L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Free mind (195)

Lisa Biasci
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Si è svolto da venerdì a domenica scorsi al Monastero del Bene Comune a Sezano vicino Verona l’incontro nazionale di Pressenza che concludeva la serie di eventi per i 10 anni dell’Agenzia Internazionale per la Pace e la Nonviolenza e riuniva giornalisti ed attivisti con lo scopo di lanciare la rete tra giornalisti indipendenti ed attivisti sociali.

Sono stati tre giorni molto intensi, affettuosi, produttivi e che tutti i partecipanti hanno registrato come momenti di grande sintonia.

L’incontro, che ha avuto diversi momenti di lavoro plenario e a gruppi, ha ospitato una videoconferenza da Barcellona con Riccardo Gatti di Open Arms che ha risposto alle domande di molti dei partecipanti (una sintesi di quest’intervista collettiva sarà disponibile nei prossimi giorni su Pressenza); altri momenti importanti sono stati il mini corso di storytelling video di Sarah Marder e la sezione dedicata al Reddito di Base con la presenza di Juana Perez e del suo documentario e di Natale Salvo con il suo libro.

Ma il filo conduttore che ha percorso l’intero incontro è stato quello della costituzione della rete tra giornalisti indipendenti e attivisti che aveva già animato i precedenti incontri di città; forti di quelle esperienze già alcune concrete iniziative erano in moto come quella di creare pacchetti di RSS con informazione tematica certificata, un calendario condiviso di eventi sociali e culturali  come quello già in moto sul sito di PeaceLink, materiali formativi tecnici su come migliorare la visibilità delle informazioni che veicoliamo, un ebook e un seminario gratuito per le associazioni che vogliono imparare a comunicare i propri contenuti in modo efficace, l’ipotesi di realizzare un periodico gratuito che venga distribuito nei bar come risposta alla disinformazione e come modo di uscire dalla “nicchia” degli addetti ai lavori.

Infine si è elaborato e dibattuto un testo fondativo della rete, se ne è cercato un nome e un logo in modo che, dopo le opportune e veloci  consultazioni ai membri della rete che non sono potuti essere fisicamente presenti si possa iniziare una campagna di adesioni a questa rete aperta a persone, collettivi, associazioni e media grandi o piccoli che siano.

 
 Giancarlo Fassina

Venerdì 29 marzo, all’età di 84 anni, è morto a Milano Giancarlo Fassina, noto designer italiano.

A darne la notizia l’Adi - Associazione per il disegno industriale-. E così il “Mago della luce” è passato alle tenebre.

Il nome di Fassina è indiscutibilmente legato ad Artemide, l’altrettanto nota azienda di lampade e sistemi di illuminazione che lo ha visto protagonista, insieme a Michele De Lucchi, nella progettazione della lampada Tolomeo. Progetto che gli valse, nel 1989, il “Compasso d’Oro”, il più importante premio Italiano per il design.

Grazie alla collaborazione con Artemide, Fassina partecipa al progetto per l’illuminazione della mostra su Hayez a Palazzo Reale di Milano e a quello per l’Aula Magna dell’Accademia di Brera.

Ma è proprio la Tolomeo, l’iconica lampada, a conferire a Fassina l’indiscussa notorietà che oggi ce lo fa ricordare e, a buon diritto, annoverare fra i mostri sacri che hanno lasciato un’impronta permanente nella storia del nostro design.

Lombardo di origine, si era diplomato all’istituto superiore di ingegneria a Friburgo, in Germania e dopo laureato al Politecnico della stessa città.

Formazione d’oltralpe quindi ma talento tutto italiano.

Architetto, ancorché designer, entrò in Artemide nel 1959 con il ruolo di direttore Ricerca e Sviluppo, poco dopo la fondazione dell’azienda stessa, avvenuta grazie all’opera di Ernesto Gismondi, ingegnere aerospaziale e Sergio Mazza, architetto.

La filosofia del Gruppo Artemide è chiara sin dagli esordi. Un’azienda che avrebbe dovuto posizionarsi nella fascia alta del mercato, avendo come target di riferimento gli utenti sensibili al valore estetico degli oggetti.

Non a caso è il periodo di Ettore Sottsass e di Memphis che non poca influenza hanno avuto sulla formazione culturale di De Lucchi, coproggettista, insieme a Fassina,del best seller di Artemide.

Innegabile: Memphis ha segnato un prima e un dopo cultura nel nostro Paese.

In un’intervista proprio sulla nascita della Tolomeo, De Lucchi, classe 1951, racconta del rapporto con Gismondi e di una ristretta cerchia di giovani architetti, pieni di speranze che faceva capolino a Ettore Sottsass in via Dei Fiori Chiari a Milano “a quel tavolo dove mangiava ogni giorno a pranzo e a cena”.

E tra questa ristretta cerchia di progettisti con lo sguardo proiettato al futuro nasce l’idea della Tolomeo. Perché la Tolomeo più che un prodotto è un’idea!

L’idea di creare e inventare un nuovo meccanismo, l’idea di usare la Luce.

Sicuramente nell’idea, nel sogno sta il segreto di un oggetto che già nel 2017 ha festeggiato i suoi primi 30 anni, occasione per la quale è andata ad Amburgo, vestita d’oro e che è ancora attualissima.

Oggi infatti la lampada, nelle sue varie versioni, la troviamo nelle case, negli uffici, negli alberghi, sui tavoli degli architetti, persino in ambientazioni cinematografiche e negli studi degli investigatori americani.

Icona del suo tempo, icona di ogni tempo.

Tecnica e domestica, dalla prima versione da tavolo, la Tolomeo ha dimostrato di sapersi evolvere nel tempo pur rimanendo se stessa. Una sfida difficile ma possibile a giudicare dalle statistiche di mercato. Il Gruppo, infatti, ha dedicato alla Tolomeo un’intera azienda.

Artemide è oggi un marchio di riferimento in tutto il mondo, vanto del design made in Italy.

La sua filosofia si è sintetizzata nella frase “The Human Light”, l’uomo al centro della performance di ogni apparecchio per l’illuminazione.

Il Gruppo ha sede a Fregnana Milanese, impiega attualmente circa 750 dipendenti e i suoi prodotti vengono distribuiti in 98 Paesi diversi.

L’ispirazione al progetto venne, come riferisce De Lucchi, nell’osservare i pescatori che pescano con la lenza. Decisive poi alcune sostituzioni di parti metalliche con nylon ad opera di Fassina. Curioso particolare: la lampada conta una sola vite in tutta la struttura e viene tenuta assieme grazie alla tensione delle molle.

Il nome poi…scelto e deciso solo la sera prima che venisse presentata al Salone del Mobile di Milano. E quale poteva essere per un progetto così ambizioso e dalle pretese quasi scientifiche se non quello del famoso astronomo e matematico di Alessandria d’Egitto?

“La Tolomeo è una formula, una filosofia di prodotto”, così la definisce il suo creatore in un’intervista pubblicata su “Lighting Frields” n.6 di Artemide.

Un prodotto capace dopo 30 anni di illuminare con la sua stessa forza il futuro.

E proprio mentre Fassina lascia la scena, Abitare ha deciso di celebrare i 50 anni del deign italiano, dal 1961 al 2011, in occasione del Salone del Mobile di Milano, indiscussa kermesse di riferimento mondiale, del prossimo 14 aprile.

“Un lungo fiume” che inizia con Giò Ponti e termina con gli artisti del nosro decennio. E in mezzo tanta storia fra rivolta e rivoluzione in senso etimologico.

Se guardiamo alla nascita del design italiano, tutto, in un certo senso, ebbe inizio quando venne riconosciuto da chi ci guardava oltreoceano. Era il 1972 e la mostra “Italy: The New Domestic Landscape” curata da Emilio Ambasz al MoMA di New York sanciva il primato del mobile italiano.

Talvolta accusato di elitari età, come avvenne nel caso di Tafuri, tuttavia ad oggi il design italiano rimane comunque una delle più solide strategie anticrisi: nel 2017 le oltre 192.446 imprese europee di design hanno prodotto un fatturato pari circa a 25 mld di euro. Di queste quasi una su sei parla italiano. E’ anche grazie al design se il made in Italy è oggi il terzo marchio più conosciuto al mondo (dopo Coca Cola e Visa).

E mentre il Ministro per i Beni e le attività culturali, Alberto Bonisoli, auspica la possibilità della nascita del primo Museo del design in Italia, il report Design economy conferma che il nostro Paese mantiene un ruolo di leadership nel settore design.

Volendo parafrasare Le Corbousier, secondo un suo concetto espresso “ante litteram”: l’oggetto diventa di design nella misura in cui riesce ad abbandonare la forma semplice e porta la forma nell’ambito di una visione del mondo.

L’oggetto è quello che rimane anche dopo che è crollato il sogno.

Un ribaltamento del punto di vista, una visione che da un piano estetico passa ad un piano etico.

E in siffatto contesto non suonerà certo anacronistico il vecchio, caro adagio: “La bellezza salverà il mondo”?

 

 

Emilia Di Piazza

Che cosa sono la cronaca, la storia, la realtà, la comunicazione, la verità, il potere, la politica, il linguaggio? Come funzionano? Come sono cambiati nel tempo? Come sono ora? Che cosa stiamo vivendo? E come?

Sono solo alcune delle domande che, forse, più o meno consciamente ci poniamo, o, forse, ci dovremmo porre.

E, forse, se non per dare delle risposte, ma almeno per suggerire, se non imporre, delle ipotesi, più o meno accreditate, nascono i nuovi mezzi di comunicazione o media.

Cartelloni pubblicitari con lo slogan «Cambia canale. Unisciti alla resistenza» e infine una presentazione ufficiale, hanno annunciato l’arrivo di NSL Media.

In onda dall’11 febbraio 2019 su digitale terrestre, Sky e radio FM, è la prima emittente ibrida italiana, cioè televisione e visual radio insieme.

I contenuti del palinsesto riguardano i temi sensibili della difesa dell’ambiente e del mondo animale, dei diritti umani, della valorizzazione delle arti, delle culture, delle scienze e delle nuove tecnologie. Per tali temi la collaborazione è con le associazioni non governative più conosciute e attive da lunga data, come Medici senza Frontiere, Greenpeace e Sea Shepherd.

Il linguaggio scelto per la comunicazione è quello rock, diretto, libero, ma non per questo superficiale o non professionale.

Sia i fondatori che i conduttori vengono da esperienze variegate e miste che uniscono il sociale con la natura e con lo spettacolo.

Attualmente NSL è in onda sul canale 74 del digitale terrestre nel Lazio, 194 in Lombardia, 816 della piattaforma Sky e 57 di Tivùsat. In radio la frequenza da sintonizzare è 90.0 FM per Roma e per il Lazio. In streaming e tramite App il sito da raggiungere è www.nslradiotv.it. Inoltre è presente su Facebook, Instagram e Twitter.

L’obiettivo da raggiungere per il 2019 è il passaggio al digitale terrestre nazionale.

Per ricordare i tre giornalisti turchi, ieri, condannati da Erdogan (L'efferato) all'ergastolo. Con una ora di libertà (di luce) per ogni giornata di carcere (peggio del 41/bis: carcere duro) Evviva al grande Erdogan (Il Macellaio), ricevuto con tutti gli onori dal "Papa Bergoglio", dal Capo di Stato "Mattarella" , dal Capo del Governo "Gentiloni". Ma esiste la dignità o la vergogna ???? Cicerone affermò che “Socrate fu il primo a fare scendere la filosofia dal Cielo" . Fantastica l'affermazione di Socrate : “io so di non sapere”. È stato il primo che volle morire di "sua volontà", affinché non si proibisse la creatività del sapere e la libera espressione. Sia sulle questioni religiose e sia sulla "Polis", essenza politica della sua Atene. Il processo a lui intentato fu, in primo luogo, un processo politico contro i pensieri di un uomo considerato "nocivo e pericoloso ", perché portava idee nuove ( etica e sofismo morale) e mostrava l’inadeguatezza dei politici (Meleto) al governo della città di Atene. Idee, concetti, discorsi che rappresentavano la Laicità assoluta, abbinata al concetto "primario" della onestà degli stoici. Unita al movimento dei Sofisti, con il quale Socrate era legato. Ciò perché i giovani condividesserro l’interesse per il libero pensare e per le nuove scuole filosofiche, stoiche e sofiste. Che differenza c'è tra Stoicismo e Sofismo??? In senso morale ed eticola Laicità è l'indipendenza asso luta del cittadino da qualsiasi tipo di autorità, l'autorità opprimente politica o l'autorità oppressiva religiosa. Le quali credono di essere le uniche depositarie del diritto divino e civile. Riguardo al diritto divino, infinitamente è stato scritto su Dio. Il Dio che ha creato il nostro Universo. Quindi esiste Dio ma il Dio di tutti. Conseguentemente Dio non può appartenere a una sola religione ma a tutte le religioni. Penso, come persona dotata di una coscienza laica, che bisogna stare sempre in "allerta" quando una politica o una religione o un nuovo modo di governare si trasforma in uno strumento di governo"autoritario" della società.(Basta pensare a Meleto di Atene e alla sua democrazia, già inaridita nella 'Agorà ateniese , e guardare " oggi " alla grande Turchia del massone Ataturk, paese nato laico e massonico e ora Ultra mussulmano e Ultra totalitario ) La laicità di uno Stato si concilia sulla differenziazione tra il potere temporale e il potere spirituale. Il potere temporale è demandato agli stati che sono sovrani e padroni di se stessi.Il potere spirituale è appannaggio della Chiesa. L'importante è che si rispetti la libertà di pensiero e la libertà di culto, per tutti. Sempre e per sempre. Evviva al grande"delinquenziale" Erdogan.

Nel 2016 Enzo Bianco, Sindaco di Catania, come sempre patrocinato dall’avv. prof. Giovanni Grasso (che è anche avvocato pagato dal comune), decise di denunciare penalmente “Catania Bene Comune”, uno dei pochi soggetti di opposizione all’amministrazione comunale. Oggetto della denuncia un comunicato inviato alla stampa nel quale si esprimeva l’opinione politica di un soggetto politico. Un comunicato diffuso all’indomani della pubblicazione dell’intercettazione della telefonata tra il su detto sindaco Enzo Bianco, allora candidato Sindaco, e Mario Ciancio, in attesa di rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa, in merito all’approvazione del PUA, progetto di cementificazione del litorale catanese. E Insieme a “Catania Bene Comune”, il Sindaco di Catania, denunziò il quotidiano “Iene Sicule”, diretto da Marco Benanti, colpevole di essere una delle testate giornalistiche ad aver riportato le parole di “Catania Bene Comune”.

La Procura di Catania chiese l’archiviazione non ravvisando alcun reato, ma Enzo Bianco si oppose e il 4 febbraio è arrivata la decisione del GIP Salvatore Ettore Cavallaro: Benanti e Iannitti devono andare a processo. Per il Gip la notizia e' "tale da'suggerire' e diffondere una 'notizia' nuova ed ulteriore, tuttavia non riscontrata, ossia la contiguita' di Bianco con ambienti mafiosi".

Il tentativo di utilizzare la giustizia penale come strumento di intimidazione politica e di censura dell’informazione è gravissimo, inaccettabile, incompatibile con qualsiasi sistema democratico.Un sindaco che pensi di reagire a critiche ed opposizioni con l’arma intimidatoria della querela, arrivando persino ad opporsi alla richiesta di archiviazione della Procura non è indice di saggezza. Sono passati oltre due anni e due cittadini per bene, il leader politico di opposizione Matteo Iannitti ed il giornalista Marco Benanti, sono ancora sotto processo per una cosa assurda, mentre chi ha causato il dissesto della città e, come ormai acclarato dalla Corte dei Conti, falsificato per anni i bilanci pubblici, risulta ancora a piede libero e neanche indagato.

In Italia i giornalisti che hanno subito minacce, abusi e altri attacchi dal 2006 a oggi sono 3.722. Troppi per ricordarli tutti. La libertà di stampa è sotto attacco: 445 aggressioni fisiche nell'Ue dal 2014 al 2018, con l'Italia in testa alla classifica. E poi, secondo il report Demonishing The Media, ci sono gli omicidi e le molestie online. E nel mondo, spesso, i più in pericolo sono i cronisti locali.

La Free Lance International Press esprime tutta la sua solidarietà agli indagati per diffamazione, sapendo bene quanto costi, anche solo in termini di tempo, subire queste violenze spesso intimidatorie: giorni e giorni, mesi, anni persi tra notifiche, identificazioni, interrogatori, udienze. Uno scandalo!

l'associazione, non essendo in grado di valutare realmente i fatti , e l'attendibilità di chi ha proposto l'articolo, non essendo iscritto alla medesima, si dissocia dai contenuti del medesimo.

Il presente elaborato, ha lo scopo di analizzare quanto appreso dalle videolezioni del corso di giornalismo investigativo organizzato dalla Free Lance International Press, con la realizzazione finale di un articolo dal taglio di giornalismo investigativo. Ho scelto di occuparmi del caso Donato Bergamini, giovane promessa del Cosenza calcio, che per quasi tre decenni, fatto passare per suicidio.

 

 

Premesso che l’Italia, in particolare, non è un Paese abituato all’inchiesta. Eppure, nonostante tutto, non sono pochi gli ardimentosi giornalisti che intraprendono il malagevolo sentiero dell’inchiesta. Il giornalismo d’inchiesta ha temperamenti ben specifici, e prima di ogni cosa non va confuso con la cronaca giudiziaria: essa semplicemente divulga un’inchiesta svolta da altri organi, come, per esempio, la magistratura.

Gli ingredienti del giornalismo d’inchiesta sono pochi ma importantissimi:

Il primo, è la curiosità. Una buona parte di occhio interessato e critico porta a voler scavare in profondità i fatti del nostro sentire quotidiano, se la loro superficie non è limpida come dovrebbe.

Secondariamente, le altre fondamentali materie prime sono le fonti. Quanto più dirette e confidenziali possibili, le fonti rappresentano per ogni giornalista d’inchiesta la base del lavoro e la prova di veridicità riguardo le tesi sostenute. La materia di indagine si ricava tramite ricerca in database pubblici, attività di ricerca presso Enti dello Stato fino ai contatti con i diretti interessati, in cui il giornalista non manca di giocare d’astuzia per ottenere le informazioni che suppone esistere. La ricerca della verità passa anche attraverso il bluff e sottili espedienti, che permettono spesso al giornalista di crearsi da sé le fonti necessarie.

A grandi linee, va aggiunto il coraggio. Il coraggio di indagare e denunciare i “poteri forti”, che siano essi lo Stato, la Chiesa o la mafia; ma soprattutto il coraggio di assumersi personalmente tutte le variabili del rischio. Infine, come per ogni cosa, è la passione che unisce il tutto. Benché i titoli delle grandi inchieste tormentino le nostre menti a causa della ripetitività con la quale sono riportati nei giornali e alla tv, spesso non conosciamo chi ha contribuito a portare alla ribalta questi scandali.

Capita perché il giornalista d’inchiesta è per sua natura silenzioso, lascia che sia il suo lavoro a imporsi e parlare per lui. Ha compreso, prima degli altri, che fare rumore è caratteristica delle buone notizie, non dei buoni giornalisti. Ecco perché, rivalutando il giornalismo investigativo, potremo riscoprire l’essenza più genuina e profonda del giornalismo stesso.

Allora Perché dovrebbe interessarci il giornalismo d’inchiesta? Discuterne significa riflettere sul passato, ma più di ogni altra cosa sul presente e sul futuro del mondo della comunicazione giornalistica. Il giornalismo d’inchiesta è diverso dal normale giornalismo d’informazione in quanto ipotizza un lavoro di ricerca della “notizia” con un approfondimento ben superiore a quello che è necessario nel trattare qualsiasi altra notizia o evento di cronaca. E’ quel giornalismo che non si salda ai comunicati stampa e alle dichiarazioni ufficiali, ma scava in profondità alla ricerca di notizie importanti per la collettività.

Il giornalismo per essere investigativo, deve essere approfondito e legato all’indagine del cronista, il quale deve analizzare documenti e intervistare testimoni. Quello che più conta, tuttavia, è l’attendibilità delle dichiarazioni: l’autore di un’inchiesta raccoglie più fonti possibili per mettere insieme elementi inconfutabili su un tema di rilevanza pubblica di cui, spesso, qualcuno vuole tenere segreti alcuni particolari. Certo, non mancano i professionisti che sostengono che tutto il giornalismo sia per sua natura investigativo, in quanto la ricerca delle notizie implica la ricerca dei fatti.

In realtà, la differenza esiste. Infatti, il termine inchiesta implica un’indagine approfondita, volta a carpire quanto normalmente sfugge alla cronaca e il giornalismo investigativo si caratterizza proprio per la volontà di rivelare vicende nascoste. A tutto ciò si aggiungono altri fattori che rendono il giornalismo investigativo particolarmente difficile, quali la necessità di avere a disposizione molto tempo, un’adeguata preparazione, disponibilità finanziaria della testata, nonché un solido editore di riferimento.

Per capire meglio la differenza si potrebbe affermare che mentre il lavoro del reporter ordinario è riportare che qualcosa è accaduto, la sfida del reporter investigativo, al contrario, sta nello scoprire il perché. Il giornalista d’inchiesta ha come punto di riferimento il lettore al cui servizio si pone con l’unico fine di fornirgli un’informazione approfondita, puntuale e corretta, fatta di dati oggettivi, ma anche di notizie analizzate, in base ai costumi della società del momento.

Il fatto che il giornalista d’inchiesta si ponga come obiettivo principale quello di essere al servizio del lettore significa che egli, pur indagando e acquisendo documentazione su quanto è oggetto del suo interesse, non è un inquirente e non può e non deve sostituirsi alle forze di polizia giudiziaria né tanto meno alla magistratura. Il suo fine, infatti, è promuovere una presa di coscienza dell’opinione pubblica riguardo ad una particolare situazione o vicenda, al fine di far maturare in essa una certa capacità critica di discernimento della realtà.

 

Luigi Schiavone

  

Dopo il crollo, a Genova, del Ponte Morandi, sembra che all’improvviso si sia risvegliato l’interesse per lo stato delle infrastrutture nel nostro Paese. Come al solito, purtroppo, solo una tragedia (spesso drammaticamente annunciata) riesce a smuovere gli animi e, soprattutto, le istituzioni. Ancora peggio che il giusto risalto ai problemi si debba consegnare all’operato di trasmissioni televisive, piuttosto che a quello degli specialisti del settore, che da sempre si occupano di monitorare e denunciare il degrado di strade e ponti (ma non solo). Un mal costume tutto italiano che in quest’occasione vogliamo “rovesciare”, chiamando in causa un attivista da anni in prima linea con progetti che si occupano della tutela ambientale, con un occhio di riguardo all’Abruzzo dell’ormai famigerata Strada dei Parchi, Augusto De Sanctis.

Augusto, chiariamo subito la questione A24/A25, il rischio di crolli è davvero così imminente e probabile, come abbiamo scoperto in queste ultime settimane?

Noi abbiamo un enorme problema, che in termini economici ha una rilevanza pari a circa tre miliardi di euro. I viadotti in questione non sono adeguati alle nuove normative antisismiche, come d’altronde moltissime altre infrastrutture sparse per l’intero territorio nazionale. Purtroppo molti piloni sono al momento degradati, perché le opere furono edificate negli anni ’70 e da allora non sempre sono state sottoposte a un’adeguata manutenzione. I necessari lavori hanno ovviamente bisogno di una certa tempistica che è condizionata proprio dallo stato attuale dell’usura. Eventuali terremoti, di conseguenza, potrebbero fare al momento danni laddove la manutenzione è stata finora insufficiente. Attualmente le autostrade in questione, nei tratti sottoposti a verifica da parte del gestore, hanno valori dell’indice di sicurezza in molti casi di poco superiori al minimo e in tre casi addirittura al di sotto. Dati, peraltro, ritenuti non attendibili dai tecnici del Ministero.

Come si è potuti arrivare a una tale, catastrofica, situazione?

Bisogna precisare che noi ci occupiamo delle autostrade già da molti anni, impedendo il mega progetto che avrebbe bucato tutte le montagne abruzzesi per un nuovo tracciato. I cittadini ci avevano già segnalato alcuni viadotti fatiscenti, come quelli di Isola del Gran Sasso, ma solo pochi giornali locali ne avevano divulgata la notizia. Poi c’è stato il crollo del Ponte Morandi, che ha creato un effetto mediatico tale da far muovere anche le testate più famose, come la trasmissione Le Iene. Io mi sono recato personalmente a visionare questi viadotti, con un nostro ingegnere e tornando a casa, benché sia abituato a seguire situazioni notoriamente dolorose, come la mega discarica di Bussi, devo ammettere che mi sono sentito sconvolto. Anche le immagini, che pur da sole fanno indignare, non possono traumatizzare quanto toccare con mano il calcestruzzo e vederlo sgretolare. Oltre all’impatto emotivo, va rilevato che si solleva anche un moto di rabbia, perché queste autostrade furono realizzate dai nostri padri, a fronte di enormi investimenti di denaro pubblico. Vederle ridotte in tali condizioni, tra l’altro con pedaggi così esosi, indigna parecchio. Si è discusso molto dell’operato di Danilo Toninelli, ma chi dovrebbe dare delle risposte sono soprattutto i suoi predecessori. L’attuale ministro ha però parlato di situazione eccezionale, dopo aver inviato i suoi ispettori, come se questi controlli non si potessero eseguire, ma non è così, basta leggere la convenzione per appurare che, in fondo, chiunque si poteva recare, in qualsiasi momento, a visionare lo stato delle infrastrutture. A nostro avviso ora il Ministero dovrebbe ordinare una verifica da parte di un organismo completamente pubblico.

Qual è quindi la prospettiva futura per questi tratti?

Visti gli indici di rischio citati, ammesso e non concesso che descrivano l’esatto livello di sicurezza, certamente c’è bisogno di un intervento radicale. Che la manutenzione ordinaria sia mancata è sotto gli occhi di tutti, quindi il fattore tempo incide parecchio, perché non possiamo sapere quando il territorio sarà sottoposto a un nuovo terremoto. In Abruzzo ciclicamente avvengono scosse telluriche che possono raggiungere anche i 7.5° della scala Richter, molto rare in verità, mentre più frequenti sono quelle al di sotto dei 6°, per cui la questione è sapere se anche in seguito a queste le strutture potranno cedere. Oltretutto il degrado non si arresta mentre noi ne stiamo discutendo, ma proseguirà finché non s’interviene, di conseguenza appare evidente come i rischi aumentano, per l’appunto, con il trascorrere del tempo. Ecco perché la tempistica degli interventi a mio avviso sarà fondamentale. Auspico quindi un nuovo e motivato impegno civile da parte di tutti i cittadini, se davvero si voglia provare a risolvere questa e altre drammatiche situazioni. Non si può pensare che il peso, vi garantisco molto oneroso, di denunciare tutto ciò che non

 
 Augusto DeSanctis (a sin.)  e Fabio Rosica

funziona, debba passare solo attraverso il lavoro delle associazioni, ormai gravate di un peso eccessivo, visti anche i tanti impegni cui bisogna far fronte.

I recenti avvisi di garanzia che la Procura di Teramo ha emanato nei confronti di sei tecnici, hanno definitivamente legittimato la necessità di fare chiarezza sui supposti inadempimenti manutentivi delle autostrade A24 e A25. Dalle parole di Augusto De Sanctis, comunque bilanciate e avulse da facili speculazioni di carattere “spettacolare”, che evidentemente non gli appartengono, abbiamo percepito quali e quanti siano i rischi che stiamo correndo. Infatti, oltre a quelli, facilmente immaginabili, che ci inducono a temere altre tragedie annunciate, ci sono le possibili ripercussioni economiche e sociali, dovute a un’eventuale chiusura, anche se temporanea, di quei tratti. Lì dove transita una linea ferroviaria con un unico binario, è facile immaginare che tale prospettiva riporterebbe l’Abruzzo e gran parte del Centro-Sud Italia, indietro nel tempo fino agli anni ’50. Anche da parte nostra, pertanto, l’invito rivolto alle istituzioni e ai concessionari si concentra in quest'unica frase: fate in fretta e fate bene.

 “Occorre avere la modestia e la prudenza di riconoscere che non tutto è per noi spiegabile”

                 

Tra Etruschi e Appiani - Da qualche tempo a questa parte, a seguito delle precisazioni sempre più a carattere stringente sulla arbitrarietà della decisione di trasformare l’ipogeo di Marciana in una fantasmagorica zecca del Principato di Piombino, appare del tutto evidente che le azioni che la Pubblica Amministrazione della Provincia e della Regione dovranno intraprendere saranno quelle di ripristinare un patrimonio archeologico del nostro Paese, sottraendolo all’uso a cui finora è stato destinato. Anche nella passata stagione estiva i fantasmi dei Principi Appiani, evocati dagli artefici della zecca, hanno guidato i visitatori a pagamento, all’interno del museo colà allestito, dove di sicuro gli accompagnatori avranno saputo illustrare la storia di questa fucina nella quale venivano coniate le preziose monete.

 

Chi ha contribuito direttamente o indirettamente a mantenere le cose come stanno all’interno dell’ipogeo in cui è stato allestito il museo della zecca, è il Prof. Luigi Donati, che com’è noto è un esperto di archeologia etrusca, il quale è stato incaricato dalla Soprintendenza di Firenze di esprimersi sulla natura dell’ipogeo di Marciana.

Egli si è quindi recato in trasferta all’isola d’Elba prendendosi il tempo necessario per esprimere in modo compiuto il risultato della sua indagine tecnica e, aggiungeremo noi, logica del suo pensiero.

L’ esperto incaricato - Che cosa poteva mai rappresentare oltre la stessa evidenza, anche agli occhi del professor Donati quel luogo tetro a Marciana, nella rievocativa via della Tomba, scavato nel profondo del durissimo granito e  improntato evidentemente dal committente alla indistruttibilità, per non dire all’eternità? Sembrava, infatti, una delle solite formalità da confermare piuttosto che da analizzare, a meno che non fossero subentrati ulteriori dettagli che al momento non sono conosciuti e che hanno indotto il Prof. Donati a decidere di non decidere.

Dalla lettura di alcuni passi della sua relazione e di un suo articolo su questo argomento,           si evince infatti che egli sia stato colpito da una sorta di sindrome di Stendhal in negativo, tanto da non saper esprimere ciò che per le sue formali qualità professionali, è stato ritenuto capace di gestire nell’interesse pubblico in qualità di segretario generale dell’Istituto di Studi Etruschi di Firenze.

In conclusione egli inoltra alla Soprintendenza di Firenze una sorta di relazione nella quale, dopo aver avuto la possibilità di vedere e rivedere in lungo e in largo tutti i particolari architettonici – compresi i graffiti di Fig. 2 - all’interno delle pareti, non si pronuncia. Proprio il contrario di quanto ha fatto il Prof. Michelangelo Zecchini in una mirabile opera di archeologia comparata, nella quale ad esempio, vengono confrontati, finanche nell’orientamento, i particolari architettonici della tomba etrusca di Castellina in Chianti, più uguale che simile a quella di Marciana, Fig 3.

La ratio del quesito - ll Prof. Donati, si è soffermato sui dettagli che non ha visto, anche se avrebbe potuto in qualche modo osservare un po’ meglio, ma che non superano come dimensioni circa il 5%, dell’intero ipogeo, per affermare: «Forse, da un'accurata esplorazione degli ambienti che esistono sul lato sinistro del complesso (che non ho potuto visitare) potrebbe venire qualche ulteriore informazione”.

 

Ma quell’ altro 95% comprensivo dei particolari architettonici e decorativi che invece ha visitato, non è stato sufficiente? Lo stesso Prof. Donati è divenuto così, modestamente insicuro da non essere in grado di riferire sulla natura dell’ipogeo?

Egli tuttavia qualcosa fa, riportando il pensiero di altri secondo cui, l’ ipogeo potrebbe essere un luogo di conservazione della neve, ovvero una neviera, tralascia di indicare, come superflui, i particolari e le caratteristiche tipiche di una neviera come qui in Fig.1; caratteristiche che avrebbero sicuramente dissuaso con raccapriccio molti altri dal riportare un’ ipotesi di questo genere.

Ma non finisce qui. Il Prof. Donati, non riuscendo a esprimersi nella sua materia, per la quale è stato inviato all’Isola d’Elba, riferisce anche di un’altra tesi, secondo cui l’ipogeo in questione, scavato a mano nel granito sicuramente in molti anni di duro lavoro, poteva essere stato concepito ad uso di “un approntamento, una sorta di caveau, facente parte della locale zecca” Fig. 1.

Ovviamente, si potrebbe anche aggiungere che a prescindere dalla porta, le pareti dell’ ipogeo sono a prova di furto e non solo; avvalendosi infatti, della forma tipica degli ambienti costruiti per questo scopo, alla fine del corridoio vi è anche la scelta preferenziale della cella di destra o di quella di sinistra che danno maggior senso all’architettura per depositare in una il materiale da conio e nell’ altra le monete realizzate; Fig.3.

Neviera, zecca o tomba di pari dubbio - Per le ragioni viste sopra, il Prof. Donati impronta alla prudenza il suo pensiero, dando appunto la medesima probabilità di errore ai suoi “dubbi che in definitiva hanno ragione di esistere ma che non sono più circostanziati e numerosi di quelli che impediscono ad un etruscologo di riconoscere un monumento di sua competenza”.

Per renderci conto quali siano i particolari architettonici che esprimono per il Prof. Donati il medesimo livello di dubbio interpretativo, basta osservare la differenza architettonica tra l’ipogeo di Marciana e una tipica neviera; poi la differenza tra l’ipogeo e una zecca dove all’ interno poteva esserci, come detto sopra, una sorta di caveau e infine, l’ipogeo di Marciana e la tomba etrusca di Castellina che al Prof. Donati ha suscitato i medesimi dubbi del caveau della zecca e della neviera.

Sono proprio questi amletici scrupoli professionali, per i quali egli conclude con questa responsabile decisione che ricorda quella che nei tempi di Cristo a Gerusalemme divenne celebre, e che egli esprime in questi termini : “In conclusione, di fronte a casi complessi come questo, occorre avere la modestia e la prudenza di riconoscere che non tutto al momento è per noi spiegabile, nella speranza che qualche confronto o qualche novità fortunata portino altri elementi chiarificatori».

Abbia speranza il Prof. Donati.

Perché le banche non fanno la concorrenza alle fondazioni e alle case d'asta sul mercato dei dipinti del 900?

 

 

Le banche sembra abbiano poca visione del futuro. In Italia, per esempio non ve ne è una che sia in grado di concorrere sul mercato dei dipinti del 900. Eppure potrebbero guadagnare di più. E allora?

Facciamo delle considerazioni chiarificatrici, tanto per sgombrare il campo da ogni dubbio.

In Italia ed in Europa, ma non negli Usa, fondazioni e comité di artisti del 900 hanno il potere di sentenziare, in esclusiva, su quadri e sculture di artisti del periodo, perché, altrimenti, senza una loro approvazione le case d'asta non accetterebbero la vendita delle opere.

Le fondazioni sono gestite dai parenti degli autori, che le hanno fondate, e fanno il buono e cattivo tempo sul mercato, con esperti scelti da loro stessi. Perché?

Le case d'asta, invece, che hanno i loro esperti, non contano nulla, se non solo per indicare il valore di vendita dell'opera. Ma come è possibile che ciò accada?

Cosa succede, quindi, se per caso si eredita un'opera del 900 non autenticata, e le case d'asta si rifiutano di venderla, anche se si presentano attestati di esperti d'arte nazionali o internazionali?

Che gli esperti esterni alle fondazioni sembrano non contare nulla.

La legge italiana sulle fondazioni è ancora ferma al periodo del fascismo, per cui avrebbe bisogno di una bella revisione, ma tra i vari parlamentari, a nessuno interessa. Perché?

Giochini di potere. Qualche piccola casa d'asta, in presenza di attestati di primari esperti, provano a vendere l'opera a quattro soldi rispetto al reale valore di mercato, se ci fosse l'avallo della fondazione di riferimento. Poi, può accedere che su segnalazione alla fondazione di competenza, questa acquisti l'opera sottobanco, ancor prima di essere messa all'incanto, e successivamente approvi l'opera stessa per poi rivenderla al di mercato, guadagnandoci un sacco di soldi.

E su queste storture del mercato, forse, sarebbe necessario l'intervento della magistratura.

Negli Usa, invece, le fondazioni, per legge, non possono rilasciare alcuna autenticazione , ma solo promuovere le opere degli autori di loro pertinenza, con convegni, esposizioni,ecc.

Dunque, il mercato, italiano ed europeo, risultano drogati dal potere che hanno le fondazioni, senza alcun merito, e da case d'asta accondiscendenti che seguono come cagnolini il loro padrone.

E le banche? Se si dessero una smossa, forse il mercato dell'arte potrebbe essere più fiorente, e scalzare il potere delle fondazioni.

Come? Facendo valutare le opere da propri esperti, scavalcando le fondazioni stesse, ed inoltre, su stime fatte dai loro esperti, concedere un anticipo sul valore presunto a chi lo richiede.

Ma come sopravvivono le fondazioni? Per ogni quadro, già catalogato da loro, e che viene venduto all'asta ricevono il 4% sul valore di acquisto, praticamente a vita.

Chi è in grado di spezzare questa catena dell'arte?

Dulcis in fundo. Le opere ante 900, dove non esistono fondazioni, si vendono all'asta solo con l'avallo degli esperti qualificati esistenti sul mercato.

E' bene ricordare che recentemente un'opera attribuita a Leonardo da Vinci è stata venduta negli Usa a 450 milioni di dollari, proprio da una casa d'asta internazionale. E se per caso, ci fosse stata una fondazione, l'opera poteva anche valere quattro soldi.

Ed allora, perché le fondazioni debbono avere l'esclusiva del mercato?

Dove non ci sono fondazioni gli esperti valgono, altrimenti no. Qualcuno è in grado di interrompere questo gioco delle parti?

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