L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
Giorgio Fornoni |
"Questi sono i miei pensieri scritti di getto. Non guardate la forma ma la sostanza"
Giorgio Fornoni
Figlio di una terra di boscaioli e montanari, tanto aspra quanto bella, Giorgio Fornoni, nel corso della sua lunga e affascinante carriera, ha denunciato e documentato traffici illegali, disastri ambientali, violazioni dei diritti umani e intervistato premi nobel, capi di Stato e leader di guerriglia ben prima che vi arrivassero i grandi canali di informazione. Per le sue capacità di inviato nei luoghi più delicati del mondo, nel 1999 Fornoni viene notato da Milena Gabanelli, che lo vuole nella redazione di Report, per la quale realizza molti servizi e dove gli viene dedicato uno speciale dal titolo "L'altra faccia del giornalismo". Nel 2003 entra poi nella Free Lance International Press, dove cinque anni dopo diventa vice presidente.
Uomo verace, schietto e sincero, amico di personaggi come Allende e Fidel Castro, oltre che reporter di rara abilità, Fornoni ha risposto alle nostre domande al rientro da un suo viaggio in Messico, dove si è recato spinto dalla sua inesauribile ricerca della verità.
E.F.C: Cosa vuol dire oggi essere reporter in zone difficili?
G.F: "Vuol dire andare dove la tua coscienza ti spinge e spingersi più in là dove c’è devastazione e sofferenza per dare voce a chi non ha voce; la miseria è silenziosa, è solo disperazione.
Essere reporter vuol dire cercare di denunciare il non senso della guerra, vuol dire cercare la verità, vuol dire mettere un piede nella storia, vuol dire non mettere la testa sotto il cuscino soffocando la coscienza"
Nell'epoca di internet, dei social network e delle notizie ormai trasmesse quasi in tempo reale, che senso ha ancora il lavoro del reporter di guerra, di colui che si reca sul campo a vedere di persona quel che accade?
"Innanzitutto andare libero e non come inviato, vuol dire non dovere dare conto ad un padrone. Tante cose assurde ho visto, contrarie a quelle che tante volte i media scivono...e solo pochi mesi fa in Siria ne ho avuto come sempre una spietata conferma.
Come diceva l’amica Anna Politkovskaja “Io scrivo ciò che vedo”. Come fa un giornalista a capire la disperazione, la distruzione, la sofferenza e la paura di una prima linea senza andarci? Come fa a sentire l’odore della morte?"
Si dice che un reporter debba essere sempre imparziale e non prendere nessuna posizione. Ma secondo lei è possibile rimanere imparziali anche in zone di guerra, dove un reporter vede con i propri occhi i diritti umani, soprattutto quelli dei civili, continuamente violati?
"Il lavoro del Reporter è una missione seria, almeno pari al rischio che affronta, per raccontare la “verità”.
Un vero Reporter deve sempre e comunque raccontare la verità… e questa non è solitamente né da parte dei governi né da parte della guerriglia… sta sempre in mezzo, sta dalla parte dei civili che vittime senza colpa, pagano per il solo motivo di abitare a casa loro.
Nel momento della scelta è la coscienza che deve essere seguita. La libertà deve essere guidata dalla coscienza e questa deve però essere retta e ben formata se si vuole cercare di essere credibili e onesti"
Nel mondo ci sono numerose guerre ancora in corso, ma i media sembrano concentrarsi sempre sugli stessi 5 o 6 conflitti più famosi. Perché c'è questa tendenza a parlare poco di molti altri conflitti, pur gravi?
"Purtroppo anche in questo caso, essendo il mondo mediatico in mano ai poteri forti, sotto i riflettori rimangono quelle situazioni che maggiormente possono determinare i propri interessi.
Esempio, come prima accennato, il caso Siria…ora il Venezuela…sono appena tornato dal Messico… ho percepito che la disumanizzazione, unita alla paura, crea nella testa e nel cuore dei più deboli un ribollire dell’odio… annullando frequentemente ogni possibilità di ragione"
Con le incertezze in ucraina, gli interessi di Russia, Cina e America, e le migrazioni da africa in Europa a causa di numerosi conflitti locali, come vede il futuro dello scenario geopolitico in Europa?
"Finché l’Europa avrà la forza e la capacità di rimanere unita, avremo una garanzia economica e di pace… anche se le tre superpotenze tendono a dividerla per renderla vulnerabile. Sta al popolo decidere chi far governare ma siamo in un periodo delicato. La Russia di Putin pretende di ritornare ad essere un impero (e lo vediamo nei conflitti in atto), ed è supportata dalla ricchezza di materie prime che ha nel suo sottosuolo (gas e petrolio in particolare).
La Cina è un’altra superpotenza...la sua non è una guerra con armi, anche se si sta silenziosamente rifornendo, ma economica. È riuscita a conquistare molti mercati del mondo ed accaparrarsi il diritto di sfruttamento della materie prime; in particolare in Africa (alcune mie inchieste per Report lo possono dimostrare).
L’America, sappiamo del suo ruolo nel mondo. Esporta armi innescando conflitti…si erge a poliziotto globale…vediamo con la guerra in Siria, il suo silenzioso atteggiamento in Venezuela, il contenzioso con la Corea del Nord e il braccio di ferro con la Cina guerra dei dazi…e con la Russia sempre in contesa…pronta a spartirsi il dominio"
Quando un reporter si trova in zone di guerra, o quantomeno in territori difficili, si trova sempre a decidere: da una parte se spingersi un po' più in là rispetto ai suoi colleghi, pur di trasmettere al suo giornale uno scoop in esclusiva o almeno un pezzo importante, a prezzo però di un rischio maggiore, dall'altra parte deve invece decidere se rimanere appena un passo indietro, relativamente al sicuro, ma con il rischio di trasmettere alla redazione un pezzo che manchi di quel qualcosa in più per essere davvero incisivo rispetto alla concorrenza. In base alla sua esperienza, come fa un reporter a capire quale è il limite da non superare per non mettere seriamente in pericolo la propria incolumità?
"Io penso che andare un passo più in là, ti avvicina sempre più alla verità.
Ho lasciato molti amici morti sul campo: Maria Grazia Cutuli, Raffaele Ciriello, Andrey Mironov, la stessa Anna Politkovskaja anche, è stata uccisa sulla porta di casa a Mosca…Importante è anche, oltre all’esperienza, credere in se stessi, ognuno deve capire il proprio limite. Certo, a volte, per il pericolo e le brutture che si incontrano andando un po’ più in là, molti miei colleghi sono rimasti completamente devastati da quello che hanno visto e incontrato.
Come diceva giustamente Kapuscinski: -...il cinico non è adatto a questo mestiere-"
La paura è un sentimento costante nel lavoro del reporter di guerra, inutile fingere di non averne. Questo comprensibile stato d'animo come potrebbe essere gestito sul campo?
"È la forte motivazione che ti spinge…solo spingendoti oltre puoi veramente essere, ritrovare te stesso capire e il tuo proprio limite. È la passione per l’uomo, e la ricerca della verità che non ti ferma perché è là che devi andare.
In prima linea non devi gareggiare con nessuno…devi seguire quel che ti dice il cuore…non devi star a pensare alla paura…quella viene dopo…
In prima linea non puoi barare…sono molti i fattori che ti spingono ad andare sempre avanti…come già detto, la forte passione per la verità, la passione per l’uomo, la curiosità, l’inquietudine, il desiderio di raccogliere immagini, di fatti e notizie di prima mano per poi scrivere, documentare e denunciare ciò che vedi.
La paura è tua compagna…devi fartela amica la paura.
È solo dando un senso a quel che fai che non ti fa vergognare quando alla sera ti guardi davanti ad uno specchio. La paura è un tuo limite. Non esiste fondo chiuso se credi in te stesso"
Quali sono i contatti locali che un reporter di guerra dovrebbe sempre mantenere?
"Un interprete, una guida…nel mio caso i missionari sparsi per il mondo… loro sono stati indispensabili…mi hanno dato ospitalità, suggerimenti e conforto….
I missionari, sappiamo che vivono alle periferie del mondo, a contatto della sofferenza umana, frequentemente in mezzo ai conflitti…è l’amore verso l’”uomo” che li fa essere coraggiosi e talvolta oltre ogni limite….
Anche loro vivono un passo più in là"
Ha ancora senso recarsi in zone di guerra al seguito dei militari, ben sapendo che le informazioni che questi ci fanno reperire possono essere distorte o filtrate? Come si può, in questi casi, tentare di ottenere informazioni e materiale autentici e verificati?
"Questi sono gli embedded…sono quei giornalisti che frequentemente “fanno comodo” ad una parte o a volte anche perché stando al seguito dei militari si prendono meno rischi…è comunque una possibilità per capire una parte del conflitto"
Oltre alla scrittura come valvola di sfogo, quali altri meccanismi permettono a un reporter di guerra di resistere psicologicamente al ricordo degli orrori di cui è stato testimone?
"Come corrispondente di guerra, non puoi avere una vita normale.
È storia di vita pericolosa. Alcuni amici sono rimasti sul campo, altri sono rimasti vittime di alcool e droghe, altri ancora sono spariti ritirandosi in luoghi di silenzio e solitudine…altri cambiando totalmente tipo di vita….
Sono riuscito a non esaurirmi inserendo di tanto in tanto viaggi che mi portassero il cuore lontano, ritagliando spazi di un’umanità diversa.
Esempio: dopo la guerra in Ertitrea e camminando in mezzo a tutti quei morti insepolti, sono partito per un mondo lontano viaggiando fino allo stretto di Bering, sull’Isola Ratmanova dove c’è l’ultimo avamposto militare russo, là dove per primo nasce il giorno.
Dopo l’inchiesta sulla pena di morte per Report, durata un anno e mezzo dentro una sofferenza incredibile, mi hanno ospitato in Cile all’osservatorio ESO, il più grande al mondo nella banda ottica, per condividere gli sguardi verso un infinito universo e capire quanto piccolo è l’uomo;
Dopo altre prime linee ho frequentato ben 12 campagne archeologiche nel deserto del Neghev alla ricerca del monte Sinai biblico…
… e così altri ed altri posti ancora come la discesa del Rio delle Amazzoni e del fiume Mekong, fino alla scalata sull’Himalaya.
Ma la ricerca che maggiormente mi acquieta, è quella spirituale.
Da anni inseguo, cerco conoscenza accostandomi allo studio della varie religioni. Un lavoro, che ho chiamato “Le Vie del Cielo” dove ho avuto la fortuna di incontrare personaggi straordinari: monaci ed eremiti (dal Dalai Lama al sopravissuto dei monaci di Thiberine, da eremiti ed abati) un mondo che dona serenità"
Il modo di fare giornalismo è molto cambiato negli ultimi anni, soprattutto grazie alle nuove tecnologie. Ma una cosa sembra non cambiare mai: la complessità e le motivazioni della figura del reporter di guerra, che sembra avere dentro di sé qualcosa in più rispetto ai suoi colleghi che si occupano solo di cronaca locale. Secondo lei in cosa consiste questo "Qualcosa in più" ?
"Come già detto: l’amore verso il prossimo, la passione, la curiosità, l’inquetudine…
Per quanto mi riguarda è il ricercare la verità…sento forte il senso e la ricerca di giustizia…dare voce alle miserie e sofferenze del mondo; raccogliere ed assumere il dolore dell’altro dà senso alla vita"
Nelle zone difficili del pianeta, quali benefici pensa che possa portare alle popolazioni locali il lavoro di ben fatto di un reporter di guerra?
"Denunciare il male è la cosa più importante affinché la gente lo rigetti.
Non è facile smantellare i poteri forti, ma denunciando gli scandali, raccogliendo prove e testimonianze, entrare nei fatti è importante per scuotere le coscienze dell’uomo…e perché la gente capisca che il benessere non è esclusivo per chi ce l’ha, ma appartiene a tutti… ad ogni essere vivente"
I civili sono spesso una fonte più attendibile in una zona di guerra, rispetto a fonti militari, politiche o dei palazzi del potere. Come dovrebbe comportarsi un reporter che intende guadagnarsi la fiducia della gente del posto?
"Stare con loro, condividere momenti di vita con loro. Ricordo Antonio Russo, giornalista di radio Radicale quale forte esempio. Quando ero in Georgia, nella valle del Pankisi dove a migliaia si erano rifugiati profughi, donne, uomini, bambini e vecchi per sfuggire ai bombardamenti su Grozny e sulla Cecenia intera, la gente che incontravo per raccogliere le loro sofferenze mi dicevano: ti concedo questa intervista perché sei amico di Antonio Russo…lui viveva qui con noi, lui aveva ben capito il nostro dramma, lui era la nostra voce.
Lo stesso quando ancora era rimasto l’unico giornalista occidentale a Pristina sotto i bombardamenti per condividere i momenti di disperazione con quel popolo…
La stessa Anna Politkovskaya che ho intervistato e ben conoscevo, addirittura era stata l’unica a poter entrare al teatro Dubrovka quando i guerriglieri ceceni si erano asseragliati, con il teatro strapieno di quasi mille persone, e tentare una mediazione per la liberazione degli ostaggi. Lei era talmente seria e di grande coscienza nello scrivere e denunciare il non senso di quella guerra che non solo il popolo ceceno ma persino i guerriglieri ceceni si fidavano di lei.
Questi reporter raccoglievano su di loro i drammi. Perché vai al pericolo, chiedevano i figli di Anna Politkovskaja alla madre… e lei rispondeva: “...se non io chi?”. Sapeva caricare su di sè i drammi degli altri, dei più deboli.…
Quando in un’intervista le ho chiesto: ma non hai paura del Cremlino? Lei rispondeva: “Tutti hanno paura ora. Ma paura o no questa è la tua professione…perché lì muore la nostra gente quindi, paura o no, è il rischio di questa professione”
C'è un episodio preciso che ha fatto scattare in lei la molla del reporter?
"Un tempo, da giovane amavo l’archeologia, la storia passata dell’uomo. Ma incontrando sofferenze e drammi ho potuto presto comprendere che valeva e dovevo di più conoscere l’uomo nella sua storia attuale.
Sì, volevo capire il perché delle guerre. Ho visto in Vietnam, a Saigon, quando stavano allestendo il museo degli orrori e dei crimini di guerra, bambini e feti in vasi di formalina, morti a causa del Napalm. Possiamo capire la guerra?
Ho subito un dirottamento aereo da New Delhy- Amritsar, il 4 e 5 agosto 1982 a causa dei Sikh che pretendevano la liberazione di alcuni di loro, dirigenti rinchiusi nelle prigioni indiane;
La guerra che si stava preparando fra Iraq e Iran… anni 1978/1979.
… guerra in Angola, in Afganistan, in R.D. del Congo, in Sudan, ecc…tutto questo mi ha spinto ma è stando vicino ai missionari che ho sentito maggiormente il dovere e ho imparato a denunciare sofferenze e ingiustizie.
Milena Gabanelli si accorse di me e con Report ho potuto dire e denunciare ad alta voce questi mali del mondo"
Lei ha visitato, come reporter, decine di luoghi nel mondo, molti dei quali pericolosi e difficili da gestire. Dopo aver visto tanto male, guerre e sofferenza, conserva ancora un senso di ottimismo per il futuro dell'umanità?
"Sono convinto che il bene vincerà sul male…anche perché è troppo forte lo spirito di sopravvivenza che l’uomo ha dentro di sé.
Ho visto e assistito di recente a gesti di totale gratuità. Donne che da 24 anni porgono da bere e da mangiare ai migrantes indocumentados che viaggiano su “La Bestia” (così chiamano il treno merci), che rincorrono e salgono aggrappandosi prendendo posto tra un vagone e l’altro, per attraversare il Messico e tentare di andare al di là del muro di Trump, per entrare negli USA…in cerca di fortuna.
Sono conosciuti questi indocumentados, perché sono sconosciuti. Sono gesti di poveri che aiutano altri poveri e questi gesti ci regalano tanta speranza.
Ho visto medici e volontari in giro per il mondo che spendono la loro vita per l’”altro”…e finché ci saranno queste generosità, non crescerà mai il deserto.
La verità, non è partire da sé ma dagli altri"
C'è un episodio in particolare nella sua carriera che le ha fatto vedere una speranza per l'umanità, o si tratta di un processo che ha richiesto del tempo?
"Ad ogni conflitto corrisponde il desiderio di pace, ad ogni bruttura, la ricerca del bene…è qualcosa che l’uomo, come dicevo, ha dentro di sé…che fa rimarginare come una ferita, le cattiverie.
Certo è che siamo alle soglie di pericoli tremendi, causa forze meccaniche e tecniche (come diceva il mio amico Pomerance, sopravvissuto ai gulag, amico si Solgenitsin e di Shalamov)…è per questo che bisogna ridare forza ai veri valori di vita: priorità alla cultura…bisogna creare un uomo più umile, più buono e dal cuore aperto…tutto deve essere
Fornoni con Sem |
indirizzato a questo"
Con quale criterio sceglie le storie da raccontare?
"In particolare scelgo quelle storie che i media raccontano male e poco….
Esempio: guerre dimenticate o di bassa intensità…ce ne sono molte, troppe.
Ma non solo guerre, esempio: la domanda che mi pongo: “Perché in un paese così ricco la gente è così povera?” ecco che è nata l’inchiesta “Furto di Stato” fatta per Report nella R.D. del Congo, con la storia del Coltan e il traffico di oro e diamanti…attraverso le miserie umane.
Oppure lo scandalo del petrolio sul Delta del Niger…volevo capire quali bugie i media raccontano (o mezze verità)…con l’inchiesta per Report ho messo in evidenza l’inquinamento del Delta e le cause della guerriglia.
…e questo non è altro che la conseguenza di affari fatti tra multinazionali e governi corrotti…tutte ricchezze rubate alla povera gente che non ha accesso alla sanità e alle scuole causa l’avidità di potenti corrotti, ci dirottano direttamente le risorse sui propri conti personali"
Per finire, quali consigli si sente di dare a un reporter che si reca per la prima volta in una zona delicata per prepararsi a livello fisico, mentale, professionale e culturale?
"Primo, credere nei propri valori senza essere esaltato. Se un giovane, che è attratto e si incammina per questo “destino”, raccoglie buon materiale e testimonianze importanti e i “media” non danno o danno poca considerazione…allo stesso dico: sforzati a non sentirti frustrato, non deve essere delusione ma motivo di sprone per continuare a fare sempre meglio, per andare oltre…
Questo significa, in poche parole, credere nella propria missione"
Emiliano Federico Caruso