L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Free mind (195)

Lisa Biasci
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NASCONDEVA IN CASA PISTOLE, GIUBBOTTI ANTIPROIETTILE, FUCILE A CANNE MOZZE E COCAINA. 2 ARRESTATI E 2 DENUNCIATI DALLA POLIZIA DI STATO.

 

ghheryRoma, 11 settembre 2017 -- Le indagini hanno preso il via nell’agosto scorso, a seguito di un furto portato a termine nell’appartamento di un professionista romano, abitante nei pressi del Pantheon, da dove erano stati asportati gioielli ed altri oggetti preziosi per un valore di oltre 150 mila euro, custoditi in una cassaforte.
La successiva attività investigativa degli agenti del commissariato Trevi Campo Marzio ha consentito di accertare che, nei giorni precedenti il furto, due persone sospette a bordo di una moto erano state notate in zona, tanto da far pensare che fossero stati impegnati in attività di “sopralluogo”.
Grazie alle indagini effettuate, i due erano stati identificati per T.M., romano di 40 anni ed un 47 enne, anch’egli romano, entrambi con precedenti di polizia mentre la proprietaria dello scooter era risultata essere T.S., romana di 49 anni, abitante a Torrespaccata, anch’ella con vari precedenti di polizia.

A quel punto gli investigatori del commissariato, dopo aver richiesto ed ottenuto dall’autorità giudiziaria i decreti di perquisizione, si sono recati a casa degli indagati.
Dopo aver suonato alla porta della T.S. senza ricevere risposta, si sono accorti che la donna, aperta una finestra, aveva gettato nel cortile una piccola cassaforte.
Una volta riusciti ad entrare, gli agenti hanno proceduto alla perquisizione dell’abitazione, rinvenendo un giubbotto antiproiettile, un fucile a canne mozze, due pistole semiautomatiche con matricola abrasa, numerosi proiettili nonché 70 grammi di cocaina e tutto il necessario per il confezionamento delle dosi.

Le ulteriori indagini hanno consentito di accertare che tutto il materiale sequestrato era di proprietà di T.M. e che la donna, sua complice, lo aiutava, nascondendolo in casa propria.
Nella cassaforte recuperata, invece, risultata essere di proprietà di un 24enne romano, è stata rinvenuta una pistola semiautomatica con matricola abrasa e silenziatore artigianale con relativo munizionamento, una placca delle forze dell’ordine ed un paio di manette.
Il giovane è stato denunciato all’autorità giudiziaria.
Durante la perquisizione a casa del T.M., gli agenti hanno sequestrato una cospicua somma di danaro contante.

L’uomo, insieme alla T.S., è stato accompagnato negli uffici di polizia dove sono stati poi arrestati e condotti in carcere.
A casa del 47enne romano invece, gli investigatori hanno rinvenuto alcune ricetrasmittenti sintonizzate sulle frequenze delle forze dell’ordine, motivo per il quale è stato denunciato all’autorità giudiziaria.
Le successive indagini cercheranno di stabilire la provenienza del materiale sequestrato ed il suo eventuale utilizzo in azioni delittuose.

 

Ecco come potrebbe essere il Paradiso, cani e gatti compresi. Fino ad ora sono state raccontate solo teorie fuorvianti, fin dai tempi in cui si è iniziato a parlare dell’aldilà, a partire dalle divinità del passato, per finire poi a Cristo, Dio, Spirito Santo e Papi di ogni genere, fino agli islamici tagliagole. Ma nessuno sa veramente cosa ci attende dopo la morte, ne come si possa giungere nell’aldilà, e per quali meriti. Tutto nasce dal fatto che l’uomo non accetta la morte. Intanto c’è da chiedersi che fine abbiano fatto tutti coloro che sono defunti prima di Cristo e prima di Allah, e che hanno adorato, a modo loro, una serie infinita di divinità.

Nessuno lo ha spiegato. Dunque, sgombrato il campo dalle varie false teorie religiose, cerchiamo di guardare, invece, la realtà che è ben rappresentata nella natura che ci circonda, che ha un suo ciclo vitale, che si rigenera puntualmente, dall’uomo , agli animali, alle piante. Il prosieguo della vita è nei figli. Detto ciò, ed alzando gli occhi al cielo, ci si rende conto che l’Universo non è nato da solo, ma che qualcuno, al di fuori della nostra portata mentale, lo ha creato. Per farci cosa? E l’uomo che c’entra? Forse un Padre che ha voluto dei figli in grado di amare? Amore per gli umanoidi e verso la natura creata, un fax simile di Paradiso terrestre? E l’unico comandamento di vita dovrebbe essere quello di non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso. Ma le religioni hanno sempre manipolato tutto per condurre la gente, come pecore, sottomesse ai loro poteri. Ed in tutto il caos delle religioni, personalmente salverei solo i francescani, gli unici che predicano bene e non razzolano male.

Ed i miracoli, sotto la stretta osservanza della Chiesa, come si giustificano? Con preghiere che ne Dio e Santi non sono in grado di ascoltare? I miracoli sono solo il frutto delle energie che vivono in noi, energie del Padre, le uniche in grado di poter interferire con la carne. Energie che viaggiano nel pensiero, che se inviato nell’aldilà, ritorna amplificato, pronto a generare interferenze sulle persone malate. Ma la storia non finisce qui, perché dato che il Padre ha in se anche il germe della giustizia, le energie possono essere usate anche per inviare qualcuno all’altro mondo. Il sottoscritto ha avuto esperienze di entrambi i casi, con tanto di testimonianze. Per quanto riguarda, poi, il post mortem, nessuno si chiede come saremo riconosciuti, ne come, eventualmente, potremo attraversare i confini dell’Universo. Se si dovesse viaggiare alla velocità della luce, non si arriverebbe mai. Ed inoltre, come saranno riconosciuti i buoni dai cattivi? Sicuramente esiste una luce, quella bianca descritta da chi è ritornato in vita, dopo attimi di stand bay, che circonda la Terra, una luce in grado di riconoscere i colori buoni dell’anima-pensiero.

E per coloro che non vengono riconosciuti si riapre nuovamente l’Inferno in Terra. E come potrebbe essere il Paradiso? Ogni anima-pensiero si porterà dietro il proprio bagaglio di vita, animali compresi, e potrà, come in un sogno ricreare tutte le belle emozioni vissute, sia con i propri cari ed amici che con i propri gatti e cani, per chi ne ha avuti. Probabilmente, un mondo in cui il pensiero potrà rigenerare all’infinito tutto ciò che di bello ha vissuto negli affetti, nell’amore, anche verso il prossimo, ed in grado anche di sconfinare ben oltre. L’armonia della natura ne è la dimostrazione cosmica. E per vedere le distorsioni umane c’è dal rilevare che l’uomo nasce nudo, mentre poi muore vestito. Come si andrà, eventualmente, nell’aldilà? Con giacca e cravatta? Si metteranno tutti a ridere sull’imbecillità dell’umano che non ha capito nulla dell’importanza della vita, che invece dovrebbe servire per cercare di comprendere il mistero della creazione, e non l’accumulo di ricchezze fine a se stesse o vestiti sfarzosi, gioielli compresi. E chi non riesce a mettere le ali all’anima, in Terra, è già defunto, ancor prima della morte corporale.

Leggo ogni giorno le auliche disamine politiche e sociali dei miei colleghi che scrivono su quotidiani e periodici online e cartacei. Queste pregevoli analisi hanno una pecca; non raccontano quello che al cittadino viene nascosto cercando di avvicinarsi il più possibile alla verità. Non rappresentano il mestiere che queste persone si sono scelti: raccontare dei fatti.

Leggo anche notizie di ogni giorno che arrivano da sole al cronista come lettere inviate con prioritaria al mittente: l’incidente, l’incendio , la rissa che uccide alla luce del sole e vedo la capacità di raccontare ma mi sfugge la facoltà del cronista di vedere oltre l’apparenza, di svelare ciò che si vuole nascondere all’opinione pubblica. Percepisco desolante l’assenza di domande che si pone il professionista , specialmente chi tratta di politica abituato ad eleganti e noiose conferenze stampa dove la notizia è preconfezionata e comoda. E questa mancanza di coraggio , di iniziativa di curiosità che si è tradotto in un continuo anelito al privilegio e alla sicurezza ha creato dei pezzi che altro non sono che uno sfoggio inutile di citazioni colte, parole straniere, motti latini una perenne gara, mi si perdoni la volgarità, “a chi ce l’ha più lungo” che non informa, non sveglia le coscienze e annoia il lettore che si allontana inesorabilmente dalla lettura dei quotidiani.

Capisco i disagi dei colleghi che hanno avuto la fortuna di avere una scrivania nella redazione di un grande quotidiano, sono loro nel cuore, massacrati dalla politica italiana onnipresente che ha imposto una linea all’editore e delle direttive al direttore, quest’ultimo impegnato a capire dove soffia il vento favorevole all’arrivo dei lettori quel vento che porti clienti , entrate e nuovi e obbedienti capiredattori piuttosto che tagli e lo stress di quelli rimasti. “Vendere un giornale è come vendere un dentifricio”, mi disse il direttore di un quotidiano della mia città che infatti chiuse due mesi dopo. Redazioni con figure professionali non allineate, senza nessuna empatia, spesso in contrasto. Comprendo la reticenza dei colleghi nel voler esprimere un proprio parere anche là dove sarebbe loro diritto per esempio sulla pagina fb luogo virutale deputato al libero pensiero, imbevuti di quell’omertà che si portano nelle tasche dalla redazione alla scrivania di casa, spacciandola per imparzialità richiesta dalla deontologia professionale e li apprezzo quasi per la loro pacatezza che non incrementa inutili polemiche e i loro buonismo che costa poco, lascia una scia dolciastra nell’aria e fa fare molta figura.

Lo so, la ricerca della merce avariata dietro la vetrina è scomoda, puzzolente, pericolosa è vero e capisco la loro scelta così come la loro indifferenza nei confronti delle richieste di aiuto di coloro che invece hanno scelto di raccontare dei fatti scomodi: appalti truccati, corruzione, infiltrazioni mafiose, ingerenza della politica, violenze su minori ad opera di insospettabili, insomma di scrivere quei pezzi dove le citazioni sarebbero fuori luogo e i latinismi ridicoli. Capisco, sono piena di umana comprensione perché anche io per lungo periodo mi sono messa in condizione di non scoperchiare nessun vaso di Pandora, io mi sono messa in un angolo però non ho mistificato con la pretesa di insegnare con i miei articoli la vita e la cultura. Una umana comprensione che viene meno quando vedo l’accanimento e l’accusa nei confronti di chi il suo lavoro lo fa davvero. Questo davvero mi fa arrabbiare. Io capisco ma voi no. Io sono clemente ma voi girate il coltello nella piaga, date l’ultima coltellata al collega che sta mettendo in gioco la sua vita per informare, quel colpo che fece esclamare all’ormai esanime Giulio Cesare “Tu quoque, Brute, fili mi?”.

Voglio chiudere anche io con una citazione latina per solidarietà con voi. Non vi odio, non vi disprezzo, non sono nessuno per farlo, mi limito a dare il consiglio che do ogni volta a me stessa: più coraggio, meno autocompiacimento letterario, più verità e meno cattiveria.

 

fonte http://www.francescalagatta.it

Enrico La Rosa, Ammiraglio in pensione, già rappresentante italiano in gruppi di lavoro NATO per il supporto logistico alle forze impegnate in operazioni multinazionali di peacekeeping, e in seguito (anni '90) addetto militare in Algeria e ufficiale di collegamento tra la Marina italiana e quella bulgara, oggi è presidente dell’associazione “OMeGA” (“Osservatorio Mediterraneo di Geopolitica e Antropologia”), centro studi che vuole ricoprire un ruolo di “Think tank” in tutto ciò che riguarda il “Mare Nostrum”.

Con lui facciamo un bilancio dell’iniziativa di OMeGA “Lungo le rotte del corallo”, un viaggio di pace e di ricerca del dialogo, dalla Sardegna alla Tunisia, svoltosi nella prima metà di luglio come parte essenziale del progetto “Rotte Mediterranee”, realizzato col supporto decisivo della Fondazione di Sardegna.

Domanda: Ammiraglio, quest’iniziativa si articolava in una serie di convegni preparatori (tra Roma, quest’ inverno, e Cagliari, ai primi di luglio). Che riscontro avete trovato, anzitutto, nella società sarda?

Risposta: Al convegno di Cagliari c’è stato un buon riscontro da parte del pubblico, specialmente di nicchia, interessato alle vicende mediterranee, e di piccole e medie imprese agroalimentari. Da alcune delle quali abbiamo raccolto adesioni alla prossima edizione di “Rotte Mediterranee”: che vogliamo organizzare nella primavera-estate 2018.

D: Come sarà articolata?

R: Mantenendo la formula della centralità del Mediterraneo, sia come mezzo da solcare e domare, sia per il suo grande potenziale evocativo e rievocativo (da Ulisse ed Enea ai navigatori arabi, ecc…) e come palcoscenico di futuri incontri. Con interlocutori al di fuori delle ottiche politiche, scelti nella comunità intellettuale, delle professioni, ecc... Per l’appuntamento del prossimo anno punteremo sull’adesione di persone singole o in coppia, disposte a noleggiare singoli posti barca su imbarcazioni modernissime e sicure, complete di ogni confort, a prezzi accessibili. Sarà una vera e propria regata per la pace.

D: E a Tunisi, poi, che situazione avete trovato?

R: Un clima tutto sommato sereno e pacifico, ospitale nei confronti degli occidentali, specialmente degli italiani: solo andando nei vecchi quartieri residenziali europei, oggi in gran parte abbandonati o comunque trascurati, percepisci chiaramente, nella stessa laica Tunisia, un certo vento di rifiuto del mondo occidentale. Ci è dispiaciuto, poi, il 5 luglio, visitare lo stupendo Museo del Bardo con la desolazione delle sale pressoché vuote; purtroppo è un luogo rimasto tabù, dopo l’attentato sanguinoso del 2015.

D: E che mi dice del convegno tunisino del 6 luglio?

R: Il 6, presso la sede dell’Istituto Italiano di cultura della nostra Ambasciata a Tunisi (che ringraziamo ambedue calorosamente, per la perfetta organizzazione della cosa e il supporto logistico che ci hanno dato in tutti i modi), il convegno è ottimamente riuscito. Abbiamo cercato di capire le ragioni dello stallo del dialogo nel Mediterraneo e proporre soluzioni per avviarne il superamento: han partecipato al dibattito esperti di prim’ordine, come Mohammed Hassine Fantar, docente all’ Università di Tunisi e incaricato del Governo per il dialogo con le religioni, Germano Dottori, dalla LUISS e analista per “Limes”, Marco Lombardi, docente all’ Università Cattolica di Milano, Mohamed Menzli, giornalista della radio tunisina, e altri.

D: Cosa è emerso, in particolare, dell’ attuale situazione del Mediterraneo?

R: Tutto lo scacchiere, oggi, è gravemente instabile: da un lato per le mire delle grandi potenze (acuitesi dal 2011, con le Primavere arabe, in cui si sono fortemente inserite, e le gravi crisi in Libia, Egitto e Siria), dall’altro per l’acuirsi dei contrasti su base religiosa. Nonostante tante Costituzioni d’impronta liberale, in tutti questi Paesi l’Islam resta, in sostanza, la religione di Stato, con conseguente emarginazione di tutti gli altri credenti. Però a Tunisi, a parte pochi interventi improntati al malumore verso l’Occidente e l’attuale dirigenza tunisina, dal convegno è emersa, nel complesso, una gran voglia di dialogo, soprattutto con Francia e Italia, che restano essenziali punti di riferimento.

D: E che progetti ha OMeGa per il futuro?

R: Anzitutto, promesse di iniziative comuni con i Paesi dell’area mediterranea. Cercheremo altri partner, iniziando da coloro che ci hanno aiutato all’esordio di quest’anno, e con essi organizzeremo altri momenti di confronto per rilanciare dialogo e cooperazione, stavolta su aspetti più immediatamente pratici. Nell’immediato, in autunno, organizzeremo a Roma un incontro, al quale inviteremo i relatori di Tunisi, un confronto di bilancio e di riflessione.

Ringrazio fortemente, in chiusura, tutti gli altri enti che ci hanno patrocinato e variamente sostenuto: Ansamed, le Ambasciate tunisina e algerina in Italia, la rete maghrebina del Ministero degli Esteri, l’Istituto per il Commercio Estero, ora Italian Trade Agency, l’Unione delle Università del Mediterraneo, l’Associazione Medici d’ Origine Straniera in Italia (AMSI), l’ Unione Medica Euromediterranea (UMEM), le Comunità del mondo Arabo in Italia (Co-mai), il movimento Uniti per Unire, e tutti gli altri.

La cosiddetta Zakhat, pagata da due milioni di musulmani in Italia, viene gestita completamente in nero

Milioni di euro che finiscono nelle casse delle moschee italiane, completamente non rintracciabili, in nero, come se nemmeno esistessero. Sono i soldi donati dalle varie elemosine rituali rispettate dai musulmani ogni anno, tra obbligatorie e facoltative, che generano un giro di di circa 10 milioni di euro all'anno che si uniscono alle decine di milioni già donati da Stati come il Qatar, la Turchia, l'Arabia Saudita, il Marocco e varie piccole e grandi associazioni italiane e straniere. Senza contare la proposta di destinare l'8 per mille alla costruzione delle moschee in Italia, una mossa che, come ha sottolineato più volte Massimo D'Alema, permetterebbe un maggior controllo da parte dello Stato italiano dei finanziamenti destinati ai luoghi di culto islamici.

La zakhat è una sorta di elemosina rituale obbligatoria per tutti i fedeli musulmani, uno dei cinque pilastri dell'islam insieme al digiuno del ramadan, alle preghiere quotidiane, alla dichiarazione di fede e al pellegrinaggio alla Mecca. Solo in Italia ci sono due milioni di fedeli musulmani, e considerando che la zakhat è di 7 euro a testa, ecco che si crea un fiume di svariati milioni di euro completamente in nero, dal momento che il versamento non prevede il rilascio di alcuna ricevuta. La quasi totalità dei fedeli musulmani, inoltre, la versa direttamente di persona, in contanti, in modo completamente non rintracciabile, senza contare le numerose elemosine volontarie, da quelle per una grazia ricevuta a quelle per la nascita di un bambino fino alle elemosine di espiazione collegate alla mancata osservanza di qualche precetto minore dell'islam. Oltre a queste esiste anche un'altra forma di donazione chiamata zakhat al-fitr, legata al digiuno del ramadàn, al termine del quale il musulmano versa un'ulteriore somma, sempre di 7 euro circa e sempre in nero. Un altro giro di denaro, parallelo a quello della zakhat normale, che solo in Italia genera un ulteriore flusso di denaro completamente in nero e dal quale la sola Moschea di Roma ricava ulteriori 20 mila euro all'anno.

Si chiama “Rita” come la Santa dell’impossibile e come Lei si è appassionata ad una materia per gli italiani “impossibile da capire”! Ovvero che d’estate gli animali di casa non si abbandonano per andare in vacanza. E’ una storia vecchia ma …. anche in una realtà nuova: anziché migliorare se stessi coltivando la civiltà dell’amore e del rispetto gli italiani sono enormemente peggiorati, ora abbandonano anche i congiunti quando non ammazzano le loro mogli. Eppure “Rita” , in questo disperante coacervo umano, ha trovato il modo di dare una lezione di civiltà a tutti. Ha comprato un pezzo di terra, lo ha recintato e lo ha battezzato “L’arca di Rita”, vi accoglie quegl’animali destinati all’abbandono e, dopo averli accolti trova loro anche un’altra casa ed altra gente, certamente migliore della precedente. Rita non poteva trovare un nome più giusto: “L’Arca”, di fronte al crescere a dismisura dell’insensibilità ed egoismo di una umanità naufraga della propria coscienza.

 

Rita Di Mario, questo è il nome completo della creatrice dell’ oasi per gli animali in difficoltà ed intorno a “L’Arca di Rita” ci ha costruito anche un’ Onlus: “Associazione Animalista Onlus” con questo incipit uno spiraglio di luce nel buio dellabbandono e del dolore questo vuol essere lArca di Rita per le creature sofferenti che incontra sul suo cammino. Con tanto di codice per la raccolta del 5x100 - C.F. 97508700586 - di IBAN: IT62 NO33 5901 6001 0000 0011 626 - Postepay : intestato Rita Di Mario n. 5333 1710 0156 7979 - Paypal : (This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.). Sito www.arcadirita.org insomma una nascente opera che stringa intorno a se, tanto gli animali sofferenti quanto gli umani innamorati di queste povere creature capaci solo di dare tanto amore e felicità senza mai chiedere in cambio nulla, se non una ciotolina d’acqua ed un boccone di cibo, nulla quindi, in cambio di quanto donano.

 

Dunque sosteniamo questi tipi di iniziative dove gli animali sono liberi e gioiosi e non rinchiusi come nei canili lager dove “vivono” (si fa per dire !) in spazi angusti tra feci e sporcizie.

Non lasciamoli vagare sulle strade o piangere latrati nella notte, in una disperata ricerca del proprio “padrone” che senza cuore e dignità di uomo, se ne è disfatto abbandonandolo ad una morte certa e terribile, nell’afa di una estate rovente. Ma c’è già una bella notizia: il Direttore Generale, la dott.a Cecilia Marino, della Onlus “Gli Amici del Risveglio” www.gliamicidelrisveglio.org - Fb: Onlus Amici del Risveglio - che si occupa nel sociale di tutt’altra materia (assistenza dei malati in coma e delle loro famiglie) nella prossima manifestazione del 30 luglio c.a., dedicata all’inaugurazione della nuova “unità mobile di rianimazione”, alla cena sociale presso il locale I LAGHI DEL SALICE di via Boccea n. 1500 - 00166 Roma tel. 366.4880260 (è gradita la prenotazione) sarà devoluto interamente il ricavato di una lotteria associativa, al fine di aiutare “L’Arca di Rita” a completare la sua nuova struttura.

La sensibilità e l’amore per il prossimo cui viviamo, siano uomini che i loro amici animali, non deve avere confine.

 In tempi davvero bui per la Sanità italiana, scossa in alcuni casi, da scandali vari, come “furbetti del cartellino”, “mancanza di posti letto”, “lunghe attese ai pronto soccorsi” ecc, fa piacere portare a conoscenza della redazione e di tutti i numerosi lettori, una testimonianza di efficienza e professionalità che, riguarda il nosocomio dell’ospedale di Partinico, una città siciliana, in provincia di Palermo. La voce è di un avvocato, nonché giornalista, Francesca Currieri che, in una lettera testimonianza, inviata al Direttore Generale dell’ASP di competenza, racconta la sua esperienza, presso il reparto di chirurgia dello stesso ospedale.

Nostro malgrado, da qualche tempo, censiamo nel vocabolario italiano, un altro termine che risponde a "malasanità".

Spesso questo giudizio, tendenzialmente negativo, fa riferimento ad esperienze di disservizi, percepiti in maniera forte, perché attengono ad una sfera delicata, come quella della salute.

La "malasanità" è uno dei cavalli di battaglia delle redazioni giornalistiche che, scavando nella notizia, portando alla luce taluni episodi negativi. Per correttezza di cronaca, è doveroso quindi, portare alla ribalta anche i casi di buona sanità ed evidenziare, unitamente alla capacità medica e professionale, anche l’umanità, la capacità di accoglienza, di attenzione e di vicinanza, verso chi soffre, così come ha fatto la collega Currieri.

Fare richiamo, anche agli aspetti positivi che riguardano il settore della sanità, vuol dire ripristinare un clima di fiducia e di speranza. Respirare un’atmosfera di serenità, constatare gentilezza, premura, rispetto e ascolto, creano nell’interessato, le condizioni ottimali, per affrontare la sfida legata alla salute.

Nella professione occorre non solo competenza e professionalità, ma anche il cuore. Ed è proprio il cuore che diventa un dono per gli utenti che vivono in condizioni di salute cagionevole

                                                                                                                                                                                                                                                                      

   

                                                                  

 

Tra le criticità gravi che riguardano il contesto sociale e i giovani, occorre non dimenticare le così dette “stragi del sabato sera” che, con periodicità sconfortante, tingono di rosso il selciato delle strade e riempiono le pagine della cronaca. Nell’ultimo periodo il territorio Siciliano è stato segnato da incidenti stradali mortali. Non ci si abitua mai a questa tipologie di notizie, soprattutto quando riguarda la fascia giovanile. Leggere fatti di cronaca, relativi alle stragi del sabato sera, lascia un segno. Il pensiero va alle tante vite spezzate e a volte in modo stupido. Il pensiero va alle famiglie, al dolore che le colpisce e alle lacrime che sgorgano dal volto di una madre e di un padre. È difficile stare accanto alle famiglie in tali frangenti, condividere emozioni e dolore, ricordi e lacrime. Una mamma, in seguito al secondo incidente del figlio nell’arco di 6 mesi, quello che lo ha portato alla morte a solo 20 anni, ha dichiarato ”perché non ho buttato la sua moto dopo il primo incidente? Perché l’ho fatto uscire? Perché non l’ho fermato”? Cosa rispondere ad una madre che si pone questi interrogativi? Come spiegare che a 20 anni i ragazzi hanno l’impressione di essere invincibili e altresì la convinzione che gli incidenti possono accadere solo agli altri? Come comprendere l’atteggiamento dei tanti giovani che hanno talmente voglia di divertirsi da trascurare la sicurezza e l’attenzione per se e gli altri? Siamo fermamente convinti che condividere le esperienze, raccontare le stragi, sia una forma efficace di prevenzione, per far sviluppare in loro quella forma di autoprotezione che può salvare vite. Di norma i giovani, forti della loro sete di libertà, non pensano all’ansia della propria madre, seduta in una poltrona in attesa del rientro del figlio e nemmeno al perché resta sveglia col telefono a portata di mano e con il numero dei due cellulari di famiglie vicini. Questi comportamenti si leggono sempre come eccessivo controllo, nessuno avverte il senso di sollievo dei genitori, quando sentono il saluto del rientro. Il sabato sera è importante per i giovani, non vogliamo arrestare la loro corsa, ma raccomandiamo di iniziare a viverlo, responsabilmente. Questa per noi è la migliore delle prevenzioni.

                                                                          

I sogni non sempre si realizzano, ma non perché siano troppo grandi o impossibili. Perché noi smettiamo di crederci   (Martin Luther King)

Il sogno è una mappa dell’inconscio, per questa ragione i sogni, per ognuno di noi, sono importanti. Ogni notte ci viene offerto, attraverso il sogno, un sorso di acqua della vita, se lo comprendiamo ne siamo vivificati. Il sogno rivela l’inconscio, sotto forma di immagini, metafore e simboli, in un linguaggio simile a quello artistico. Secondo Jung, la vita si rispecchia nel sogno e quest’ultimo è la via regia dell’inconscio: i messaggi notturni, come sassolini di pollicino, se ben ascoltati, ci indicano una via. Può essere utile decifrarne il messaggio, fatto di immagini, frammenti di ricordi, sensazioni: perché è così che la psiche parla con noi. Spesso dimentichiamo di aver sognato e magari solo, al prezzo di grandi sforzi, riusciamo a riportare alla memoria pezzi di sogno notturno. Alcune persone appena sveglie appuntano ciò che ricordano, in modo da non dimenticare i sogni e tentare la via dell’interpretazione. Sognare è una esperienza umana, spesso sottovalutata e relegata a semplice sensazione notturna. I sogni, infatti, custodi del sonno, ci regalano momenti di gioia, paura, rabbia, stranezze e quel che, più conta, ci fanno vivere emozioni. Le emozioni si risvegliano e circolano nella scena onirica, portandoci per mano in un viaggio dalle mete strane e inaspettate. Proprio come un viaggio reale. Come possiamo fare per ricordare i sogni? Molti studiosi consigliano di tenere un quaderno, dove poter trascrivere i sogni che ricordiamo, i collegamenti che ci vengono in mente, con gli avvenimenti del giorno precedente, i sentimenti e le emozioni implicate. Tutti siamo comunque nati, con la capacità di sognare. Si può anche sognare ad occhi aperti. I sogni lucidi, non sono illusioni e neppure rappresentano il mondo nel quale rifugiarsi per scappare dalla realtà. Essi sono progetti, obiettivi concreti che vogliamo realizzare per dare un senso alla nostra esistenza. Solo attraverso la realizzazione di queste aspirazioni, possiamo arrivare alla completa realizzazioni di noi stessi e dare senso e risposte alla nostra vita. Quindi o ad occhi aperti o durante il sonno, l’importante è continuare a sognare.

                                                                                 

Anche con l'inizio del Ramadan, continuano le Polemiche contro la gestione della Grande moschea di Roma, condotta in modo monarchico dal responsabile Abdellah Redouane.

 

Inaugurata nel 1995 dopo più di venti anni di progetti e lavori, finanziata e voluta direttamente da re Faysal dell'Arabia Saudita, la Grande moschea di Roma è ancora oggi il più grande centro di culto islamico in Europa. Un luogo dalle potenzialità religiose e culturali vastissime, eppure, a detta dei fedeli e di alcuni dei dipendenti, da ormai venti anni rovinato dalla gestione monarchica esercitata dal suo responsabile, il Segretario generale Abdellah Redouane. Una dittatura tale da spingere uno degli storici responsabili dell'amministrazione del luogo di culto, Aziz Darif, a scrivere una lettera di protesta nientemeno che al sovrano Muhammad VI, re del Marocco.

Nella sua lettera Aziz, che da sempre è molto attivo anche nell'aiutare i musulmani a svolgere numerose attività, dopo i consueti e rispettosi saluti al re del Marocco, spiegando più in dettaglio il suo ruolo all'interno del Centro culturale islamico, passa a descrivere la gestione praticamente dittatoriale che Redouane, già diplomatico dell'ambasciata marocchina di Roma, svolge da quasi venti anni nello storico luogo di culto.

Abile nell'uso dei moderni social network, Aziz Darif ha anche scritto una sorta di lettera aperta in arabo su alcuni giornali del Marocco, poi diffusa su Youtube e Facebook, chiedendo alla comunità marocchina in particolare, e ai fedeli musulmani ed amici italiani, di intervenire con commenti e opinioni.

Subito si è creato intorno ad Aziz un nutrito gruppo anti-Redouane, dal momento che le sue opinioni sembrano essere condivise dall'85% (e forse ancora di più) dei musulmani che risiedono in Italia, dissidenti che hanno anche provato a rivolgersi a varie istituzioni italiane, che però preferiscono non intervenire nelle vicende interne di quella che, in fondo, rimane comunque un'associazione culturale, gestita oltretutto da altri paesi.

Con la sua immediata reazione Redouane ha subito allontanato Darif dall'amministrazione del Centro culturale islamico, e un altro collaboratore, dice sempre Aziz Darif nella sua protesta, si è di recente dimesso a causa dei forti contrasti con il Segretario generale.

Lo stesso Redouane, che fino al 2010/11 era direttore del Centro culturale, gestisce la Grande moschea in modo fortemente autoritario e del tutto personale, privilegiando di fatto solo gli individui e le associazioni a lui più fedeli, a danno dei musulmani appartenenti ad altri gruppi o comunità, anche italiani.

Una pessima gestione che ormai coinvolge anche gli impiegati del Centro culturale, che non vengono pagati da mesi, e i lavori di manutenzione della moschea, che ha urgente bisogno di ristrutturazioni per i quali Redouane lamenta una continua mancanza di fondi. Persino la macellazione rituale della carne halàl (lecito in arabo), che secondo i precetti islamici deve essere preparata seguendo norme ben precise, viene ormai danneggiata da questa difficoltà economica, vera o presunta che sia.

Una situazione, questa, che ha provocato la nascita di numerose situazioni, moschee spesso private e centri culturali che si dissociano dalla gestione effettuata da Redouane, oltre a un senso di disagio in più dell'85% del totale dei musulmani e arabi presenti in Italia, la maggior parte dei quali ormai frequenta la Grande moschea solo per pregare di venerdì, senza partecipare ad altre attività culturali o religiose. Non per pigrizia o scarso interesse, ma semplicemente perché non ne sono a conoscenza e non ne vengono assolutamente coinvolti, né vengono informati delle iniziative e degli incontri presso il centro culturale islamico di Roma, tranne le occasioni in cui vengono invitati dall'ambasciatore dell'Arabia Saudita, che continua, lui sì, a desiderare di aprire la moschea a tutti i musulmani ed arabi.

La sala conferenze, inoltre, è da sempre chiusa, trascurata e maleodorante e la stessa biblioteca, ci ricorda ancora Aziz Darif, contiene tra i 30 e i 40 mila libri senza che i fedeli lo sappiano. Il sito della moschea di Roma e del relativo Centro culturale non è poi molto chiaro nell'esporre le attività culturali e religiose, tranne in casi come visite turistiche, rari convegni e qualche corso di lingue.

Redouane, ora, se proprio non deve essere cacciato da influenze esterne di qualsiasi tipo, non può nemmeno proseguire nella sua attuale politica dittatoriale, gestendo la moschea e il Centro culturale in modo monarchico e autoreferenziale e agendo, in definitiva, da emissario del governo del Marocco.

Tanto per dirne una: nel primo Think Tank musulmano italiano, il famoso Ihsan ufficialmente presentato alla stampa l'11 aprile di quest'anno, su 35 membri effettivi ne conta ben 15 composti da marocchini e gli altri amici di Redouane, frequentatori dello stesso Centro culturale islamico.

Una situazione completamente lontana da ogni equilibrio, in cui qualsiasi persona, sia araba, musulmana, italiana, marocchina o altro, che parli o promuova iniziative a favore del dialogo tra religioni e culture, viene prontamente censurata da Redouane solo perché non ha messo la sua decisione finale o il cappello, per così dire, sulle varie iniziative proposte. Come già accaduto nel 2007, con l'impegno di alcuni esponenti della comunità musulmana in Italia, specialmente di Roma, per smorzare le polemiche sorte con il Vaticano, in seguito al discorso di Benedetto XVI a Ratisbona.

In definitiva, il Segretario generale sembra accettare solo quelle iniziative che comunque possono portargli vantaggi e visibilità personali o metterlo al centro dell'attenzione, attaccando chiunque la pensi in modo diverso da lui e allontanando tutte quelle personalità arabe e i musulmani che non condividono il suo modo non democratico di gestire il Centro islamico che, ricordiamo, appartiene a tutti e non è di sua esclusiva proprietà.

Di recente, il dissenso nei confronti di Redouane si è spinto fino a provocare manifestazioni di protesta davanti alla Grande moschea da parte dei fedeli musulmani. L'80% dei musulmani italiani , non dimentichiamolo, vive l'islam in modo completamente laico e aperto alla società civile e alle leggi italiane. Figuriamoci se questi fedeli accettano senza combattere una gestione della moschea e del Centro culturale tanto chiusa e monarchica.

Sarebbe anche necessario nominare un nuovo direttore, stavolta italiano, dal momento che il Centro culturale islamico rimane un ente regolato dal diritto del nostro paese. Una proposta, questa, più volte fatta a Redouane, che sembra aver rifiutato qualsiasi consiglio per timore di perdere il suo potere e il suo ruolo.

Al re del Marocco, che è anche capo del Consiglio delle comunità marocchine all'estero” continua Aziz Darif “Redouane non ha mai inviato alcun rapporto sui problemi della comunità marocchina in Italia. L'incredibile paradosso, poi, è che Redouane, essendo dipendente dell'ambasciata marocchina e ricoprendo il ruolo di ministro della carriera diplomatica, a rigore non fa neanche parte di questa comunità, quantomeno non potrebbe votare. In me, forse, ha visto un potenziale rivale, l'uomo che in futuro potrebbe scalzarlo. In fondo, c'è la prospettiva dell'immiserimento, dei ghetti, della disgregazione urbana. Proprio quel che è accaduto in Francia e in altri paesi europei, con conseguente fallimento del multiculturalismo”.

Una situazione, quindi, complessa e difficile, risolvibile forse solamente con l'elezione democratica del segretario generale da parte di tutte le comunità ed associazioni musulmane oppure con le dimissioni dello stesso Redouane. Rimane fondamentale ed urgente un intervento diretto delle ambasciate dei vari paesi arabi in Italia e della lega araba, o comunque di religione musulmana, e del Ministero degli interni che deve ascoltare tutte le realtà rappresentative in Italia e non continuare a coinvolgere, come fa ormai da anni, solo quelle poche persone o sigle che assolutamente non rappresentano tutti i musulmani in italia religiosi e laici, che più volte hanno rivendicato di avere un ruolo nel rapporto con le istituzioni italiani, considerando anche il momento delicato a livello internazionale, con terrorismi e fanatismi che mirano ormai a provocare una guerra tra religioni.


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