Martellati dal tambureggiare mediatico conformisticamente osannante nei confronti di tutto ciò che attiene all’operato del papa e di Santa Madre Chiesa, ben pochi sono coloro che, credenti o meno, mossi da volontà di sapere e di capire, si vanno interrogando in merito a cosa veramente sia il Giubileo o Anno Santo, chiedendosi anche, magari, quanto questa istituzione sia autenticamente “cristiana”, ovvero quanto abbia a che vedere con il messaggio evangelico, quanto possa realisticamente fungere da elemento di concordia e di riunificazione con le altre chiese cristiane, quanto possa rappresentare una opportunità di affratellamento con i non credenti e con i credenti di altre Fedi.
Una cosa appare più che evidente: il fiume di retorica proveniente dalla cittadella vaticana inonda ogni canale televisivo e impregna ogni momento di comunicazione dedicato a tale evento, non favorendo in alcun modo qualcosa che assomigli ad un aperto confronto di opinioni, anzi, facendo in modo che non si venga minimamente sfiorati dal pensiero che potrebbero (addirittura!) esistere, sia dentro che fuori della cristianità, diverse opinioni in merito. E che, perché no, potrebbe risultare di un qualche interesse discuterne insieme.
Tutto è orrendamente ridotto a spettacolo, a statistiche, a mercato, a sensazionalismo, a palpiti di cuore, a gesti teatrali ed emozioni forti. Raffinate discussioni dottrinali e polemiche laicheggianti sono relegate aprioristicamente nelle polverose soffitte del passato.
La cosa che sconcerta ed amareggia maggiormente è che la Chiesa Cattolica continui a comportarsi come se, all’interno della cristianità, non si fosse dibattuto per secoli, anche assai aspramente, su questioni come quelle del valore della “grazia” (e delle sue differenti tipologie), della fede in rapporto alle opere, delle reali competenze e dei reali poteri attribuibili alla figura del papa, delle effettive possibilità, dunque, di un intervento papale che possa modificare i decreti del Giudizio divino nell’aldiquà ed anche nell’aldilà, ecc.
E sconcerta immensamente il fatto che la Chiesa di Roma, dopo tante critiche e polemiche, dopo secoli e secoli di grandi controversie, concili, anatemi, roghi, scomuniche e scismi (vedi, in particolare, la Riforma di Martin Lutero), insista nel promuovere e nell’ esaltare credenze e pratiche religiose nate nel cuore del periodo medioevale, tanto lontane dall’autentico spirito evangelico e tanto poco condivise dalle numerose comunità cristiane che, nel tempo, hanno messo in discussione l’autorità assoluta dell’istituzione papale e le numerose forme di culto presenti nella tradizione cattolica, considerate imbevute di logica e sensibilità superstiziose e paganeggianti. Fra cui, sia la possibilità di “cancellare” i peccati attraverso il sacramento della Confessione o della Penitenza e Riconciliazione, sia quella di “cancellare” quanto resterebbe impresso sull’anima del peccatore dopo l’avvenuta assoluzione, nonché le pene purificatrici a cui essa dovrebbe, di conseguenza, essere sottoposta nell’aldilà secondo il divino volere. Proprio a ciò, infatti, si riferisce il concetto di “indulgenza” in generale e di “indulgenza plenaria” in particolare.
Quando, nell’anno 1300, da parte di Bonifacio VIII (pontefice fra i più criminali della storia della Chiesa) venne indetto il primo Giubileo, folle di pellegrini giunsero a Roma con il preciso e agognatissimo
Bonifacio VIII |
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obiettivo di poter “lucrare”, per pietosa concessione papale, l’indulgenza plenaria, ovvero una indulgenza intesa nella sua massima estensione, superiore, quindi, a tutte le altre forme di indulgenza (parziale) esistenti, caratterizzate da una efficacia circoscritta, più o meno ampia.
E parlare di indulgenza ha senso perché, come ci spiega papa Francesco nella Bolla di Indizione del Giubileo, secondo la dottrina cattolica, “il peccato “lascia il segno”, porta con sé delle conseguenze: non solo esteriori, in quanto conseguenze del male commesso, ma anche interiori, in quanto «ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato purgatorio». Dunque permangono, nella nostra umanità debole e attratta dal male, dei “residui del peccato”. Essi vengono rimossi dall’indulgenza …” (cap. 23)
L’indulgenza, quindi, ci spiega sempre Bergoglio, permetterebbe “di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio”, in quanto l’”indulgenza del Padre”, “attraverso la Sposa di Cristo” raggiungerebbe il peccatore perdonato, liberandolo da ogni residuo peccaminoso.
Illimitata misericordia divina o - chiediamoci - illimitata presunzione del Sommo Pontefice e della sua Chiesa?!
Fatte queste brevi premesse, non dovrebbe risultare troppo difficoltoso intravedere nel Giubileo un vero concentrato di pratiche tipicamente cattoliche, in evidente antitesi con i princìpi etici del messaggio evangelico, incentrato sui valori della purezza della fede libera da calcoli mercantilistici e dell’amore altruisticamente sincero e disinteressato.
Giubilei, indulgenze, assoluzioni, pellegrinaggi, culto delle reliquie e dei luoghi sacri, ecc., mentre esaltano trionfalisticamente il potere dell’istituzione ecclesiastica e della sua casta sacerdotale, attaccano gravemente il senso di responsabilità individuale, fornendo accomodanti e rassicuranti strumenti di facilitazione dell’impegno etico di autopurificazione e autoredenzione.
Ricorrendo a simili strategie, è stata generata (nei paesi cattolici e diffusa poi in tutto il mondo, attraverso l’opera missionaria) una religiosità meschina che ha inquinato la moralità e la psicologia di intere società, dando vita ad un’umanità priva di fiducia nelle proprie facoltà spirituali e, di conseguenza, dotata di bassissimo senso di consapevole rigore morale, sempre certa di poter ottenere, grazie all’opera infinitamente misericordiosa dell’intercessione di Santa Madre Chiesa, un bel perdono a buon mercato per qualsiasi colpa, per qualsiasi peccato, per qualsiasi crimine.
Ora, riassumendo, il Giubileo ha senso in funzione dell’Indulgenza plenaria, la quale presuppone la convinzione che la Chiesa abbia il potere di operare una oggettiva azione catartica sull’anima del credente, sia in terra che nell’oltretomba. Per fare ciò, l’autorità ecclesiastica verrebbe ad attingere “al tesoro della Chiesa, costituito dai meriti satisfattori di Gesù Cristo, ai quali vanno aggiunti quelli della Vergine e dei Santi.” (Enciclopedia Cattolica)
Ovviamente, cosa che sfugge ai più, tutto l’ingranaggio presuppone alcune credenze dottrinali irrinunciabili, assai ardue da accogliere su un piano serenamente razionale:
- Fede assoluta nella salvazione vicaria (ovvero redenzione dal peccato grazie al sacrifico di Cristo Gesù, vero Figlio di Dio).
- Esistenza di una possibile condizione di dannazione eterna (Inferno).
- Esistenza di una condizione post-mortem di purificazione in vista della gloria paradisiaca, in luogo o stato chiamato Purgatorio.
- Esistenza di un sacro tesoro di meriti derivanti dalle opere di Cristo e di tutti i santi, a disposizione della Chiesa.
- Potere effettivo della Chiesa del Papa, ricevuto da Dio, di esercitare, attraverso tale “deposito”, azione salvifica sul destino delle anime.
Quanti, viene da chiedersi, fra coloro che partecipano festosamente ai riti giubilari, e quanti, fra coloro che contribuiscono alla loro narrazione apologetica, hanno reale consapevolezza del significato teologico di tali credenze e pratiche (e delle relative implicazioni etico-culturali), e magari anche una qualche minima conoscenza dei complessi processi storici che le hanno prodotte?
“Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.
Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”. (Matteo, 5,6)