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il giornalista free lance non credeva negli ordini professionali, era uno spirito libero
Oggi Antonio Russo avrebbe avuto 56 anni se non fosse stato ucciso la notte tra il 15 e il 16 ottobre in Georgia, dove si trovava in qualità di inviato di Radio Radicale per documentare la guerra in Cecenia. Il suo corpo venne ritrovato torturato, ai bordi di una stradina di campagna a 25 km da Tblisi. Antonio Russo era stato per molti anni freelance e reporter internazionale di Radio Radicale. Tra le sue corrispondenze quelle dall'Algeria, durante gli anni della repressione, dal Burundi e dal Ruanda, che hanno documentato la guerra nella regione dei grandi laghi, e poi dall'Ucraina, dalla Colombia e da Sarajevo.
Russo fu inoltre inviato di Radio Radicale in Kosovo, dove rimase – unico giornalista occidentale presente nella regione durante i bombardamenti NATO – fino al 31 marzo 1999 per documentare la pulizia etnica contro gli albanesi cossovari. Nel corso di quelle settimane collaborò anche con altri media e agenzie internazionali. In quell'occasione fu protagonista di una rocambolesca fuga dai rastrellamenti serbi, unendosi a un convoglio di rifugiati kosovari diretto in treno verso la Macedonia. Il convoglio si fermò durante il percorso e Antonio Russo raggiunse Skopje a piedi. Di lui non si ebbero notizie per due giorni, nei quali lo si diede per disperso.
Perquisita dalla polizia georgiana, la sua abitazione fu ritrovata in soqquadro, mentre il telefono satellitare, il computer, la videocamera e il materiale di Russo inerente gli eccidi in Cecenia era stato sottratto. Le indagini della procura di Roma e della Digos, supportate anche da fonti del quotidiano The Observerer, dell'Ansa e del Corriere della Sera, collegarono l'omicidio di Russo con le sue scoperte giornalistiche. Aveva infatti cominciato a trasmettere in Italia notizie circa la guerra, e aveva parlato di una videocassetta contenente torture e violenze dei reparti militari russi ai danni della popolazione cecena. Secondo alcuni suoi conoscenti, Russo aveva raccolto prove dell'utilizzo di armi illegali contro bambini ceceni, con pesanti accuse di responsabilità del governo di Vladimir Putin.
Giornalista freelance, non si era mai iscritto all'ordine dei giornalisti italiano perché, come anche il gruppo dei radicali italiani di cui faceva parte, era ad esso contrario. Questo il ricordo di un collega Claudio Gherardini incaricato di visionare villaggi albanesi distrutti dai miliziani serbi per conto di una ONG. “Lo conobbi nel dicembre del 1998 , stavo concludendo la mia permanenza nei Balcani iniziata nel 1996. Ho passato una settimana con lui a Pristina. Ancora me lo vedo a tavola in pizzeria con i suoi ragazzini di strada, affamati e che mai sarebbero stati ammessi nel locale se non per lui. Mi pento solo di non averlo fotografato, chissà cosa mi avrebbe detto. Avevo un fuoristrada scassatissimo ma andammo un po’ in giro assieme. Uno che sentii subito come un fratello. Antonio metteva di buon umore subito. Era uno spirito libero e non aveva paura di niente.” Nel 2001 gli è stato assegnato postumo il premio Saint Vincent di giornalismo e il premio della Free International Press è dedicato alla sua memoria.