L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Free mind (198)

Lisa Biasci
contatto

 Quello che ci insegna il chirurgo di Lanciano         

               

Non ringrazieremo mai abbastanza Carlo Martelli, il chirurgo di Lanciano che, dopo la feroce aggressione in casa da parte di una banda di criminali, dal suo letto di ospedale, parlando a fatica, è stato in grado, con grande naturalezza, di pronunciare parole prive di odio, parole di salutare razionalità. Le armi in casa - ci ha detto - meglio lasciar stare. Non possono veramente aiutare a difenderci, ma possono solo renderci peggiori e più vulnerabili. Meglio confidare nelle forze dell’ordine e mettere da parte le pericolose pulsioni alla “giustizia fai da te”…

Bellissima la sua capacità di resistere alla tentazione della rabbia. Bellissimo il suo pacato ragionare non alterato, non imbrattato e incattivito dalle violenze subite.

Certo, non pochi giornalisti e direttori di giornali forcaioleggianti ci saranno rimasti piuttosto male (magari censureranno, manipoleranno, stravolgeranno). Anche per questo, bisognerebbe continuare a fargli interviste. Bisognerebbe invitarlo, una volta ristabilito, in tutti i programmi televisivi dove si urla e si inneggia ad un sempre maggiore uso della “forza”, sempre più vista e invocata come unica panacea.

Qualcuno ci disse che sarebbe meglio non aver bisogno di eroi (che, tra l’altro, spesso hanno pure combinato non pochi guai). D’accordo, facciamone pure a meno. Ma di persone così, che anche in situazioni estreme, che, anche nei panni di vittime “umiliate e offese”, non intendono rinunciare ad avere fiducia nel prossimo, nella giustizia fondata sul diritto, nella ragione che non vuole smettere di operare in maniera “chiara e distinta”, di persone così abbiamo tutti un immenso bisogno …

Per non essere risucchiati nel gorgo delirante e astuto dell’odio e della paura, nelle trappole di chi, in nome della difesa dei nostri corpi e (soprattutto) dei nostri portafogli, rischia di riuscire (giorno dopo giorno) a rubarci l’anima.

È difficile anche con la fantasia arrampicarsi sugli specchi per sostenere a lungo il tentativo. Auspicato l'intervento della Regione Toscana 

Le zecche italiane

Nel 2011 oltre 60 studiosi di tutto il mondo contribuirono con la loro scienza numismatica a ‘costruire’ due ponderosi volumi per un totale di 1664 pagine che - citiamo da IBS - “raccolgono la documentazione relativa a tutte le zecche italiane dal V secolo d. C. fino all'unità d'Italia. Si tratta di una ingente massa di dati ampiamente documentati, qui raccolti per la prima volta in un'unica opera, che offrono una comprensione ampia e comparativa delle attività delle zecche italiane... Non esistono lavori simili in ambito europeo”. Tale opera, che uscì con il titolo “ Le zecche italiane fino all’Unità”, fu pubblicata dall’Istituto Poligrafico dello Stato e fu curata dalla Prof.ssa Lucia Travaini dell’Università di Milano, considerata a ragione, dovunque, un’autorità in fatto di numismatica e di sedi di zecche, ma di Marciana non se ne fa menzione.

Orbene: nel mese di novembre 2017 intervistai la Prof.ssa Travaini sulla storia delle zecche. L’ ultima domanda riguardò la discussa veridicità della zecca di Marciana, ubicata in un ipogeo che il Comune ha dotato di allestimento museale, aprendolo a pagamento al pubblico.

La risposta bocciò ampiamente e con decisione, l’ipotesi di una zecca a Marciana. La stessa intervista fu pubblicata in significative riviste di archeologia e numismatica nazionali ancora reperibili on line, oltre alla sintesi, pubblicata come resoconto sulla stampa on line dell’Elba, affinché ne fosse informato anche il Comune di Marciana.

L’ aspettativa in primo luogo, era che il Comune, proprio perché allo scopo aveva speso qualche decina di migliaia di euro, verificasse le affermazioni contenute nell’intervista sentendo la Prof.sa Travaini o comunque esperti diversi da quelli locali a suo tempo retribuiti per il progetto zecca; in secondo luogo gli amministratori di questa suggestiva cittadina, che non ha bisogno di attrarre visitatori con invenzioni storiche perché trasuda di storia ‘vera’ da ogni casa che si osserva e da ogni via che si percorre, prendesse le determinazioni opportune.

L’eccesso di sicurezza

Niente però di tutto questo è avvenuto. Il museo della zecca   è stato riaperto nella stagione estiva senza verifiche scientifiche. Il Comune continua a diffonderne le notizie sul suo sito ufficiale. La pubblicità non si è fermata; i turisti hanno continuato a entrare a pagamento seguendo l’insegna di “una zecca che non c’è mai stata”.

Nel caso che, come sembra, i finanziamenti per il progetto zecca di Marciana provengano anche dalla Regione Toscana, considerata l’ insensibilità sul tema da parte del Comune, si renderebbe necessario l’intervento della Stessa Regione per chiarire come stanno le cose. Proseguendo infatti, su questa via, non si fa un bel servizio né a Marciana, né all’Elba, né alla Toscana, né agli ignari visitatori di un museo fondato sulla pubblica credulità di questa fantasmagorica zecca e tanto meno al nostro Paese che vive della autenticità del proprio patrimonio artistico e della credibilità del mondo intero.

Dal generico al concreto

Ecco cosa scrive nel suo sito ufficiale il Comune di Marciana che però, non disponendo di alcun supporto storico che possa dimostrare quanto sostiene, con le sue affermazioni conduce a un travisamento della realtà.

“La Zecca di Marciana venne fatta realizzare dalla famiglia Appiani intorno agli ultimi anni del Cinquecento. Il paese di Marciana infatti, fu utilizzato dai Principi di Piombino come residenza estiva, collocata nell’attuale “palazzo Appiani”. Le motivazioni della scelta di Marciana anziché in altro centro dell’isola sono molto verosimilmente da ricercarsi nella relativa vicinanza con Piombino, nell’esistenza, in prossimità del palazzo, di una struttura fortificata e nell’essere Marciana l’unico paese elbano in contatto visivo con Piombino. Originariamente la Zecca era composta da tre ambienti adibiti alla coniazione di monete emesse nel Principato di Piombino, in cui si apriva un cunicolo scavato nella roccia granodioritica usato come probabile deposito monetario.”

E’ appena il caso di osservare che:

  • non esiste alcun documento che comprovi la realizzazione della zecca a Marciana alla fine del XVI secolo o in qualsiasi altro momento;
  • a Marciana non esiste un palazzo Appiani, ma solamente la casa di Grimaldo Bernotti, majordomo degli Appiani;
  • Marciana non era sicura, come dimostra il fatto che il pirata Dragut la devastò intorno alla metà del Cinquecento: la sua ‘ struttura fortificata” (la Fortezza) non era adatta a sostenere i terribili attacchi barbareschi;
  • da nessuna parte c’è scritto che la zecca era composta da tre ambienti e da un cunicolo usato come deposito monetario: non è assolutamente credibile che il Principe di Piombino fosse tanto “illuminato” da far scavare nel duro granito un’opera ciclopica per impegno e fatica al fine di realizzare un luogo di coniazione di monete in mezzo al mare, ossia all’isola d’Elba, poiché in caso di attacco piratesco il ricorso liberatorio più rapido e conveniente sarebbe stato solo…….. quello del pianto;
  • la narrazione di questa fantasmagorica zecca riesce ancora a stupire con fantasie come questa del cunicolo ad uso di cassaforte. Usando però la stessa moneta della fantasia, si potrebbe aggiungere che il cunicolo (e le due camere adiacenti) potrebbero essere state ispirate alle “camere della morte” di qualche tonnara della vicina costa piuttosto che al tipico ambiente della zecca. Una morte per affumicazione sarebbe stata più che certa per qualsiasi malcapitato destinato per qualche minuto, in stanze sotterranee, a quel genere di lavoro;
  • non c’è alcuna motivazione per la quale una piccola zecca, com’era quella di Piombino, gravata peraltro da seri problemi, dovesse creare una succursale a Marciana;
  • nessuno ha mai visto o descritto, per il semplice fatto che non esistono, le monete coniate a Marciana.

“Tutti gli uomini del Presidente”

A supporto della indifendibile ostinazione a favore di questo genere di zecca, il Comune ricorre infine ad una citazione mirata, chiamando in causa un numismatico del Settecento:

“Guido Antonio Zanetti, nel volume Nuova raccolta delle monete e zecche d’Italia (1779), così la descrive riferendosi ai Principi di Piombino” : «Questi le fecero coniare nella propria Zecca che avevano fatto erigere sì in Piombino in luogo vicino alla Cittadella, ove ancora si conserva la fabbrica sebbene negletta, che in Follonica, come pure nell'Isola d'Elba oltre Rio, ed anche in Marciana restando oggidì denominata una stanza di ragione della Casa Bernotti la Officina della Zecca”..

Il fantasioso numero di zecche cosparse nel piccolo Principato di Piombino (Follonica, Rio e Marciana) non regge il confronto con la reale disponibilità monetaria della Famiglia Appiani.

A tale proposito è sufficiente riportare il parere della Prof.ssa Travaini che così si esprime: “Vorrei però ricordare che questa trattazione sulle monete di Piombino dello stesso Zanetti fa parte di una grande dedica dell'intero volume all’eminentissimo e reverendissimo Principe Cardinale Ignazio Boncompagni Ludovisi dei principi di Piombino eccetera eccetera. Benché lo Zanetti fosse uno studioso di grande serietà, il fatto di aver inserito questa nota in chiusura della sua trattazione sulle monete di Piombino (posta in apertura al volume e da lui redatta) può lasciar pensare a una lieve sfumatura di ostentazione nell'enfasi elogiativa”.

Non tutto è evanescente

Un’altra citazione dello stesso Comune Marciana ricorda che: “il Museo della Zecca di Marciana è stato inaugurato nel 2014 su progetto degli architetti Silvestre Ferruzzi e Luciano Giannoni”.

A questo punto, per meglio capire come sono andate le cose, si rende opportuno chiedere a terzi in causa per quale motivo ufficiale sono stati richiesti e ottenuti dalla Pubblica Amministrazione i fondi utilizzati per la progettazione e l’allestimento di quel luogo a dimostrazione di zecca. Tale domanda si reputa legittima in quanto questo Museo oltre ad aver sottratto al patrimonio archeologico del nostro Paese un luogo di notevole valore storico e rappresentativo dell’epoca etrusca a cui viene attribuito, i fondi utilizzati per l’altra finalità rappresentano una distrazione di pubblico denaro a scopo (senza entrare in dettagli) non certo previsto dalla legge.

- Tra gli assolti in un processo a carico di sette persone con l'ipotesi di traffico di materiale 'dual use' in violazione dell'embargo, conclusosi ieri a Como, figura anche il corrispondente per l'Italia Hamid Masoumi Nejad dell'Irib, il network di stato della Repubblica islamica, nonché socio della Free Lance International Press.

Hamid è un giornalista della Stampa estera, molto noto in Iran per i suoi servizi dall'Italia. Su di lui è stato di recente scritto anche un libro per denunciare i lunghi anni passati senza una sentenza, e per il trattamento ricevuto - compreso il carcere in isolamento - per il sospetto di essere una spia. "E' la fine di un incubo” ci ha raccontato il nostro collega, vittima innocente di giochi di potere che passano sulle teste di tutti noi – Noi che conosciamo bene il collega e lo abbiamo sostenuto in tutti questi anni, consapevoli della sua estraneità ai fatti, non abbiamo mai avuto modo di dubitare della sua onestà intellettuale e  grande professionalità. Nell'ordinanza c'era scritto che non era giornalista e l'associazione dei giornalisti lo sospese solo sulla base delle notizie dei giornali. Il collega in tutti questi anni ha solo chiesto una sentenza. Ora chiede una notizia, perché : ” quando mi hanno arrestato sono finito in prima pagina e ora che sono stato assolto spero in un trafiletto per la dignità della mia professione".

Dopo che il grande scandalo del tir di prosciutti scomparso e misteriosamente ritrovato vuoto sotto l’abitazione dell’onorevole Quattroganasce, fu aperta un’ interrogazione parlamentare nell’intento di chiarire la faccenda.

Il primo a parlare fu il Ministro dell’Interno Il quale, visibilmente imbarazzato, disse:  “Onorevoli colleghi, quantunque le concomitanze suppositive portino incontrovertibilmente all’ anamorfosi congetturale, si presume, con assoluta certezza, che la sindrome del dubbio possa avocare la  prodromica reiezione delle lutulenti azioni lubridiche del reo“.

“Che ha detto!?”chiese il Segretario della Lega. Ha detto che stanno indagando, rispose un compagno di partito.

Allora, presa la parola, il Ministro di Grazia e Giustizia disse: “I sofismi dell’anacoluto postulato inficiano l’ipocondria latente dell’elusivo solipsismo pragmatico mentre il paradigma della  scrasia criptica obbliga a trascendere l’oggettivismo apologetico della sinapsi procedurale”.

L’onorevole Calogero Scalia mormorò al compagno che gli era accanto: “Ma ‘anacoluto’ parola offensiva è? Aah!?” Nooo! rispose sicuro e persuasivo il suo collega.

A questo punto intervenne il Ministro della Pubblica Istruzione che così si espresse: “Se la metonimia analogica edulcora il pregenetico antropofagismo tendenziale la catàbasi icastica della congettura avulsiva induce a confutare le inconsulte supposizioni obnubilate nel repente dileguarsi del tabulo bottino”.

Alcuni annuivano tra loro ostentando l’aria di chi ha capito tutto altri avevano in faccia l’espressione di chi è stato colto con le mani nel sacco.

“Ma l’hanno trovati i prosciutti?” chiese il senatore Pansagrossa. Pare di no, rispose sconsolato un suo collega.

S’era fatta ormai l’ora di cena quando qualcuno disse sottovoce che il pranzo a mensa era servito.

Non si sa come ma tutti capirono all’istante ed in un baleno si disperse l’assemblea.

Avola. Per scelta, Maurizio Inturri da due anni si occupa di cronaca e solo casualmente si è imbattuto in un'inchiesta sulla mafia di Avola. Chiariamo sin da subito che non esistono eroi giornalisti che scrivono di mafia, ma solo giornalisti che si occupano o intendono occuparsi di tutto ciò che riguarda la cronaca.

 

Il famoso caso del “Chiosco dei fiori“ posto di fronte all’ingresso del cimitero di Avola è frutto di una sua delicata e lunga inchiesta: testimonianze e registrazioni, come da deontologia giornalistica, sono passate dalle sue mani a quelle degli inquirenti, ma prima di questi ultimi a quelle del giornalista Paolo Borrometi, che le ha utilizzate per scrivere un articolo nella testata online "La Spia". 

 

L’inchiesta sul Chiosco dei fiori, una rivendita quasi secolare già di proprietà della famiglia Cancemi e oggi finita nelle mani dei Crapula, è stata una minuziosa raccolta di informazioni grazie al racconto di un suo testimone. Erano sconvolgenti le informazioni che Inturri riceveva dalla sua fonte.

 

Un chiosco che in molti avevano visto per circa due settimane sotto la gestione di un impresario di pompe funebri. che lo stava rimettendo a posto ripulendolo dalle erbacce prima della nuova apertura, ma che tutto ad un tratto è passato all’impresa dei Crapula, che ne ha annunciato l'acquisizione con tanto di cartelloni recanti la scritta “Nuova gestione“.

 

Cosa sarà successo? La risposta si può riassumere in due parole: semplice mafiosità..

 

La signora Cancemi proprietaria del chiosco aveva richiamato il locatario a cui aveva concesso il locale dicendogli di riconsegnarle le chiavi perché era stata minacciata di morte da Desireè, Christian, Rosario Crapula e Francesco Giamblanco. "Se non fai quello che vogliamo ti faremo saltare in aria!", disse.

Purtroppo, come accade spesso, per questa sua denuncia agli inquirenti e sul suo blog (https://inturrimaurizio.wordpress.com/), Inturri è stato vittima di aggressioni, minacce e querele per diffamazione a mezzo stampa. Per queste ultime sono stati accusati lui, il Borrometi e il senatore Giarrusso. Tra l'altro, le denunce sono fioccate anche quando Inturri ha riferito dell’appoggio del clan Crapula ad un candidato al consiglio comunale nelle elezioni amministrative di Avola di giugno 2017.

Per molti sarà storia passata, ma sappiamo tutti che la “Mafia non dimentica“.

 

Oggi, a distanza di un anno, la DdA di Catania ha confermato quanto scritto da Inturri nel mese di agosto 2017: ad avere preso il testimone del comando del gruppo dal proprio padre è Desiré Crapula, e non il marito di quest'ultima, Francesco Giamblanco.

Il Gip di Catania, infatti, nell’ordinanza cautelare a carico di Francesco Giamblanco, Massimo Rubino e dell'onorevole Giuseppe Gennuso, tutti e tre accusati in concorso di voto di scambio politico mafioso, precisa che: “Il Crapula Michele aveva costituito all’interno del clan Trigila un gruppo proprio e benché arrestato manteneva e risulta mantenere ancora il controllo del gruppo attraverso la moglie Magro Venera e i figli Desireé, Aurelio (detto Cristian) e Rosario”.

Questa precisazione del Gip di Catania conferma quanto da denunciato da Inturri pubblicamente e agli inquirenti sempre nell’agosto del 2017. A seguire Inturri riporta quanto scrisse il 9 agosto 2017. Quello che sapeva di certo, perché lo aveva ascoltato con le sue orecchie era:

 

1. Che ogni quindici giorni circa, la moglie del boss Michele, Vera, si recava dal marito.

2. Che un giorno mentre Inturri si trovava in negozio è arrivata la stessa e con voce di comando rivolgendosi alla figlia Desiré gli ha detto: "...dobbiamo fare i biglietti aerei perché devi venire anche tu!"

3. Che Desirè era l’unica che si occupava dei rapporti con le banche e con la contabilità e che in più di una occasione, davanti ai dipendenti, non trovando il marito Ciccio, si è espressa dicendo “Iddu a stari ca’! Tal’è ca’ accuminciu a lassallu senza mangiari!“ ("Lui deve rimanere qui! Guardate che lo lascio morire di fame", frase che, avendo toni mafiosi, assume significati diversi, anche sinistri, a seconda delle circostanze, ndr). Espressione accompagnata con sguardo feroce e non come occasionalmente si mostrava ai clienti o davanti ad un pubblico non appartenente alla sua cerchia familiare.

 

Da questa inchiesta, sono stati tratti i video, inchiesta su Fanpage.it di Sandro Ruotolo e i vari articoli a livello nazionale, ma il nome di Inturri è stato sempre accantonato da illustri giornalisti e dalle testate giornalistiche locali e nazionali, così come è stato deliberatamente taciuto da chi doveva assicurare garanzie per la sua incolumità fisica e totale solidarietà, cioè a dire da

Paolo Borrometi. Ma così non è stato.

E’ proprio qui e per tali motivi che bisogna chiedersi come mai è calato un silenzio assordante su un aspirante giornalista che ha deciso di parlare e denunciare la mafia proprio nella provincia dei Crapula, dei Trigila, degli  Aparo.

 

Perché e chi ha deciso di lasciare senza scorta mediatica Maurizio Inturri? Quale testimonianza scritta e\o oculare avrebbero avuto oggi inquirenti e Paolo Borrometi senza di lui?

 

 

A cura di Emiliano Federico Caruso

Fondazioni e comité stravolgono le regole del mercato dell’arte. Ecco perché. Cosa si cela, dunque, dietro il labirinto delle fondazioni preposte alla convalida degli artisti che ne fanno parte ?

Certamente non dovrebbero rappresentare il dogma della certezza, anche perché di esperti validi, al di fuori delle fondazioni, ne esistono, eccome.

E allora? C’è odore di bruciato. Infatti, il comune mortale che ritiene di possedere un’opera, firmata o non, di un artista del 1900 , se vuole provare a venderla deve rivolgersi alla fondazione preposta per l’autenticazione . Il che significa che un pugno di esperti possano dettar legge, facendo il bello e cattivo tempo. Tradotto alla romana, una “sola”.

Ecco perché:

  1. Le case d’asta, senza il placet delle fondazioni non vendono l’opera;
  2. I giudizi espressi da altri esperti, in un libero mercato, sembra non abbiano valore. Perché?
  3. Perché le Fondazioni vogliono tenere sotto controllo il mercato, a loro piacimento, naturalmente con il consenso delle case d’asta. Il che significa che un’opera bocciata da una fondazione non ha un valore di mercato. Falso. Infatti per le opere di autori che non hanno dietro alle spalle una fondazione, come gli artisti ante 900, sono gli esperti che attribuiscono un’opera ad un pittore o scultore, e ne indicano anche il valore. Prova ne sia un dipinto di Leonardo venduto a New York alla cifra record di 450 milioni di dollari. Il che dimostra che gli esperti di mercato contano, eccome.
  4. Il gioco delle parti qual’è? Le fondazioni, in generale, bocciano l’opera a loro sottoposta, anche se autentica , poi in collegamento con gallerie e case d’asta sarebbero disponibili a farla acquistare da un terzo, se dovesse essere posta in vendita, naturalmente a prezzi stralciati, per poi, magari, approvarla dopo. Un mercato milionario.
  5. Come difendersi dal verdetto negativo delle fondazioni? Non sottoponendo l’opera al loro giudizio, e farla stimare da esperti esterni, e poi cercare di venderla privatamente , od anche attraverso le pochissime case d’ asta disponibili a bay passare le fondazioni, che, è bene ricordare, incassano il 4% sul valore del venduto nelle aste degli autori che sono da loro schedati.
  6. La soluzione migliore per valutare un’opera, resta comunque di sottoporla all’Unione Europea Esperti D’arte , riconosciuta dal governo italiano ( anche se comporta dei costi), e con la cui certificazione è possibile vendere l’opera attraverso le case d’asta. L’ente, prima del rilascio dell’attestato di autenticità effettua tutte le analisi scientifiche dell’opera e poi riunisce il Comitato di esperti per la valutazione finale. L’Unione copre tutto il territorio nazionale ed ha uffici di rappresentanza sia in Europa che negli Usa.
  7. E’ bene ricordare, comunque, che la legge inerente le fondazioni risale al 1939 e non è stata mai aggiornata. La normativa prevede che un famigliare dell’artista defunto possa costituirne la fondazione e possa esprimere l’autenticità delle opere esaminate fino ai 70 anni dal decesso dell’artista stesso.
  8. In verità le fondazioni dovrebbero occuparsi di altro, e cioè promuovere l’operato dell’artista defunto, con convegni , mostre, ecc. Infatti negli Usa così è. Le fondazioni non possono mai autenticare l’opera dell’artista,ed il ruolo spetta solo ad esperti esterni, cioè al mercato. E negli Usa ci sono 2.000 fondazioni.

E da noi? Fondazioni e case d’asta a braccetto stravolgono il mercato.

Aste deserte e amministratori solerti inducono il Comune di Portoferraio a vendere a ribasso, prima di fine mandato, i beni mobiliari più prestigiosi della città.   

          

Significativi ed emblematici anche per episodi recentemente avvenuti in Italia e per le relative conseguenze, sono i casi di amministratori comunali, folgorati sulla strada di Damasco che hanno letteralmente svenduto patrimoni immobiliari pubblici di notevole rilevanza invocando ragioni che alla luce dei fatti, non stavano né in cielo né in terra.

È vero che ogni caso fa storia a sé, ma nell’analogia di quanto è avvenuto è interessante prendere atto che tutto il mondo è paese e che ciò che sembrava un eccesso di sconvenienza economica localizzata in alcune circostanze, ecco che si ripropone in altri luoghi.

A volte ritornano - Non è certo la prima volta che attraverso aste guarda caso, andate deserte, si vende a ribasso e a trattativa privata, beni immobiliari di ben altro valore, rispetto al ricavato.

Da tempo l’Amministrazione di Portoferraio che come moltissimi conoscono, è quella splendida cittadina dell’ Isola d’ Elba, si è adagiata sulla “rendita di posizione” dei beni che immediatamente producono alla gestione in carica il corrispettivo economico ricavato dall’ appalto, senza altro impegno. Esempio di una situazione di tal genere è quello delle attività portuali turistiche e commerciali; tutto ciò sembra in linea con la volontà di vendere l’ uva, si fa per dire, con l’intero vigneto, ossia non lasciando sfuggire nel tempo del mandato politico dell’Amministrazione comunale, l’ occasione irripetibile nella quale si vendono i beni di famiglia con la prospettiva di ottenere un immediato ristoro.

Si pensa però che non sia stata nell’intenzione dei cittadini che hanno votato per l’Amministrazione in carica quella di mettere alla prova appetiti di questo genere, in quanto una volta rimasti in brache di tela, come precisano i milanesi, i pantaloni per ricoprire non ci sono più.

A volte restano - Dall’astratto al concreto, si può purtroppo prendere atto che sono stati posti in vendita dal Comune di Portoferraio diversi e importanti beni immobili rappresentati da significative strutture in zone storiche e panoramiche della città. Si tratta di beni che hanno sicuramente un valore di mercato sostenuto. Ove il bando di gara per alienazione di questi immobili fosse stato opportunamente portato a conoscenza dei veri ambienti interessati, il valore d’asta milionario avrebbe rappresentato solo la base di rilancio.

Ma a quanto pare, i soliti noti si saranno sicuramente rallegrati per il fatto che le gare a prezzo d’asta sono state portate per ben due volte a conoscenza del pubblico interessato che in questi casi è indispensabile informare, per ottenere una risposta adeguata al valore in gioco.

Quando di fronte a beni di tal genere due gare vanno deserte, c’è qualcosa di poco chiaro nell’aria. Non si comprende infatti l’ostinazione dell’Amministrazione comunale che coglie l’occasione per proporre ancora l’alienazione immobiliare a trattativa privata con lo sconto di percentuali a due cifre.

Ma questa volta non salterà fuori dal cappello a cilindro del prestigiatore il solito coniglietto bianco, appariranno invece i noti personaggi di questo genere di cose; saranno cioè, il gatto e la volpe della circostanza che parteciperanno a trattativa privata, a questa sorta di invito a nozze, completando così, il gioco delle parti delle quali la perdente è sicuramente quella di Portoferraio.

Il gatto e la volpe - L’aggiudicazione sarà quindi assegnata a questi personaggi che non si erano presentati prima, come per non voler turbare l’asta con la loro presenza. Ma successivamente, visto e considerato che i beni in questione nessuno li voleva, bontà loro, potranno dare un contributo alle casse comunali. Ma di quale valore si tratta? Infatti, oltre il ribasso sul prezzo di base d’asta con percentuale a due cifre, deve essere considerato che la stessa base della prima delle due gare era già ovviamente appetibile rispetto al valore di mercato. Ecco perché i passi successivi della vendita immobiliare hanno portato i ribassi finali a valori che avrebbero dovuto sconsigliare ogni altra azione.

Passando dagli antefatti al caso concreto, un bene di rilevante valore architettonico in particolare per la storia di Portoferraio, è l’immobile in stile liberty che il famoso Arch. Coppedè all’inizio del 1900 aveva progettato, per la Direzione Generale di uno dei primissimi stabilimenti siderurgici italiani.

Si tratta di uno storico edificio lasciato decadere e spogliato dell’intonaco negli anni scorsi in luogo della necessaria manutenzione da parte dal Comune proprietario del bene in questione. L’immobile in virtù della sua stessa struttura e dei vari locali dislocati in quattro piani, si avvale della posizione privilegiata sulla banchina del porto commerciale e del notevole coefficiente di prospetto che lo caratterizza, per assumere un valore di mercato che non rispecchia certo quello offerto dallo stesso Comune.

Altri beni che dovrebbero essere alienati, sono tre appartamenti di un prestigioso palazzo in stile neoclassico con vista sul golfo, ubicato al centro del porto turistico di Portoferraio. Si tratta di appartamenti, questa volta immediatamente agibili per essere utilizzati, e che il Comune intende alienare allo scopo di introitare poche centinaia di migliaia di euro. Francamente non si comprende quale sia il vantaggio della cittadinanza per entrate di questo genere, quando il prezzo di mercato sceso ora a ribasso della base d’ asta, rappresenta più che un atto di reciproca convenienza, un’autentica svendita a prezzi non plausibili.

E ancora, un altro palazzo antistante allo stesso Comune, nel bel centro del centro storico di Portoferraio, con vista sulle due più importanti piazze della città. Anche in questo caso l’immobile in questione ha un valore commerciale che non risponde minimamente alle caratteristiche ricavate dal meccanismo del prezzo stabilito a trattativa privata come nei casi precedenti.

Ma non finisce qui - La questione analoga vale per una ulteriore edificio di un’ex scuola ubicata nella pianura del golfo di Portoferraio il cui valore persino in base d’asta, sembra che già sia stato ridotto senza ragione non tenendo conto di un estimo, che la Pubblica Amministrazione dovrebbe poter mostrare a scanso di equivoci, non solo per quest’immobile ma per tutti quanti gli altri, compreso tutto il secondo piano dell’ex Ospedale della città, inizialmente stimato 800 mila euro.

Tenendo conto ora delle riduzioni successive per le gare andate deserte malgrado la percentuale a ribasso, la trattativa privata prevista per la relativa alienazione, si prospetta quanto mai penalizzante per la P.A. Se poi oltre i ribassi calcolati non si sa come, sul prezzo d’asta, si tiene conto che il periodo più infelice per vendere immobili è proprio questo a causa della contrazione dei prezzi di mercato, allora il presupposto che qualcuna delle Autorità di controllo, come la Corte dei Conti, chieda spiegazioni documentali degli estimi di ribasso, dovrebbe essere abbastanza concreto.

Quando il guadagno non c’ è.. - Se il piano di vendita così organizzato dal Comune avrà esito, il danno arrecato al patrimonio della cittadinanza, sia per la perdita irreversibile di beni rappresentativi della storia di Portoferraio, sia per la inconsistente somma del relativo ricavo, non troverebbe riscontro nello stato di necessità del Comune.

Non si ritiene infatti, che l’Amministrazione di Portoferraio sia allo sbando economico, né che abbia destinato in fase avanzata del proprio mandato, il ricavato a specifici progetti di pubblica utilità meritevoli di una decisione di questo genere, come si dovrebbe fare in tali casi.

Resta da capire quale sia stato il reale motivo del Comune di non aver messo a frutto prima a vantaggio della stessa Amministrazione e quindi della cittadinanza, i beni che adesso intende alienare; così come quale sia la ragione di volere adesso concretizzare, nel momento di mercato meno favorevole per i ricavi, vendite immobiliari di una parte della storia architettonica di questa città.

Il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale ha recuperato un’importante opera del XVIII sec. di uno dei principali esponenti della pittura vedutista italiana, rubata nel 1994.

 

I Carabinieri del Reparto Operativo del Comando Patrimonio Culturale (TPC), a quasi 25 anni dal furto hanno recuperato un dipinto, olio su tela, raffigurante Capriccio Architettonico con astanti, la cui attribuzione è contesa ad oggi tra due dei massimi esponenti del periodo vedutista italiano, ovvero Giovanni Paolo Pannini (1691-1765) e Andrea Locatelli (1695-1741).

Nel novembre 2017, durante l’attività di monitoraggio del mercato delle opere d’arte, i militari della Sezione Antiquariato hanno individuato in una importante casa d’asta londinese l’opera raffigurante Capriccio Architettonico con astanti, in procinto di essere messa in vendita, con un prezzo di partenza di 40.000 sterline, pari a circa 50.000 euro.

Gli immediati approfondimenti investigativi, eseguiti anche attraverso la Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti, hanno confermato la corrispondenza dell’opera individuata con quella rubata e hanno consentito di accertare che il dipinto era stato consegnato, da un antiquario, alla filiale romana della casa d’aste di Londra che, a sua volta, ne aveva chiesto e ottenuto l’attestato di libera circolazione.

Il verosimile intento era di realizzare, all’estero, un maggiore guadagno, in forza dell’importante richiesta di opere d’arte di uno principali esponenti della pittura vedutista italiana del XVIII sec.

Il dipinto, che è stato rimpatriato in questi giorni, una volta esperite le formalità da parte della Procura della Repubblica di Roma, sarà restituito al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e nello specifico alle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma – Palazzo Barberini e Galleria Corsini, alla quale era stata donata nel 1892 dalla famiglia nobiliare Torlonia. Il 1° gennaio 1925 è stato poi dato in deposito a Palazzo Venezia dopo essere stato in mostra a Castel Sant’Angelo nel 1911 e 1920. Il 20 febbraio 1958 è stato ceduto in deposito temporaneo all’istituto culturale “delegazione opere d’arte astalli” - Archivio Siviero - Delegazione per le Restituzioni del MAE (Ministero Affari Esteri). Il 1° gennaio 1994 è stato rubato.

Durante l’attività d’indagine è emersa nella monografia di Andrea Locatelli a cura di Andrea Busiri Vici del 1976, nella scheda n. 11, una attribuzione non a Panini ma a Locatelli.

E’ la prima volta che la Commissione per le adozioni internazionali viene condannata al risarcimento per omessa vigilanza. La condanna si riferisce allo scandalo che ha colpito l’ente autorizzato Airone onlus, i cui vertici sono stati rinviati a giudizio dal Tribunale penale di Savona per il reato di truffa. I fatti risalgono all’anno 2012 e vedono coinvolti 21 coppie italiane di aspiranti genitori che si erano rivolti all’ente per adottare un bambino nell’ex Repubblica sovietica del Kirghizistan. Le Adozioni si rivelarono, poi, irrealizzabili perché i bambini avevano una famiglia e non erano in stato di abbandono.

A condannare la Cai al risarcimento nei confronti di una delle coppie è stata la seconda sezione del Tribunale civile di Roma, nella persona del giudice Assunta Canonaco. Condannato anche l’Ente Airone Onlus, poi radiato dall’albo a seguito della denuncia.

E’ così stata fatta giustizia, per il momento, almeno nei confronti di una delle 21 coppie, la quale ha ottenuto il risarcimento da parte della Commissione per le adozioni Internazionali per la somma complessiva di 168.000 euro.

L’Avv. Giorgio Aldo Maccaroni, Presidente dell’Avvocatura Italiana per i Diritti delle Famiglie, commenta così l’importante sentenza del Tribunale di Roma: “Finalmente è arrivata una sentenza di condanna nei confronti della Commissione per le Adozioni Internazionali, dopo tutte le irregolarità che hanno visto protagonista negli anni precedenti la predetta Commissione. Non è possibile che un ente preposto alla vigilanza sulle adozioni non debba pagare se vengono commesse delle irregolarità o delle omissioni sul controllo che deve esercitare. Oltretutto il danno nei confronti degli aspiranti genitori è molto grave per la lesione di legittime aspettative che investono in particolar modo la sfera affettiva. A questa prima importante condanna della Commissione al risarcimento, segue anche un’importante riflessione e cioè che sarebbe il caso di introdurre regole nuove, stabilendo anche delle sanzioni disciplinari per il Presidente e per i componenti della Commissione per le Adozioni Internazionali, compresa la decadenza dalla carica che rivestono, quando si verificano gravi omissioni e irregolarità.

© 2022 FlipNews All Rights Reserved