il responsabile della Società Scientifica per approfondimenti. Quindi, lentamente, ma si sta andando avanti. Ma come malata mi sto chiedendo questo: perché mai si è voluto dare tutto in mano alla SIR, premetto che a me sta benissimo, senza interpellare le associazioni?
Questa è la famosa domanda da un milione di dollari che tutti i malati che hanno seguito le vicende tortuose, difficili delle varie associazioni in questo lungo lasso di tempo si devono fare. Io me la sono posta, la domanda. Le associazioni dei malati sono le istituzioni che dovrebbero ben rappresentare le varie e numerose esigenze dei malati. Perché allora sono state scavalcate? È semplice: perché a livello Nazionale le Associazioni sono varie e numerose, molte delle quali sono piccole realtà non presenti su tutto il territorio nazionale. Spesso non si accordano fra loro, e per questo motivo non sono ancora riuscite a mettere in disparte certi protagonismi ed a presentarsi con voce univoca dinnanzi alle istituzioni. Spesso si sono presentate alla spicciolata, ognuna con personali idee su come risolvere il problema del riconoscimento, atteggiamento che ha fatto spazientire chi all’interno delle istituzioni, aveva la responsabilità di decidere in merito previa consultazione degli addetti ai lavori (le associazioni stesse). Questa è la cosa più ignobile, secondo me, che possa capitare a noi malati, non esistono malati di serie A e malati di serie B, siamo tutti malati italiani, e tutti dobbiamo avere gli stessi diritti. E allora mi chiedo ancora una volta: le associazioni rappresentano davvero gli interessi dei malati? Se avessero a cuore realmente il nostro benessere, la risposta sarebbe sì. Siccome in linea generale si può affermare il contrario, forse dobbiamo rimettere in discussione parecchie cose.
D- Ci sono novità scientifiche a livello farmaceutico? ci sono terapie funzionali al momento?
R- Purtroppo la risposta è no. Tutto ciò che abbiamo attualmente a disposizione sono farmaci che non curano la malattia, ma tamponano solamente i sintomi, se si ha fortuna. Non esiste purtroppo una cura, si prova prima un farmaco e poi l’altro, ma non ti curano, hanno solo la funzione di alleviare il dolore, alleviare non curare, perché curare è tutt’altro.
Cara Rosaria, ogni volta che intervisto qualcuno, lascio all’intervistato uno spazio "bianco", ossia la possibilità di scrivere un proprio pensiero libero, una richiesta, un annuncio.
A te lo spazio:
R
Marzia, prima di tutto, grazie. Pubblicamente, ti ringrazio di avermi dato questa opportunità, ci fossero in giro persone come te, il mondo sarebbe migliore, non è piaggeria la mia, è quello che penso. Chi mi conosce sa benissimo come sono fatta, io sono sincera, schietta, dico quello che penso senza giri di parole. A volte, sono consapevole che questo mio modo di fare, di pormi, può dar fastidio a qualcuno ma, è più forte di me, devo dire SEMPRE la verità ed essere SEMPRE sincera.
Premesso questo, le mie richieste e il mio annuncio.
Richieste
1) Ascolto.
Per esperienza personale, in quanto affetta da diverse malattie croniche e autoimmuni e per la mia esperienza di facilitatrice di un gruppo di Auto Aiuto sulla Fibromailgia posso affermare che le difficoltà che incontriamo noi pazienti affetti da questa patologia, sia prima che dopo la diagnosi, sono enormi, spesso troppo onerosi da poterle sopportare.
Ci rivolgiamo a diversi medici di diverse specializzazioni , spesso senza aver ricevuto una diagnosi precisa ma soprattutto senza una terapia mirata.
E' un girovagare tra specialisti che porta inevitabilmente in noi la frustrazione di non essere compresi, oppure, nel peggiore dei casi, di non essere assolutamente creduti.
Come già detto, la diagnosi di fibromialgia è al momento esclusivamente clinica e si basa sull'applicazione di criteri diagnostici del 2016 che valutano la presenza di dolore diffuso, stanchezza, disturbi di memoria e concentrazione, sonno non ristoratore, dolori al basso addome, depressione e mal di testa secondo una precisa combinazione e gradazione.
Purtroppo, si arriva alla diagnosi solo per esclusione.
Personalmente credo che il rapporto fiduciario tra medico e paziente sia importantissimo, esso consente di affrontare ogni tentativo terapeutico con una migliore consapevolezza e aspettativa di miglioramenti dei sintomi.
Nella nostra società, le malattie croniche gravi ed invalidanti continuano ad essere invisibili. Ci riferiamo a malattie come la Fibromialgia, il Lupus, Emicranie, Reumatismi, Sensibilità Chimica Multipla (MCS) e di Elettrosensibilità (EHS) e tantissime altre. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità le malattie croniche socialmente invisibili rappresentano quasi l'80% dei disturbi attuali. Queste malattie sono da molti considerate frutto di un dolore immaginario con cui le persone giustificano le assenze sul lavoro.
NON È VERO, NON SONO IMMAGINARIE, ESISTONO.
Manca l'ascolto, mancano le cure, manca un riconoscimento in alcuni casi. La malattia cronica è "invisibile" non è immaginaria. Bisogna cambiare mentalità: non c’è bisogno di una ferita evidente perché il dolore e il disagio, siano autentici. Per iniziare il cambiamento dobbiamo saper ascoltare e non giudicare.
È essenziale comunicare con il paziente in modo che esso possa prendere coscienza della propria condizione attraverso informazioni precise.
Oggi la "medicina” non deve essere più centrata sulla malattia. La malattia è l’oggetto cruciale dell’agire del medico.
Al medico sono affidati due grandi compiti: raggiungere una diagnosi corretta e intervenire attraverso strategie terapeutiche adeguate.
L’approccio del medico alla malattia dev’essere gradualmente modificato, bisogna lasciare molto più spazio al “Paziente” nella sua globalità ed alla “Relazione” come strumento fondamentale, imprescindibile e basilare nel processo di diagnosi e cura.
Non più la malattia al centro dell’interesse del medico, ma il paziente, quel paziente, con la sua storia e all’interno di quel contesto specifico e con il quale viene instaurata una relazione.
La comunicazione, verbale e non verbale, come strumento di relazione, deve diventare con il tempo il centro di interesse nei vari corsi di formazione rivolti, nello specifico, al personale sanitario (medico e paramedico) ed estesi, spesso, anche al personale front-office inserito in contesti di cura.
La comunicazione e l’Ascolto DEVONO diventare parte della terapia, il tempo della comunicazione e dell’ascolto sono fondamentali per la crescita della relazione di cura.
Sono i momenti nei quali la relazione tra medico e paziente trova la sua massima espressione. Senza comunicazione senza l’ascolto non c’è alleanza, non c’è rapporto di fiducia.
Se manca l'ascolto, se manca la comunicazione, ogni ambulatorio, ogni casa di cura, ogni struttura sanitaria diventa una catena di montaggio, il paziente un bullone, il medico un mero esecutore.
Deve a mio avviso, cambiare il sistema di interagire con soggetti portatori di queste malattie, se ciò non avviene, se ciò non si realizza al più presto è una “sconfitta” per lo Stato, per le Istituzioni.
2) Richieste
Più centri multidisciplinari: per ora sono stati ideati solo sulla carta, mentre la realtà è assai diversa
Il mondo della cronicità è un’area in progressiva crescita, si è visto soprattutto anche dopo la pandemia. Questo comporta un notevole impegno di risorse, richiedendo continuità assistenziale per periodi di lunga durata e una forte integrazione dei servizi sanitari con quelli sociali, necessitando nel contempo anche di servizi residenziali e territoriali finora non sufficientemente disegnati e sviluppati nel nostro territorio, nel nostro Paese.
Il Piano Nazionale della Cronicità (PNC) nasce dall’esigenza di armonizzare a livello nazionale le attività in questo campo, proponendo un documento, condiviso con le Regioni, che, compatibilmente con la disponibilità delle risorse economiche, umane e strutturali, individui un disegno strategico comune inteso a promuovere interventi basati sulla unitarietà di approccio, centrato sulla persona ed orientato su una migliore organizzazione dei servizi e una piena responsabilizzazione di tutti gli attori dell’assistenza.
Il fine è quello di contribuire al miglioramento della tutela per le persone affette da malattie croniche, riducendone il peso sull’individuo, sulla sua famiglia e sul contesto sociale, migliorando la qualità di vita, rendendo più efficaci ed efficienti i servizi sanitari in termini di prevenzione e assistenza e assicurando maggiore uniformità ed equità di accesso ai cittadini.
Questi sono tutti buoni propositi, ma solo sulla carta. A Firenze, il Governo Clinico, nel 2009 redigeva per la Fibromialgia un PDTA che divenne immediatamente operativo dal giorno in cui venne pubblicato sul BURT, con Delibera 1311 del 28 ottobre 2019 dove al punto 2 si legge (riporto quanto trascritto):
“di impegnare le Aziende Sanitarie ad organizzare, tenuto conto delle diverse aree vaste, le modalità con le quali realizzare il percorso assistenziale per la presa in carico delle persone con sindrome fibromialgica, con particolare attenzione alle differenze di genere”
Ecco, sono passati diversi anni ma, noi fibromialgiche non abbiamo ancora visto nulla e se tu chiedi agli interessati, ti rispondono sempre allo stesso modo: ci stiamo lavorando.
Ora io mi chiedo e chiedo a voi tutti è mai possibile tutto questo? A cosa servono le Delibere, gli Atti, i Regolamenti se poi non vengono attuati?
Sembra proprio una presa in giro e noi fibromialgiche , siamo stanche di attendere e di essere prese in giro.
Siamo stanche di mozioni, non sai quante ne sono state presentate, anzi lo so, eccole:
In Regione Toscana nel luglio e nell’ottobre del 2014, nel dicembre 2015 e nel maggio 2016 ha prodotto ormai ben quattro mozioni (la 844/14, la 911/14, la 138/15 e la 361/16), di grande sensibilità che avevano ricevuto un consenso unanime dell’aula; e nello specifico dette mozioni impegnavano la Giunta Regionale a:
Considerato che il Consiglio Regionale con parere N° 65/2015 ha approvato il documento recante “Aggiornamento e PDTA sulla Sindrome Fibromialgica” con il quale sono definite le modalità diagnostiche e il percorso terapeutico per la presa in carico del paziente affetto da fibromialgia, tenuto conto che la sindrome fibromialgica è una malattia non omogenea sia per i sintomi sia per la risposta al trattamento e che non esiste, al momento attuale, una terapia ideale;
Considerata la presenza di una ulteriore interrogazione del consigliere Regionale Andrea Quartini in merito “alla presa in carico dei malati di fibromialgia da parte dei Centri di Terapia del Dolore e dei centri di Reumatologia appartenenti o convenzionati con il SSN N IS 1247, del 13 luglio 2017
Atto N° 235 del 12/02/2019 In merito alla recente definizione del percorso diagnostico terapeutico assistenziale (PDTA) sulla fibromialgia da parte dell’Organismo toscano per il governo clinico (OTGC) ed alla sua implementazione.
Atto N° 1019 del 07/11/2017 In merito al riconoscimento di un codice identificativo di patologia per la fibromialgia, un pacchetto di prestazioni regionali, il riconoscimento quale patologia cronica della stessa e la relativa esenzione dal costo del ticket, ai sensi del DM 329/1999
Atto N° 286 del 13/4/2021 In merito alla Giornata mondiale della fibromialgia (12 maggio 2021).
Atto 797 del 09/03/2022 In merito all’inserimento della fibromialgia nei Livelli essenziali di assistenza (LEA). Mozione n. 559 – Per il riconoscimento del Centro di Coordinamento Regionale per la Fibromialgia presso la SODc (Struttura Organizzativa Dipartimentale complessa) di Reumatologia di Ponte Nuovo (AOU Careggi) .
Ecco il mio primo ACCORATO APPELLO:
Non fate più mozioni ne abbiamo già tante, VOGLIAMO I FATTI IN REGIONE TOSCANA.
2) secondo ACCORATO APPELLO.
L’associazionismo e le sue controversie
Secondo il mio punto di vista, fare volontariato in associazioni di malati dovrebbe essere un'attività libera e gratuita da svolgersi per ragioni di solidarietà e di giustizia sociale.
Il volontariato nasce dalla spontanea volontà di persone di fronte a problemi non risolti o non affrontati dallo Stato.
A mio avviso, una delle caratteristiche del volontariato è l'anteporre il benessere collettivo al massimo profitto individuale senza lasciare nessuno sotto il livello di sussistenza. Il volontariato è sempre una testimonianza di solidarietà umana; è l'espressione della volontà di una o più persone di rendersi disponibili per aiutare chi è in difficoltà.
La sua dimensione sociale consiste nel rappresentare e promuovere il bene comune di quella parte di persone che sono deboli, sfruttate ed abbandonate.
Il ruolo delle associazioni dei pazienti è fondamentale nel nostro Paese, nell'incoraggiare politiche mirate, ricerche ed interventi di assistenza sanitaria.
In alcuni casi, è merito proprio delle attività di queste associazioni, che hanno permesso alla nostra società di acquisire consapevolezza della specificità sia di malattie rare che di quelle croniche, e dei problemi che esse comportano.
Sempre in alcuni casi, il lavoro delle associazioni ha anche contribuito a modificare i rapporti tra le Istituzioni siano esse centrali, regionali o locali, e la comunità dei malati, rimuovendo molte delle barriere esistenti.
È un diritto del paziente orientare le scelte sulla propria malattia o sulla propria condizione, sulle modalità di trattarla e sul percorso da seguire, poichè tutto questo incide positivamente sul successo della terapia. Inoltre, è dimostrato anche che il rafforzamento dei gruppi di sostegno porta ad una maggiore appropriatezza nell'uso dei servizi e il miglioramento dell'efficienza di chi presta le cure.
Il punto di forza delle malattie croniche insieme a quelle rare è la consapevolezza e l’autodeterminazione del paziente, il quale, oltre a condividere i bisogni collegati alle difficoltà del trattamento della malattia, chiede a gran voce sforzi coordinati tra le varie associazioni per migliorare la conoscenza e l’assistenza.
Inoltre, all'esigenza di condividere difficoltà e problemi, e alla volontà di vedere riconosciuti i propri diritti e di ricevere tutela, si aggiunge il valore peculiare del lavoro svolto dalle associazioni che, partendo dalla condivisione di esperienze, possono costruire un bagaglio di conoscenza diverso da quello del medico, ma non di meno utile nell'affrontare correttamente la malattia.
È perciò necessario che gli operatori sanitari e i professionisti medici si facciano promotori di un rapporto costruttivo e collaborativo con i pazienti, incoraggiando la loro informazione e sostenendo atteggiamenti solidali e comunitari. Per contro, la partecipazione ai processi decisionali da parte delle organizzazioni dei pazienti richiede forte senso civico e capacità di agire nell'interesse della collettività, e a questo non giova la frammentazione delle loro rappresentanze.
Le associazioni che si occupano di noi malati dovrebbero nascere per l’esigenza di fare da tramite parlante delle informazioni più concrete sull’arrivo e il decorso della malattia; dovrebbero essere i soggetti principali del supporto e del sostegno dei malati nella loro esperienza di cura; dovrebbero essere i veri portatori dei bisogni e delle attese dei malati nei confronti delle strutture sanitarie e dei relativi decisori politici.
Per la mia esperienza, ma anche alla luce di quello che è accaduto nel 2020, già descritto sopra, in particolare alla domanda D e nella mia relativa risposta, non è possibile avere “nei cassetti” 5 disegni di legge a favore di un riconoscimento di una malattia, qualunque essa sia. I malati hanno bisogno di risposte concrete e subito, non dimentichiamoci che l’OMS definì la Fibromialgia “malattia cronica ed invalidante” nell’ormai lontano 1992, quanti anni ancora bisogna attendere?
Altra cosa di non poco conto: le associazioni che dovrebbero essere le entità che meglio rappresentano i pazienti, in questo caso hanno fallito, perché si sono presentate al cospetto delle istituzioni, disunite e quasi sempre in contrasto. Ecco che mi sorge spontanea una domanda: se le associazioni in questione sono nate per rappresentare tutti i malati affetti da una stessa malattia, perché si presentano ad un appuntamento così importante, disunite?
Cosa posso dedurre io malata? Qui non si tratta di fare il tifo per una squadra di calcio, qui non siamo in una competizione canora o sportiva, qui si decide il futuro di un malato! Si decide da chi deve essere preso in carica, quali sono i percorsi da attuare per il suo benessere fisico e psichico, quali farmaci prescrivere e altro ancora.
Questo a me fa rabbia, molta rabbia, perché la nostra Carta Costituzione, all’articolo 32 recita:
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
“Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Il diritto alla salute coincide col diritto al rispetto dell’integrità fisica dell’individuo; ma esso comporta anche il diritto all’assistenza sanitaria: infatti, con la riforma sanitaria del 1978, l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale ha esteso l’obbligo dello Stato di assicurare le prestazioni sanitarie e farmaceutiche non solo agli indigenti, ma anche a tutta la popolazione. TUTTA LA POPOLAZIONE.
Ricordo inoltre che, la protezione della salute, intesa come diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche, è stata inserita anche nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Noi fibromialgici non ci sentiamo tutelati, come non lo sono tutti coloro che sono nelle nostre stesse condizioni, cioè invisibili davanti allo Stato; siamo tutti “orfani” di un SSN che ci ignora fin da quando si è potuto, nei secoli, dare un nome alla nostra malattia.
Grazie
PS: Voglio dedicare questa intervista a tutte le persone che hanno condiviso con me l'esperienza dei Gruppi di Auto Aiuto, quelle che non saltano un appuntamento, quelle che si avvicinano, si allontanano e poi ritornano, quelle che entrano e poi escono senza ritornarci, a tutti coloro che dal gruppo hanno preso qualcosa e l'hanno fatto proprio.
Rosaria Mastronardo
E dopo questa esaustiva risposta alle domande da parte di Rosaria Mastronardo speriamo di avere fatto più chiarezza su questa sindrome "fantasma" che purtroppo dilaga a dismisura.
“Il chimico non potrà mai competere con il gallo” (H. Shelton)
In natura il componente nutrizionale di un qualunque alimento (calcio, ferro, magnesio, potassio ecc.) risulta benefico per la salute umana solo se fa parte dell’alimento che lo contiene. Estrapolato perde le sue potenzialità al punto da essere addirittura dannoso, specialmente se assunto in forti dosi. Una mela di taglia media, che contiene solo 10 mg di vitamina C, possiede un’attività antiossidante equivalente a quella di 2250 mg di vitamina C di sintesi. Nel libro Alimentazione anti-canco di Richard Bèliveau e Denis Gingras (apoteosi della frutta e della verdura come strumenti anti-cancro, con la prefazione di Umberto Veronesi) si legge quanto segue.
Una molecola sintetica è talmente estranea per l’organismo con il rischio di provocare effetti secondari sgradevoli, il che avviene, sfortunatamente, in pratica, in tutti i casi. Nessun studio è mai arrivato a dimostrare che dosi massicce di integrazioni vitaminiche potessero assicurare una qualunque protezione contro le malattie croniche, tra cui il cancro. I risultati di numerosi studi condotti sull’argomento indicano piuttosto il contrario: si ha un aumento di rischi di morte associato all’assunzione di forti dosi di integratori (il 28% in più di neoplasie e il 17% di decessi in più tra i soggetti che ricevevano supplementi vitaminici). In sostanza forti dosi di vitamina A ed E al posto di proteggere i fumatori dal cancro, questi antiossidanti aumentano al contrario il rischio di sviluppare la malattia.
E’ completamente illusorio pensare di poter sostituire fonti alimentari così importanti come la frutta e la verdura con delle molecole in pastiglie. L’utilizzo degli integratori si basa generalmente sull’idea che se una molecola fa bene alla salute una dose più elevata di questa molecola darà benefici ancora maggiori, e questo è completamente sbagliato. La presenza di numerose sostanze fitochimiche negli alimenti significa che il consumo dell’alimento intero permette di aumentare la sua efficacia antitumorale agendo sui vari processi implicati nello sviluppo del tumore, qualcosa di impossibile nel caso di un integratore che contiene una sola molecola. Non solo gli integratori non possono sostituire gli effetti benefici associati all’insieme delle molecole presenti nell’alimento naturale ma la presenza di grandi quantità di queste molecole sotto forma di integratori può rendere meno efficace l’assorbimento di altre sostanze benefiche. E’ dunque consigliabile consumare queste molecole nelle forme più vicine possibile ai vegetali originali evitando i preparati già pronti.
Se l’alimentazione presenta carenza di vitamine, minerali e sostanze antitumorali, perché non vi è un consumo adeguato di frutta e verdura, la soluzione del problema non passa dagli integratori, ma piuttosto da un cambiamento profondo delle abitudini alimentari. Non esistono e non esisteranno mai pastiglie miracolose per riparare completamente i danni causati da un’alimentazione di cattiva qualità: non possiamo mangiare qualsiasi cosa e poi prendere una pillola per rimediare. Attualmente si stima che il 30% di tutte le neoplasie sia direttamente collegabile alla natura del regime alimentare degli individui.
(Spunti tratti dal libro “Processo alla vaccinazioni” di Arnaldo Brioschi e Alberto Donzelli (Ed. M. Manca)
Vaccinare una persona significa iniettare nel suo corpo milioni di batteri e di virus infettivi allo scopo di provocare un’infezione controllata. I vaccini, come tutti i farmaci, non provocano in tutti le stesse reazioni: ogni persona è portatrice di caratteristiche biologiche particolari. Uno stesso farmaco richiede posologie diverse da caso a caso perché non esistono due persone con identiche reattività immunologiche, nemmeno tra gemelli. I danni più gravi conseguenti alle vaccinazioni, non sono sempre immediati ma si verificano spesso a distanza di molti anni. E quando un individuo muore a causa dei vaccini può essere la punta di un iceberg della situazione generata nei vaccinati. I vaccini hanno la potenzialità di interferire negativamente sui codici genetici, soprattutto se vengono somministrati ripetutamente; questo mina le difese immunologiche dell’individuo e possono estendersi alle successive generazioni attraverso l’uovo, la placenta o il latte materno. Oltre ai possibili effetti cancerogeni ci sono anche i disturbi ghiandolari ed endocrini.
L’idea sbagliata della cultura dominante è che per debellare qualunque grande malattia è necessario inventare vaccini sempre più efficaci, da inoculare a più persone possibili. Ed è un’illusione credere che l’immunità possa essere garantita dalle vaccinazioni se non migliorano le condizioni generali di igiene nel rispetto delle leggi biologiche. La discesa delle curve epidemiologiche non è, nella stragrande maggioranza dei casi, legata alle pratiche vaccinali bensì a fattori di igiene ambientale e sociale che hanno permesso il miglioramento delle condizioni generali di vita delle popolazioni. Per esempio, il colera e la febbre tifoide sparirono dall’Europa prima che i loro virus e bacilli fossero isolati.
I vaccini hanno sicuramente offerto soluzioni sul breve periodo ma non di rado creano nel tempo problemi più complessi. Se gli accidenti post-vaccinali più gravi sono relativamente pochi i disturbi minori sono invece diffusissimi.
Alcuni ritengono necessarie le vaccinazioni per evitare ad altri il rischio di contagio. Ma è proprio il vaccinato con germi vivi ad esserne potenziale portatore. Se la vaccinazione offre veramente garanzia di immunità perché aver paura di quelli che non sono vaccinati? Se invece la vaccinazione non offre garanzia di sicurezza e immunità perché accanirsi per vaccinare tutti? Anche perché l’efficacia di un vaccino non dura più di qualche anno, nel migliore dei casi, o addirittura pochi mesi. Si dice che il vaccino è necessario perché protegge per il 90%. Quel 10% restante può contagiare una persona non vaccinata? Un individuo può essere considerato pericoloso se fosse contagiato dal virus e irresponsabilmente non rispettasse le regole, ma se sa di essere negativo ed in buona salute e rispettoso delle regole, perché rischiare i probabili effetti collaterali del vaccino? Se in seguito fosse contagiato avrebbe meno possibilità di finire in terapia intensiva? E’ solo un’ipotesi. Gli effetti più o meno pesanti dei virus dipendono del corredo immunitario e questo dallo stille di vita di ognuno.
In sostanza, lo Stato si riserva il diritto di penetrare nell’organismo dei cittadini e di invadere il loro corpo sotto forma di virus, il che equivale ad una specie di violazione di domicilio.
I virus sono ospiti silenziosi nell’organismo umano finché non intervengono le vere cause legate alle condizioni di vita a determinarne il risveglio, che potrebbero essere agenti chimici o fisici che ne accelerano la moltiplicazione permettendo di raggiungere la carica critica, come lo smog, lo stress, la cattiva alimentazione, un forte colpo di freddo, farmaci, affaticamento cronico.
Il congresso internazionale di Salute Pubblica, tenutosi a Losanna nel lontano ottobre del 1964, a conclusione dei suoi lavori ha emesso, tra l’altro le seguenti proposizioni:
art.2: In tutti i casi della prevenzione, della terapia, della salute e della vita dell’uomo e degli esseri viventi, sia applicata veramente la regola “Primum non nocere”.
art.5: Siano insegnate fin dalla scuola primaria le leggi delle morali biologiche e le regole dell’igiene della vita, al fine al fine di conseguire la restaurazione e la salvaguardia delle immunità naturali a tutti i livelli, dalla terra all’uomo.
art.7: Ogni persona abbia la possibilità, per se e per le persone su cui esercita la tutela legali, di scegliere il consigliere sanitario, mezzi profilattici e terapeutici che ritiene più opportuni e che nessuno possa imporli di seguire un qualsiasi trattamento preventivo o curativo o di sottomettersi ad una terapia che non approva.
art.8: I poteri pubblici si astengano da qualsiasi misura coercitiva diretta o indiretta, tendente ad obbligare chiunque a sottomettersi alla vaccinazione.
Art. ): ...Quelli che si oppongono a queste pratiche abbiano la possibilità di esprimere ufficialmente il loro punto di vista.
art.12: Che sia proibita, in tutte le fasi della produzione e distribuzione l’aggiunta di vitamine sintetiche o di altre sostanze chimiche di sintesi agli alimenti dell’uomo e degli animali.
art.18: Sia proibita, sotto qualsiasi forma, la propaganda dei produttori di vaccini, di medicinali e di alimenti non rispondenti a precise norme biologiche...
Da molti anni vige una grande mancanza di chiarezza nella popolazione circa i diversi approcci riguardo alla cura delle malattie. Queste brevi note vogliono, in maniera semplice e comprensibile, dissipare la folta nebbia che vige, a riguardo, in molte persone.
Medicina industriale: è attualmente la più diffusa ed è considerata sovente la più "autorevole". I suoi inizi risalgono a circa 2 secoli fa e ha acquisito una certa istituzionalizzazione nei primi anni del XX secolo. Per apprenderne la pratica esistono scuole pubbliche internazionalmente riconosciute, come le Università, e il titolo di dottore medico si acquisisce attraverso un esame di Stato post-laurea, al termine di un opportuno praticantato. Attualmente i suoi progressi sono stati rimarchevoli. In unione a sofisticate tecnologie permette di risolvere problemi complessi che un tempo portavano invece inesorabilmente alla morte. Un suo aspetto negativo è l'utilizzo generalizzato di farmaci tossici e debilitanti, con numerosi effetti collaterali e talvolta ritirati dal commercio per la loro pericolosità. Inoltre il suo approccio alla cura è molto "settoriale", trascurando le interazioni che possono esserci tra la varie parti del corpo. Ciò da un lato permette una elevata specificità di cura, ma si rischia di concentrarsi sul sintomo piuttosto che la trovare la vera radice del male. Per quanto riguarda la chirurgia, anche su quel fronte ci sono capacità impensabili fino a pochi decenni fa: taluni interventi che una volta erano invasivi, rischiosi e richiedevano lunghe degenze sono oggi possibili pressoché a livello ambulatoriale, con degenze minime e rischio bassissimo. Bisogna anche riconoscere che la chirurgia d'urgenza oggi permette di salvare moltissime vite.
Medicina Omeopatica: è tra i metodi di cura diversi dalla Medicina Industriale che gode del maggior seguito nel mondo occidentale. Fu creata a seguito delle intuizioni del dott. Samuel Hahnemann (1755-1843), medico tedesco che ne fondò le basi all'inizio del XIX secolo: infatti nel 1806 pubblicò il suo primo saggio sull'argomento: "La medicina dell'esperienza". Da allora l'Omeopatia si è costantemente sviluppata e perfezionata. Attualmente è riconosciuta dai Ministeri della Sanità di diverse nazioni ed anche l'OMS ne sta auspicando una sua ulteriore maggiore diffusione. L'accusa che le viene mossa più spesso è quella che, essendo i suoi farmaci basati su forti diluizioni, essa prescriva "acqua fresca". Quello che i suoi detrattori omettono sempre di citare nelle loro accuse è un passaggio fondamentale: la dinamizzazione. Essa serve a trasferire l'informazione curativa dalla sostanza di base alla sostanza solvente, trasferimento che diventa tanto più efficace quanto maggiore è il numero di dinamizzazioni. Ecco perché una sostanza è tanto più potente quanto più è diluita. In pratica è una medicina basata sull'energia piuttosto che sulla chimica. La normativa italiana considera i prodotti omeopatici farmaci a tutti gli effetti, acquistabili esclusivamente in farmacia e detraibili fiscalmente. Un altro aspetto da tenere ben presente è quello della personalizzazione della cura: l'Omeopatia considera le persone tutte diverse e tutte le cure sono sempre strettamente specifiche a seconda della tipologia del paziente. Ultimamente i farmaci omeopatici vengono somministrati anche agli animali, con buoni risultati. Per poter praticare l'Omeopatia è necessario possedere una laurea in medicina con relativa abilitazione professionale, iscrizione all'Albo e aver seguito un corso di specializzazione post-laurea della durata di 5 anni.
Naturopatia: è l'approccio curativo basato sull'utilizzo di farmaci ricavati da sostanze naturali presenti nelle piante. La sua storia è lunghissima poiché affonda le sue radici in tempi molto remoti e perciò gode di una vastissima esperienza, oltre a fruire di un costante lavoro di perfezionamento. I prodotti adoperati sono costituiti da una sola sostanza o più sostanze in sinergia, unitamente ad altre che concorrono ad una buona conservazione e ad una agevole somministrabilità. Le loro concentrazioni sono chimicamente rilevabili, rispetto a quelle tipiche dei farmaci omeopatici. Anzi, spesso sono prodotti molto concentrati di cui si utilizzano piccole quantità, facendo sì che le confezioni durino a lungo realizzando così anche un minore dispendio economico. I prodotti sono reperibili nelle erboristerie, ma ultimamente anche le farmacie ne trattano una parte, se non li hanno disponibili in genere li possono ordinare ed ottenerli nell'arco di un solo giorno. Per produrre e commercializzare prodotti erboristici bisogna possedere tutte le qualifiche previste dalla legge e superare opportuni controlli di qualità. Un aspetto negativo è la grande differenza di efficacia esistente tra prodotti fabbricati da aziende diverse. E' perciò necessario sapere quali sono i produttori più affidabili. L'esercizio della Naturopatia è consentito per i medici che abbiano conseguito l'opportuna specializzazione. Normativa italiana a parte, che li classifica come integratori alimentari, i farmaci naturali restano comunque farmaci a tutti gli effetti quindi è categoricamente escluso il "fai-da-te".
LA COMMISSIONE MEDICA INDIPENDENTE SPIEGA PERCHE’ I BAMBINI NON DOVREBBERO ESSERE SOTTOPOSTI AI “VACCINI” ANTICOVID*
Mentre le forze governative, alacremente supportate da una informazione che ben poco spazio lascia al confronto civile e al democratico dibattito, spinge, ogni giorno di più, per coinvolgere adolescenza e infanzia all’interno della campagna vaccinale, la Commissione Medica Indipendente, con un prezioso comunicato, indica con chiarezza i motivi per cui i bambini non andrebbero vaccinati.
Ecco i principali:
La Commissione Medico-Scientifica (Paolo Bellavite, ematologo; Marco Cosentino, farmacologo; Vanni Frajese, endocrinologo; Alberto Donzelli, Igiene e medicina preventiva; Patrizia Gentilini, oncologa; Eugenio Serravalle, pediatra), al fine di discutere in merito alla urgenza e alla necessità della vaccinazione pediatrica anticovid, ha fatto richiesta in modo formale di un confronto scientifico urgente con il CTS del Governo.
*Per maggiori informazioni:
http://www.assis.it/richiesta-di-moratoria-della-vaccinazione-anti-covid-19-ai-bambini/
Lo zucchero bianco, o saccarosio, (considerato uno dei cibi killer) viene depurato con latte di calce e per eliminare la calce in eccesso viene trattato con anidride carbonica, poi con l’acido solforoso per eliminare il colore scuro; poi viene filtrato e decolorato con carbone animale e infine trattato con il blu oltremare (proveniente dal catrame e quindi cancerogeno). Rimane una sostanza bianca cristallina senza vitamine, sali minerali, enzimi e oligoelimenti che può causare stress pancreatico, fermentazioni intestinali, gas, alterazione della flora batterica, picchi glicemici, aggressività nei bambini, diabete, obesità, debolezza, problemi visivi, carie, osteoporosi, perdita di capelli, alterazione del sistema endocrino; inoltre può paralizzare i moti peristaltici intestinali, generare acidità gastrica, alterazione del sistema endocrino, sottrarre calcio alle ossa e può essere causa di cancro allo stomaco.
Il saccarosio si “caramella” sulle mucose intestinali rallentando le funzioni digestive e bloccando la funzione degli enzimi. Di conseguenza lo stomaco è obbligato a fabbricare quantità sempre maggiori di acido cloridrico e il pancreas si atrofizza nell’assorbire l’eccesso di acido prodotto ed il fegato s’incrosta perché non può eliminare questa sostanza.
Per essere assimilato il saccarosio preleva dal nostro organismo vitamine e sali minerali al fine di bilanciare il pH del sangue a causa del suo forte potere acidificante causando indebolimento delle ossa, carie, artrosi, osteoporosi, cuscinetti adiposi, cellulite, ritenzione idrica, alterazione della flora batterica, coliti, diarrea, oltre naturalmente il diabete. Inoltre, un eccessivo consumo di zucchero può causare irritabilità, depressione, candidosi, picchi glicemici che compromettono il pancreas costringendolo a produrre insulina rischiando crisi ipoglicemiche.
Lo zucchero, essendo una sostanza altamente acidificante, oltre a creare un ambiente adatto allo sviluppo di batteri, lieviti, muffe, funghi all’interno dell’organismo, è in grado di produrre acetaldeide (una tossina cancerogena) ed alcol. Più zucchero riceve l’organismo più microrganismi nocivi si sviluppano. Inoltre lo zucchero può danneggiare il nostro corredo genetico: una singola dose di zucchero può compromettere le cellule per una decina di giorni.
Lo zucchero è un prodotto senza vita: mancando di sostanze vitali e di minerali sottrae gli uni e gli altri all’organismo, in particolare le vitamine del complesso B necessarie al corretto funzionamento delle cellule cerebrali la cui carenza può essere causa di aggressività e comportamento violento dell’uomo. Quando il cervello non è alimentato di glucosio si genera difficoltà di attenzione e minore resistenza intellettuale e fisica.
Una ricerca clinica condotta su minorenni particolarmente rissosi, reclusi in 14 istituti di pena statunitensi, ha dimostrato che eliminando lo zucchero industriale dalla loro dieta le risse diminuivano del 40%. Analogo esperimento fu condotto in Inghilterra su 50 detenuti, con risultati pressoché analoghi.
Un’altra ricerca condotta in Virginia su 276 giovani delinquenti detenuti, ha dimostrato la riduzione del 50% del comportamento violento a seguito della soppressione dello zucchero industriale: annullando l’efficacia delle vitamine del complesso B si danneggia il corretto funzionamento delle cellule cerebrali rendendo l’individuo più irritabile, più soggetto allo stress e all’aggressività.
Quando si consumano troppi farinacei raffinati o zuccheri industriali viene secreta l’insulina che alla fine causa infiammazioni e, col tempo, obesità, diabete ed alcune forme di tumore. Questo perché l’insulina essendo un ormone della crescita può portare ad una proliferazione incontrollata delle cellule tumorali. Gli obesi ed i sedentari necessitano di molta insulina, per questo sono più degli altri soggetti al cancro del pancreas.
Lo zucchero ruba calcio e cromo per la sua digestione. Dà falsa euforia, eccitazione cui segue depressione, irritabilità, bisogno di altro zucchero. Viene velocemente assimilato nel sangue perché privo degli altri componenti nutrizionali: enzimi, minerali, vitamine, proteine, acqua. Il pancreas deve riequilibrare l’innalzamento repentino di zucchero nel sangue e questo causa stress ormonale e abbassamento delle difese immunitarie.
Lo zucchero di canna integrale biologico, il malto d’orzo o il succo di acero, sono meno dannosi dello zucchero bianco. Ma meglio ancora sarebbe non utilizzare zucchero industriale: lo zucchero di cui ha bisogno il nostro organismo è solo quello della frutta fresca ed essiccata. Il fruttosio è il vero, solo carburante della macchina umana. Quando si sente la necessità di qualcosa di dolce la cosa migliore è consumare datteri, prugne o albicocche secche, fichi secchi, uva passa… Le bevande che necessitano di essere addolcite (caffè, tè ecc.) non dovrebbero essere consumate.
"I nostri risultati dimostrano che ciò che si mangia influenza il modo di pensare", ha detto Fernando Gomez-Pinilla, professore di neurochirurgia presso la David Geffen School of Medicine presso la UCLA e un professore di biologia integrativa e fisiologia nel Collegio UCLA di Lettere e Scienze. "Mangiare un alto contenuto di fruttosio dieta a lungo termine altera la capacità del cervello di apprendere e ricordare le informazioni. Ma l'aggiunta di omega-3 acidi grassi ai vostri pasti può aiutare a minimizzare i danni. L'insulina è importante per l'organismo per il controllo di zucchero nel sangue, ma può svolgere un ruolo diverso nel cervello, dove l'insulina sembra disturbare la memoria e l'apprendimento. Il nostro studio mostra che una dieta ad alto contenuto di fruttosio danneggia il cervello e il corpo”.
Alternative allo zucchero bianco
1) Zucchero di canna integrale, possibilmente biologico;
2) Melassa (deriva dallo zucchero di canna o da barbabietola);
3) Sciroppo d’acero (liquido zuccherino);
4) La Stevia (ha zero calorie);
5) Lo sciroppo di mele;
6) Il succo d’agave;
7) Il succo d’uva;
8) Lo sciroppo di mais;
9) Il malto d’orzo;
10) Lo sciroppo di riso;
11) L’amasake (ottenuto dalla fermentazione del riso)
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Il 2 ottobre, l’importante Associazione sindacale dei Carabinieri UNARMA ha diffuso un comunicato ricco di ben ponderate riflessioni critiche in merito alla adozione della certificazione verde, meglio nota come green pass, rivolgendosi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Ministro della Difesa, al Garante della Privacy, alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e al Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri (https://www.unarma.it/green-pass-il-continuo/).
Dopo aver opportunamente ricordato l’appoggio di UNARMA alla campagna vaccinale, la “lettera aperta” mette in luce, come perno centrale di tutte le successive argomentazioni,
· il fatto che le evidenze scientifiche maturate con la sperimentazione stanno dimostrando, “chiaramente e in maniera inoppugnabile, che anche i vaccinati contro il covid 19 possono contrarre il virus e possono trasmetterlo ad altri, sia vaccinati che non vaccinati”.
· Nel testo, poi, viene effettuato ampio riferimento a quanto recentemente scritto da Magistratura Democratica sulla rivista giuridica Questione Giustizia, con il documento intitolato “Sul dovere costituzionale e comunitario di disapplicazione del cd. decreto green pass”, documento in cui si denuncia l’incostituzionalità del decreto governativo (sia rispetto alla Carta italiana sia rispetto alla normativa europea) e in cui si sostiene che, nel nostro Paese, si starebbe realizzando un diffuso potere di polizia volto a mettere a repentaglio le libertà costituzionali fondamentali (libertà personale e libertà di circolazione prime fra tutte) e a violare i principi costituzionali fondamentali come il principio di eguaglianza, il principio di legalità ed il principio della certezza del diritto.
· Il comunicato evidenzia che, oltre a violare il dettato costituzionale, il green pass non sarebbe conforme alle direttive europee, che raccomandano di evitare qualsiasi forma di discriminazione nei confronti dei cittadini non vaccinati.
· E che il green pass, quindi, verrebbe a costituire un evidente quanto illegittimo disequilibrio fra la tutela dei diritti e l’adempimento dei doveri inderogabili, comportando effetti plurimi di discriminazione e trattamento differenziato, impedendo ai cittadini che ne sono privi di svolgere determinate attività e di poter accedere ad una serie di luoghi che contribuiscono al benessere psico-fisico ed alla tutela della dignità umana.
· Viene ribadito, poi, che, non essendo previsto l’obbligo vaccinale per tutti, la vaccinazione deve essere considerata una scelta personale, con il conseguente corollario che chi decide di non sottoporvisi, per qualsiasi motivo, non dovrebbe in alcun modo essere fatto oggetto di atti sproporzionati ed irragionevoli volti a determinare trattamenti differenziati.
· In definitiva, non risultando la cosiddetta certificazione verde essere un reale strumento in grado di garantire la sicurezza sanitaria dei cittadini, non dovrebbe costituire, di conseguenza, una condizione idonea all’imposizione di limiti legittimi nemmeno al diritto al lavoro.
· In sede conclusiva vengono avanzate le seguenti richieste:
1) assumere i provvedimenti di rispettiva competenza al fine di revocare immediatamente le disposizioni impartite, inerenti la certificazione verde quale condizione per il regolare ed usuale espletamento del lavoro;
2) predisporre, a carico dell’amministrazione, l’effettuazione di tamponi per tutti quei Carabinieri sprovvisti di green pass, che accedono sui luoghi o nell’ambiente di lavoro, costituendo convenzioni a titolo gratuito in tutti i presidi territoriali d’Italia.
Insomma, un testo che merita indubbiamente di essere esaminato con cura e che, vista la peculiare credibilità della fonte, neppure il più dogmatico vaccinista dovrebbe sentirsi autorizzato ad accusare di semplicistico novaxismo.
La Sindrome di Asperger è un disturbo pervasivo dello sviluppo; prende il nome dal pediatra viennese Hans Asperger il quale nel descrivere tale sindrome identificò i bambini che ne soffrivano “piccoli professori”, goffi nei movimenti, problematici a socializzare ma che riuscivano ad appassionarsi con volontà, interesse e capacità a ciò che amavano in modo totale: musica, disegno, scienza, matematica ecc.
Spesso questi bambini utilizzano un linguaggio povero, con pochi vocaboli e in una parte dei casi hanno anche difficoltà di movimento.
Per molti studiosi questa sindrome è considerata una forma lieve di autismo, la sola differenza è che i bambini con l’Asperger riescono a dimostrare i propri sentimenti nei confronti della famiglia, e raggiungono ad avere un linguaggio quasi normale.
Per questa sindrome purtroppo, si può agire solamente attraverso buone terapie cognitive/comportamentali; sono ragazzi intelligenti come tutti ma hanno difficoltà nella socializzazione e spesso tendono ad avere attenzioni ossessive su gli stessi argomenti che sono quelli che potrebbero diventare il loro punto di forza.
Molti personaggi famosi e geniali ne hanno sofferto, fra i quali:
Michelangelo Buonarroti, Wolfgang Amadeus Mozart, Isaac Newton, Charles Darwin, Albert Einstein, Alfred Joseph Hitchcock, Steve Jobs e molti altri ancora.
Ma chi aiuta le famiglie che si trovano ad affrontare un problema così difficile per il quale non hanno preparazione alcuna?
A chi si devono rivolgere? Quante associazioni, enti, volontari, supporti esistono?
Ecco perché l’intervista a Jasmin Guarino, mamma di una splendida bambina con questa sindrome. La gente deve conoscere le difficoltà e quanto a volte l'inadeguatezza di alcuni possa rovinare il cammino di famiglie da aiutare e prendere per mano.
Intervista
Jasmin Guarino è la mamma di Iris e si trova a combattere una situazione difficile e di grande “confusione sanitaria”. La sua bambina ha la sindrome di Asperger.
D- Buongiorno Jasmin vuoi chiarirci che cos'è la sindrome di Asperger e a quali difficoltà essa comporta?
R- Buongiorno cara Marzia. La sindrome di Asperger è una leggera forma di autismo, che ricordiamo, non è una malattia ma una neurodiversità, un sistema neurologico diverso rispetto alle persone neurotipiche.
La sindrome di Asperger comporta diverse difficoltà a relazionarsi con il mondo esterno e le altre persone, ma essendo di livello 1, essa può essere non riconosciuta o fraintesa dalla famiglia, dai docenti e persino dai dottori.
In tal caso la persona autistica deve affrontare autonomamente le proprie difficoltà senza avere un'idea della loro natura e, non avendo una corretta percezione di sé, possono nascere in essa problemi di autostima e di identità, vivendo un profondo disagio psicologico ed esistenziale.
Tutto ciò può portare varie conseguenze come: il disturbo d'ansia generalizzata (GAD), il disturbo da attacchi di panico (DAP), la depressione, il disturbo ossessivi-compulsivo (OCD) e nel caso in cui ci siano state brutte esperienze a livello sociale il disturbo da stress post-traumatico (PTSD).
Chi è autistico deve affrontare diverse difficoltà che riguardano principalmente tre aree:
1- alterazione e compromissione della qualità dell’interazione sociale
2- alterazione e compromissione della qualità della comunicazione
3- modelli di comportamento e interessi limitati, stereotipati e ripetitivi
i.
Per questo è fondamentale l'informazione al riguardo dell'autismo, per dare modo alle famiglie di rendersi conto delle difficoltà del bambino il prima possibile e potersi rivolgere a degli specialisti per poter raggiungere una diagnosi precoce ed evitare così che si sviluppino reazioni compensatorie inadeguate.
Particolarmente difficile è riuscire ad ottenere una diagnosi nei soggetti femminili, questo perché le femmine hanno dei sistemi di compensazione più sviluppati rispetto ai maschi. Quindi sarebbe preferibile rivolgersi a degli specialisti in autismo femminile.
Per saperne di più e comprendere nel profondo la sindrome di Asperger consiglio due libri che mi sono stati suggeriti dalla neuropsichiatra di mia figlia:
• Guida completa alla sindrome di asperger di Tony Attwood.
• Aspergirl di Rudy Simone.
D- Come hai capito e quando che la tua bambina aveva comportamenti diversi o particolari?
R- Iris è da sempre stata una bambina particolare. Nel vedere lei ci si può rendere pienamente conto che con l'autismo ci si nasce. Ha avuto da sempre difficoltà nel rapportarsi con il mondo esterno sia a livello percettivo sensoriale (particolarmente sensibile ai suoni, alle consistenze, alla sensibilità tattile) sia a livello di interazione sociale. I bambini durante i primi mesi studiano le proprie mani e le guardano spesso mentre le muovono, ma Iris continuava a farlo anche da più grande e con un'intensità particolare, infatti non riuscivamo a distoglierla nemmeno chiamandola per nome.
Già all'età di dieci mesi sono iniziate le stereotipie (schema comportamentale rigido compiuto in maniera ripetitiva e continua), sfarfallava quando era contenta e ciò avveniva ed avviene spesso, perché è una bimba allegra e spesso felice.
Con il crescere le stereotipie sono aumentate, una volta imparato a camminare ha iniziato a correre intorno al tavolo, poi a correre intorno al tavolo in punta di piedi battendo le mani. Successivamente ha iniziato a piegarsi mettendo in avanti la testa come un ariete facendo su e giù in continuazione. Quando le prendono questi momenti è capace di passare diverso tempo a compiere lo stesso movimento, una volta, per curiosità, l'ho lasciata correre intorno al tavolo senza interromperla, aspettando che smettesse da sé e ciò è avvenuto dopo dieci minuti.
Le stereotipie sono presenti anche nel gioco, Iris infatti ha bisogno di avere stretti fra le mani due oggetti a sua scelta e se li porta dietro mentre percorre sempre lo stesso percorso per esempio dal divano al tavolino.
Dall'età di otto mesi ha mostrato di avere delle rigidità molto forti, per esempio non mangiava a meno che non ci fosse la canzone che desiderava ascoltare e qualcuno qui penserà ad un capriccio e risponderò che la differenza è che se non si asseconda il capriccio il bambino prima o poi mangia...Iris si sarebbe lasciata morire di fame.
Una volta all'età di dieci mesi la lasciammo ai nonni per qualche ora (eravamo tranquilli perché già era stata con loro altre volte ed era andato tutto bene), dicendo loro di chiamarci per qualsiasi cosa visto che si sarebbe svegliata per la prima volta in nostra assenza. Ebbene quando tornammo trovammo la bambina era quasi svenuta e ci spaventammo tantissimo, come la vidi d'istinto la allattai e dopo dieci minuti si riprese come nulla fosse. Al ché abbiamo chiesto ai nonni cosa fosse successo e loro ci spiegarono che la bambina si era rifiutata di bere e di mangiare fino al nostro arrivo. Era estate e l'ultima poppata l'aveva fatta alle sei del mattino, quindi era stata sette ore senza bere né mangiare e si era rifiutata fino a svenire. Inutile raccontarvi la rabbia con cui abbiamo travolto i nonni, visto che non ci avevano avvisato di nulla, ma al di là di questo ci colpì il fatto che Iris, a causa del fatto di essersi svegliata in nostra assenza, si sarebbe lasciata morire andando contro all'istinto di sopravvivenza (rigidità).
Anche con lo svezzamento è stata molto dura, Iris era in grande difficoltà con le consistenze (selettività alimentare) e non accettava i solidi, nemmeno la ricotta nella vellutata.
Per riuscire ad aiutarla nelle difficoltà di cui vi ho parlato abbiamo esercitato un percorso graduale in tutti i campi, senza mai forzarla.
Con lo svezzamento abbiamo inserito i solidi molto lentamente rispetto alle tempistiche degli altri bambini, aumentando le dimensioni dei pezzetti di cibo con molta cautela. Per esempio,Iris ha cominciato a mangiare la carne a fette solo di recente (all'età di due anni), ma siamo molto felici dei risultati, purtroppo ci sono bambini autistici che non mangiano a causa del proprio disagio e che devono essere alimentati per endovena.
Per riuscire ad eliminare il bisogno della musica abbiamo agito sempre gradualmente, passando dall'ascoltare la musica a cantare noi le canzoni (se sbagliavamo le parole non apriva la bocca, questo ci ha fatto capire che ha una memoria eccezionale perché ricordava i testi di molte canzoni già dall'età di otto mesi), al parlarle fino alla conversazione naturale fra di noi.
Per quanto riguarda l'essere lasciata ai nonni abbiamo iniziato con far sì che i nonni si prendessero cura di lei in nostra presenza per poi lasciarla con loro, sia a casa nostra che a casa loro, aumentando gradualmente la durata dell'affidamento.
Anche lo schema di gioco di Iris attirò la nostra attenzione. Si fissava su un gioco anche per ore senza distogliere l'attenzione da esso nemmeno se chiamata, mentre di solito i bambini si stancano in fretta di una solita cosa. Metteva in fila i giocattoli, seguendo un ordine che non doveva essere modificato da esterni (rigidità), altrimenti si arrabbiava e urlava e scomponeva e ricomponeva la composizione a ripetizione.
Suddivideva gli oggetti per categoria, si soffermava sui particolari degli oggetti per molti minuti, fosse stato per lei anche ore.q
I suoi giochi erano ripetitivi, ristretti e stereotipati (stimming) e di fronte ai giochi meccanici i movimenti di Iris si ripetevano all'infinito.
Con il crescere Iris ha mostrato di avere tante caratteristiche particolari: una memoria eccezionale (a 15 mesi già sapeva tutto l'alfabeto.), essere molto selettiva, profondo disagio difronte al cambiamento, restia al contatto fisico, mostrare un particolare interesse nei confronti di oggetti che passerebbero inosservati come gli elastici e le guarnizioni delle finestre, immaturità motoria e si stancava facilmente durante le attività.
Episodi degni di particolare interesse accaddero quando iris si trovò in circostanze di confusione. Chiedeva di essere presa in braccio e poggiava la testa sulla spalla con uno sguardo vuoto e assente e non rispondeva in alcun modo agli stimoli né da parte nostra né da parte di altri. Successivamente la neuropsichiatra ci ha spiegato che sono Shutdown (una sorta di spegnimento, di blackout cerebrale come meccanismo di auto difesa).
Come avrai capito Marzia, nel nostro caso ci sono stati chiari campanelli di allarme che ci hanno portato a desiderare un consulto con dei professionisti.
D- Qual è stato il tuo primo passo verso una richiesta di aiuto?
R- Quando Iris ha compiuto i 18 mesi, le educatrici del nido mi chiesero un colloquio individuale per parlare della bambina. Mi dissero che aveva dei comportamenti particolari come stereotipie molto accentuate, profondo disagio nello stare in mezzo agli altri bambini, estraniazione dal contesto, immaturità motoria, assenza di comunicazione, essere restia al contatto fisico e totale mancanza del gioco simbolico.
Io non avevo parlato con loro dei miei dubbi al primo colloquio conoscitivo, avevo solo dato loro delle indicazioni per aiutare Iris nelle varie circostanze, questo perché volevo una visione obiettiva da parte loro senza influenze. Quindi quando mi parlarono così di Iris non fecero che confermare i miei timori e a quel punto raccontai loro tutte le particolarità della bambina e tutte le difficoltà che avevamo dovuto affrontare nelle varie fasi di crescita e di quanto fosse già molto migliorata rispetto a quando era più piccola. Le educatrici mi dissero che ci sarebbero stati vicino che collaborando insieme avremmo potuto attuare delle strategie per poterla aiutare fino al raggiungimento dei tre anni, per poi fare un percorso diagnostico, poiché prima i dottori non si sbilanciano.
Il giorno dopo, durante il controllo crescita la pediatra mi fece fare il test sull'autismo e risultò a rischio. Le caratteristiche di Iris che avevano portato il logaritmo a quella conclusione erano: il fissare le proprie mani mentre le muoveva, il non aver ancora iniziato il gioco simbolico, il fatto che non dicesse ancora dieci parole, l'assenza di interesse nei confronti dei coetanei.
La pediatra osservò molto attentamente il movimento delle mani di Iris che non distoglieva lo sguardo da esse nemmeno se la chiamavo, inoltre lo faceva in un lasso di tempo considerevole. Io parlai alla dottoressa di tutte le mie perplessità e di quelle delle tate, così la pediatra mi disse che riteneva opportuno un percorso diagnostico e noi genitori non potevamo che essere consenzienti.
Così la pediatra ci ha fatto una richiesta per far visitare la bambina in un centro di salute mentale della ASL.
D- Come ti sei trovata?
R- Purtroppo molto male. Mi presentai alla prima visita con appunti e video, come mi aveva suggerito la pediatra e fui già etichettata come 'mamma con l' ipercontrollo' e ci rimasi molto male. La neuropsichiatra osservò Iris e mi disse che, dato che sorrideva ed indicava, mi poteva già dire che non c'erano tracce di autismo. Provai a spiegarle le nostre osservazioni, quelle delle educatrici e quelle della pediatra, ma la neuropsichiatra mi disse che non dovevo confrontarmi con nessuno e pensare solo a fare la mamma. Allora provai a parlare delle difficoltà della bambina e di quanti passi avanti avevamo fatto sotto tanti punti di vista e la dottoressa mi accusò di essere una 'mamma che lavoro troppo'. Poi mi disse che noi avremmo dovuto solo affidarci alle loro osservazioni che ormai avrebbero dovuto fare con un percorso di osservazione perché la pediatra lo aveva richiesto. Tutto questo me lo disse come se le stessimo facendo perdere tempo e che non c'era alcun bisogno del loro intervento.
Fu un incontro orribile mi sentii non ascoltata, giudicata e sotto processo oltre allo stato emotivo che avevo dentro a causa della preoccupazione per la bambina. Non ero affatto d'accordo con quanto mi era stato detto: il confronto e la collaborazione fra famiglia, scuola e pediatra è fondamentale per il bene del bambino.
Il solo pensiero di dover tornare al centro mi metteva grande ansia e disagio
decisi così di non parlare più se non interrogata ed anche in quel caso di dare risposte brevi e concise, perché ogni parola detta sarebbe potuta essere oggetto di critica o di giudizio nei confronti di noi genitori.
Chiesi un colloquio con la pediatra per raccontarle come ero stata trattata e la dottoressa rimase sbigottita dalle parole e dall'atteggiamento della neuropsichiatra e, non essendo affatto d'accordo, decise di cercare una strada parallela tramite un altro centro. Purtroppo non riuscì ad iniziare il percorso parallelo prima di finire quello già intrapreso e nel frattempo il centro che già ci seguiva richiese di fare due percorsi di osservazione anziché uno e furono tre mesi di angoscia e stress per tutti noi a causa di tutte le critiche e giudizi rivolti a noi genitori.
La psicologa, la fisioterapista e l'educatrice professionale del centro fecero le loro osservazioni e risultò che Iris aveva un'immaturità generale tranne a livello cognitivo in cui era addirittura avanti rispetto alla media.
Notarono le stereotipie, le difficoltà a livello psicomotorio e di linguaggio, lo schema di gioco rigido, ripetitivo e stereotipato e la risposta al nome incostante.
Una volta concluso i percorsi d'osservazione la neuropsichiatra ci disse che vista la situazione avrebbe optato per fare un altro percorso sempre esclusivamente osservativo e che avrebbero valutato anche l'ambiente familiare, perché ci sarebbero potute essere delle componenti esterne che magari potevano essere la causa dell'immaturità di Iris. Accusò me di avere un attaccamento eccessivo nei confronti della bambina e lì sbottai.
Io che da quando era nata la mia bambina mi ero data così da fare per cercare di farle prendere fiducia con il mondo esterno e le persone, io che avevo fatto di tutto per far sì che rimanesse da sola con i nonni, che mi ero tanto dedicata ad abituarla a lasciare che altre persone si prendessero cura di lei, pagando delle baby sitter e che avevo insistito tanto per mandarla al nido per farle fare preziose esperienze.
Mi stavano descrivendo come la mamma che non sono e non sono mai stata.
La neuropsichiatra continuò a dirci che il rischio di autismo era basso o nullo e ci propose anche un incontro in cui noi genitori avremmo dovuto stare con la bambina sotto la sua osservazione. Decidemmo di lasciare quel centro e di cercare altri che ci potessero seguire.
Questo percorso è stato deleterio per la nostra famiglia, psicologicamente devastante. Ero confusa non sapevo più come comportarmi con mia figlia, mettevo in discussione ogni parola ed ogni atteggiamento verso di lei. Il rapporto sereno e complice che ho da sempre avuto con la mia bambina stava per essere rovinato da tutte le incertezze che la neuropsichiatra aveva insinuato nella mia mente.
Grazie al cielo sono circondata da persone meravigliose, mio marito, le mie amiche e le educatrici del nido che mi hanno restituito una visione reale del mio rapporto con Iris e di tutti i risultati positivi ottenuti nel tempo.
D- Che tipo di esperienze hai avuto con le varie strutture alle quali ti sei rivolta?
R- La verità è che il mondo diagnostico dell'autismo è molto confuso. Un genitore si trova perso, soprattutto se si accorge dei campanelli d'allarme quando il figlio ha meno di tre anni perché, come mi avevano detto le educatrici del nido, i dottori non si sbilanciano.
Ero in attesa che la pediatra riuscisse a trovare il famoso contatto di cui ci aveva parlato mesi prima per farci fare un altro percorso supportati dalla ASL, ma sapevo di non poter aspettare e di dover intervenire in qualche modo.
Le stereotipie di Iris si stavano intensificando e con il raggiungimento del linguaggio erano sorte altre caratteristiche particolari: non aveva un linguaggio comunicativo, ma ripeteva solo le ultime parole che udiva, cantava e ripeteva a memoria tutti i suoi libri senza sbagliare una sola parola. Le rigidità con il nostro lavoro e quello delle educatrici si erano attenuate in alcuni frangenti, ma erano ancora molto forti e presenti in altri. Per esempio se leggevo uno dei suoi libri e cambiavo una parola, Iris mostrava un grande disagio, lamentandosi forte fino a che non pronunciavo la parola esatta. Se leggevo il libro di filastrocche dovevo seguire l'ordine preciso in cui erano poste nel libro e anche se Iris non guardava e passavo alla filastrocca successiva lei se ne accorgeva e mostrava disagio.
Chiamai un altro importante centro della ASL e mi dissero che prima dei tre anni i neuropsichiatri infantili specializzati in autismo non visitano.
Lessi l'articolo di una mamma sull'autismo e decisi di contattarla. Le parlai di tutta la situazione e di tutti i campanelli di allarme che vedevo nella mia bambina e a cui non era stata prestata attenzione da parte del centro a cui mi ero rivolta.
La mamma mi disse che anche con lei il centro della ASL si era comportato nella medesima maniera: non la ascoltarono e la accusarono di essere una mamma con l'ipercontrollo ed un attaccamento morboso nei confronti del figlio. Mi disse anche che lei non indagò oltre, ma che dopo qualche anno furono le maestre a notare particolarità nel suo bambino e facendo accertamenti gli venne diagnosticato un autismo medio-alto. La cosa più sconcertante è che i medici dissero a questa mamma che se fosse intervenuta prima probabilmente il livello rilevato sarebbe potuto essere inferiore. Dopo il racconto mi suggerì di non fermarmi, che i campanelli di allarme erano molti e di rivolgermi ai privati.
Quella telefonata fu rigenerante per me e cercai neuropsichiatri infantili privati e ne trovai una a Firenze. Durante il colloquio ci ascoltò con molta attenzione e ci fece molte domande. Ci disse che i campanelli di allarme erano importanti e presenti nello spettro autistico, ci disse anche che avevamo agito molto bene con la bambina e che tutti i miglioramenti che aveva fatto ne erano la prova. Dopo tutte le accuse che ci erano state rivolte fu un grande sollievo, ma la conferma dei nostri timori fu un duro colpo. Invece quando vide la bambina ci disse che essendo socievole e disinvolta ed essendo presente il contatto visivo, il sorriso ed il pointing (indicare con il dito), non poteva trattarsi di autismo ma di un'immaturità motoria che si verifica spesso quando i bambini nascono con parto cesareo. Ci consigliò un corso in piscina per la bambina e percorsi motori. La conclusione della dottoressa da una parte era stata corroborante, ma dall'altra non ci tornava e le chiedemmo allora di tutti i campanelli di allarme che l'avevano portata inizialmente ad una diagnosi contraria. La neuropsichiatra ci disse che non erano più rilevanti e di stare tranquilli.
Tornammo a casa ancora più confusi e chiamai la mamma a cui mi ero rivolta tempo prima. Lei mi ascoltò e mi disse che probabilmente la dottoressa a cui ci eravamo rivolti non era aggiornata e mi iscrisse ad un gruppo che si chiama: “Asperger ti ascolto”, dove ci sono dottori specializzati in autismo e sindrome di asperger e persone autistiche. Nei giorni successivi lessi i post di confronto, perplessità e risposte da parte dei medici e non potei fare a meno di notare che mi rispecchiavo tantissimo nelle persone autistiche. Decisi di scrivere un post dove spiegai tutta la situazione ed i campanelli di allarme che vedevo in mia figlia, chiedendo aiuto.
Mi rispose una neuropsichiatra infantile specializzata in neurodiversità e autismo femminile e mi diede il suo contatto. Quando la chiamai le spiegai dettagliatamente tutte le nostre osservazioni e del percorso travagliato fatto fino ad allora. La dottoressa ci diede appuntamento e l'incontro con lei è stato liberatorio.
Ci confermò che Iris è neurodiversa, che tutti i campanelli d'allarme da noi osservati fanno parte dello spettro autistico e che era necessario un percorso terapeutico immediato. “Ci parlò dell'importanza della diagnosi precoce” e che la tempestività con cui ci eravamo mossi è stata fondamentale per la bambina che presenta rigidità e stereotipie molto accentuate. Ci spiegò che il linguaggio utilizzato da Iris si chiama “Ecolalia”, nel suo caso “differita ed immediata” e che agendo a quell'età può essere probabile ottenere un linguaggio funzionale. Ci disse anche che avevo praticamente fatto terapia ad Iris da quando è nata e che se è una bambina così serena e felice, nonostante le sue difficoltà è perché non abbiamo fatto attrito, bensì l'abbiamo stimolata con passaggi graduali e che questo è l'unico sistema che si attua con le persone autistiche. Immagina Marzia cosa hanno significato per me quelle parole dopo tutti i giudizi che mi avevano travolta sino ad allora.
Dopo il nostro dialogo la dottoressa mi disse che notava un'affinità cognitiva fra me e mia figlia, che la naturalezza con cui avevo compreso come comportarmi con una bambina autistica senza aver avuto alcuna preparazione la faceva pensare. Mi disse che l'autismo è genetico e mi chiese se avevo mai fatto un test specifico e le risposi di no e lei mi disse che sarebbe stato bene indagare al riguardo.
Feci il test e risultai neurodiversa e questo fu illuminante per me. Ho sempre avuto una sensibilità sensoriale particolare, molti problemi a livello sociale (difficoltà di interazione, utilizzo di toni inappropriati, difficoltà a comprendere i segnali sociali, le metafore e doppi sensi, difficoltà a gestire le emozioni) e d'attenzione e quindi difficoltà scolastiche, mi sono sentita diversa per tutta la vita e soffro di attacchi di panico (DAP), disturbo di ansia generalizzata (GAD), disturbi ossessivi-compulsivi (OCD), pensieri intrusivi angoscianti, cruenti e spiacevoli (egodistonici), mal di testa cronici e vari problemi psico-fisici. Ecco perché comprendevo così bene Iris ed ecco perché mi sentivo così affine con le persone autistiche. Tre anni prima avevo fatto un percorso da una psicoterapeuta, perché gli attacchi di panico si erano intensificati sia nella frequenza che nella durata e mi stavano creando problemi anche a lavoro. La psicoterapeuta mi aiutò parzialmente, ma a quanto pare non aveva le competenze specifiche per collegare tutte quelle caratteristiche alla sindrome di Asperger.
Mio marito che fino ad allora non riusciva a comprendere molti dei miei comportamenti e difficoltà, mi riconobbe subito nella diagnosi della neuropsichiatra, mentre io ho avuto bisogno di qualche giorno per metabolizzare la cosa.
Quindi cara Marzia la dottoressa ha dato il via non solo ad un percorso terapeutico per mia figlia, ma anche per me e gliene sarò per sempre grata.
Io faccio parte del grande numero di donne che scoprono di essere asperger in età adulta e finalmente ho delle persone competenti che mi stanno aiutando veramente. Mi sta facendo seguire anche da una nutrizionista che è specializzata nelle neurodiversità, ebbene sì, ho scoperto che anche la dieta è importante da seguire dalle persone autistiche per poter ovviare ai vari problemi fisici collegati alla sindrome e mi sento già molto meglio.
Iris sta facendo terapia da tre mesi con una psicomotricista e una logopedista; sono meravigliose ed Iris sta facendo passi da gigante a livello sociale, comunicativo e di linguaggio, a livello psicomotorio e sta acquisendo fiducia in sé stessa. Noi siamo molto più sereni e fiduciosi per il futuro della nostra bambina.
Quindi Marzia per noi è stato provvidenziale il centro privato frequentato da Iris. Con la ASL invece abbiamo avuto seri problemi. La cosa incredibile è che per riuscire a trovare dei professionisti specializzati nella sindrome di asperger ed autismo femminile mi ha aiutato una mamma che mi ha inserito in un gruppo social e non il sistema sanitario. Questo fa riflettere.
D- Vuoi parlarci delle problematiche che incontri ogni giorno?
R- Ci sono varie problematiche per i genitori con i figli autistici.
La ASL come abbiamo visto è di poco aiuto e di conseguenza i genitori devono affidarsi alle strutture private e a livello economico è una bella spesa fra la diagnosi e le terapie.
A livello lavorativo sia io che mio marito abbiamo dovuto fare numerose assenze per i percorsi diagnostici durati mesi. Io lavoro in un'azienda molto umana che ha compreso la situazione, nonostante che fino a pochi mesi fa non avessi ancora una diagnosi che giustificasse i numerosi permessi. Non avendo ancora la 104/92 non ho potuto ricorrere a permessi specifici che coprissero le mie assenze da lavoro.
La dottoressa che segue Iris ci ha scritto una richiesta per poterci fare avvalere della legge 104/92 vista l'impossibilità di Iris di svolgere i compiti specifici dell'età ed il bisogno di trattamento specifico intensivo. Questo potrebbe sia aiutarci a livello economico, sia essere coperti dalle eventuali assenze lavorative, ma soprattutto per poter richiedere il sostegno scolastico per la bambina, ritenuto necessario sia dall'equipe del centro frequentato dalla mia bambina che dalle educatrici del nido.
Purtroppo sarà molto difficile ottenere la 104/92, sempre a causa dell'età inferiore ai tre anni, quindi è molto probabile che dovremo stringere i denti e fare un ulteriore richiesta successivamente.
Anche a livello scolastico le famiglie aventi bambini autistici devono affrontare diverse problematiche.
Iris, come tutti i bambini che hanno le sue difficoltà, ha bisogno di una persona qualificata che possa supportarla durante le ore scolastiche ed aiutarla a svolgere le mansioni richieste, facilitare l'inclusione sociale, ma anche comprendere il suo stato emotivo. Le persone autistiche, infatti, possono essere soggette a: Sovraccarichi (si verifica quando qualcosa sovrastimola uno o più sensi ed è importante saperlo riconoscere e ridurre i suoni, la luce, offrire più spazio alla persona, accompagnarla in un posto più tranquillo) esso può manifestarsi o con un Meltdown (forti crisi emotive) o con gli Shutdown (La crisi rimane intrappolata all'interno della persona che si spegne come meccanismo di autodifesa). È fondamentale che un insegnante di sostegno riconosca un sovraccarico da un capriccio e che, essendone a conoscenza, possa fronteggiare la situazione in maniera adeguata.
Ho parlato con diverse mamme che vivono la nostra stessa situazione e mi hanno parlato delle loro esperienze riguardanti il sostegno scolastico che mi hanno lasciata di stucco.
Mi hanno raccontato che l'insegnante di sostegno non viene scelto in base alla problematica del bambino, ma viene semplicemente inviato in base alla graduatoria. Ciò significa che chi segue il bambino potrebbe non avere idea di come rapportarsi con lui o non avere la preparazione adeguata per fronteggiare le situazione che ho precedentemente descritto. Spero di non trovarmi in una situazione del genere anche io, perché vorrebbe dire lasciare da sola Iris a fronteggiare le sue difficoltà causando in lei delle notevoli frustrazioni.
A questo punto il pensiero che mi potrebbe dare sollievo sarebbe quello di avere un colloquio individuale con l'insegnante di sostegno prima che inizi la scuola, di modo da potergli riferire quali sono le problematiche del bambino. Invece mi è stato riferito dalle mamme che non hanno avuto questa opportunità e che anzi si potevano ritenere fortunate se l'insegnante di sostegno era stato affiancato ai loro figli all'inizio dell'anno scolastico, perché in molti casi si presenta anche dopo mesi.
Per completare il quadro sconcertante i genitori che ci sono passati prima di me mi hanno detto che gli insegnanti di sostegno il più delle volte sono provvisori e raramente affiancano il bambino durante l'intero percorso scolastico e che spesso le famiglie non vengono nemmeno avvisate dalla scuola, non avendo quindi la possibilità di preparare il bambino a quel cambiamento.
Questo è davvero destabilizzante per un bambino e penso che la comunicazione ed il rispetto nei confronti dello studente e delle loro famiglie da parte del sistema scolastico e della scuola stessa sia di primaria importanza.
Queste Marzia sono pensieri che a noi genitori ci preoccupano molto ed approcciarci ad una realtà del genere non ci è affatto di sostegno.
Per quanto riguarda la nostra esperienza con il nido privato O. B. di Empoli” ci siamo trovati benissimo. Le educatrici sono state molto brave a riconoscere i campanelli di allarme, a riferircelo nelle tempistiche giuste e a darci molti consigli utili. Mi hanno sostenuta nei momenti più difficili, concedendomi colloqui individuali e telefonici, dandomi un grande supporto psicologico ed emotivo.
Un altro problema all'interno dell'ambiente scolastico di cui molti genitori parlano e ne sono preoccupati, è il bullismo. I soggetti presi di mira, si sa, sono le persone reputate diverse e quindi spesso le persone neurodiverse vengono prese di mira.
Ci sono importanti fattori che possono essere di ausilio:
• Educazione sociale all'interno delle scuole: insegnare ai bambini come vivere insieme rispettandosi l'uno con l'altro, collaborando, sostenendosi a vicenda, amare la diversità.
• fare un percorso di terapia comportamentale al bambino autistico: di modo da fornirgli gli strumenti per integrarsi e rapportarsi adeguatamente nella società.
D- Cosa vuoi dire a tutte le mamme che si trovano nelle tue stesse condizioni?
R- Vorrei dire loro di prepararsi ad avere una corazza forte come quella di un armadillo! Perché quando sei mamma sei bersaglio di un'infinità di pregiudizi, critiche, non solo da parte di parenti e conoscenti, ma anche da parte di dottori e figure professionali.
Confrontatevi con le persone meritevoli che stimate, il resto cercate di farvelo scivolare addosso, anche se è difficile.
Vorrei dirvi di seguire il vostro istinto, il vostro “occhio materno”, perché non sbaglia mai. Io in questo periodo mi sono consultata con molte mamme che hanno vissuto la nostra stessa situazione e tutte mi hanno detto di aver ricevuto inizialmente lo stesso trattamento. Vorrei dirvi di non arrendervi, di continuare a cercare le persone competenti e che si capisce quando si è veramente in buone mani, perché non vi fanno sentire colpevoli o sotto giudizio, ma vi danno spiegazioni e supporto e soprattutto un aiuto concreto.
Vorrei parlare però anche a quei genitori che non accettano le neurodiversità (ND) dei propri figli per paura o vergogna. Ebbene vorrei dire loro di amare i propri figli per quello che sono, perché non sono sbagliati, sono solo diversi dai neurotipici (NT) e vorrei farvi presente noi ND siamo davvero tanti!
Abbiamo delle difficoltà, è vero, ma abbiamo anche delle capacità straordinarie!
Einstein, Michelangelo, Mozart, Newton, Darwin... per citarvi solo alcuni fra i tantissimi geni che hanno fatto la storia e che avevano la sindrome di Asperger.
Non voglio dirvi di avere delle aspettative così alte, ma di credere nei vostri figli e nelle loro capacità, sosteneteli e dategli tutti gli strumenti per crescere amandosi per quello che sono.
Questo significa accettare l'aiuto degli specialisti, le osservazioni del pediatra e degli insegnanti e collaborare per realizzare tutti insieme un percorso adeguato per il bambino.
D- Vuoi parlarci della piccola Iris? I suoi giochi preferenze, scelte?
R- Siamo follemente innamorati della nostra bambina! Adoriamo ogni sua particolarità e ci siamo sempre divertiti tanto a giocare con lei. Iris è solare, simpatica, socievole e vispa. Ha un'intelligenza sorprendente e ci lascia spesso di stucco. Iris ama: la musica, cantare, i libri, contare, i puzzle, le attività creative (come preparare la pasta di sale, i biscotti ecc.), le costruzioni, le bolle di sapone, ascoltare favole, giocare con i peluches, i fiori, l'altalena, l'acqua e recentemente siamo stati al mare e lo ha adorato.
Iris è il nostro raggio di Sole ed è bellissimo stare con lei. La sosterremmo in ogni momento della sua vita e la renderemo consapevole di sé stessa con naturalezza, per darle modo di rispettare sé stessa e costruire delle relazioni positive con il prossimo.
D- Cara ti lascio questo spazio tutto per te: esprimici il tuo disappunto o le tue riflessioni, ma anche quelle positive che ti aspetti.
R- Marzia, mi auguro che in futuro le persone autistiche e le loro famiglie potranno avere più facilmente accesso a professionisti competenti e preparati e che non debbano necessariamente rivolgersi a quei pochi centri privati esistenti il cui costo, purtroppo, non è alla portata di tutti.
Vorrei che tutti gli insegnanti, in particolar modo quelli di sostegno, abbiano una preparazione adeguata per riconoscere le neurodiversità e poter agire nelle varie situazioni in modo adeguato.
Vorrei che ci fosse più informazione aggiornata riguardante la sindrome di Asperger e sull'autismo, di modo che possa essere più facile riconoscerla in tempo nei bambini e non giungere più alle diagnosi all'età adulta.
Sarebbe più facile comprendere e comprendersi se ci fosse più formazione generale.
Sono felice di vedere che all'interno dei cartoni animati per bambini si stiano prodigando a sensibilizzare alla diversità (autismo,disabilità, dislessia.).
Penso che sia un intento davvero lodevole, utile e costruttivo, perché far conoscere e far prendere confidenza è il primo passo per l'accettazione, l'inclusione e la solidarietà sociale.
Ora cara Marzia vorrei condividere con voi una prosa poetica che ho scritto con il cuore per cercare di far capire a quante più persone possibile come mi sento ad essere Asperger.
Grazie di cuore Marzia per questa intervista e per avermi dato modo di parlare della nostra esperienza.
Spero che possa essere di aiuto a molte famiglie.
Guarino Jasmin.
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Eccomi
Eccomi, sono simile a voi,
Eppure mi sento così diverso.
Mi sveglio,
sperando che ogni mia routine
non venga stravolta dal minimo cambiamento.
Temo i cambiamenti.
Imprevedibilità, tachicardia, apnea, ansia...
mi travolgono come un'onda del mare in tempesta.
Eccomi, faccio parte di questo mondo,
eppure lo sento così estremo per me.
Esco di casa,
sperando che gli stimoli sensoriali
non sconvolgano il mio corpo e la mia mente.
Troppi stimoli.
Troppa luce, troppi odori, troppi suoni, troppi sapori...
mi avvolgono come un serpente dalla stretta micidiale.
Eccomi, sono simile a voi,
eppure mi sento così diverso.
Proseguo il mio cammino,
sperando di non sentirmi a disagio
stando a contatto con le persone.
Temo il contatto.
Cosa devo dire? Cosa devo fare? Come mi devo comportare?
I dubbi mi assalgono come un tornado.
Eccomi, sono simile a voi,
eppure mi sento così diverso.
Torno a casa,
sperando di trovare sollievo e protezione.
Sovraccarico.
Mal di testa, stanchezza, confusione mentale...
Parlare o ascoltare mi risulta impossibile adesso.
Eccomi, sono simile a voi,
eppure ho la sindrome di Asperger
e nemmeno io ne sono a conoscenza...
Jasmin Guarino.
Grazie a te cara Jasmin, presto a Firenze ci organizzeremo per un evento dove cercheremo di parlare di un problema diffuso ma che resta chiuso in una conca se non lo rendiamo quanto più possibile divulgato anche a chi non vive la tua situazione.
Da parte mia grazie! Grazie per avere condiviso con noi questo tuo mondo privato ed hai saputo farlo con estrema perizia, dolcezza e amore di mamma.
Marzia Carocci
Traduzione dell'articolo
I decessi per Covid-19 sono 58 volte superiori a quelli dell'anno scorso | (tapnewswire.com)
https://tapnewswire.com/2021/09/covid-19-deaths-are-58-times-higher-than-this-time-last-year-and-78-of-those-dying-had-the- covid-19-vaccino-secondo-i-dati-di-sanità-pubblica/
I decessi associati a Covid in tutto il Regno Unito sono si più alti rispetto a
questo stesso periodo dell'anno scorso, nonostante l'89% degli adulti fosse stato vaccinato
contro la malattia e nonostante il fatto che l'estate aiuterebbe a tenere a bada il presunto virus, a causa della stagionalità.
I media mainstream, le fonti della sanità pubblica e il governo stanno facendo del loro meglio per
convincervi che sono i non vaccinati costituiscono la maggior parte di quelli morti.
Ma per dimostrarlo stanno includendo i decessi all'apice della seconda ondata di Covid-19, indietro
fino a gennaio scorso, quando quasi nessuno era stato vaccinato.
Considerando i dati effettivi, disponibili da Public Health England, viene evidenziato che il 70% dei
decessi per Covid-19, dal febbraio 2021 fino alla data del 29 agosto 2021, è avvenuta tra la
popolazione vaccinata.
Poi abbiamo gli ultimi dati dalla Scozia, in cui è stato fatto un altro tentativo di nascosto il fatto
che la maggior parte dei decessi per Covid-19 si è verificato tra la popolazione completamente
vaccinato.
I dati ufficiali mostrano che tra il 5 agosto 2020 e il 2 settembre 2020 sono stati registrati solo 3
decessi per Covid-19 in tutta la Scozia. Ma andando avanti fino ai giorni nostri i dati ufficiali
mostrano che sono stati registrati 179 decessi in tutta la Scozia, tra il 5 agosto 2021 e il 2 settembre
2021.
Ciò significa che i decessi per Covid-19, in tutta la Scozia, sono attualmente evidenziati dalla
proporzione seguente 5.866,66% / 58,6 volte superiori a quelli dell'anno scorso, nonostante la
maggior parte della popolazione sia stata vaccinata e l'estate sia dalla loro parte.
Ovviamente ci si aspetterebbe che la maggior parte dei casi rientri tra la popolazione non vaccinata, ma
non è proprio questo il caso.
L'ultimo rapporto statistico Covid-19, pubblicato da Public Health Scotland il 15 settembre, rivela
che dal 14 agosto al 10 settembre 2021 sono stati registrati 63.437 casi positivi tra la popolazione
non vaccinata, mentre 78.136 sono stati registrati tra la popolazione vaccinata; 55.696 dei quali
erano tra i completamente vaccinati.
Come si può vedere, il numero di casi è molto simile tra la popolazione non vaccinata e la
popolazione completamente vaccinata, quindi ci si aspetterebbe di vedere un numero simile di
decessi tra la popolazione non vaccinata e quella completamente vaccinata. Ma le cose non stanno
così.
È infatti qui Public Health Scotland sta cercando di nascondere che la maggior parte dei
decessi è tra i vaccinati, a causa dei parametri di dati utilizzati per pubblicare i decessi, ordinati per
stato di vaccinazione. Le morti partono da quelle inserite addirittura dal 29 dicembre.
Ciò significa che stanno includendo i decessi all'apice della presunta seconda ondata di Covid-19, in
cui solo il 9% della popolazione aveva ricevuto una singola dose e solo lo 0,1% dell'intera
popolazione era completamente vaccinata.
La tabella 17, del rapporto pubblicato da Public Health Scotland il 16 agosto 2021, mostra che tra il
29 dicembre 2020 e il 5 agosto 2021 sono stati registrati 3.077 decessi per Covid-19 tra i non
vaccinati, mentre
273 decessi tra i parzialmente vaccinati e 206 decessi tra i vaccinati.
Come si può vedere dalla tabella sopra, i PHS hanno fatto apparire che i vaccini Covid-19
funzionino, e la maggior parte delle persone che muoiono non siano vaccinate.
Ma andando avanti al rapporto più recente, pubblicato il 15 settembre, possiamo vedere il vero
numero di persone che muoiono correlate al loro stato di vaccinazione.
La tabella 17 dell'ultimo rapporto mostra che, mentre tra la popolazione parzialmente vaccinata
tra il 29 dicembre 2020 e il 2 settembre 2021, sono
stati registrati 3.116 decessi tra la popolazione non vaccinata, con un aumento di 39 decessi in 4
settimane. Mentre tra la popolazione parzialmentevaccinata sono stati registrati 281 decessi, con un
aumento di 8 decessi in 4 settimane. Ma sono stati registrati 338 decessi tra la popolazione
completamente vaccinata, un aumento di 132 in 4 settimane.
Ciò significa che i non vaccinati rappresentano solo il 21,7% di tutti i decessi per Covid-19 dal 5
agosto 2021, mentre la popolazione vaccinata rappresenta il 78,3% di tutti i decessi dalla stessa
data, con i completamente vaccinati che rappresentano il 74% dei decessi.
Se vediamo questo numero di morti in estate, quando la maggior parte della popolazione ha ricevuto
un vaccino che dovrebbe ridurre il rischio di morte del 95%, cosa
vedremo quando arriverà l'inverno?
Tradotto da F. Piro