L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Free mind (201)

Lisa Biasci
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“Non v’è fetore al quale l’olfatto non finisca coll’abituarsi, né crimine che l’uomo non s’abitui a considerare con indifferenza… Nel costante suicidio morale è il male supremo della caccia” (L. Tolstoj)

Franco Libero Manco

Nonostante gli animali selvatici (secondo la legge 157/92) siano considerati proprietà indisponibile dello Stato, e nonostante il 75% degli italiani sia favorevole alla chiusura di questa attività insensata, stupida e crudele, in Italia si registra la più alta concentrazione europea di cacciatori. E a causa di questo una specie su 5 di animali   selvatici è in pericolo di estinzione, come la lince, i lupi, le starne ecc. grazie anche a sistematiche deroghe che autorizzano a sparare anche su specie in via di estinzione.

E’ di questi giorni la notizia dei danni all’agricoltura in Toscana causati dalla eccessiva presenza di cinghiali, caprioli, daini e cervi. La soluzione proposta dagli esperti in termini di fauna selvatica è quella di abbattere gli animali. Difficilmente in natura una specie riesce a svilupparsi in sovrannumero (madre natura ha le sue regole equilibratrici), ma quando succede la colpa è dell’uomo che ha alterato gli equilibri con la caccia o l’immissione di animali incompatibili con nuovo ambiente. In questa prospettiva le istituzioni pubbliche, che sono più propensi a favorire la confraternita dei cacciatori che la salvaguardia di un bene comune, non vanno alle cause del problema ma intervengono sugli effetti prodotti: invece di spostare gli animali in sovrannumero in aree in cui scarseggiano, intervengono con risarcimenti agli agricoltori danneggiati.

Oltre alla vergogna della caccia convenzionale, ormai con vere e proprie armi da guerra, c’è la vergogna del bracconaggio, l’uccellagione, la falconeria, i richiami vivi e la altrettanto vergognosa concessione data ai cacciatori ad invadere spazi privati se armati di fucile, mentre questo non è concesso a persone disarmate. I cacciatori, ridicolmente armati come Rambo, con armi micidiali in grado di colpire fino 3 km di distanza, sparano in prossimità delle case, dei centri abitati, nei campi coltivati, certi degli scarsi controlli e le eventuali trascurabili sanzioni, perché mancano i controlli da parte del Corpo Forestale dello Stato e della Polizia Provinciale.

Senza contare il costante pericolo per la popolazione civile, le centinaia di feriti e decine di morti all’anno tra i cacciatori e non solo, ci sono le tonnellate di piombo riversato nell’ambiente e le cartucce vuote lasciate nei campi e nei boschi. Vi è poi l’assurda ipocrita pretesa da parte dei cacciatori di considerarsi tutori della natura e quando la selvaggina in una zona è stata annientata s’improvvisano equilibratori ecologici e a scopo venatorio immettono selvaggina come fagiani, lepri e cinghiali di grossa taglia che non avendo predatori possono svilupparsi in sovrannumero causando danni alle coltivazione degli agricoltori.

I cacciatori, gente che si sente forte con un fucile in mano contro un inerme leprotto e che si apposta come un ladro dentro capanne d’osservazione, gente che si alza la mattina alle 3 per andare a portare terrore, dolore e morte nell’incantevole scenario naturale, vere e proprie cattedrali viventi, si servono di cani da caccia i quali nelle loro mani vivono in media 6 anni, perché uccisi dai cinghiali, da ferite o dispersi dopo le battute di caccia.

Tra gli altri crimini della caccia vi è quello di educare i bambini alla pratica dell’uccisione di animali, spegnendo nella coscienza dei giovani in senso della compassione e la sensibilità verso la vita e la sofferenza altrui, cioè la parte migliore dell’animo umano.

L’Albania, paese sicuramente sotto questo aspetto più civile dell’Italia, ha vietato almeno per 2 anni la pratica della caccia. In Ecuador e Bolivia addirittura la natura è considerata soggetto di diritto. Nulla da eccepire per la caccia tra cacciatori.

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Da quando per estreme necessità di sopravvivenza la specie umana si nutrì della carne degli animali abbattuti l’uomo è diventato il più crudele dei predatori; continuare a mangiare la carne significa perdurare nello stato malattia e di primordiale ferocia. flm

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“Un uomo cattivo farà infinitamente più male di una bestia cattiva”

(Aristotele)

Franco Libero Manco

Il dramma quotidiano dei migranti è la testimonianza (se mai ce ne fosse bisogno, anche grazie alla globalizzazione telematica) che tutto è inevitabilmente connesso, al punto che disinteressarsi delle condizioni di una parte del Tutto significa votarsi agli effetti prodotti da una ferita che mette in pericolo l’intero organismo.. Può sembrare semplicistico parlare del grande dramma delle migrazioni in termini di coscienza, ma ciò che succede di negativo nel mondo è conseguenza dell’indifferenza umana verso chi soffre  e la nostra visione delle cose ci porta alle cause che determinano le tensioni sociali che sempre risiedono nella coscienza umana malata, priva o scarsa di solidarietà e compassione verso le popolazioni bisognose.

L’umanità è identificabile ad una grande massa in una sala gremita in cui pochi componenti, più forti e furbi, hanno occupato l’unico lato dotato di finestre; in tale contesto è consequenziale che il resto della comitiva (spesso in lotta per tensioni interne) cerchi di spostarsi verso zone che consentono la sopravvivenza. La soluzione di porre barriere di separazione o impedire con la forza alla massa di avvicinarsi nelle aree più fortunate è una bomba destinta ad esplodere con l’inevitabile aumento del numero dei disagiati.

L’unica soluzione possibile è quella di aiutare la massa ad aprire finestre nei lati oscuri dell’ambiente e soprattutto cercare soluzione ai conflitti interni. E di questo progetto possono farsi carico solo i governi e grandi capitalisti che dovrebbero intuire che i loro stessi interessi sono in pericolo e che l’unica soluzione è quella di investire nelle zone più indigenti del pianeta in modo che le popolazioni più povere possano trovare sostentamento e dignità di vita senza la necessità di fuggire dalla miseria, persecuzioni, dittature, guerre, verso paesi in cui c’è lo spiraglio di un’esistenza migliore. Ma i grandi dell’economia mondiale, come le multinazionali della chimico farmaceutica, petrolifera, agroalimentare ecc. (alcune delle quali con un fatturato annuo di 30 miliardi di dollari), non interessa improntare progetti a scopo umanitario, perché manca nella loro visione delle cose la componente umanitaria, e questo probabilmente sarà la loro stessa rovina.

Un ruolo determinante potrebbe venire dalla Chiesa cattolica se tornasse alla sua antica missione caritativa. Ritengo incomprensibile l’incalcolabile ricchezza dello Stato Vaticano, gli immensi possedimenti del clero che consente ai vescovi di vivere come principi, mentre Gesù ed i primi Padri della Chiesa condannavano la ricchezza come impedimento alla realizzazione spirituale. Anche se è innegabile l’impegno della Chiesa a favore dei poveri, quando per mezzo dei missionari lotta contro la povertà e le malattie delle popolazioni indigenti. Ma scavare un pozzo o aprire un’infermeria sono solo palliativi che non scalfiscono il dramma della povertà e dell’emarginazione. Unitamente ai grandi della terra la Chiesa dovrebbe impegnarsi a risolvere il problema alle sue radici magari: la realizzazione di grandi infrastrutture nei paesi, magari non cristiani, in cambio della costruzione di alcune chiese: ma questa è solo l’idea di uno come me digiuno di politica economica.

Un libro prodotto negli anni 60 da Karlheinz Deschner dal titolo“Il Gallo cantò ancora” Massari Editore, riporta questi dati.

 “La Chiesa cattolica riceve  annualmente circa 200 milioni di dollari tra obolo di san Pietro ed altri contributi. Solo dai sussidi dello Stato italiano incassa oggi 14 miliardi di lire l’anno. In Italia il  Vaticano dispone approssimativamente di mezzo milione di ettari di terra e per di più nei  territori più fertili. I possedimenti terrieri dell’alto clero in Spagna e Portogallo si aggirano sul milione di ettari, e così in Argentina. In questi paesi quasi il 20% delle terre appartiene alla gerarchia cattolica. Capitali vaticani vengono investiti nelle imprese più disparate: nelle società petrolifere francesi, nelle aziende del gas e dell’elettricità argentine, nelle miniere boliviane di zinco, nelle fabbriche brasiliane di caucciù, nelle acciaierie nordamericane, nelle grandi fabbriche italiane, tedesche, svizzere e persino nella speculazione in borsa e nei dividendi dei casinò, nelle compagnie telefoniche, delle ferroviarie, dell’Alitalia, della Fiat. Inoltre dipendono in parte o del tutto dall’alto clero una lunga serie di società assicuratrici ed edili. Il Vaticano e i gesuiti posseggono molte azioni della General Motors Corporation…La proprietà complessiva del Vaticano in azioni e in partecipazioni di capitali nel 1958 fu stimata all’incirca intorno ai 50 miliardi di marchi”.

Lavorare nella comunicazione e nei media al tempo della rete è un mestiere completamente differente da ciò che in genere si pensa.

I social hanno rivoluzionato i rapporti tra gli esseri umani ma anche e soprattutto cambiato la comunicazione. Facebook da qualche mese ha addirittura superato Google come fonte di notizie. Twitter è diventato un luogo dove un po' tutti si scambiano pareri e rivelano i loro punti di vista, dalle grandi firme del mondo del giornalismo, ai politici (Renzi) sino all'emerito nessuno.

Su quest'onda anche gli operatori dell'informazione si sono dovuti adeguare e cambiare: se prima le parole si leggevano in bianco e nero sulla carta, ora sono sul monitor e il tutto è feeling.

Nasce così la figura del web journalist, il giornalista della rete. In Italia questo il ruolo è ristretto a chi è iscritto all'Ordine dei Giornalisti, nel mondo, invece, le cose sono ben differenti, infatti dove non esiste l'Ordine trampolino di lancio è sempre più spesso la rete.

D'altra parte basta pensare all'importanza del giornalismo online, anche quello basic, dove sono i cittadini a dare le informazioni: attentato Torri Gemelle, tragedia della Costa Concordia e quasi tutti gli scenari di guerra nel mondo.

Un giornalismo differente, molto diretto, senza filtro e timore, un giornalismo libero e quasi friendly, un linguaggio che non è più quello colto e raffinato del classico giornalista italiano ma che diventa social, flessibile, ricco di slang e forme che possono apparire talvolta poco ortodosse.

Ma di webjournalism non si campa così come non si campa di cronaca ed allora è necessario essere flessibili, “riciclabili”.

E' necessario ed indispensabile rinnovarsi.

Scrivere in rete, ''riempire blog”, preparare testi fruibili e leggibili è un gran bel mestiere, è un nuovo modo di comunicare. Dietro ogni frase, ogni parola e persino ogni immagine c'è tantissimo lavoro, ore di studio e passione.

5 aggettivi Eleonora: quali useresti per descriverti?

Appassionata,innamorata, determinata, eclettica, stakanovista, ahimè per obbligo.

Raccontaci brevemente la tua storia. Come sei entrata nel mondo del web?

La storia inizia con il primo bip del mio modem, correva l'anno 1992, poi corsi, lezioni, studio, prove, errori. Poi è stato solo amore, dall'Html puro sono passata ai contenuti ed ai testi, alla comunicazione politica e commerciale, alle campagne marketing e non solo. La mia passione resta sempre quella del giornalismo ma... in Italia la strada non è praticabile ed allora, dopo varie collaborazioni scopro nuovi orizzonti, dove la chiave è, sì quella della scrittura, ma le tecniche sono differenti. Passo dall'articolo di cronaca giornalistica classica, al testo promozionale, al marketing sino ad una campagna personalizzata, uso l'Html, il Seo, studio i social e quanto altro è necessario per essere sempre molto profilata.

Cosa ti spinge a continuare il tuo percorso da freelance?

Passione ed amore per il mio lavoro, la voglia di continuare a mettermi in gioco quotidianamente, la curiosità innata e, ahimè, la necessità, in un Paese così come oggi, dove la mia generazione è “morta” tra le diverse leggi sul Lavoro, piani straordinari e quanto altro. L'unica possibilità rimasta è quella di essere freelance che in Italia vuol dire anche “avere la partita Iva con inquadramento INPS Gestione Separata”, niente di affascinante dietro al termine “freelance” ormai, nulla di quanto è generalmente pensato.

Rimpianti ?

Qualcuno sì, con la scrittura avrei desiderato occuparmi di tematiche sociali e di legalità, a metà tra il giornalismo di denuncia e quello investigativo, ma la realtà è diversa. L'unica possibilità che mi resta è quella di aspirare ad un contratto un po' più lungo dei classici 90 giorni, in cui il progetto lo si inizia a conoscere ma nulla più. Novanta giorni che nessuno mai rinnova perché servono sempre idee differenti e sopratutto perché cambierebbero le regole di ingaggio.

Da quando hai iniziato ad oggi, cosa pensi sia cambiato nel mondo ?

Parecchio: nel 1992 i social non esistevano, oggi ci si districa tra social, seo, tecniche di posizionamento; ieri un testo, un articolo per la carta stampata o per la rete era lo stesso, uguale, identico, oggi no. Due tecniche di scrittura completamente differenti, una comunicazione di altro livello.

Un consiglio per chi vuole seguire la tua strada?

Essere bravi e sapersi “proporre”, “vendere” il proprio prodotto intellettuale nel miglior modo possibile, non arrendersi mai e continuare a migliorare, confrontarsi e studiare, soprattutto, ahimè! essere flessibili, perché comunque l'unico modo per affrontare un mercato competitivo come il nostro è quello di riuscire a offrire un prodotto nuovo, sempre, un servizio unico, sempre. Aggiornarsi, muoversi, implementare la propria professionalità e non fare mai affidamento sulle entrate previste.

 

per chi volesse consigli da Eleonora: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

La tortura ed esecuzione di Khaled Asaad mi ha colpito duramente. L'ho sentita particolarmente vicina. Non perché la morte di giornalisti, civili o migranti sia meno coinvolgente o sconvolgente. Ma perché ha colpito frontalmente la cultura, come la distruzione di opere d'arte. Ma non è neanche e solo questo.

Comunque ho avuto bisogno di tempo per elaborare ciò che volevo dire. Perché la rabbia e la folla di sentimenti si diradassero e le riflessioni sull'accaduto e su alcuni commenti potessero venire espresse in modo comprensibile.

La cultura è di tutti. Le opere d'arte sono di tutti.

Per la religione cristiana l'uomo è fatto a immagine di Dio. Ma anche i pagani si erano fatti degli dei ad immagine umana. Maggiori, ma umani anche i vizi. In più avevano solo la realizzazione del grande sogno dell'uomo: l'immortalità.

Alle Scuderie del Quirinale è in corso la mostra sull'Arte Islamica. Il mondo arabo sta aprendosi all'occidente, tra gli altri basti citare il progetto del Louvre Abu Dabi.

Gli storici dell'arte sanno che la loro disciplina si basa sull'osservazione di esemplari sopravvissuti a guerre, catastrofi e cambiamenti di gusto.

Durante la seconda guerra mondiale funzionari civili e soldati hanno nascosto e protetto opere d'arte, collaborando ad e in una resistenza culturale.

Succede anche ora nelle aree di conflitto.

Ma la prima reazione alla morte dell'archeologo e ai commenti sull'indifferenza "razzista" di certi occidentali, è stata un'altra: La cultura e chi se ne occupa, viene decapitato ogni giorno in occidente. Solo in modo più subdolo, per continuare, indisturbati, quest'azione sistematica.

Come chiamare l'impedire a storici dell'arte ed archeologi di fare il loro lavoro? Come chiamare la cancellazione della storia dell'arte dalla scuola? La riforma di quest'ultima? La non-politica e il disinteresse verso il turismo e la cultura in generale?

Ecco cosa ho pensato: finora ci hanno tagliato metaforicamente le gambe, ora, fisicamente, anche la testa.

Ma il messaggio più importante che Khaled Asaad ci ha lasciato, è che si può fare qualcosa per "spingere la notte più in là". Grazie per averci ricordato che resistere si può e si deve. Che non basta sopravvivere, ma è importante la qualità della vita.

La cultura muore, viva la cultura.

 

Elena Sidoni

 

Quanto è bello il ramo di pesco che fiorisce a primavera e quanto è bello il Mediterraneo, quant’è bella la natura che lo bacia, la sua vegetazione, i frutti che dona; dolce il suo clima, amiche le acque un tempo solcate dalle triremi. Quanto sei bello Mediterraneo, culla di grandi civiltà, maestre di vita per gli esseri umani, quanto è bella la tua cultura, la tua arte, la tua scienza. Quanto è grande l’amore che hai donato alle nostre menti, ai nostri cuori, quanto grandi le tue sorgenti, il tuo abbraccio. E quanto sei bella tu Italia, lievito delle genti, fucina di cultura e maestra di bellezza, serva e padrona per volere degli dei, quanto vibrante il fremito delle tue genti, acuto il tuo ingegno. Stella tra le stelle, la tua lucentezza è faro e guida per i cercatori d’amore, ai naufraghi morenti offri il tuo seno con abbraccio fraterno e indichi la via del firmamento. Quanto sei bella Italia, generata dalle acque del Mediterraneo, testimone del suo abbraccio, riflesso della sua luce. Motore immobile di noi mortali, mostri al mondo il tuo splendore, le tue ferite e le lacrime che solcano il tuo viso. Quanto sei bella Italia quando lavi le ferite a coloro che non hanno conosciuto solo che odio, disperazione e morte. Quanto sei bella Italia!I tuoi figli, stringendoti al cuore, ti testimoniano il loro amore.

 

Virgilio Violo

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