L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Free mind (204)

Lisa Biasci
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Si chiama “Rita” come la Santa dell’impossibile e come Lei si è appassionata ad una materia per gli italiani “impossibile da capire”! Ovvero che d’estate gli animali di casa non si abbandonano per andare in vacanza. E’ una storia vecchia ma …. anche in una realtà nuova: anziché migliorare se stessi coltivando la civiltà dell’amore e del rispetto gli italiani sono enormemente peggiorati, ora abbandonano anche i congiunti quando non ammazzano le loro mogli. Eppure “Rita” , in questo disperante coacervo umano, ha trovato il modo di dare una lezione di civiltà a tutti. Ha comprato un pezzo di terra, lo ha recintato e lo ha battezzato “L’arca di Rita”, vi accoglie quegl’animali destinati all’abbandono e, dopo averli accolti trova loro anche un’altra casa ed altra gente, certamente migliore della precedente. Rita non poteva trovare un nome più giusto: “L’Arca”, di fronte al crescere a dismisura dell’insensibilità ed egoismo di una umanità naufraga della propria coscienza.

 

Rita Di Mario, questo è il nome completo della creatrice dell’ oasi per gli animali in difficoltà ed intorno a “L’Arca di Rita” ci ha costruito anche un’ Onlus: “Associazione Animalista Onlus” con questo incipit uno spiraglio di luce nel buio dellabbandono e del dolore questo vuol essere lArca di Rita per le creature sofferenti che incontra sul suo cammino. Con tanto di codice per la raccolta del 5x100 - C.F. 97508700586 - di IBAN: IT62 NO33 5901 6001 0000 0011 626 - Postepay : intestato Rita Di Mario n. 5333 1710 0156 7979 - Paypal : (This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.). Sito www.arcadirita.org insomma una nascente opera che stringa intorno a se, tanto gli animali sofferenti quanto gli umani innamorati di queste povere creature capaci solo di dare tanto amore e felicità senza mai chiedere in cambio nulla, se non una ciotolina d’acqua ed un boccone di cibo, nulla quindi, in cambio di quanto donano.

 

Dunque sosteniamo questi tipi di iniziative dove gli animali sono liberi e gioiosi e non rinchiusi come nei canili lager dove “vivono” (si fa per dire !) in spazi angusti tra feci e sporcizie.

Non lasciamoli vagare sulle strade o piangere latrati nella notte, in una disperata ricerca del proprio “padrone” che senza cuore e dignità di uomo, se ne è disfatto abbandonandolo ad una morte certa e terribile, nell’afa di una estate rovente. Ma c’è già una bella notizia: il Direttore Generale, la dott.a Cecilia Marino, della Onlus “Gli Amici del Risveglio” www.gliamicidelrisveglio.org - Fb: Onlus Amici del Risveglio - che si occupa nel sociale di tutt’altra materia (assistenza dei malati in coma e delle loro famiglie) nella prossima manifestazione del 30 luglio c.a., dedicata all’inaugurazione della nuova “unità mobile di rianimazione”, alla cena sociale presso il locale I LAGHI DEL SALICE di via Boccea n. 1500 - 00166 Roma tel. 366.4880260 (è gradita la prenotazione) sarà devoluto interamente il ricavato di una lotteria associativa, al fine di aiutare “L’Arca di Rita” a completare la sua nuova struttura.

La sensibilità e l’amore per il prossimo cui viviamo, siano uomini che i loro amici animali, non deve avere confine.

 In tempi davvero bui per la Sanità italiana, scossa in alcuni casi, da scandali vari, come “furbetti del cartellino”, “mancanza di posti letto”, “lunghe attese ai pronto soccorsi” ecc, fa piacere portare a conoscenza della redazione e di tutti i numerosi lettori, una testimonianza di efficienza e professionalità che, riguarda il nosocomio dell’ospedale di Partinico, una città siciliana, in provincia di Palermo. La voce è di un avvocato, nonché giornalista, Francesca Currieri che, in una lettera testimonianza, inviata al Direttore Generale dell’ASP di competenza, racconta la sua esperienza, presso il reparto di chirurgia dello stesso ospedale.

Nostro malgrado, da qualche tempo, censiamo nel vocabolario italiano, un altro termine che risponde a "malasanità".

Spesso questo giudizio, tendenzialmente negativo, fa riferimento ad esperienze di disservizi, percepiti in maniera forte, perché attengono ad una sfera delicata, come quella della salute.

La "malasanità" è uno dei cavalli di battaglia delle redazioni giornalistiche che, scavando nella notizia, portando alla luce taluni episodi negativi. Per correttezza di cronaca, è doveroso quindi, portare alla ribalta anche i casi di buona sanità ed evidenziare, unitamente alla capacità medica e professionale, anche l’umanità, la capacità di accoglienza, di attenzione e di vicinanza, verso chi soffre, così come ha fatto la collega Currieri.

Fare richiamo, anche agli aspetti positivi che riguardano il settore della sanità, vuol dire ripristinare un clima di fiducia e di speranza. Respirare un’atmosfera di serenità, constatare gentilezza, premura, rispetto e ascolto, creano nell’interessato, le condizioni ottimali, per affrontare la sfida legata alla salute.

Nella professione occorre non solo competenza e professionalità, ma anche il cuore. Ed è proprio il cuore che diventa un dono per gli utenti che vivono in condizioni di salute cagionevole

                                                                                                                                                                                                                                                                      

   

                                                                  

 

Tra le criticità gravi che riguardano il contesto sociale e i giovani, occorre non dimenticare le così dette “stragi del sabato sera” che, con periodicità sconfortante, tingono di rosso il selciato delle strade e riempiono le pagine della cronaca. Nell’ultimo periodo il territorio Siciliano è stato segnato da incidenti stradali mortali. Non ci si abitua mai a questa tipologie di notizie, soprattutto quando riguarda la fascia giovanile. Leggere fatti di cronaca, relativi alle stragi del sabato sera, lascia un segno. Il pensiero va alle tante vite spezzate e a volte in modo stupido. Il pensiero va alle famiglie, al dolore che le colpisce e alle lacrime che sgorgano dal volto di una madre e di un padre. È difficile stare accanto alle famiglie in tali frangenti, condividere emozioni e dolore, ricordi e lacrime. Una mamma, in seguito al secondo incidente del figlio nell’arco di 6 mesi, quello che lo ha portato alla morte a solo 20 anni, ha dichiarato ”perché non ho buttato la sua moto dopo il primo incidente? Perché l’ho fatto uscire? Perché non l’ho fermato”? Cosa rispondere ad una madre che si pone questi interrogativi? Come spiegare che a 20 anni i ragazzi hanno l’impressione di essere invincibili e altresì la convinzione che gli incidenti possono accadere solo agli altri? Come comprendere l’atteggiamento dei tanti giovani che hanno talmente voglia di divertirsi da trascurare la sicurezza e l’attenzione per se e gli altri? Siamo fermamente convinti che condividere le esperienze, raccontare le stragi, sia una forma efficace di prevenzione, per far sviluppare in loro quella forma di autoprotezione che può salvare vite. Di norma i giovani, forti della loro sete di libertà, non pensano all’ansia della propria madre, seduta in una poltrona in attesa del rientro del figlio e nemmeno al perché resta sveglia col telefono a portata di mano e con il numero dei due cellulari di famiglie vicini. Questi comportamenti si leggono sempre come eccessivo controllo, nessuno avverte il senso di sollievo dei genitori, quando sentono il saluto del rientro. Il sabato sera è importante per i giovani, non vogliamo arrestare la loro corsa, ma raccomandiamo di iniziare a viverlo, responsabilmente. Questa per noi è la migliore delle prevenzioni.

                                                                          

I sogni non sempre si realizzano, ma non perché siano troppo grandi o impossibili. Perché noi smettiamo di crederci   (Martin Luther King)

Il sogno è una mappa dell’inconscio, per questa ragione i sogni, per ognuno di noi, sono importanti. Ogni notte ci viene offerto, attraverso il sogno, un sorso di acqua della vita, se lo comprendiamo ne siamo vivificati. Il sogno rivela l’inconscio, sotto forma di immagini, metafore e simboli, in un linguaggio simile a quello artistico. Secondo Jung, la vita si rispecchia nel sogno e quest’ultimo è la via regia dell’inconscio: i messaggi notturni, come sassolini di pollicino, se ben ascoltati, ci indicano una via. Può essere utile decifrarne il messaggio, fatto di immagini, frammenti di ricordi, sensazioni: perché è così che la psiche parla con noi. Spesso dimentichiamo di aver sognato e magari solo, al prezzo di grandi sforzi, riusciamo a riportare alla memoria pezzi di sogno notturno. Alcune persone appena sveglie appuntano ciò che ricordano, in modo da non dimenticare i sogni e tentare la via dell’interpretazione. Sognare è una esperienza umana, spesso sottovalutata e relegata a semplice sensazione notturna. I sogni, infatti, custodi del sonno, ci regalano momenti di gioia, paura, rabbia, stranezze e quel che, più conta, ci fanno vivere emozioni. Le emozioni si risvegliano e circolano nella scena onirica, portandoci per mano in un viaggio dalle mete strane e inaspettate. Proprio come un viaggio reale. Come possiamo fare per ricordare i sogni? Molti studiosi consigliano di tenere un quaderno, dove poter trascrivere i sogni che ricordiamo, i collegamenti che ci vengono in mente, con gli avvenimenti del giorno precedente, i sentimenti e le emozioni implicate. Tutti siamo comunque nati, con la capacità di sognare. Si può anche sognare ad occhi aperti. I sogni lucidi, non sono illusioni e neppure rappresentano il mondo nel quale rifugiarsi per scappare dalla realtà. Essi sono progetti, obiettivi concreti che vogliamo realizzare per dare un senso alla nostra esistenza. Solo attraverso la realizzazione di queste aspirazioni, possiamo arrivare alla completa realizzazioni di noi stessi e dare senso e risposte alla nostra vita. Quindi o ad occhi aperti o durante il sonno, l’importante è continuare a sognare.

                                                                                 

Anche con l'inizio del Ramadan, continuano le Polemiche contro la gestione della Grande moschea di Roma, condotta in modo monarchico dal responsabile Abdellah Redouane.

 

Inaugurata nel 1995 dopo più di venti anni di progetti e lavori, finanziata e voluta direttamente da re Faysal dell'Arabia Saudita, la Grande moschea di Roma è ancora oggi il più grande centro di culto islamico in Europa. Un luogo dalle potenzialità religiose e culturali vastissime, eppure, a detta dei fedeli e di alcuni dei dipendenti, da ormai venti anni rovinato dalla gestione monarchica esercitata dal suo responsabile, il Segretario generale Abdellah Redouane. Una dittatura tale da spingere uno degli storici responsabili dell'amministrazione del luogo di culto, Aziz Darif, a scrivere una lettera di protesta nientemeno che al sovrano Muhammad VI, re del Marocco.

Nella sua lettera Aziz, che da sempre è molto attivo anche nell'aiutare i musulmani a svolgere numerose attività, dopo i consueti e rispettosi saluti al re del Marocco, spiegando più in dettaglio il suo ruolo all'interno del Centro culturale islamico, passa a descrivere la gestione praticamente dittatoriale che Redouane, già diplomatico dell'ambasciata marocchina di Roma, svolge da quasi venti anni nello storico luogo di culto.

Abile nell'uso dei moderni social network, Aziz Darif ha anche scritto una sorta di lettera aperta in arabo su alcuni giornali del Marocco, poi diffusa su Youtube e Facebook, chiedendo alla comunità marocchina in particolare, e ai fedeli musulmani ed amici italiani, di intervenire con commenti e opinioni.

Subito si è creato intorno ad Aziz un nutrito gruppo anti-Redouane, dal momento che le sue opinioni sembrano essere condivise dall'85% (e forse ancora di più) dei musulmani che risiedono in Italia, dissidenti che hanno anche provato a rivolgersi a varie istituzioni italiane, che però preferiscono non intervenire nelle vicende interne di quella che, in fondo, rimane comunque un'associazione culturale, gestita oltretutto da altri paesi.

Con la sua immediata reazione Redouane ha subito allontanato Darif dall'amministrazione del Centro culturale islamico, e un altro collaboratore, dice sempre Aziz Darif nella sua protesta, si è di recente dimesso a causa dei forti contrasti con il Segretario generale.

Lo stesso Redouane, che fino al 2010/11 era direttore del Centro culturale, gestisce la Grande moschea in modo fortemente autoritario e del tutto personale, privilegiando di fatto solo gli individui e le associazioni a lui più fedeli, a danno dei musulmani appartenenti ad altri gruppi o comunità, anche italiani.

Una pessima gestione che ormai coinvolge anche gli impiegati del Centro culturale, che non vengono pagati da mesi, e i lavori di manutenzione della moschea, che ha urgente bisogno di ristrutturazioni per i quali Redouane lamenta una continua mancanza di fondi. Persino la macellazione rituale della carne halàl (lecito in arabo), che secondo i precetti islamici deve essere preparata seguendo norme ben precise, viene ormai danneggiata da questa difficoltà economica, vera o presunta che sia.

Una situazione, questa, che ha provocato la nascita di numerose situazioni, moschee spesso private e centri culturali che si dissociano dalla gestione effettuata da Redouane, oltre a un senso di disagio in più dell'85% del totale dei musulmani e arabi presenti in Italia, la maggior parte dei quali ormai frequenta la Grande moschea solo per pregare di venerdì, senza partecipare ad altre attività culturali o religiose. Non per pigrizia o scarso interesse, ma semplicemente perché non ne sono a conoscenza e non ne vengono assolutamente coinvolti, né vengono informati delle iniziative e degli incontri presso il centro culturale islamico di Roma, tranne le occasioni in cui vengono invitati dall'ambasciatore dell'Arabia Saudita, che continua, lui sì, a desiderare di aprire la moschea a tutti i musulmani ed arabi.

La sala conferenze, inoltre, è da sempre chiusa, trascurata e maleodorante e la stessa biblioteca, ci ricorda ancora Aziz Darif, contiene tra i 30 e i 40 mila libri senza che i fedeli lo sappiano. Il sito della moschea di Roma e del relativo Centro culturale non è poi molto chiaro nell'esporre le attività culturali e religiose, tranne in casi come visite turistiche, rari convegni e qualche corso di lingue.

Redouane, ora, se proprio non deve essere cacciato da influenze esterne di qualsiasi tipo, non può nemmeno proseguire nella sua attuale politica dittatoriale, gestendo la moschea e il Centro culturale in modo monarchico e autoreferenziale e agendo, in definitiva, da emissario del governo del Marocco.

Tanto per dirne una: nel primo Think Tank musulmano italiano, il famoso Ihsan ufficialmente presentato alla stampa l'11 aprile di quest'anno, su 35 membri effettivi ne conta ben 15 composti da marocchini e gli altri amici di Redouane, frequentatori dello stesso Centro culturale islamico.

Una situazione completamente lontana da ogni equilibrio, in cui qualsiasi persona, sia araba, musulmana, italiana, marocchina o altro, che parli o promuova iniziative a favore del dialogo tra religioni e culture, viene prontamente censurata da Redouane solo perché non ha messo la sua decisione finale o il cappello, per così dire, sulle varie iniziative proposte. Come già accaduto nel 2007, con l'impegno di alcuni esponenti della comunità musulmana in Italia, specialmente di Roma, per smorzare le polemiche sorte con il Vaticano, in seguito al discorso di Benedetto XVI a Ratisbona.

In definitiva, il Segretario generale sembra accettare solo quelle iniziative che comunque possono portargli vantaggi e visibilità personali o metterlo al centro dell'attenzione, attaccando chiunque la pensi in modo diverso da lui e allontanando tutte quelle personalità arabe e i musulmani che non condividono il suo modo non democratico di gestire il Centro islamico che, ricordiamo, appartiene a tutti e non è di sua esclusiva proprietà.

Di recente, il dissenso nei confronti di Redouane si è spinto fino a provocare manifestazioni di protesta davanti alla Grande moschea da parte dei fedeli musulmani. L'80% dei musulmani italiani , non dimentichiamolo, vive l'islam in modo completamente laico e aperto alla società civile e alle leggi italiane. Figuriamoci se questi fedeli accettano senza combattere una gestione della moschea e del Centro culturale tanto chiusa e monarchica.

Sarebbe anche necessario nominare un nuovo direttore, stavolta italiano, dal momento che il Centro culturale islamico rimane un ente regolato dal diritto del nostro paese. Una proposta, questa, più volte fatta a Redouane, che sembra aver rifiutato qualsiasi consiglio per timore di perdere il suo potere e il suo ruolo.

Al re del Marocco, che è anche capo del Consiglio delle comunità marocchine all'estero” continua Aziz Darif “Redouane non ha mai inviato alcun rapporto sui problemi della comunità marocchina in Italia. L'incredibile paradosso, poi, è che Redouane, essendo dipendente dell'ambasciata marocchina e ricoprendo il ruolo di ministro della carriera diplomatica, a rigore non fa neanche parte di questa comunità, quantomeno non potrebbe votare. In me, forse, ha visto un potenziale rivale, l'uomo che in futuro potrebbe scalzarlo. In fondo, c'è la prospettiva dell'immiserimento, dei ghetti, della disgregazione urbana. Proprio quel che è accaduto in Francia e in altri paesi europei, con conseguente fallimento del multiculturalismo”.

Una situazione, quindi, complessa e difficile, risolvibile forse solamente con l'elezione democratica del segretario generale da parte di tutte le comunità ed associazioni musulmane oppure con le dimissioni dello stesso Redouane. Rimane fondamentale ed urgente un intervento diretto delle ambasciate dei vari paesi arabi in Italia e della lega araba, o comunque di religione musulmana, e del Ministero degli interni che deve ascoltare tutte le realtà rappresentative in Italia e non continuare a coinvolgere, come fa ormai da anni, solo quelle poche persone o sigle che assolutamente non rappresentano tutti i musulmani in italia religiosi e laici, che più volte hanno rivendicato di avere un ruolo nel rapporto con le istituzioni italiani, considerando anche il momento delicato a livello internazionale, con terrorismi e fanatismi che mirano ormai a provocare una guerra tra religioni.


Da “L’info-Journal” 2016 n.98 della fondazione Brigitte Bardot.


La Spagna è uno dei pochi paesi europei ad autorizzare la caccia con i levrieri. Un tipo di caccia che si pratica senza fucile: il compito spetta  al levriere che la ghermisce e la uccide sotto lo sguardo dei  galgueros (cacciatori). In Spagna i levrieri sono considerati semplici oggetti di caccia e il loro calvario inizia fin da cuccioli. Per essere più efficienti possibili subiscono un durissimo allenamento che    consiste nell’attaccarli ad un veicolo e obbligarli a seguirlo per decine di chilometri. Ma quando all’età di 3-4 le loro prestazioni di caccia diminuiscono vengono considerati inutili e quindi vengono uccisi o abbandonati.

Secondo una vergognosa tradizione il cane che non ha cacciato bene ha perso il suo onore e questo dà il diritto al galgueros di vendicarsi e far soffrire l’animale per lavare l’onta. Il grado di crudeltà da  infliggere dipende dalle capacità del cane durante le stagioni di caccia. Il metodo più utilizzato è l’impiccagione con due varianti: impiccagione alta per i cani  che hanno cacciato bene con morte rapida   perché le zampe dell’animale non toccano il suolo, oppure bassa in cui l’agonia può durare molti giorni perché le zampe posteriori del levriero toccano terra. Talvolta vengono anche bruciati vivi, mutilati,  trainati dietro un automobile o ancora abbandonati nei pozzi o immersi nella candeggina. Secondo le associazioni animaliste ogni anno migliaia di levrieri sarebbero uccisi o abbandonati alla fine della    stagione della caccia principalmente nelle regioni del Castille-la-Manche, Castille-et-Leon e nell’Andalusia.

Anche se il codice penale spagnolo punisce severamente la violenza sugli animali domestici anche con un anno di prigione, occorre la flagranza del delitto e questo non succede quasi mai. A questo si  aggiunge il lassismo delle autorità in un paese in cui il re e buona parte dei deputati sono essi stessi cacciatori, nonostante l’art. 13 del trattato di Lisbona che sancisce che gli Stati membri sono tenuti a tutelare il benessere degli animali.

22.04.2017 -Lo scorso 21 aprile è stato presentato a Torino presso il Centro di Studi Sereno Regis il primo libro in italiano dell’agenzia stampa internazionale per la pace e la nonviolenza Pressenza. Un libro che raccoglie editoriali, interviste e alcune foto del periodo 2014-2016 dell’edizione italiana di Pressenza, sull’esempio delle due edizioni già uscite in spagnolo negli anni scorsi.

Un incontro molto stimolante che tanto per gli interventi dei relatori quanto per quelli del pubblico presente ha dimostrato una volta di più l’importanza e il valore di offrire, specie in questo momento storico, un giornalismo per la nonviolenza e un tipo d’informazione sganciata dal mainstream e dalla subordinazione alle logiche di sistema.

Tra gli intervenuti Olivier Turquet, coordinatore della redazione italiana dell’agenzia, ha dapprima parlato della nascita di Pressenza nel 2009 per l’esigenza di accompagnare l’esperienza della prima Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza e successivamente ha sottolineato l’efficacia d’informare, su tematiche molto spesso oscurate, se non addirittura censurate, tessendo una rete internazionale di professionisti che prestano gratuitamente la propria opera.

Murat Cinar, giornalista turco, ha raccontato delle sua esperienza di crescita personale e professionale all’interno di Pressenza che gli ha consentito di vivere e praticare un ambito di lavoro libero, orizzontale e partecipativo dove molto spesso l’informazione si costruisce intorno ad una vera e propria intelligenza collettiva. “Una vera palestra professionale per me” ribadisce a più riprese Murat Cinar che conclude sottolineando come l’approccio giornalistico di Pressenza lo abbia anche invogliato a “impegnarsi a scrivere di quelle realtà positive e sconosciute della Turchia delle quali nessun scrive e che non riescono ad emergere nel panorama distruttivo dell’informazione tradizionale”.

Ed è proprio questo uno dei punti di forza di Pressenza così come sostiene nel suo intervento un’altra redattrice, Anna Polo, che da anni porta avanti un’idea di giornalismo divenuto essenziale per chi lavora e collabora con l’agenzia. “Illuminare l’oscurità, raccontare delle tante luci esistenti, ma sottaciute dal giornalismo del vecchio mondo, che danno una speranza all’umanità” dice ripetutamente riportando puntualmente degli esempi concreti di cui ha scritto e e di cui si è occupata quasi esclusivamente Pressenza.

Fare Rete e fare giornalismo per la nonviolenza denunciando da un lato su tematiche cruciali spesso dimenticate dal mainstream e dall’altro valorizzare il cammino di tante donne e uomini del mondo che militano e si attivano concretamente e quotidianamente per costruire un nuovo mondo e un nuovo umanesimo.

Infine è la volta del professor Massimo Zucchetti che esalta il valore sociale e culturale del lavoro svolto giorno per giorno da Pressenza che inolte lo colpisce positivamente per la capacità di copertura internazionale su temi primordiali come la nonviolenza, il disarmo, la non discriminazione, la pace e i diritti umani.

“Fare informazione come fa Pressenza serve ad altri per fare azione e condividere le conoscenze”, dice il prof. Zucchetti che continua poi “anche attraverso il giornalismo nonviolento la nonviolenza s’insedia nell’interno della coscienza collettiva. Questo è un cammino cruciale di cambiamento”.

Un lavoro minuzioso, quello di Pressenza, che dà luce alla diversità e dà spazio alla speranza. Un lavoro le cui fondamenta risiedono nella passione delle intelligenze e nel credo umanista dei suoi collaboratori.

Informazioni sull'Autore

Dario Lo Scalzo
Giornalista, scrittore e videomaker. Ha un background professionale nel mondo bancario, del microcredito e dell'organizzazione aziendale e da anni si occupa principalmente di Diritti Umani e Nonviolenza. Ha scritto per Terranauta e per Il Cambiamento (editorialista e ideatore della rubrica "Storie Invisibili") e ha anche collaborato con altre testate on-line (Girodivite) e cartacee (Left Avvenimenti, Il Clandestino con permesso di soggiorno). Attualmente fa parte della redazione italiana di Pressenza.

 

26.04.2017 - Pubblicato da Reporters Senza Frontiere il Rapporto mondiale sulla libertà di stampa, giunto alla sua 16° edizione. Nella classifica dei 180 paesi esaminati l’Italia è al 52° posto, guadagnando 25 posizioni dal 77° posto in classifica dello scorso anno. Norvegia, Svezia e Finlandia ai primi posti, ultima la Corea del nord. Tuttavia il rapporto rileva un crescente numero di paesi in cui la libertà di stampa è gravemente indebolita dall’erosione della democrazia, e non solo in paesi sotto regimi dittatoriali o autoritari: “Abbiamo raggiunto l’era della post-verità, della propaganda e della soppressione delle libertà – specialmente nelle democrazie”, afferma il rapporto.

I criteri utilizzati per la compilazione del rapporto sono il pluralismo e l’indipendenza dei media, l’autocensura, il quadro normativo di riferimento, la trasparenza e la qualità dell’infrastruttura a supporto della produzione di notizie e informazione. I dati vengono acquisiti grazie a un questionario tradotto in 20 lingue e inviato a giornalisti e specialisti del settore nei 180 paesi coinvolti dalla ricerca. Esiste anche un indicatore relativo all’intensità degli abusi e delle violenze esercitati contro operatori del settore nel periodo valutato. Un colore diverso è assegnato a ogni categoria: bianco (buono), giallo (abbastanza buono), arancio (problematico), rosso (non buono), nero (pessimo).

La situazione in Italia, secondo il rapporto, vede i giornalisti messi sotto pressione dai politici, oltre che da gruppi mafiosi e bande criminali locali, e sempre più portati all’autocensura, con una nuova legge che punisce con 6-9 anni di carcere chi diffama politici, giudici o pubblici funzionari. In Italia, inoltre, “il livello di violenza – includendo intimidazioni verbali e fisiche – è allarmante”.

Per gentile concessione dell'agenzia di stampa Pressenza

Giovedì 20 aprile 2017 è una data che gli studenti deI Liceo Artistico “F. Russoli"di Pisa ed i ricercatori dellArea della Ricerca del C.N.R. di Pisa, non dimenticheranno mai.
Salvatore Borsellino, fratello di Paolo Borsellino, magistrato “eroe” ucciso dalla mafia nel 1992, è stato il ‘protagonista’ dell’evento “I giovani e la legalità”. L’incontro tenutosi nell’Auditorium del C.N.R., patrocinato dalla Prefettura e dal Comune di Pisa, si è aperto con la proiezione di un toccante cortometraggio sulle stragi mafiose di Capaci e di Via D’Amelio .

Il breve documentario proiettato in sala, è una cronistoria dell’attività di lotta alla criminalità mafiosa svolta dai due magistrati ed amici Falcone e Borsellino, prima che la mafia stessa li uccidesse.

Dopo l’apertura del convegno, introdotto dal Responsabile dell’Area della Ricerca di Pisa, Ing. Ottavio Zirilli, ed il successivo intervento del Prof. Alberto di Martino, Docente Diritto Penale Scuola jgjSuperiore Sant’Anna Pisa, ha iniziato a parlare Salvatore Borsellino.

L’emozione ed il ricordo di quei tragici giorni hanno rapidamente coinvolto tutti i presenti, ed è stato come fare un salto indietro nel tempo di 25 anni. Gli studenti - ragazzi che in quegli anni non erano ancora nati - sono rimasti in silenzio, attoniti, impietriti e profondamente colpiti dalla memoria urlata con ‘rabbia’ e ‘sete di giustizia’ da Salvatore Borsellino. Il fratello di Paolo, ha chiesto ancora una volta ‘giustizia’, la stessa che chiede e pretende da anni e che ancora non ha avuto.

I vari processi e le indagini sulla strage di Via D’Amelio sono infatti ancora in corso e la verità sui ‘veri’ mandanti di questa strage e quella di Capaci, non è ancora stata accertata. Il riferimento è al processo sulla trattativa “Stato - Mafia”.

Salvatore Borsellino è riuscito a trasmettere in modo netto, incisivo ed emozionante quella che è diventata la sua Missione di vita, ossia trasmettere alle giovani generazioni una cultura ioydella legalità, contro tutte le mafie.

Borsellino prosegue come in un ‘passaggio di staffetta’ l’impegno verso i giovani intrapreso dal fratello Paolo. Ne porta il peso con passione, incitando gli studenti ad avere una responsabilità profonda verso la denuncia e l’annientamento dei sistemi mafiosi che incancreniscono il nostro Paese.
Il C.N.R. di Pisa e le scuole pisane a fine convegno hanno invitato nuovamente Salvatore Borsellino per un prossimo incontro, che certamente abbraccerà non solo il Liceo Artistico, bensì tutte le scuole superiori pisane e di nuovo le Istituzioni.


Da quarant’anni si dedica all’informazione radiofonica e, c’è da dire, che se i media prendessero esempio da Filippo D’Agostino, vivremmo nel benessere diffuso, in un paese dove la giustizia non verrebbe considerata ingiustizia, dove i politici servirebbero il popolo e non loro stessi e la questione della criminalità verrebbe risolta alla grande.   Filippo D’agostino è il titolare di “Radio BR2”, che trasmette da Sant’Arcangelo, paese di 6.500 anime in provincia di Potenza. E’ ben voluto da tutti, sa come si fa una radio, sa bene che i migliori giornalisti sono le persone che da quarant’anni ascoltano le sue trasmissioni, rifiuta qualsiasi tessera di partito, compresa quella dell’ordine dei giornalisti: è per la libera informazione senza se e senza ma. Dal 2005 è socio della Free Lance International Press. La terra di Basilicata deve molto a quest’uomo che, con caparbietà e tenacia, da decenni difende la dignità e l’onore delle sue genti. E’ un personaggio scomodo.

Filippo, Le tue vittorie , i tuoi scoop principali?

Forse il più importante da un punto di vista mediatico ma, di converso, abbiamo subito in famiglia minacce e altro, è stato il caso dell’usura in Val D’acri nel quale allora fu coinvolto il cardinal di Napoli Giordano. Questa inchiesta, se non erro, scoppiò nel 97’, proprio attraverso le denuncie che partivano da questa emittente, attraverso gli usurati stessi che lamentavano un certo comportamento da parte di un ex direttore di una filiale del Banco di Napoli, collegato con alcuni componenti della famiglia del cardinale. Ciò comportò grande pericolo per me e la mia famiglia.

Hai subito minacce?

Si, molte minacce: una sera ero in radio, ricordo che c’era la neve fuori; all’improvviso entrarono nella vecchia sede della radio due elementi di cui uno era un tossico con un coltello. Riuscii a sfuggire per un attimo e ad avvicinarmi all’ingresso della radio, in quanto l’ambiente era molto piccolo, e a scappare fuori, ma uno di loro mi rincorse per il paese con il coltello in mano e, cosa che più mi colpì, nessuno alzò una mano per aiutarmi anzi, alcuni negozi abbassarono le saracinesche, mentre io correvo e il tossico con il coltello mi inseguiva. Poi accadde che riuscii di nuovo ad entrare nella sede della radio e a chiudermi da dietro, e da li lanciai degli allarmi, azionai il microfono della radio fino a quando si radunò molta gente intorno alla sede e intervennero i carabinieri che arrestarono i due. Lo stesso personaggio preso con il coltello in mano dichiarò ai carabinieri che mi voleva uccidere. Si avanzarono tante ipotesi, fatto sta che l’accaduto avvenne in concomitanza della denunzia che la nostra radio faceva nei confronti del caso Giordano. Ma ciò che è avvenuto non è stata l’unica minaccia, ne ho avute tante, tanto che le forze di sicurezza volevano far trasferire me e la mia famiglia sotto protezione a Pisa, facendoci addirittura cambiare cognome. Ma rifiutammo e allora si predispose una protezione in loco la quale prevedeva la visita da parte delle forze dell’ordine alla nostra radio otto volte al giorno per vedere se avevamo bisogno di qualcosa. Le mie figlie sono state minacciate, abbiamo trovato teste di capretto sgozzato alla porta della radio….. insomma un sacco di altre cose ma, ringraziando Dio, riusciamo ancora a sopravvivere.

La trasmissione di più successo?

E’ quella che attualmente conduco ogni mattina e si chiama “Gran mattino” , imperniata soprattutto sull’informazione locale che pertanto è la più seguita e in cui diciamo, soprattutto, quello che gli altri non dicono.

Mi risulta che hai fatto un’inchiesta sulle scorie nucleari qui in Basilicata, com’è nata?

Siamo abituati a dire che i nostri veri giornalisti sono i nostri ascoltatori, sono loro che ci forniscono le notizie. Tu poi mi chiedi di un caso che non solo ha fatto discutere l’Italia ma anche il resto del mondo. Nel novembre del 2003, mentre ero in radio a preparare le solite notizie prima della messa in onda, verso le 9.00 mi giunse una telefonata da parte di una signora la quale mi disse: “Filippo, sulla Jonica (la statale Jonica n.d.r.) hanno bloccato tutto perché a Scanzano Jonico (un centro nelle vicinanze, a una quarantina di km. Da Sant’Arcangelo n.d.r.) vogliono allocare il cimitero delle scorie nucleari.” Naturalmente mi metto in movimento, comincio a telefonare, a sollecitare i vari sindaci della statale Jonica, tra cui il sindaco di Policoro, Nicola Lo Patriell. Da quel momento scatta l’allarme in Basilicata, la voce si allarga e la regione va in fermento, e non soltanto la nostra, anche le regioni comunicanti, la Puglia e la Calabria. Scanzano Jonico è a metà strada tra Puglia e Calabria. Volevano creare un cimitero delle scorie nucleari in un luogo dove c’è un mare bellissimo, agricoltura fiorentissima, e dove il turismo potrebbe dare veramente dei grossi introiti.

Il seguito della vicenda?

Da quel momento nasce un gran movimento fino a quando subentra un amico, un giornalista, ma vero giornalista, di quelli che fanno il mestiere per passione, e cosa accade? Accade che spinti dall’eco sulle scorie, si organizzano altri blocchi stradali e i sindaci della Basilicata decidono di andare a Roma a palazzo Chigi, a protestare; all’epoca c’era il governo Berlusconi. In quell’occasione dissi che bisognava fare dei collegamenti anche con Roma e allora chiamai un amico che si interessava delle vicende, non solo di questa, ma anche di altre locali, Antonio Ciancio, anche lui iscritto alla Free Lance International Press, e gli dissi che forse era il caso di andare a Roma a fare delle dirette per questo caso. Così il caro Antonio Ciancio si recò a Roma e naturalmente mi passò al micrifono i vari sindaci che stavano protestando, ogni novembre ancora mando in onda la registrazione, per ricordare a chi vuole dimenticare queste vicende. Successe un casino enorme all’epoca, eravamo l’unico organo d’informazione a seguire costantemente questa vicenda che portò a quel famoso decreto che annullò il cimitero delle scorie nucleari a Scanzano Jonico, città deputata ad essere il cimitero della Basilicata. Dove portare le scorie ancora si sta discutendo.

Come è nata la radio, è stata una passione, è stata una casualità? E’ nata a Sant’arcangelo?

E’ stato per una passione, ma non per l’informazione, devo essere sincero, bensì per la canzone. Per tanti anni, da giovane, sono stato il cantante solista di un gruppo all’epoca molto in voga, “Le Onde”, e allora abitavo in Puglia, a Bari, pur essendo lucano; poi smisi di cantare, ma la canzone volevo viverla ancora…. . Nel 76’ Nasce la radio libera. Ero all’epoca a Bitonto, in provincia di Bari, e così aprii la prima radio, credo una delle prime in Puglia, il nome era “Bitonto radio international ”, radio che si interessava soprattutto di canzoni; prima di allora era soltanto la Rai a mandare in onda canzoni. In seguito, per questioni legate alla mia vita familiare ritornai in Basilicata, sono nativo di Missanello, in provincia di Potenza, e trasferisco quindi la radio che era a Bitonto qui, a Sant’Arcangelo, in Basilicata. Vivendo qui mi resi conto di vivere in una terra un po’ diversa dalla Puglia, forse meno libera, forse più mortificata nella sua libertà, notavo che soprattutto l’informazione, a quell’epoca, era completamente assente. Vi era soltanto qualche testata giornalistica, comunque la Rai, ma vedevo che tanti fatti che vivevo non venivano fuori ed allora, in quel momento, capii che l’informazione in Basilicata doveva esserci e soprattutto bisognava dire quello che gli altri non dicevano, ed è così che nacque questa mia grande passione per l’informazione, e che ancora mi coinvolge, sfidando i consigli dei più: “ma chi te lo fa fare! Tu sei amico del potere, hai i soldi, ti trovano il posto, e che te ne frega! “ Purtroppo da queste parti questa è la mentalità!

Quindi siete in pochi qui ad onorare la verità!

Non so, non ho idea, la cosa più importante per me sono i miei ascoltatori.

Qual è l’ascolto della radio?

Una delle indagini parlava di circa 18 mila ascoltatori al giorno, come giorno medio, senza contare quelli del web: notiamo che siamo ascoltati molto anche su smartphone e quant’altro. Quindi non possiamo sapere esattamente quanti siano in totale, però abbiamo una specie di ricompensa: innanzi tutto perché i fatti più eclatanti di cui parliamo gli apprendiamo dagli stessi nostri ascoltatori che diventano i veri giornalisti della radio, e poi devo dire che parecchie imprese locali si fidano di noi e ci danno la pubblicità. Io ringrazio soprattutto loro, soprattutto grazie a loro riusciamo a fare libera informazione. Noi dalla Regione, dai potenti della politica, non vogliamo assolutamente nulla. Li dobbiamo sorvegliare.

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