L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
“...Gli eventi che hanno portato alla decadenza di Pignataro e alla nomina di Basile consentono di dare una chiara chiave di lettura alle vicende sopra riportate sui concorsi nei diversi dipartimenti, nonché sulle alleanze e le dinamiche all'interno dell'Ateneo catanese e degli organi collegiali rappresentativi, riportate in maniera esaustiva nella richiesta del Pm a cui si rinvia.
La sentenza del C.g.a
Con la sentenza n.150 del 27.02.15 -il C.G.A della Regione Sicilia annullava lo Statuto dell'Ateneo catanese del 28 novembre 2011, imponendo al Rettore la immediata ricostituzione degli organi statutari. Alla luce della perdurante inerzia del Rettore, in data 29 luglio 2016, il C.G.A. -accogliendo il ricorso della Prof. Elia Febronia- definiva tale inerzia ingiustificata e imponeva allo stesso Rettore di dare avvio alla procedura per la ricostituzione dei suddetti organi statutari con la previsione di una eventuale nomina di un commissario ad acta in caso di non ottemperanza (v. sentenza, all. n 72). Appresa la decisione del C.G.A, Pignataro, da un lato, provvedeva all'indizione delle elezioni per la nomina del Senato Accademico, ma, al contempo, presentava al C.G.A. un ricorso al fine di comprendere le modalità di ottemperanza alla sentenza, con particolare riguardo all'aspetto se la decadenza degli organi statutari vada estesa anche alla carica di Rettore.
Dopo il deposito del ricorso al C.G.A., si assiste a diversi tentativi di contatto fra Pignataro e Zucchelli Claudio, nato..., Presidente del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana.
Tali contatti culmineranno in un incontro tra i due in data 7 settembre 2016 nel corso del quale il Presidente Zucchelli anticipa al Pignataro quale sarà il contenuto della sentenza emessa sulla base del ricorso presentato dallo stesso Pignataro.
Pignataro comunica a Di Rosa i particolari della futura decisione del CGA, come appresi da Zucchelli, con la decadenza del Rettore, conservando tuttavia la possibilità di una nuova candidatura. Pignataro decideva in un primo tempo di ricandidarsi limitatamente al biennio residuo del mandato, sia pure nell'ottica di un'alleanza con Basile...
Il 25 novembre 2016 veniva diffusa la motivazione della sentenza del CGA, che ricalca tutto quanto anticipato dal Presidente Zucchelli.
Si ricostruisce la vicenda indicando le fonti di prova.
In data 5 agosto 2016 Pignataro viene informato dall'avvocato Scuderi Andrea che il ricorso presentato per comprendere se la decadenza degli organi statutari coinvolga anche il Rettore sarebbe stato deciso da un collegio presieduto dal presidente dell'organo amministrativo ovvero Zucchelli Claudio...
Il Rettore si premura quindi di contattare Catanoso Pasquale, Rettore della Università di Reggio Calabria, il quale gli suggerisce di parlare con il “Presidente” concordando un appuntamento per il tramite di Lapecorella Fabrizia, Direttore Generale del Ministero dell'Economia e Finanze...
Pignataro, seguendo il consiglio del collega, contatta Fabrizia Lapecorella (che nel corso della conversazione afferma di conoscere molto bene il magistrato Zucchelli), alla quale riferisce che aveva interesse ad incontrare Zucchelli il prima possibile, non facendo mistero di voler discutere con Zucchelli proprio del suo ricorso al C.G.A...
Le conversazioni appena riportate attestano dunque come Pignataro abbia intenzione di incontrare il Presidente del C.G.A. Prima della decisione sul ricorso relativo all'eventuale decadenza dello stesso Rettore.
2. In data 9 agosto 2016, Lapecorrella comunica a Pignataro che il Presidente Zucchelli potrebbe incontrarlo il successivo 7 settembre, nelle ore pomeridiane, a Palermo...
La P.G. Delegata effettivamente attesta che il 7 settembre presso il C.G.A di Palermo Pignataro ha avuto un incontro con Zucchelli...
L'intercettazione e l'annotazione di servizio documentano inequivocabilmente l'avvenuto incontro tra Zucchelli e Pignataro.
Dopo il colloquio con Zucchelli, Pignataro comunica al Di Rosa (professore ordinario presso il Dip. di giurisprudenza) i particolari della futura decisione del C.G.A. Per come appresi dallo stesso Presidente (il Rettore sarebbe stato dichiarato decaduto conservando però la possibilità di una nuova candidatura).
Il tratto maggiore di interesse, sotto riportato, è particolarmente significativo perchè documenta la condotta di Pignataro il quale -dopo avere illecitamente appreso da Zucchelli il contenuto della sentenza ancora non pubblicata- contatta gli altri associati e getta le basi per la sua candidatura anche alle successive elezioni...
Nello stesso senso la conservazione tramite Sms con Alessandra Gentile (il prorettore di Pignataro). Il Rettore, alla domanda “com'è?”, risponde: “prepariamoci per il 29 settembre, io sono ricandidabile”. Convergono poi sul “silenzio assoluto”....”
Facciamo presente che il Presidente Claudio Zucchelli (che non firma la sentenza) non è indagato nell'inchiesta, al pari dell'avvocato Andrea Scuderi, del professore Di Rosa, della professa Alessandra Gentile, della dottoressa Fabrizia Lapecorella, del Rettore Pasquale Catanoso.
Sottolineiamo che questo articolo ci pare doveroso per la gravità dei fatti esposti: interesse pubblico che dovrebbe essere sempre primario nel giornalismo.
di iena giudiziaria Marco Benanti
Per gentile concessione della testata "Le jene sicule"
Vivere nel fungo e' come vivere in un eterno sogno dove la realtà e la fantasia si interpongono, creando stadi di inconsapevolezza e dove la percezione avverte, stimola, illude, reagisce,copia, si rinnova, crea e neutralizza per poi ascendere in una catarsi di illusioni e passioni e si concretizza in miraggi di estasi senza alcun rimpianto per poi trovare finalmente il Nirvana.
Vivere in wonderland, in una favola misteriosa, vivere il torpore soporifico degli alcaloidi contraddistinti e ben specifici per vari scopi, ricerche e culti.
Gli anni 70 avevano aperto le porte a queste sostanze allucinigeniche che crogiolavano nell'alambicco di Timothy Leary e di Albert Hofmann per psicoterapie mirate ad esplorare il proprio io, o si estirpavano e venivano sintetizzate organicamente nelle tende del deserto di Sonora in Messico dagli Jaqui Masters,i grandi shamani, maghi dell'universo parallelo, sofisti del Metzcal e del Peyote,adoratori delle ombre e del vento,della luce, della notte e del silenzio.
In Amazzonia piante psicotropiche e magic mushrooms, ti innalzavano nel dominio della libertà e sugli ziggurat di Teotihuacan, ceremonie trascendenti dedicate a Quetzalcoatl, l'idolo serpente, ti facevano oltrepassare quella soglia laddove l'uomo diventa un Dio, il viaggio iniziava e terminava o nella nostra realtà od oltrassava la soglia.
Il viaggio avveniva in vari modi e comunque era un rituale che affrontato con saggezza, consapevolezzza e forza, per resistere a tentazioni e salvaguardarti dal pericolo, ti apriva il terzo occhio, come un falco in perlustrazione.
Fare il viaggio era anche un modo per dimostrare coraggio ed essere accettato dalla tribù.
Sotto acido, LSD, STP o Mescalina ti ritrovavi in surrealistici panorami dove la fantasia ed il tuo subconscio giocavano un ruolo da protagonisti; attraversare questi stati della materia cerebrale alterata da una corsa caotica dove i tuoi atomi all'impazzata si scindono in un minuetto rock entrando in collisione fra loro per poi dopo svariate ore ricongiungersi al ceppo di origine, richiedeva una intensa energia interiore e volontà per poi uscirne incolumi; lo scopo finale era comunque quello di avvicinarti il piùpossibile al tuo ego ed al tuo Dio,entrare in contatto col medesimo, interagire e viverne il suo splendore assoluto.
Il viaggio era inoltre quello scalzo,a piedi nudi, in autostop, on the road (Jack Kerouac) in bici o caravan, con charter jets o pipers, treni e bus per condurti in luoghi sperduti alla ricerca del tuo Io, la tua identità e la ragione per la quale esisti.
Luoghi vergini il più delle volte,dove credenze e tradizioni sconosciute, barlumi dell' immaginazione presistente, prendevano forme e davano accesso fino ad allora a verità inespugnate, verità da venerare ed osannare, per poi essere rivelate durante il girovagare nel mondo alle comunita Hippyes; questa tipologia di giovani si radunava in case comuni, dette le Comuni, dove si divideva tutto: fra di loro l'acido e le anfetamine erano di grande uso mentre l'alcool non era una necessità primaria. Il loro comunionalismo e le politiche libertarie sono le radici della nostra Cyberivoluzione.
Questi paradisi artificiali che ti proiettavano in una concreta iperealtà venivano idealizzati e trasmessi con arte su pannelli dipinti a macchia o con splash di colori distribuiti molto spesso con i piedi o le sue dita ed erano i rifugi preferiti di questi giovani ribelli della mia generazione, ribelli poiché andavano contro il federalismo ambiguo del momento.
Paracelso li strumentalizzava col rilancio di benzodiazepine da consumarsi con whiskey o rum, le downers o black bombers si prendevano dopo il come down o risveglio dall'acido, mai farti mancare un Mandy o mandrax dalla tua sacca possibilmente acquistata in Nepal o Perù sulle Ande (dove vi si trasportavano foglie di coca): pillole che ti davano quel senso di lost in the air or float and fly (perso nell'aria o galleggia e vola).
L'efficacia o no di farmaci triciclici fino a quel momento utilizzati per terapie specifiche era ora studiata per essere messa alla prova in strada a mo’ di consumo di Superdrug: dal farmaco al sostantivo droga il passaggio era breve anzi velocissimo. Sostanze da assuefazione e letali incalzavano e la protesta era un pericolo per il sistema di potere che voleva avanzare senza incontrare ostacoli e questi giovani costituivano il più grande ostacolo, bisognava reprimerli.
L'eroina trascurata dal periodo del free jazz, riprendeva a ruota la sua fama incontrastata: lo smack ti dava tutto e di più anche se ti lasciava recalcitrante tra dolori inverosimili durante i periodi di astinenza e ti corrodeva tutto dai denti al fegato e nel sangue; era una brutta scimmia ricca di tante atrocità eppure grazie ad una mafia coercitiva continuava ad espandersi a macchia d'olio e a mietere milioni di vittime: la guerra dei tossici era iniziata. Jimmy Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison hanno scelto questa morte come ultimo traguardo del loro successo.
Il chasing the dragon era di moda per i più snob che invece di iniettarsela, la fumavano bruciandola su carta stagnola mentre ne aspiravano i fumi con una banconota arrotolata a mo di cannuccia.
Lo stato di Peshauer era una meta ambita per la morfina più pura mentre la cocaina e l'oppio appartenevano ad una classe dominante e dirigente, un dietro le quinte di una falsa facciata.
La temple ball, quel tipo di hashish super organica era molto diverso dalla speed ball, un mix di speed e downers che spesso portava a far scoppiare il cuore.
I Sultani dello swing primeggiavano e dal beatnick con il suo monkey time al rock, al folk, all'hard rock l'urlo di Allen Ginsberg spaziava tra questi giovani disperati in cerca di droga rabbiosa, dove la loro ricerca di identità e libertà ormai contaminata ma pur sempre viva si manifestava in un proselitismo del rock ed esultava all'idolo imitandolo e seguendolo ovunque come un guru maestro di vita in uno start rucking tour senza fine......
Continua...
La secolare storia della mafia e la sua identificazione territoriale nonché la mancanza di individuazione degli scopi evolutivi: questi i punti emersi nell’apertura del dibattito.
“Mafia” dunque un marchio che entra a far parte del linguaggio corrente e negli atti giudiziari a partire dal 1863 ma bisogna aspettare ancora due anni per capire (se capire si può) cosa fosse e come operasse.
Era il 1865 quando il prefetto di Palermo Filippo Antonio Gualterio definì con il termine “mafia” l’associazione malandrinesca che si caratterizzava per gli “stretti collegamenti che aveva stabilito con alcuni partiti politici”.
Un disegno chiaro sin dai suoi primi esordi.
Un disegno che, nell’ipocrisia critica comune, ha trovato quell’humus favorevole all’attecchimento dei nuovi Fiori del Male.
Già nel 1890/5 si può vedere nella pratica dello “scrocco” l’antesignana della moderna estorsione.
E’ nel 1893 il primo vero eccellente omicidio di mafia, quello di Emanuele Notarbartolo, prestigioso Direttore Generale del Banco di Sicilia.
E’ il paradosso “Fiero di essere mafioso”, quell’intervento raccontato su “L’Ora” del 28 luglio 1925 dove Vittorio Emanuele Orlando al cinema di Via Ruggero Settimo, in sintesi traduce la parola mafia con quelle caratteristiche imprescindibili dell’essere siciliano, con una “strizzatina d’occhio” ad un potere riconosciuto.
E così fu! Da Rizzotto in poi.
Inosservanti neanche del loro credo, della loro morale, del loro codice (che non tocca donne e bambini), non ci si è fermati laddove necessità ha richiesto il sacrificio di innocenti.
108 ad oggi la stima circa le piccole vittime della mafia.
Alcune ancora in grembo.
In un contesto in cui la carenza di strumenti interpretativi di un fenomeno tangibile e, nel contempo, sconosciuto, induce il Cardinale Ernesto Ruffini, nella sua pastorale che porta data 1964, a negare l’esistenza della mafia.
Ma le stragi del dopoguerra sono la netta ed evidente negazione di ciò.
“Portella della Ginestra” definita dal Pubblico Ministero Scaglione, nel 1953, un “delitto infame” perpetrato verso i contadini intuendo la natura anticomunista dell’eccidio e dove accreditò come principali moventi “la difesa del latifondo e dei latifondisti”, la lotta ad oltranza contro il comunismo che Salvatore Giuliano mostrò sempre di odiare ed osteggiare.
I banditi si presentavano dapprima come “debellatori del comunismo” per poi usurpare i poteri dello Stato.
Già dalla seconda metà del XIX secolo, nonostante le apparenti novità apportate dall’unificazione, in Sicilia continuò a mantenersi il sistema feudale che vedeva le grandi proprietà nelle mani di pochi baroni e la nascita di una nuova classe emergente, quella dei “burgisi”.
E la mafia nasce come mediatrice di un rapporto conflittuale e travagliato signore-bracciante.
La mafia nasce in un contesto di assoluta povertà ma presto si espande al Nord e poi addirittura negli Stati Uniti.
Ma l’America ce la riporta a casa con i suoi carri armati quando nel dopoguerra gli Americani misero i mafiosi a capo delle amministrazioni locali considerandoli sicuri antifascisti.
Necessità storica vuole che siamo i figli (orfani) della seconda guerra.
E ancora ne paghiamo il prezzo.
E così, mentre cosa nostra conferma la sua struttura verticistica, lo Stato non dispone di mezzi adeguati a fronteggiare il fenomeno.
La Palermo degli anni ’60-’70 è una città insanguinata: Impastato, Ievolella, Mattarella, Lo Russo, La Torre, De Mauro, solo alcuni di tanti nomi, di un lungo triste elenco.
Già lo storico Francesco Renda, a proposito degli omicidi Scaglione e Lo Russo parlò di terrorismo politico- mafioso contro la magistratura e la stampa.
Nel 1962 a Palermo esplode la prima guerra di mafia fra i due clan Ciaculli-La Barbera, nell’inconsapevole ironia giornalistica che ha assimilato Palermo alla Chicago anni ’20. Epilogo di questa feroce, suburbana lotta il terribile 30 giugno di Palermo che vide la morte di 7 uomini delle Forze Armate e sancì il passaggio dalla lupara al tritolo. Si ipotizza che i boss possano avere utilizzato artificieri esperti dell’OAS reduci dalla stagione di attentati in Algeria.
Dopo Ciaculli la repressione. Arrestato Luciano Liggio della cosca dei corleonesi.
A suo carico l’omicidio Rizzotto che gli valse la latitanza.
Dicembre 1969 strage di Viale Lazio che pone fine alla vita del boss Michele Cavataro detto “il cobra”. Imputati Riina e Provenzano. La vicenda sancisce l’ascesa dei corleonesi all’interno di cosa nostra. Ma l’errore umano, pur non contemplato, si verifica provocando la morte di Calogero Bagarella, cognato di Riina, scomparso nel nulla.
Settembre 1970 omicidio del giornalista De Mauro.
1982 Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
29 luglio 1983 il turno del giudice Chinnici, padre del pool antimafia Falcone e Borsellino.
Il lungo martirologio che chiude una fase della triste cronaca nera.
Per un periodo l’azione punitiva di cosa nostra nei confronti dello Stato si arresta.
Si arriva poi al primo grande pentito della storia, Tommaso Buscetta, che permise di svelare per la prima volta i meccanismi dell’organizzazione mafiosa dopo l’altra sanguinosa guerra tra le cosche, a cavallo degli anni ’70-’80.
Da questo momento, grazie alle confessioni del “boss dei due mondi” si comincia a parlare di cupola mafiosa.
I segreti rivelati a Falcone permisero l’istruzione del processo simbolo dei rapporti tra cosche e palazzo.
Immagine simbolo di tale collusione il misterioso incontro fra l’ex leader dc, Andreotti, e il boss dei boss, Riina. Il maxiprocesso di Palermo, svoltosi nell’Aula bunker del Carcere Ucciardone di Palermo tra il 1986 e il 1987 fu la prima, vera reazione dello Stato italiano a cosa nostra, conclusosi con 19 ergastoli e 396 rinvii a giudizio.
Purtroppo la risposta arriva il 23 maggio 1992 a Capaci e il 12 luglio 1992 a via D’Amelio.
E questa è storia nota anche oltreoceano.
Tuttavia la legge Rognoni-La Torre n°646 del 13 settembre 1982 introduce per la prima volta nel codice penale la previsione del reato di “associazione” di tipo mafioso (art.416 bis) e la conseguente previsione di misure patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali.
Dalla mafia arcaica a quella moderna (includendo sotto quest’ultima dicitura un arco temporale molto più vasto che quello dell’oggi).
Dalla divisione degli appalti a tavolino, al traffico di stupefacenti, alle strategie stragiste.
Da quella che fu la cabina di regia, ossia S.Giuseppe Iato, oggi la mafia è in rete avendo individuato i tortuosi meandri della globalizzazione in cui incanalare il traffico di armi.
Meno intimidazioni quindi e la conseguente percezione di una diminuita presenza sul territorio (solo il 38% della popolazione ritiene la mafia un fatto preoccupante) che è solo illusoria. Perché la mafia è una piovra che alterna momenti di potenti efferate esternazioni a momenti di apparente regressione.
Per dirlo con Dalla Chiesa:”la mafia è cauta, lenta, ti misura”.
E ancora con Falcone: un fenomeno sempre diverso e sempre uguale a se stesso che unisce valori arcaici alle esigenze del presente.
Una profezia già sentita in quell’icona di sicilianità che è il Gattopardo.
E in quel lungo lasso di tempo che fu quello della Prima Repubblica la mafia divenne un cancro pervasivo capace di insediarsi in ogni forma di attività sociale.
Del 2013 la legge sul riciclaggio di denaro.
Il 2017 rappresenta un ribaltamento per la vicenda storica mafiosa: da mafia export made in Italy (più precisamente made in Sud) si trasforma in mafia import. Sudamericani, cinesi, nigeriani, albanesi ad alimentare la già lunga schiera di “cattolici perplessi”.
Narcotraffico, prostituzione, riciclaggio nel nome di una comune, ritrovata non belligeranza: questo lo scenario in cui si trovano ad operare le piovre d’oltralpe.
L’emergenza terrorismo e criminalità organizzata ha imposto la ricerca di nuove risposte: Trattato di Lisbona.
Dal locale al globale.
Dal 2013 si parla di crimine transnazionale.
Ora la mafia ha nuovamente cambiato volto (e qui la metafora si fa più reale).
L’ultimo grande affare delle mafie di oggi: la tratta degli esseri umani che presenta un ulteriore, enorme vantaggio rispetto agli affari precedenti, l’eventuale perdita della merce non comporta danno economico.
Quando a morire sono vite umane che, con mille impossibilità, hanno già comunque pagato un viaggio che esso vada a buon fine oppure no.
E sempre in Sicilia, in questa terra vessata, diffamata e violentata, terra di conquista, ieri come oggi, preda di vecchi e nuovi barbari, bacino di voti per il Sud come per il Nord, si rifugiano le nuove vittime sacrificali di un dio onnisciente.
Quella Sicilia che ha pianto il sangue dei “picciotti”, “carusi” e picconieri nella vicenda delle preistoriche miniere baronali, ogni “Rosso Malpelo” di verghiana memoria.
Un fosco passato e un presente negato.
E l’organizzazione dell’evento di oggi nel tentativo di dare una risposta a quella domanda posta in essere dalla dott.ssa Imbergamo: “Perché ancora se ne parla?”
Nel clima di agitazione di questi giorni che pone il dubbio su eventuali depistaggi sull’attentato di via D’Amelio, la risposta emerge sottesa, in quell’Aula dove lo spirito di Falcone è una presenza e non un ricordo, una risposta che tante altre apre e in se’ racchiude: “Perché ancora non è stata resa giustizia”.
In nome di Falcone, Borsellino e di tutti gli altri morti forse meno “eclatanti” ma sicuramente non meno “eccellenti”, nel giorno del 36° anniversario dell’omicidio del capitano D’Aleo a Monreale, alla presenza dei familiari di alcune delle vittime, si è tenuto il 13 giugno scorso a Palermo, presso l’Aula Magna del Palazzo di Giustizia, il Convegno: “L’evoluzione criminale di cosa nostra”.
Presenti il dott. Matteo Frasca, Presidente Corte d’Appello, il dott. Salvatore Di Vitale, Presidente del Tribunale, alte cariche militari, è stato osservato un momento di silenzio in memoria del già citato omicidio D’Aleo dietro suggerimento del moderatore dott. Antonio Scaglione, già Vice Presidente del consiglio della magistratura militare.
Relatori il dott. Fabio Iadeluca, sociologo e criminologo, la dott.ssa Franca Imbergamo, della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, la dott.ssa Francesca Mazzocco, Sost. Proc. della Repubblica, il dott. Calogero Ferrara, Procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Palermo.
Scatta la protesta dei collaboratori, la prima in oltre 70 anni di storia de “La Sicilia”
17 Maggio 2019 - «Non abbiamo avuto alcuna risposta sui mancati pagamenti degli anni passati né garanzie sulle collaborazioni più recenti. Di fronte al silenzio dei vertici amministrativi della “Domenico Sanfilippo Editore”, vogliamo fare sentire la nostra voce di giornalisti che svolgono attività con professionalità e dedizione. Per questo annunciamo fin da ora azioni eclatanti, senza escludere "scioperi" con l'interruzione a scrivere articoli e a proporre le nostre segnalazioni alla redazione».
Lo annunciano i collaboratori della provincia di Catania del quotidiano “La Sicilia”. Una protesta senza precedenti nella storia ultra settantennale del quotidiano catanese di viale Odorico da Pordenone della famiglia Ciancio, ora gestito –come è noto– in amministrazione straordinaria.
«Una scelta –spiegano i “corrispondenti” da ogni parte della provincia– che finora abbiamo evitato perché fiduciosi in risposte precise a istanze prima ben note alla proprietà e poi conosciute dai commissari straordinari. Risposte, però, mai arrivate, al di là di vaghi e generici impegni».
Viene ancora puntualizzato: «Noi corrispondenti, ogni giorno impegnati a raccontare la cronaca della provincia, compresa quella su fatti di mafia e criminalità organizzata, non riceviamo i compensi che ci sono dovuti da troppo tempo. Ci sono colleghi che attendono arretrati anche da anni. La liquidazione è avvenuta a singhiozzo, senza peraltro ricevere i cedolini di avvenuto pagamento (dettaglio che crea parecchio confusione). Ci sono corrispondenti che –nonostante la loro puntualità a consegnare mensilmente le note di collaborazione– avanzerebbero anche svariate migliaia di euro. Eppure nessuno ci ha dato alcuna garanzia né per le spettanze passate né per quelle maturate dall’insediamento dei commissari straordinari. C’è chi segnala, inoltre, che dai prospetti personali Inpgi non figurerebbero versamenti dei contributi previdenziali relativi agli ultimi anni».
Una situazione ritenuta ormai insopportabile. Ne va della credibilità aziendale e della qualità dell’informazione, che in mancanza dell’apporto qualificato dei “corrispondenti” verrebbe, di fatto, inzuppata di comunicati di palazzo o note copia-incolla, mortificando una sezione del giornale (quella delle pagine provinciali) che è fonte di richiamo dei lettori. Un rischio che i collaboratori si augurano di scongiurare. Già da tempo parecchi corrispondenti hanno interrotto il rapporto di collaborazione o ridotto drasticamente l’attività proprio per i mancati pagamenti. Chi ha continuato, lo ha fatto per senso di responsabilità.
«Finora siamo stati comprensivi (il momento storico, la crisi del settore, il calo degli introiti pubblicitari…) ma è chiaro –viene sottolineato– che non possiamo continuare a lavorare gratis. Sì, di questo si tratta. Non possiamo lavorare senza risolvere quei crediti che vantiamo, generati da molte mensilità di compensi, peraltro già bassi rispetto all’impegno e alla qualità professionali che garantiamo quotidianamente. Un lavoro essenziale per l’uscita in edicola de “La Sicilia”, che tuttavia non sembra ci venga riconosciuto. Se poi siamo ritenuti non “necessari”, ci venga detto chiaramente e ognuno farà le proprie scelte. Ecco perché ci sentiamo costretti ad annunciare azioni di protesta. Con l’auspicio che possa servire ad intraprendere un dialogo serio e fattivo con l’amministrazione de “La Sicilia”».
Per gentile concessione di Assostampa Sicilia
Treni annullati anche ieri. Passeggeri abbandonati allo sbando, senza assistenza. Ritardi catastrofici di quasi tre ore per i viaggiatori pendolari per tornare a casa con i servizi sostitutivi di Trenitalia. Nuova giornata di ordinaria “follia” ieri sulla linea ferroviaria Marsala – Trapani. Cose che in un paese ottava “potenza” del mondo non sarebbero accettabili!
Partenza prevista da orario, ore 19:25. Pochi minuti prima, però, l’altoparlante della stazione ha annunciato che il treno che da Marsala doveva collegare il capoluogo Trapani non sarebbe arrivato, che era stato annullato. Dal “lancio” di un giornale online locale, TP24.it, apprendevo che un autovettura aveva colpito ed abbattuto un passaggio a livello nel tratto precedente della linea. Lo stesso altoparlante mi rassicurava: i passeggeri si rechino nel piazzale antistante la stazione dove è in partenza il servizio sostitutivo con un bus messo a disposizione da Trenitalia. Uscito dalla stazione, trovavo altri due ragazzi in attesa ma nessuna traccia del bus.
I minuti passavano e quella stancante attesa si protraeva. Il ragazzo, che con me condivideva l’attesa, era un pendolare e mi allertava: tutto normale, mettiti comodo che ci sarà da aspettare un bel po’. Sicuramente il suo avviso era il frutto di esperienza. Provavo a rientrare dentro la stazione di Marsala: il bar era già chiuso e non era presente alcun distributore automatico che potesse offrirmi qualche bevanda o un un qualche alimento. I bagni erano chiusi. Nessun tabellone elettronico era presente nella sala d’attesa per indicarmi i tempi di attesa del fantomatico bus sostitutivo. Nessun impiegato di Trenitalia era presente in stazione a darci assistenza.
Fatto buio, poco prima delle venti e trenta, la ragazza che attendeva con noi veniva prelevata da un amica giunta in auto da Trapani, distante appena 30 chilometri, per raggiungere la prevista destinazione. Nel frattempo l’altoparlante della stazione tornava a gracchiare: in italiano e pure in inglese, anche il treno delle 20 e 28 che sarebbe dovuto giungere da Trapani per proseguire per Castelvetrano è annullato. Un’altra ragazza e, poi, un altro ragazzo che erano giunti nel frattempo in stazione e avevano fatto il biglietto per quella destinazione parlano con qualcuno al cellulare e vanno via.
Ero isolato, nessun familiare poteva avere notizie di me e sapere perché stessi ritardando tanto. Il mio cellulare si era scaricato, ma nella sala d’attesa della stazione non trovavo alcun punto di ricarica. Finalmente, circa alle 21 e 15 l’ombra di un mini bus appariva davanti a me: era quella del bus sostitutivo di Trenitalia. A bordo un’altra decina di passeggeri, raccolti nelle stazioni precedenti. Alle 22 giungevo davanti la stazione ferroviaria di Trapani. A quell’ora, nel capoluogo, il servizio di trasporto urbano è già stato sospeso. Mi aspettano solo una trentina di minuti a piedi per arrivare a casa …
Questo il racconto di una giornata sulla linea ferroviaria Trapani – Castelvetrano.
Una giornata iniziata alle 16.01 col viaggio d’andata da Trapani a Marsala fatto a bordo di uno stipatissimo convoglio formato da un’unica automotrice Aln 668. Il mezzo, costruito a partire dal 1956 e fino all’inizio degli anni ottanta (il trapanese Aln 668.3024 risale a quest’ultimo periodo), è alimentato da un motore diesel ed è privo di aria condizionata (e, anche se siano solo a inizio maggio, si sentiva!). I 30 chilometri tra i due centri erano stati percorsi in appena 25 minuti (all’eccezionale velocità di 83 Km/orari).
Devo precisare che mi è andata bene.
La linea Trapani-Palermo è chiusa per una frana dal 2013. Il giornale TP24.it ci assicura che i lavori di ripristino inizieranno entro il 2020: non è ancora conosciuta, tuttavia, la data di completamento e riapertura della tratta. Sembra che, in quell’ipotetico futuro in cui riaprirà la tratta ferroviaria, saranno cambiati anche i convogli e sostituiti con mezzi elettrici.
Anche sulla data d’inizio, in verità, non c’è da stare sicuri. La senatrice trapanese Pamela Orrù (PD), nel giugno 2017, dopo rassicurazioni del ministro Graziano Delrio (PD) e un incontro con RFI, aveva annunciato che i lavori sarebbero iniziati entro il successivo settembre 2017.
Il precedente non fa ben sperare: è del 17 febbraio 1956, infatti, l’interrogazione dell’on. Cuttitta al ministro dei trasorti on. Angelini per chiedere il raddoppio della linea ferrata Trapani-Palermo e la sua elettrificazione. Ancora oggi attendiamo la realizzazione di quanto chiesto all’epoca dal parlamentare.
Nel 2015, si calcolava in 6 ore e 14 minuti il tempo per giungere da Trapani a Palermo via Castelvetrano, vista la chiusura della tratta via Milo. Nulla mi sembra oggi essere cambiato per percorrere i poco più di 100 chilometri che ci sono tra le due città siciliane.
La Cisl, a febbraio 2014, in merito alla tratta ferroviaria Trapani-Palermo, denunciava: «Non si capisce come mai non si trovano le risorse per riaprire questa linea ferroviaria strategica per il collegamento delle due città. E’ giunto il momento, per evitare la completa desertificazione, di intervenire e dare risposte ai cittadini che si spostano per lavoro e studio».
Nel frattempo, altrove si parla di TAV …
Per gentile concessione dell'agenzia di stampa Pressenza
Giorgio Fornoni |
"Questi sono i miei pensieri scritti di getto. Non guardate la forma ma la sostanza"
Giorgio Fornoni
Figlio di una terra di boscaioli e montanari, tanto aspra quanto bella, Giorgio Fornoni, nel corso della sua lunga e affascinante carriera, ha denunciato e documentato traffici illegali, disastri ambientali, violazioni dei diritti umani e intervistato premi nobel, capi di Stato e leader di guerriglia ben prima che vi arrivassero i grandi canali di informazione. Per le sue capacità di inviato nei luoghi più delicati del mondo, nel 1999 Fornoni viene notato da Milena Gabanelli, che lo vuole nella redazione di Report, per la quale realizza molti servizi e dove gli viene dedicato uno speciale dal titolo "L'altra faccia del giornalismo". Nel 2003 entra poi nella Free Lance International Press, dove cinque anni dopo diventa vice presidente.
Uomo verace, schietto e sincero, amico di personaggi come Allende e Fidel Castro, oltre che reporter di rara abilità, Fornoni ha risposto alle nostre domande al rientro da un suo viaggio in Messico, dove si è recato spinto dalla sua inesauribile ricerca della verità.
E.F.C: Cosa vuol dire oggi essere reporter in zone difficili?
G.F: "Vuol dire andare dove la tua coscienza ti spinge e spingersi più in là dove c’è devastazione e sofferenza per dare voce a chi non ha voce; la miseria è silenziosa, è solo disperazione.
Essere reporter vuol dire cercare di denunciare il non senso della guerra, vuol dire cercare la verità, vuol dire mettere un piede nella storia, vuol dire non mettere la testa sotto il cuscino soffocando la coscienza"
Nell'epoca di internet, dei social network e delle notizie ormai trasmesse quasi in tempo reale, che senso ha ancora il lavoro del reporter di guerra, di colui che si reca sul campo a vedere di persona quel che accade?
"Innanzitutto andare libero e non come inviato, vuol dire non dovere dare conto ad un padrone. Tante cose assurde ho visto, contrarie a quelle che tante volte i media scivono...e solo pochi mesi fa in Siria ne ho avuto come sempre una spietata conferma.
Come diceva l’amica Anna Politkovskaja “Io scrivo ciò che vedo”. Come fa un giornalista a capire la disperazione, la distruzione, la sofferenza e la paura di una prima linea senza andarci? Come fa a sentire l’odore della morte?"
Si dice che un reporter debba essere sempre imparziale e non prendere nessuna posizione. Ma secondo lei è possibile rimanere imparziali anche in zone di guerra, dove un reporter vede con i propri occhi i diritti umani, soprattutto quelli dei civili, continuamente violati?
"Il lavoro del Reporter è una missione seria, almeno pari al rischio che affronta, per raccontare la “verità”.
Un vero Reporter deve sempre e comunque raccontare la verità… e questa non è solitamente né da parte dei governi né da parte della guerriglia… sta sempre in mezzo, sta dalla parte dei civili che vittime senza colpa, pagano per il solo motivo di abitare a casa loro.
Nel momento della scelta è la coscienza che deve essere seguita. La libertà deve essere guidata dalla coscienza e questa deve però essere retta e ben formata se si vuole cercare di essere credibili e onesti"
Nel mondo ci sono numerose guerre ancora in corso, ma i media sembrano concentrarsi sempre sugli stessi 5 o 6 conflitti più famosi. Perché c'è questa tendenza a parlare poco di molti altri conflitti, pur gravi?
"Purtroppo anche in questo caso, essendo il mondo mediatico in mano ai poteri forti, sotto i riflettori rimangono quelle situazioni che maggiormente possono determinare i propri interessi.
Esempio, come prima accennato, il caso Siria…ora il Venezuela…sono appena tornato dal Messico… ho percepito che la disumanizzazione, unita alla paura, crea nella testa e nel cuore dei più deboli un ribollire dell’odio… annullando frequentemente ogni possibilità di ragione"
Con le incertezze in ucraina, gli interessi di Russia, Cina e America, e le migrazioni da africa in Europa a causa di numerosi conflitti locali, come vede il futuro dello scenario geopolitico in Europa?
"Finché l’Europa avrà la forza e la capacità di rimanere unita, avremo una garanzia economica e di pace… anche se le tre superpotenze tendono a dividerla per renderla vulnerabile. Sta al popolo decidere chi far governare ma siamo in un periodo delicato. La Russia di Putin pretende di ritornare ad essere un impero (e lo vediamo nei conflitti in atto), ed è supportata dalla ricchezza di materie prime che ha nel suo sottosuolo (gas e petrolio in particolare).
La Cina è un’altra superpotenza...la sua non è una guerra con armi, anche se si sta silenziosamente rifornendo, ma economica. È riuscita a conquistare molti mercati del mondo ed accaparrarsi il diritto di sfruttamento della materie prime; in particolare in Africa (alcune mie inchieste per Report lo possono dimostrare).
L’America, sappiamo del suo ruolo nel mondo. Esporta armi innescando conflitti…si erge a poliziotto globale…vediamo con la guerra in Siria, il suo silenzioso atteggiamento in Venezuela, il contenzioso con la Corea del Nord e il braccio di ferro con la Cina guerra dei dazi…e con la Russia sempre in contesa…pronta a spartirsi il dominio"
Quando un reporter si trova in zone di guerra, o quantomeno in territori difficili, si trova sempre a decidere: da una parte se spingersi un po' più in là rispetto ai suoi colleghi, pur di trasmettere al suo giornale uno scoop in esclusiva o almeno un pezzo importante, a prezzo però di un rischio maggiore, dall'altra parte deve invece decidere se rimanere appena un passo indietro, relativamente al sicuro, ma con il rischio di trasmettere alla redazione un pezzo che manchi di quel qualcosa in più per essere davvero incisivo rispetto alla concorrenza. In base alla sua esperienza, come fa un reporter a capire quale è il limite da non superare per non mettere seriamente in pericolo la propria incolumità?
"Io penso che andare un passo più in là, ti avvicina sempre più alla verità.
Ho lasciato molti amici morti sul campo: Maria Grazia Cutuli, Raffaele Ciriello, Andrey Mironov, la stessa Anna Politkovskaja anche, è stata uccisa sulla porta di casa a Mosca…Importante è anche, oltre all’esperienza, credere in se stessi, ognuno deve capire il proprio limite. Certo, a volte, per il pericolo e le brutture che si incontrano andando un po’ più in là, molti miei colleghi sono rimasti completamente devastati da quello che hanno visto e incontrato.
Come diceva giustamente Kapuscinski: -...il cinico non è adatto a questo mestiere-"
La paura è un sentimento costante nel lavoro del reporter di guerra, inutile fingere di non averne. Questo comprensibile stato d'animo come potrebbe essere gestito sul campo?
"È la forte motivazione che ti spinge…solo spingendoti oltre puoi veramente essere, ritrovare te stesso capire e il tuo proprio limite. È la passione per l’uomo, e la ricerca della verità che non ti ferma perché è là che devi andare.
In prima linea non devi gareggiare con nessuno…devi seguire quel che ti dice il cuore…non devi star a pensare alla paura…quella viene dopo…
In prima linea non puoi barare…sono molti i fattori che ti spingono ad andare sempre avanti…come già detto, la forte passione per la verità, la passione per l’uomo, la curiosità, l’inquietudine, il desiderio di raccogliere immagini, di fatti e notizie di prima mano per poi scrivere, documentare e denunciare ciò che vedi.
La paura è tua compagna…devi fartela amica la paura.
È solo dando un senso a quel che fai che non ti fa vergognare quando alla sera ti guardi davanti ad uno specchio. La paura è un tuo limite. Non esiste fondo chiuso se credi in te stesso"
Quali sono i contatti locali che un reporter di guerra dovrebbe sempre mantenere?
"Un interprete, una guida…nel mio caso i missionari sparsi per il mondo… loro sono stati indispensabili…mi hanno dato ospitalità, suggerimenti e conforto….
I missionari, sappiamo che vivono alle periferie del mondo, a contatto della sofferenza umana, frequentemente in mezzo ai conflitti…è l’amore verso l’”uomo” che li fa essere coraggiosi e talvolta oltre ogni limite….
Anche loro vivono un passo più in là"
Ha ancora senso recarsi in zone di guerra al seguito dei militari, ben sapendo che le informazioni che questi ci fanno reperire possono essere distorte o filtrate? Come si può, in questi casi, tentare di ottenere informazioni e materiale autentici e verificati?
"Questi sono gli embedded…sono quei giornalisti che frequentemente “fanno comodo” ad una parte o a volte anche perché stando al seguito dei militari si prendono meno rischi…è comunque una possibilità per capire una parte del conflitto"
Oltre alla scrittura come valvola di sfogo, quali altri meccanismi permettono a un reporter di guerra di resistere psicologicamente al ricordo degli orrori di cui è stato testimone?
"Come corrispondente di guerra, non puoi avere una vita normale.
È storia di vita pericolosa. Alcuni amici sono rimasti sul campo, altri sono rimasti vittime di alcool e droghe, altri ancora sono spariti ritirandosi in luoghi di silenzio e solitudine…altri cambiando totalmente tipo di vita….
Sono riuscito a non esaurirmi inserendo di tanto in tanto viaggi che mi portassero il cuore lontano, ritagliando spazi di un’umanità diversa.
Esempio: dopo la guerra in Ertitrea e camminando in mezzo a tutti quei morti insepolti, sono partito per un mondo lontano viaggiando fino allo stretto di Bering, sull’Isola Ratmanova dove c’è l’ultimo avamposto militare russo, là dove per primo nasce il giorno.
Dopo l’inchiesta sulla pena di morte per Report, durata un anno e mezzo dentro una sofferenza incredibile, mi hanno ospitato in Cile all’osservatorio ESO, il più grande al mondo nella banda ottica, per condividere gli sguardi verso un infinito universo e capire quanto piccolo è l’uomo;
Dopo altre prime linee ho frequentato ben 12 campagne archeologiche nel deserto del Neghev alla ricerca del monte Sinai biblico…
… e così altri ed altri posti ancora come la discesa del Rio delle Amazzoni e del fiume Mekong, fino alla scalata sull’Himalaya.
Ma la ricerca che maggiormente mi acquieta, è quella spirituale.
Da anni inseguo, cerco conoscenza accostandomi allo studio della varie religioni. Un lavoro, che ho chiamato “Le Vie del Cielo” dove ho avuto la fortuna di incontrare personaggi straordinari: monaci ed eremiti (dal Dalai Lama al sopravissuto dei monaci di Thiberine, da eremiti ed abati) un mondo che dona serenità"
Il modo di fare giornalismo è molto cambiato negli ultimi anni, soprattutto grazie alle nuove tecnologie. Ma una cosa sembra non cambiare mai: la complessità e le motivazioni della figura del reporter di guerra, che sembra avere dentro di sé qualcosa in più rispetto ai suoi colleghi che si occupano solo di cronaca locale. Secondo lei in cosa consiste questo "Qualcosa in più" ?
"Come già detto: l’amore verso il prossimo, la passione, la curiosità, l’inquetudine…
Per quanto mi riguarda è il ricercare la verità…sento forte il senso e la ricerca di giustizia…dare voce alle miserie e sofferenze del mondo; raccogliere ed assumere il dolore dell’altro dà senso alla vita"
Nelle zone difficili del pianeta, quali benefici pensa che possa portare alle popolazioni locali il lavoro di ben fatto di un reporter di guerra?
"Denunciare il male è la cosa più importante affinché la gente lo rigetti.
Non è facile smantellare i poteri forti, ma denunciando gli scandali, raccogliendo prove e testimonianze, entrare nei fatti è importante per scuotere le coscienze dell’uomo…e perché la gente capisca che il benessere non è esclusivo per chi ce l’ha, ma appartiene a tutti… ad ogni essere vivente"
I civili sono spesso una fonte più attendibile in una zona di guerra, rispetto a fonti militari, politiche o dei palazzi del potere. Come dovrebbe comportarsi un reporter che intende guadagnarsi la fiducia della gente del posto?
"Stare con loro, condividere momenti di vita con loro. Ricordo Antonio Russo, giornalista di radio Radicale quale forte esempio. Quando ero in Georgia, nella valle del Pankisi dove a migliaia si erano rifugiati profughi, donne, uomini, bambini e vecchi per sfuggire ai bombardamenti su Grozny e sulla Cecenia intera, la gente che incontravo per raccogliere le loro sofferenze mi dicevano: ti concedo questa intervista perché sei amico di Antonio Russo…lui viveva qui con noi, lui aveva ben capito il nostro dramma, lui era la nostra voce.
Lo stesso quando ancora era rimasto l’unico giornalista occidentale a Pristina sotto i bombardamenti per condividere i momenti di disperazione con quel popolo…
La stessa Anna Politkovskaya che ho intervistato e ben conoscevo, addirittura era stata l’unica a poter entrare al teatro Dubrovka quando i guerriglieri ceceni si erano asseragliati, con il teatro strapieno di quasi mille persone, e tentare una mediazione per la liberazione degli ostaggi. Lei era talmente seria e di grande coscienza nello scrivere e denunciare il non senso di quella guerra che non solo il popolo ceceno ma persino i guerriglieri ceceni si fidavano di lei.
Questi reporter raccoglievano su di loro i drammi. Perché vai al pericolo, chiedevano i figli di Anna Politkovskaja alla madre… e lei rispondeva: “...se non io chi?”. Sapeva caricare su di sè i drammi degli altri, dei più deboli.…
Quando in un’intervista le ho chiesto: ma non hai paura del Cremlino? Lei rispondeva: “Tutti hanno paura ora. Ma paura o no questa è la tua professione…perché lì muore la nostra gente quindi, paura o no, è il rischio di questa professione”
C'è un episodio preciso che ha fatto scattare in lei la molla del reporter?
"Un tempo, da giovane amavo l’archeologia, la storia passata dell’uomo. Ma incontrando sofferenze e drammi ho potuto presto comprendere che valeva e dovevo di più conoscere l’uomo nella sua storia attuale.
Sì, volevo capire il perché delle guerre. Ho visto in Vietnam, a Saigon, quando stavano allestendo il museo degli orrori e dei crimini di guerra, bambini e feti in vasi di formalina, morti a causa del Napalm. Possiamo capire la guerra?
Ho subito un dirottamento aereo da New Delhy- Amritsar, il 4 e 5 agosto 1982 a causa dei Sikh che pretendevano la liberazione di alcuni di loro, dirigenti rinchiusi nelle prigioni indiane;
La guerra che si stava preparando fra Iraq e Iran… anni 1978/1979.
… guerra in Angola, in Afganistan, in R.D. del Congo, in Sudan, ecc…tutto questo mi ha spinto ma è stando vicino ai missionari che ho sentito maggiormente il dovere e ho imparato a denunciare sofferenze e ingiustizie.
Milena Gabanelli si accorse di me e con Report ho potuto dire e denunciare ad alta voce questi mali del mondo"
Lei ha visitato, come reporter, decine di luoghi nel mondo, molti dei quali pericolosi e difficili da gestire. Dopo aver visto tanto male, guerre e sofferenza, conserva ancora un senso di ottimismo per il futuro dell'umanità?
"Sono convinto che il bene vincerà sul male…anche perché è troppo forte lo spirito di sopravvivenza che l’uomo ha dentro di sé.
Ho visto e assistito di recente a gesti di totale gratuità. Donne che da 24 anni porgono da bere e da mangiare ai migrantes indocumentados che viaggiano su “La Bestia” (così chiamano il treno merci), che rincorrono e salgono aggrappandosi prendendo posto tra un vagone e l’altro, per attraversare il Messico e tentare di andare al di là del muro di Trump, per entrare negli USA…in cerca di fortuna.
Sono conosciuti questi indocumentados, perché sono sconosciuti. Sono gesti di poveri che aiutano altri poveri e questi gesti ci regalano tanta speranza.
Ho visto medici e volontari in giro per il mondo che spendono la loro vita per l’”altro”…e finché ci saranno queste generosità, non crescerà mai il deserto.
La verità, non è partire da sé ma dagli altri"
C'è un episodio in particolare nella sua carriera che le ha fatto vedere una speranza per l'umanità, o si tratta di un processo che ha richiesto del tempo?
"Ad ogni conflitto corrisponde il desiderio di pace, ad ogni bruttura, la ricerca del bene…è qualcosa che l’uomo, come dicevo, ha dentro di sé…che fa rimarginare come una ferita, le cattiverie.
Certo è che siamo alle soglie di pericoli tremendi, causa forze meccaniche e tecniche (come diceva il mio amico Pomerance, sopravvissuto ai gulag, amico si Solgenitsin e di Shalamov)…è per questo che bisogna ridare forza ai veri valori di vita: priorità alla cultura…bisogna creare un uomo più umile, più buono e dal cuore aperto…tutto deve essere
Fornoni con Sem |
indirizzato a questo"
Con quale criterio sceglie le storie da raccontare?
"In particolare scelgo quelle storie che i media raccontano male e poco….
Esempio: guerre dimenticate o di bassa intensità…ce ne sono molte, troppe.
Ma non solo guerre, esempio: la domanda che mi pongo: “Perché in un paese così ricco la gente è così povera?” ecco che è nata l’inchiesta “Furto di Stato” fatta per Report nella R.D. del Congo, con la storia del Coltan e il traffico di oro e diamanti…attraverso le miserie umane.
Oppure lo scandalo del petrolio sul Delta del Niger…volevo capire quali bugie i media raccontano (o mezze verità)…con l’inchiesta per Report ho messo in evidenza l’inquinamento del Delta e le cause della guerriglia.
…e questo non è altro che la conseguenza di affari fatti tra multinazionali e governi corrotti…tutte ricchezze rubate alla povera gente che non ha accesso alla sanità e alle scuole causa l’avidità di potenti corrotti, ci dirottano direttamente le risorse sui propri conti personali"
Per finire, quali consigli si sente di dare a un reporter che si reca per la prima volta in una zona delicata per prepararsi a livello fisico, mentale, professionale e culturale?
"Primo, credere nei propri valori senza essere esaltato. Se un giovane, che è attratto e si incammina per questo “destino”, raccoglie buon materiale e testimonianze importanti e i “media” non danno o danno poca considerazione…allo stesso dico: sforzati a non sentirti frustrato, non deve essere delusione ma motivo di sprone per continuare a fare sempre meglio, per andare oltre…
Questo significa, in poche parole, credere nella propria missione"
Emiliano Federico Caruso
ICAN (Campagna internazionale per abolire le armi nucleari) e la sua organizzazione partner Pax hanno pubblicato un rapporto con i profili completi di 28 aziende legate alla produzione di armi nucleari.
Queste sono le 28 aziende della lista nera.
Aecom (Stati Uniti)
Aecom si appoggia al Lawrence Livermore National Laboratory, è coinvolta nella ricerca, progettazione, sviluppo e produzione di armi nucleari, incluso il programma di estensione della vita della bomba nucleare B6110 e della testata nucleare W80-1 per missili da crociera lanciati per via aerea. Aecom detiene un contratto di 45,5 milioni di dollari USA (40,1 milioni di euro) all’anno dal 2007.
Aerojet Rocketdyne (Stati Uniti)
Aerojet Rocketdyne è coinvolta nella manutenzione dei sistemi di propulsione per i missili balistici intercontinentali Minuteman III per gli Stati Uniti, nell’ambito di un contratto da 28,9 milioni di dollari USA (25,5 milioni di euro) inizialmente aggiudicato nel 2013. Produce anche sistemi di propulsione per i missili del Tridente II (D5) per gli Stati Uniti e il Regno Unito. Aerojet Rocketdyne è anche un subappaltatore del nuovo Ground Based Strategic Deterrent per l’arsenale americano. Nel 2018, Aerojet Rocketdyne si è aggiudicata un ulteriore contratto quinquennale per 20 milioni di dollari USA (17,6 milioni di euro) per la tecnologia di spinta solida che sarà applicata alla prossima generazione di sistemi d’arma.
Airbus (Olanda)
Airbus è una società con sede in Olanda che si occupa della manutenzione e dello sviluppo di diversi missili nucleari armati per l’arsenale nucleare francese attraverso ArianeGroup, una joint venture con la società francese Safran. Airbus fa inoltre parte della joint venture MBDA che fornisce missili a medio raggio aria-superficie, anche per l’arsenale francese.
BAE Systems (Regno Unito)
BAE Systems ha un contratto del valore massimo di US$ 368,7 milioni (€ 328 milioni), originariamente da ottobre 2014, che durerà fino al 2021, pagato dai governi degli Stati Uniti e del Regno Unito per i componenti chiave dei missili del Tridente II (D5). BAE ha anche un contratto da 951,4 milioni di dollari USA (830,8 milioni di euro) da parte dell’aviazione militare statunitense per il sistema Minuteman III Intercontinental Ballistic Missile (ICBM), che durerà fino al 2022. BAE è inoltre coinvolta direttamente nell’arsenale francese, attraverso MBDA Systems, per lo sviluppo del missile a medio raggio aria-suolo ASMPA e del suo successore, ASN4G. Nel luglio 2017, la BAE ha ottenuto una nuova variante da 45,2 milioni di dollari (39,6 milioni di euro) di un contratto esistente per lo sviluppo del programma di sostituzione dei missili balistici intercontinentali di terra del Ground Based Strategic Deterrent (GBSD).
Bechtel (Stati Uniti)
Bechtel è un’azienda a conduzione familiare impegnata nello sviluppo di armi nucleari presso il Lawrence Livermore National Laboratory, il complesso Y-12 e la centrale di Pantex. Bechtel ha attualmente circa 1.174 milioni di dollari USA (1.035 milioni di euro) di contratti in essere in questi impianti. Bechtel è anche coinvolta in una delle nuove armi nucleari in fase di progettazione negli Stati Uniti, il Ground Based Strategic Deterrent, anche se non è chiaro a quanto ammonti il loro contratto.
Bharat Dynamics Limited (India)
Bhrat Dynamics Limited produce componenti chiave per i missili nucleari Prithvi-II e Agni-V per l’arsenale indiano.
Boeing (Stati Uniti)
La Boeing sta costruendo nuove armi nucleari per gli Stati Uniti. Tra queste, per un contratto del 2017 di 349,2 milioni di dollari (297 milioni di euro), è incluso il deterrente strategico a terra in sostituzione del Minuteman III ICBMs. Boeing è anche coinvolta nello sviluppo di armi da stallo a lungo raggio e si è aggiudicata diversi contratti dal 2017 per questa nuova arma nucleare, per un valore di 344,5 milioni di dollari USA (304 milioni di euro). Boeing è titolare di diversi contratti relativi ai missili balistici intercontinentali a lungo raggio nucleari statunitensi, Minuteman Intercontinental Ballistic Missiles (ICBM). Boeing ha attualmente contratti per un valore di oltre 703,3 milioni di dollari USA (620 milioni di euro) per i componenti chiave del sistema Minuteman. Uno di questi contratti comprende lo sviluppo di “kill switch” che causa l’autodistruzione del missile dopo il lancio. Boeing ha ricevuto un nuovo contratto di 26,7 milioni di dollari (23,0 milioni di euro) dagli Stati Uniti e dal Regno Unito per i lavori del Tridente II (D5) nell’ottobre 2018. Ciò si aggiunge ai contratti in essere per lavori relativi al sistema per un valore di oltre 88,9 milioni di dollari (79,0 milioni di euro). Boeing sta inoltre producendo il tail-kit per le nuove bombe B61. Più della metà di tutte queste bombe sono attualmente dispiegate dagli Stati Uniti in cinque paesi europei (Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia). I 185 milioni di dollari (163 milioni di euro) in contratti significheranno che le nuove bombe B61-12 saranno pronte per l’uso entro maggio 2019. Non è ancora chiaro quando le nuove bombe saranno consegnate alle loro sedi europee, poiché altre società stanno modificando gli impianti di stoccaggio nei paesi ospitanti.
BWX Technologies (Stati Uniti)
BWX Technologies ha un nuovo contratto da 76 milioni di dollari (70,8 milioni di euro) per i componenti del Tridente II (D5) per le marine statunitensi e britanniche. BWXT ha inoltre ottenuto un contratto da 505 milioni di dollari USA (427,5 milioni di euro) per preparare la produzione di materiali nucleari supplementari per le armi nucleari, che inizialmente riguarderà la produzione di trizio, ma prevede anche di produrre materiali nucleari supplementari nel breve termine. BWXT è anche coinvolta nella partnership che supervisiona il Lawrence Livermore National Laboratory, compreso il programma di estensione della vita della bomba nucleare B61 e della testata nucleare W80-1 per missili da crociera lanciati per via aerea. La partnership riceve 45,5 milioni di dollari USA (37,6 milioni di euro) all’anno per questo lavoro.
Laboratorio Charles Stark Draper (Stati Uniti)
Il Charles Stark Draper Laboratory ha un contratto da 370,2 dollari (350,5 milioni di euro), pagato da Stati Uniti e Regno Unito, per i lavori sul sistema Trident II (D5). Nel 2018, Draper ha ottenuto un altro contratto di 109,5 milioni di dollari (95,9 milioni di euro) per ulteriori lavori sul sistema Trident, tra cui la guida ipersonica e il supporto per gli esperimenti di volo ipersonico, da concludersi entro settembre 2019.
Costruzioni Industrielles de la Méditerranée (Francia)
Constructions Industrielles de la Méditerranée è stata inclusa per la prima volta poiché sono disponibili maggiori informazioni sui componenti chiave specificamente progettati per l’arsenale nucleare francese. CNIM progetta e produce i sistemi di lancio sottomarini progettati per i missili M51 con armi nucleari.
Fluoro (Stati Uniti)
Fluor è coinvolta in diversi impianti di produzione di armi nucleari degli Stati Uniti. Attraverso una joint venture, Savannah River Nuclear Solutions (SRNS) ha un contratto da 8 miliardi di dollari (7,1 miliardi di euro) per gli sforzi relativi ai componenti chiave del programma W88 Alt 370, la testata nucleare dispiegata sul Tridente II (D5).
General Dynamics (Stati Uniti)
General Dynamics ha una serie di contratti sulle componenti chiave per i sistemi Trident II (D5) del Regno Unito e degli Stati Uniti. Un contratto iniziale di 30,6 milioni di dollari USA (28,2 milioni di euro) aggiudicato nel 2015 è stato ripetutamente modificato (anche cinque volte tra novembre 2017 e dicembre 2018) portando il valore totale del contratto a oltre 174,4 milioni di dollari USA (155,6 milioni di euro). Un’altra filiale di General Dynamics, General Dynamics Electric Boat, ha ricevuto nel settembre 2017 un contratto del valore massimo di 46,5 milioni di dollari (43,4 milioni di euro) per i lavori di integrazione per la produzione di kit di supporto alle armi strategiche del Regno Unito per i sottomarini della classe dei missili balistici Columbia. Nel 2018 tale contratto è stato significativamente modificato, prima nel mese di aprile, per 126,2 milioni di dollari USA (102,4 milioni di euro), e di nuovo per 480,6 milioni di dollari USA (414 milioni di euro) nel settembre 2018.
Honeywell International (Stati Uniti)
Honeywell International gestisce e amministra il National Security Campus (NSC) (ex Kansas City Plant), l’impianto responsabile della produzione di circa l’85% dei componenti non nucleari per le armi nucleari statunitensi nell’ambito di un contratto quinquennale di 900 milioni di dollari USA (817,4 milioni di euro) aggiudicato nel luglio 2015. È inoltre comproprietario di Savannah River Nuclear Solutions (SRNS), che ha un contratto da 8 miliardi di dollari (7,1 miliardi di euro) per gli sforzi relativi ai componenti chiave del programma W88 Alt 370, la testata nucleare dispiegata sul Tridente II (D5). Honeywell è inoltre associata ad altri impianti di produzione di armi nucleari statunitensi, tra cui un contratto da 5 miliardi di dollari (4,6 miliardi di euro) per il Nevada National Security Site e un contratto da 2,6 miliardi di dollari (2,5 miliardi di euro) per il Sandia National Laboratory. Entrambi gli impianti sono responsabili della produzione, del collaudo e della progettazione delle testate. Inoltre, Honeywell ha ricevuto nuovi contratti nel 2018 per un valore di 19,0 milioni di dollari USA (16,2 milioni di euro) per lo strumento di guida PIGA per il Minuteman III.
Huntington Ingalls Industries (Stati Uniti)
Huntington Ingalls Industries ha rilevato la gestione e le attività del Los Alamos National Laboratory nel 2018 con un contratto quinquennale del valore stimato di 2,5 miliardi di dollari USA (2,2 miliardi di euro) all’anno. Huntington Ingalls Industries fornirà “personale, sistemi, strumenti e servizi di ritorno dell’azienda nelle aree di produzione dei pozzi, produzione di plutonio, scale-up della produzione, operazioni e produzione nucleare”. Huntington Ingalls Industries partecipa inoltre a un contratto da 5 miliardi di dollari USA (4,6 miliardi di euro) presso il Nevada National Security Site, e da 8 miliardi di dollari USA (7,1 miliardi di euro) presso il Savannah River Site and Savannah River National Laboratory in South Carolina.
Jacobs Engineering (Regno Unito)
Jacobs Engineering fa parte del UK Atomic Weapons Establishment, che attualmente ha un contratto di 25 anni per la manutenzione dell’arsenale del Tridente britannico, per un valore di 25,4 miliardi di sterline (29,6 miliardi di euro). Jacobs faceva anche parte del gruppo che nel 2017 ha rilevato la gestione e le operazioni del Nevada National Security Site nell’ambito di un contratto decennale di 5 miliardi di dollari USA (4,6 miliardi di euro).
Larsen e Toubro (India)
Sono coinvolti nella produzione di componenti chiave per l’arsenale nucleare indiano. Tra questi, il sistema di lancio del missile nucleare Prithvi II. È anche coinvolto nel Dhanush, la variante navale del Prithvi-II.
Leidos (Stati Uniti)
Leidos è socio di minoranza di Consolidated Nuclear Services LLC (CNS), che ha rilevato nel 2014 la gestione e l’esercizio del National Security Complex Y-12 in Tennessee e della centrale di Pantex in Texas sulla base dello stesso contratto da US$ 446 milioni (€ 326,5 milioni). Questi impianti sono coinvolti nella produzione di trizio per le armi nucleari statunitensi e nelle modifiche alle testate M76/MK4A, W76-2, W80-1 e W88.
Leonardo (Italia)
Leonardo è una società italiana (precedentemente nota come Finmeccanica) coinvolta nell’arsenale nucleare francese attraverso MBDA-Systems. A partire dal 2016, MBDA ha iniziato la progettazione e lo sviluppo dell’aggiornamento a medio termine dei missili Aria-suolo di media portata (ASMPA) per mantenerlo nell’arsenale francese fino al 2035. Nel bilancio del Ministero della Difesa francese del 2019, sono previste tre consegne di ASMPA aggiornati dopo il 2019. MBDA è inoltre coinvolta nei lavori sul sistema futuro (ASN4G) che dovrebbe essere operativo dopo il 2035.
Lockheed Martin (Stati Uniti)
Lockheed Martin detiene i contratti del Tridente II (D5) per un valore di circa 6.550,1 milioni di dollari (5.730,4 milioni di euro). Di questi, 918,9 milioni di dollari (801,9 milioni di euro) sono stati assegnati tra marzo 2018 e gennaio 2019. Inoltre Lockheed ha almeno 495 milioni di dollari (413,6 milioni di euro) di contratti in sospeso relativi al Minuteman III ICBM. È coinvolta in un contratto di ricerca e progettazione per 900 milioni di dollari (764,2 milioni di euro) per il nuovo missile LRSO (Long-Range Standoff) dell’Aeronautica Militare statunitense. Le attività associate alle armi nucleari di Lockheed Martin non si limitano alla sola produzione missilistica statunitense. Fa anche parte del contratto di 25 anni di 25 miliardi di sterline (29,6 miliardi di euro) per la UK Atomic Weapons Establishment.
Moog (Stati Uniti)
Moog ha sviluppato veicoli di lancio e controlli missilistici strategici per i missili Minuteman III e Trident (D5). Moog fa inoltre parte del team Boeing che nel 2017 si è aggiudicato un contratto da 349,2 milioni di dollari USA (297,0 milioni di euro) per la crescita tecnologica e le attività di riduzione del rischio per il nuovo Deterrente Strategico di Terra.
Northrop Grumman (Stati Uniti)
Northrop Grumman sta attualmente cedendo le responsabilità a BAE Systems come principale appaltatore del sistema Minuteman III ICBM. Questo processo è iniziato nel 2013, ma ci sono stati ripetuti contratti “ponte” per un valore di oltre 165,0 milioni di dollari (128,3 milioni di euro), l’ultimo dei quali nel settembre 2018. Ora il processo di consegna dovrebbe essere completato nell’aprile 2019. Sebbene Northrop Grumman non sia più l’appaltatore principale dell’ICBM, ha ancora altri contratti relativi all’ICBM negli Stati Uniti, compresi quelli che ha rilevato quando ha acquisito Orbital ATK. Questi contratti aggiuntivi sono stati aggiudicati principalmente nel 2015, per un valore totale di circa 1.852,9 milioni di dollari USA (1.642,9 milioni di euro). Northrop Grumman, tramite ATK Launch Systems, si è inoltre aggiudicata un altro contratto relativo a Minuteman per 86,4 milioni di dollari (74,5 milioni di euro) nel settembre 2018. Northrop Grumman è inoltre coinvolta nei sistemi del Tridente II (D5) per gli Stati Uniti e il Regno Unito, con contratti in essere per un valore di circa 531,3 milioni di dollari (493,2 milioni di euro). Molte di queste attività produttive relative al Tridente II (D5) dovrebbero concludersi nel 2020. Northrop Grumman è inoltre collegata agli impianti di armi nucleari di Pantex e Y-12 attraverso un contratto da 446 milioni di dollari (326,5 milioni di euro) alla joint venture Consolidated Nuclear Services (CNS).
Raytheon (Stati Uniti)
Raytheon ha un contratto di 33,4 milioni di dollari USA (24,8 milioni di euro) per i lavori relativi al Minuteman III ICBMs. Raytheon è anche coinvolto nello sviluppo di nuove armi nucleari per gli Stati Uniti. Fa parte del team Boeing che lavora sul Ground Based Strategic Deterrent e nell’agosto 2017 Raytheon ha ricevuto un contratto quinquennale per 900 milioni di dollari (764,2 milioni di euro) per la nuova arma stabilizzatrice a lungo raggio.
Safran (Francia)
Safran è una società francese e due delle sue controllate (Snecma e Sagem) stanno sviluppando componenti chiave per i missili M51 per l’arsenale francese di armi nucleari. Safran fa anche parte della joint venture con la società olandese Airbus, responsabile della produzione in corso e della manutenzione dell’intero sistema missilistico. L’impresa comune è anche incaricata di svolgere i compiti previsti dal bilancio 2019 del ministero della difesa francese per tre consegne di ASMPA aggiornati dopo il 2019.
Serco (Regno Unito)
Serco è una società britannica impegnata nella gestione e nelle operazioni dell’Atomic Weapons Establishment (AWE) con un contratto di 25 anni (dal 1999 al 2024) per un valore di 25,4 miliardi di sterline (29,6 miliardi di euro).
Textron (Stati Uniti)
Textron ha un contratto da 17,2 milioni di dollari (12,5 milioni di euro) per convertire fino a sei veicoli di rientro Minuteman III MK 12A nella configurazione Mod 5F.
Thales (Francia)
Secondo il ministero della Difesa francese, Thales è uno dei subappaltatori di MBDA che fornisce missili a medio raggio aria/terra ASMPA alle forze aeree francesi.
United Technologies Corporation (Stati Uniti)
United Technologies Corporation ha acquisito Rockwell Collins nel novembre 2018 e l’ha rinominata Collins Aerospace Systems. Questa società ha un contratto da 76 milioni di dollari USA (67 milioni di euro) per la sostituzione del sistema di controllo del lancio aereo per i missili Minuteman III ICBM.
Walchandnagar Industries Limited (India)
Walchandnagar Industries Limited produce sistemi di lancio per la serie indiana Agni di missili nucleari armati.
per gentile concessione dell'agenzia di stampa Pressenza
Se non è un caso, e caso non è, l’ Alitalia in campagna promozionale per uscire dalle note strettoie finanziarie, non sembra curarsi di rendere la propria immagine adeguata almeno alle aspettative dei viaggiatori. Si è trattato di oltre 40 persone i cui bagagli sono stati lasciati a terra.
Questo è l’ennesimo disservizio della nostra Compagnia di bandiera che da un lato, continua a impegnare risorse economiche a non finire per evitare il fallimento, mentre dall’altro, mostra disinvoltura e noncuranza a creare estremi disagi ai passeggeri.
“Tutti giù per terra”
E’ vero che si trattava solo di bagagli ma questo fatto richiama un po’ per la ripetizione, l’ ultima strofa del noto ritornello.
Per la cronaca, si è trattato dello scarico di massa dall’ aereo Alitalia di tutti i colli di questi passeggeri che il 28 aprile scorso, da Nizza, si recavano a Roma con volo Az335 tra cui, il gruppo di 32 persone in ritorno dalla Francia che come italiani si erano affidati ad Alitalia.
Sarebbe interessante capire quale sia lo spirito che anima la attuale dirigenza Alitalia sul marketing del confort di volo, tanto da indurre i turisti a preferire la nostra Compagnia di bandiera Alitalia anziché un'altra. Guardando la situazione dall’esterno, sembra infatti, di trovarsi di fronte non a qualcuno, ma a molti dipendenti Alitalia, almeno in tacito accordo di mancata coesione con la loro Società. Non pochi infatti, sono le persone coinvolte in pesanti disservizi, sicuramente per i passeggeri, ma che dal punto di vista del risultato, nessuno sembra beneficiare.
L’ aereo sbilanciato
L’assurdo della vicenda è che dopo aver preso posto a bordo, l’aereo ha ritardato di 20 minuti la partenza prevista alle ore 19,15. Da informazione del personale di volo è stato appreso che il ritardo era imputabile ad uno sbilanciamento di carico per cui era necessario riposizionare le valige nella stiva, come se l’inserimento dei bagagli sull’aereo, aggiungiamo noi, fosse avvenuto con una ruspa che ha lasciato il tutto in un mucchio a caso, in un punto sbagliato.
D’altra parte gli addetti all’imbarco avevano avvertito che i bagagli a mano dovevano essere lasciati insieme agli altri più pesanti nella stiva, tanto che sull’aereo gli alloggiamenti dei bagagli leggeri erano rimasti praticamente vuoti.
Prima di partire viene annunciato a bordo che qualcuno dei colli consegnati, per questioni di peso “è dovuto rimanere a terra”, ma probabilmente nessuno pensava che al di sotto delle dimensioni massime previste, la qualcosa potesse riguardare le proprie valigie e tanto meno, il bagaglio a mano.
La sorpresa a Roma
Il coronamento di tanta disinformazione sulle reali cause del presunto sbilanciamento dei bagagli, è avvenuto dopo l’arrivo, quando i viaggiatori sono andati a ritirare le proprie valige. Altro che qualche valigia rimasta terra, come era stato annunciato alla partenza da Nizza. Si trattava invece di tutti i bagagli consegnati dal menzionato gruppo.
E’ allora che il lavoro degli addetti alla partenza si è rivelato nella sua piena disinvoltura nei confronti di chi a seguito di prenotazione, aveva pagato anticipatamente il biglietto.
I bagagli erano rimasti a Nizza perché erano stati scaricati, così è stato detto, per compensare questo fantomatico sbilanciamento di carico.
L’eccesso di peso
Vi era, come detto, tra i passeggeri del volo AZ 335 anche un gruppo di 32 partecipanti ad un convegno in Francia, che tornava a Roma. Poiché portavano i loro bagagli del peso previsto, non si poteva trattare di una condizione di eccesso di carico.
D’altra parte, non si dovrebbe neppure dedurre che per ragioni interne Alitalia, i responsabili della Compagnia aerea avevano preferito anticipare un nuovo carico di carburante in luogo del peso delle valige. Questo perché tutti gli aerei di dotazione nelle tratte assegnate prevedono il rispetto del margine di sicurezza a pieno carico dei passeggeri e di carburante. Quindi, regge poco l’ipotesi che i bagagli siano stati scaricati per imbarcare una maggiore quantità di carburante. Resta allora il mistero che Alitalia deve chiarire, perché non è possibile concepire un disguido accidentale dello scarico di oltre 50 valige mentre i passeggeri vengono disinformati dal personale di bordo che i bagagli erano stati riposizionati per equilibrare la stiva dell’ aereo.
Inutile attesa
Nel modo in cui tutto ciò è avvenuto, oltre al danno a cui i passeggieri sono stati sottoposti, è subentrata anche la beffa; la beffa di aspettare inutilmente per interminabili minuti i propri bagagli all’arrivo sul nastro scorrevole fino allo stop del servizio automatico, senza che alcuno avvisasse almeno quanto era avvenuto.
Oltre a questo, vi è stata l’ attesa di ore senza altra informazione se non quella che si evince da un comportamento di questo genere. Nel corso della notte infatti, i passeggeri hanno dovuto attendere pazientemente il turno per segnalare formalmente alla Compagnia, quanto la stessa avrebbe dovuto spontaneamente riferire ai propri sfortunati clienti.
A guisa di merce
Nessuna informazione, nessuna indicazione, nessuna persona della Compagnia per riferire ai passeggeri che il loro bagaglio era rimasto a Nizza.
I passeggeri del volo Az335 |
Questo è stato appreso solo dopo che il gruppo dei malcapitati utenti Alitalia, sono andati a chiedere spiegazione agli uffici aeroportuali di Fiumicino, e a presentare una prima denuncia per questo stato di cose agli addetti dell’Assistenza bagagli dell’ aeroporto.
L’altra ipotesi possibile è che, in assenza di ulteriori notizie, un fatto del genere possa essere imputato ad una sorta di boicottaggio nei confronti della stessa Compagnia. Ma se così fosse non si comprenderebbe la disinformazione dell’equipaggio di volo prima della partenza sulla vera causa di questo inconveniente.
Dal momento però, che in tutto l’ universo nulla accade senza un fine, non è possibile che in una organizzazione così meticolosamente funzionale, come dovrebbe essere quella di una compagnia aerea, gli eventi avvengano per fatalità. E il caso di cui si parla non è certo, quello accidentale della forza maggiore.
L’ Alitalia che specialmente in questo momento avrebbe motivo di dimostrare al mondo intero la propria efficienza e in specie nei voli internazionali, si presta invece attraverso i propri dipendenti al discredito, che ora per un motivo, ora per un altro, senza apparente vantaggio, rende sempre più penalizzanti i freschi investimenti di capitale per portare la società al suo effettivo valore di marcato.
Per un verso o per un altro
A conclusione di quanto avvenuto, è importante che Alitalia esprima in modo corretto quali sono stati i motivi di questo grave disguido, che a quanto è dato sapere, si avvale a Roma di uno o più servizi in pianta stabile per recapitare successivamente a domicilio i bagagli non consegnati all’arrivo. Un tale disguido ed in particolare quello di cui si tratta, incide pesantemente sulla sicurezza delle stesse persone che arrivano a destinazione nel cuore della notte e non si trovano neppure quanto hanno lasciato di indispensabile nei bagagli a mano per le loro immediate esigenze tra cui quasi certamente, le chiavi per entrare in casa nonché i farmaci di periodica assunzione, come ad esempio, i cardiaci e gli insulinici.
Qual è il motivo di tanta negligenza? E, se di negligenza si tratta, ci troviamo di fronte all’ auto discredito di una Compagnia che da una parte, chiede soccorso per non fallire per colpa dei suoi dipendenti responsabili, mentre dall’ altra, si espone alle meritate critiche dei suoi benefattori, perché se anche è “Pantalone” che paga, sono sempre i contribuenti che ripianano i debiti.
Alberto Zei
Il fondatore di WikiLeaks Julian Assange è stato arrestato stamattina presso l’ambasciata ecuadoriana a Londra, dove si era rifugiato nel 2012, mentre si trovava libero su cauzione nel Regno Unito per accuse di aggressione sessuale mosse contro di lui in Svezia.
All’epoca secondo il Guardian Assange sosteneva che se fosse stato estradato in Svezia avrebbe potuto essere arrestato dagli Stati Uniti e accusato per la pubblicazione da parte di WikiLeaks di centinaia di migliaia di dispacci diplomatici statunitensi. Tali accuse avrebbero potuto costargli lunghi anni di carcere, se non peggio.
Nonostante la Svezia abbia ritirato le accuse, il Regno Unito ha ostinatamente mantenuto il mandato d’arresto, con la motivazione che Assange non si era presentato in tribunale.
Durante il governo di Rafael Correa, l’Ecuador ha rispettato il dovere di mantenere l’asilo di Assange, ma dopo l’elezione di Lenin Moreno, suo successore ed ex vicepresidente, il clima politico è cambiato e l’Ecuador ha cercato legami più stretti con gli Stati Uniti. Il presidente ha iniziato a sostenere che Assange aveva violato le regole dell’asilo e ha limitato il suo accesso a Internet e ai visitatori. Sembra anche che Wikileaks lo abbia menzionato nei Panama Papers e che Moreno abbia accusato il sito di aver pubblicato fotografie private.
Un errore degli atti giudiziari americani mostra che le accuse penali contro Assange potrebbero essere state preparate in segreto.
Come riportato da Russia Today, l’arresto, durante il quale Assange è stato praticamente trascinato di peso fuori dall’ambasciata dell’Ecuador, è avvenuto dopo che il capo redattore di WikiLeaks Kristinn Hrafnsson aveva parlato durante una conferenza stampa di una vasta operazione di spionaggio condotta contro Assange nell’ambasciata, sostenendo che tale operazione puntava a ottenere la sua estradizione.
“L’Ecuador ha revocato illegalmente l’asilo politico concesso in precedenza a Julian Assange in violazione del diritto internazionale” si legge in un comunicato diffuso stamattina da WikiLeaks, mentre un portavoce del Ministero degli Esteri russo ha definito l’arresto di Assange “un duro colpo alla democrazia”.
Il fondatore di WikiLeaks è stato condotto in custodia nella sede centrale di Scotland Yard. Secondo un aggiornamento diffuso alle 13, Assange è poi comparso davanti ai magistrati. La procedura di estradizione verso gli Stati Uniti è stata confermata, nonostante il presidente ecuadoriano Lenin Moreno avesse assicurato che non sarebbe stato estradato in un paese dove vige la pena di morte. Il mandato di arresto lo accusa di cospirazione per aver pubblicato materiale segreto che rivelava crimini di guerra statunitensi commessi nel 2010.
Rafael Correa, ex presidente dell’Ecuador, ha definito nel suo profilo Twitter l’attuale presidente del paese, Lenín Moreno, “il più grande traditore della storia dell’Ecuador e dell’America Latina,” per aver permesso “alla polizia britannica di entrare nella nostra ambasciata di Londra per arrestare Assange”.
Secondo Correa il governo aveva l’obbligo di proteggere Assange, che oltretutto è cittadino ecuadoriano dal 2017. La decisione di Lenin Moreno “non sarà mai dimenticata dall’umanità” ha concluso Correa, denunciandola come “un atto atroce, frutto di servilismo, viltà e vendetta”.
Per gentile concessione dell'agenzia di stampa Pressenza
Si è svolto da venerdì a domenica scorsi al Monastero del Bene Comune a Sezano vicino Verona l’incontro nazionale di Pressenza che concludeva la serie di eventi per i 10 anni dell’Agenzia Internazionale per la Pace e la Nonviolenza e riuniva giornalisti ed attivisti con lo scopo di lanciare la rete tra giornalisti indipendenti ed attivisti sociali.
Sono stati tre giorni molto intensi, affettuosi, produttivi e che tutti i partecipanti hanno registrato come momenti di grande sintonia.
L’incontro, che ha avuto diversi momenti di lavoro plenario e a gruppi, ha ospitato una videoconferenza da Barcellona con Riccardo Gatti di Open Arms che ha risposto alle domande di molti dei partecipanti (una sintesi di quest’intervista collettiva sarà disponibile nei prossimi giorni su Pressenza); altri momenti importanti sono stati il mini corso di storytelling video di Sarah Marder e la sezione dedicata al Reddito di Base con la presenza di Juana Perez e del suo documentario e di Natale Salvo con il suo libro.
Ma il filo conduttore che ha percorso l’intero incontro è stato quello della costituzione della rete tra giornalisti indipendenti e attivisti che aveva già animato i precedenti incontri di città; forti di quelle esperienze già alcune concrete iniziative erano in moto come quella di creare pacchetti di RSS con informazione tematica certificata, un calendario condiviso di eventi sociali e culturali come quello già in moto sul sito di PeaceLink, materiali formativi tecnici su come migliorare la visibilità delle informazioni che veicoliamo, un ebook e un seminario gratuito per le associazioni che vogliono imparare a comunicare i propri contenuti in modo efficace, l’ipotesi di realizzare un periodico gratuito che venga distribuito nei bar come risposta alla disinformazione e come modo di uscire dalla “nicchia” degli addetti ai lavori.
Infine si è elaborato e dibattuto un testo fondativo della rete, se ne è cercato un nome e un logo in modo che, dopo le opportune e veloci consultazioni ai membri della rete che non sono potuti essere fisicamente presenti si possa iniziare una campagna di adesioni a questa rete aperta a persone, collettivi, associazioni e media grandi o piccoli che siano.
Giancarlo Fassina |
Venerdì 29 marzo, all’età di 84 anni, è morto a Milano Giancarlo Fassina, noto designer italiano.
A darne la notizia l’Adi - Associazione per il disegno industriale-. E così il “Mago della luce” è passato alle tenebre.
Il nome di Fassina è indiscutibilmente legato ad Artemide, l’altrettanto nota azienda di lampade e sistemi di illuminazione che lo ha visto protagonista, insieme a Michele De Lucchi, nella progettazione della lampada Tolomeo. Progetto che gli valse, nel 1989, il “Compasso d’Oro”, il più importante premio Italiano per il design.
Grazie alla collaborazione con Artemide, Fassina partecipa al progetto per l’illuminazione della mostra su Hayez a Palazzo Reale di Milano e a quello per l’Aula Magna dell’Accademia di Brera.
Ma è proprio la Tolomeo, l’iconica lampada, a conferire a Fassina l’indiscussa notorietà che oggi ce lo fa ricordare e, a buon diritto, annoverare fra i mostri sacri che hanno lasciato un’impronta permanente nella storia del nostro design.
Lombardo di origine, si era diplomato all’istituto superiore di ingegneria a Friburgo, in Germania e dopo laureato al Politecnico della stessa città.
Formazione d’oltralpe quindi ma talento tutto italiano.
Architetto, ancorché designer, entrò in Artemide nel 1959 con il ruolo di direttore Ricerca e Sviluppo, poco dopo la fondazione dell’azienda stessa, avvenuta grazie all’opera di Ernesto Gismondi, ingegnere aerospaziale e Sergio Mazza, architetto.
La filosofia del Gruppo Artemide è chiara sin dagli esordi. Un’azienda che avrebbe dovuto posizionarsi nella fascia alta del mercato, avendo come target di riferimento gli utenti sensibili al valore estetico degli oggetti.
Non a caso è il periodo di Ettore Sottsass e di Memphis che non poca influenza hanno avuto sulla formazione culturale di De Lucchi, coproggettista, insieme a Fassina,del best seller di Artemide.
Innegabile: Memphis ha segnato un prima e un dopo cultura nel nostro Paese.
In un’intervista proprio sulla nascita della Tolomeo, De Lucchi, classe 1951, racconta del rapporto con Gismondi e di una ristretta cerchia di giovani architetti, pieni di speranze che faceva capolino a Ettore Sottsass in via Dei Fiori Chiari a Milano “a quel tavolo dove mangiava ogni giorno a pranzo e a cena”.
E tra questa ristretta cerchia di progettisti con lo sguardo proiettato al futuro nasce l’idea della Tolomeo. Perché la Tolomeo più che un prodotto è un’idea!
L’idea di creare e inventare un nuovo meccanismo, l’idea di usare la Luce.
Sicuramente nell’idea, nel sogno sta il segreto di un oggetto che già nel 2017 ha festeggiato i suoi primi 30 anni, occasione per la quale è andata ad Amburgo, vestita d’oro e che è ancora attualissima.
Oggi infatti la lampada, nelle sue varie versioni, la troviamo nelle case, negli uffici, negli alberghi, sui tavoli degli architetti, persino in ambientazioni cinematografiche e negli studi degli investigatori americani.
Icona del suo tempo, icona di ogni tempo.
Tecnica e domestica, dalla prima versione da tavolo, la Tolomeo ha dimostrato di sapersi evolvere nel tempo pur rimanendo se stessa. Una sfida difficile ma possibile a giudicare dalle statistiche di mercato. Il Gruppo, infatti, ha dedicato alla Tolomeo un’intera azienda.
Artemide è oggi un marchio di riferimento in tutto il mondo, vanto del design made in Italy.
La sua filosofia si è sintetizzata nella frase “The Human Light”, l’uomo al centro della performance di ogni apparecchio per l’illuminazione.
Il Gruppo ha sede a Fregnana Milanese, impiega attualmente circa 750 dipendenti e i suoi prodotti vengono distribuiti in 98 Paesi diversi.
L’ispirazione al progetto venne, come riferisce De Lucchi, nell’osservare i pescatori che pescano con la lenza. Decisive poi alcune sostituzioni di parti metalliche con nylon ad opera di Fassina. Curioso particolare: la lampada conta una sola vite in tutta la struttura e viene tenuta assieme grazie alla tensione delle molle.
Il nome poi…scelto e deciso solo la sera prima che venisse presentata al Salone del Mobile di Milano. E quale poteva essere per un progetto così ambizioso e dalle pretese quasi scientifiche se non quello del famoso astronomo e matematico di Alessandria d’Egitto?
“La Tolomeo è una formula, una filosofia di prodotto”, così la definisce il suo creatore in un’intervista pubblicata su “Lighting Frields” n.6 di Artemide.
Un prodotto capace dopo 30 anni di illuminare con la sua stessa forza il futuro.
E proprio mentre Fassina lascia la scena, Abitare ha deciso di celebrare i 50 anni del deign italiano, dal 1961 al 2011, in occasione del Salone del Mobile di Milano, indiscussa kermesse di riferimento mondiale, del prossimo 14 aprile.
“Un lungo fiume” che inizia con Giò Ponti e termina con gli artisti del nosro decennio. E in mezzo tanta storia fra rivolta e rivoluzione in senso etimologico.
Se guardiamo alla nascita del design italiano, tutto, in un certo senso, ebbe inizio quando venne riconosciuto da chi ci guardava oltreoceano. Era il 1972 e la mostra “Italy: The New Domestic Landscape” curata da Emilio Ambasz al MoMA di New York sanciva il primato del mobile italiano.
Talvolta accusato di elitari età, come avvenne nel caso di Tafuri, tuttavia ad oggi il design italiano rimane comunque una delle più solide strategie anticrisi: nel 2017 le oltre 192.446 imprese europee di design hanno prodotto un fatturato pari circa a 25 mld di euro. Di queste quasi una su sei parla italiano. E’ anche grazie al design se il made in Italy è oggi il terzo marchio più conosciuto al mondo (dopo Coca Cola e Visa).
E mentre il Ministro per i Beni e le attività culturali, Alberto Bonisoli, auspica la possibilità della nascita del primo Museo del design in Italia, il report Design economy conferma che il nostro Paese mantiene un ruolo di leadership nel settore design.
Volendo parafrasare Le Corbousier, secondo un suo concetto espresso “ante litteram”: l’oggetto diventa di design nella misura in cui riesce ad abbandonare la forma semplice e porta la forma nell’ambito di una visione del mondo.
L’oggetto è quello che rimane anche dopo che è crollato il sogno.
Un ribaltamento del punto di vista, una visione che da un piano estetico passa ad un piano etico.
E in siffatto contesto non suonerà certo anacronistico il vecchio, caro adagio: “La bellezza salverà il mondo”?
Emilia Di Piazza
Che cosa sono la cronaca, la storia, la realtà, la comunicazione, la verità, il potere, la politica, il linguaggio? Come funzionano? Come sono cambiati nel tempo? Come sono ora? Che cosa stiamo vivendo? E come?
Sono solo alcune delle domande che, forse, più o meno consciamente ci poniamo, o, forse, ci dovremmo porre.
E, forse, se non per dare delle risposte, ma almeno per suggerire, se non imporre, delle ipotesi, più o meno accreditate, nascono i nuovi mezzi di comunicazione o media.
Cartelloni pubblicitari con lo slogan «Cambia canale. Unisciti alla resistenza» e infine una presentazione ufficiale, hanno annunciato l’arrivo di NSL Media.
In onda dall’11 febbraio 2019 su digitale terrestre, Sky e radio FM, è la prima emittente ibrida italiana, cioè televisione e visual radio insieme.
I contenuti del palinsesto riguardano i temi sensibili della difesa dell’ambiente e del mondo animale, dei diritti umani, della valorizzazione delle arti, delle culture, delle scienze e delle nuove tecnologie. Per tali temi la collaborazione è con le associazioni non governative più conosciute e attive da lunga data, come Medici senza Frontiere, Greenpeace e Sea Shepherd.
Il linguaggio scelto per la comunicazione è quello rock, diretto, libero, ma non per questo superficiale o non professionale.
Sia i fondatori che i conduttori vengono da esperienze variegate e miste che uniscono il sociale con la natura e con lo spettacolo.
Attualmente NSL è in onda sul canale 74 del digitale terrestre nel Lazio, 194 in Lombardia, 816 della piattaforma Sky e 57 di Tivùsat. In radio la frequenza da sintonizzare è 90.0 FM per Roma e per il Lazio. In streaming e tramite App il sito da raggiungere è www.nslradiotv.it. Inoltre è presente su Facebook, Instagram e Twitter.
L’obiettivo da raggiungere per il 2019 è il passaggio al digitale terrestre nazionale.
Per ricordare i tre giornalisti turchi, ieri, condannati da Erdogan (L'efferato) all'ergastolo. Con una ora di libertà (di luce) per ogni giornata di carcere (peggio del 41/bis: carcere duro) Evviva al grande Erdogan (Il Macellaio), ricevuto con tutti gli onori dal "Papa Bergoglio", dal Capo di Stato "Mattarella" , dal Capo del Governo "Gentiloni". Ma esiste la dignità o la vergogna ???? Cicerone affermò che “Socrate fu il primo a fare scendere la filosofia dal Cielo" . Fantastica l'affermazione di Socrate : “io so di non sapere”. È stato il primo che volle morire di "sua volontà", affinché non si proibisse la creatività del sapere e la libera espressione. Sia sulle questioni religiose e sia sulla "Polis", essenza politica della sua Atene. Il processo a lui intentato fu, in primo luogo, un processo politico contro i pensieri di un uomo considerato "nocivo e pericoloso ", perché portava idee nuove ( etica e sofismo morale) e mostrava l’inadeguatezza dei politici (Meleto) al governo della città di Atene. Idee, concetti, discorsi che rappresentavano la Laicità assoluta, abbinata al concetto "primario" della onestà degli stoici. Unita al movimento dei Sofisti, con il quale Socrate era legato. Ciò perché i giovani condividesserro l’interesse per il libero pensare e per le nuove scuole filosofiche, stoiche e sofiste. Che differenza c'è tra Stoicismo e Sofismo??? In senso morale ed eticola Laicità è l'indipendenza asso luta del cittadino da qualsiasi tipo di autorità, l'autorità opprimente politica o l'autorità oppressiva religiosa. Le quali credono di essere le uniche depositarie del diritto divino e civile. Riguardo al diritto divino, infinitamente è stato scritto su Dio. Il Dio che ha creato il nostro Universo. Quindi esiste Dio ma il Dio di tutti. Conseguentemente Dio non può appartenere a una sola religione ma a tutte le religioni. Penso, come persona dotata di una coscienza laica, che bisogna stare sempre in "allerta" quando una politica o una religione o un nuovo modo di governare si trasforma in uno strumento di governo"autoritario" della società.(Basta pensare a Meleto di Atene e alla sua democrazia, già inaridita nella 'Agorà ateniese , e guardare " oggi " alla grande Turchia del massone Ataturk, paese nato laico e massonico e ora Ultra mussulmano e Ultra totalitario ) La laicità di uno Stato si concilia sulla differenziazione tra il potere temporale e il potere spirituale. Il potere temporale è demandato agli stati che sono sovrani e padroni di se stessi.Il potere spirituale è appannaggio della Chiesa. L'importante è che si rispetti la libertà di pensiero e la libertà di culto, per tutti. Sempre e per sempre. Evviva al grande"delinquenziale" Erdogan.
Nel 2016 Enzo Bianco, Sindaco di Catania, come sempre patrocinato dall’avv. prof. Giovanni Grasso (che è anche avvocato pagato dal comune), decise di denunciare penalmente “Catania Bene Comune”, uno dei pochi soggetti di opposizione all’amministrazione comunale. Oggetto della denuncia un comunicato inviato alla stampa nel quale si esprimeva l’opinione politica di un soggetto politico. Un comunicato diffuso all’indomani della pubblicazione dell’intercettazione della telefonata tra il su detto sindaco Enzo Bianco, allora candidato Sindaco, e Mario Ciancio, in attesa di rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa, in merito all’approvazione del PUA, progetto di cementificazione del litorale catanese. E Insieme a “Catania Bene Comune”, il Sindaco di Catania, denunziò il quotidiano “Iene Sicule”, diretto da Marco Benanti, colpevole di essere una delle testate giornalistiche ad aver riportato le parole di “Catania Bene Comune”.
La Procura di Catania chiese l’archiviazione non ravvisando alcun reato, ma Enzo Bianco si oppose e il 4 febbraio è arrivata la decisione del GIP Salvatore Ettore Cavallaro: Benanti e Iannitti devono andare a processo. Per il Gip la notizia e' "tale da'suggerire' e diffondere una 'notizia' nuova ed ulteriore, tuttavia non riscontrata, ossia la contiguita' di Bianco con ambienti mafiosi".
Il tentativo di utilizzare la giustizia penale come strumento di intimidazione politica e di censura dell’informazione è gravissimo, inaccettabile, incompatibile con qualsiasi sistema democratico.Un sindaco che pensi di reagire a critiche ed opposizioni con l’arma intimidatoria della querela, arrivando persino ad opporsi alla richiesta di archiviazione della Procura non è indice di saggezza. Sono passati oltre due anni e due cittadini per bene, il leader politico di opposizione Matteo Iannitti ed il giornalista Marco Benanti, sono ancora sotto processo per una cosa assurda, mentre chi ha causato il dissesto della città e, come ormai acclarato dalla Corte dei Conti, falsificato per anni i bilanci pubblici, risulta ancora a piede libero e neanche indagato.
In Italia i giornalisti che hanno subito minacce, abusi e altri attacchi dal 2006 a oggi sono 3.722. Troppi per ricordarli tutti. La libertà di stampa è sotto attacco: 445 aggressioni fisiche nell'Ue dal 2014 al 2018, con l'Italia in testa alla classifica. E poi, secondo il report Demonishing The Media, ci sono gli omicidi e le molestie online. E nel mondo, spesso, i più in pericolo sono i cronisti locali.
La Free Lance International Press esprime tutta la sua solidarietà agli indagati per diffamazione, sapendo bene quanto costi, anche solo in termini di tempo, subire queste violenze spesso intimidatorie: giorni e giorni, mesi, anni persi tra notifiche, identificazioni, interrogatori, udienze. Uno scandalo!