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Conversazione con Enrico Peyretti*
Mi era già capitato, in più circostanze, di imbattermi in qualche bel lavoro di Enrico Peyretti. Di lui, sempre mi hanno positivamente colpito lo stile pulito e lineare, lo spessore culturale e la genuinità del suo porsi, del suo schierarsi e del suo impegnarsi, da cristiano pacifista e nonviolento, convinto sostenitore del dialogo e dello spirito di solidarietà. Ebbi anche modo, qualche anno fa, di recensire, sulle pagine di questo sito, un suo pregevole libro relativo al ricco rapporto filosofico intercorso con Norberto Bobbio (http://www.flipnews.org/flipnews/index.php?option=com_k2&view=item&id=5570:norberto-bobbio-e-la-gioia-del-dialogare&Itemid=70).
Ultimamente, poi, un suo acuto e sentito commento (http://www.viandanti.org/?p=14666#more-14666) ad uno dei discorsi più belli dell’intero pontificato di papa Francesco (relativo al tema della nonviolenza) mi ha spinto a proporgli un’intervista. Dal nostro contatto e dalla sua squisita disponibilità, è nata la conversazione che segue.
- Davvero Papa Francesco non finisce mai di stupirci e di entusiasmarci. Per le sue aperture, per la disponibilità al dialogo, per il suo continuo invito alla reciproca conoscenza ed accoglienza, per la sua lirica attenzione alle fragili meraviglie della Natura, per la sua presa di posizione contro la pena di morte, per il suo ricorrente ed insistente inno alla virtù somma della Misericordia, ecc. Ultimamente, poi, per il suo toccante elogio della nonviolenza, abbracciata con afflato vigoroso.
Ora, mi chiedo, se le tante “rivoluzioni” di pensiero portate avanti da questo papa sono veramente così degne di essere sottolineate ed apprezzate (come quasi tutti sembrerebbero sostenere), questo non implica (o impone), inevitabilmente, un giudizio di grande severità nei confronti del “prima”?
Eh, temo proprio di sì. C'è una lunga storia: il vangelo di Gesù si Nazareth, uomo in cui abita in pienezza lo Spirito di Dio – questa è la mia fede –, è annuncio dell'amore di Dio per tutti, del suo perdono del nostro male, e della salvezza per tutti.
Questo vangelo è diventato poi il “cristianesimo”, cioè dottrina, teoria, organizzazione. Ciò non è un male, se non congela il vangelo. Anche la chiesa – ekklesia, convocazione, riunione, comunità – è cosa ottima, se non diventa una struttura troppo rigida. Questo è avvenuto nella “cristianità”, cioè nella identificazione autoritaria (anche nell'interesse dei potenti) della società civile, che è la casa di tutti, con la chiesa dei credenti, e dunque si è esercitata pressione sociale, costrizione, repressione, violazione della libertà di coscienza, e violente persecuzioni, e guerre.
Credo che papa Francesco non stia facendo soltanto una rivoluzione della struttura-chiesa (curia, sinodalità, stile pastorale), ma che riformi evangelicamente l'immagine di Dio: da un essere potente trascendente giudicante e discriminante, a Padre-Madre come Gesù lo ha presentato nel suo vangelo, e impersonato nella nostra umanità. É un cambiamento tanto importante che non ci si stupisce se provoca reazioni basate sull'abitudine, sulla paura di perdere una sicurezza. Proprio lo stesso avvenne a Gesù da parte del suo ambiente religioso e politico, che lo condannò per offesa alla religione. A chi scegliamo di credere?
- E, mi continuo a chiedere, ha veramente senso parlare di “rivoluzioni”, di “svolte” o di “passaggi storici”?
Si potrebbe dire che questo papa, alla fin fine (aldilà del suo stile personalissimo ed amabilissimo), non faccia altro che ispirarsi coerentemente al Sermone della montagna, alle sue Beatitudini, ai princìpi evangelici, cioè, dell’amore rivolto anche ai propri nemici, del rifiuto di ergersi a giudice di chicchessia, dell’inestinguibile disponibilità al perdono, ecc.
Ma tutto questo non avrebbe dovuto costituire, da un paio di millenni, il territorio morale, normalmente cristiano-cristianamente normale, su cui tutti i credenti (non soltanto le loro guide) erano stati chiamati a costruire una nuova storia?
Non dico certamente che il vangelo cominci ora: prendere il nome Francesco è collegarsi ad una tradizione profonda. Ci sono sempre stati veri cristiani, anche sconosciuti. Ma l'immagine esterna e vistosa dei cristiani è stata anche infedele, litigiosa, persino violenta: pensiamo alle crociate e alle guerre di religione. Ognuno, e dunque ogni religione, giudichi se stesso prima degli altri, per migliorare tutti insieme. Il dialogo sincero, rispettoso, umile, tra le religioni, è oggi necessario alla pace, quindi alla sopravvivenza dell'umanità. Grazie a Dio, questo dialogo sta anche avvenendo, non solo tra cristiani ecumenici, ma con tutte le religioni.
Credo che la fonte alta getti sempre acqua nuova: lo Spirito non si estingue.
- In un suo recente commento al discorso di papa Bergoglio per la Giornata della Pace, leggiamo quanto segue:“Il concetto di “pace giusta”, basata sulla giustizia, sta sostituendo positivamente l’antico concetto di “guerra giusta”, o meglio giustificata a determinate condizioni, che per secoli è stato centrale nella riflessione morale cristiana sulla guerra, e abusato dalla volontà di potenza di sovrani e stati”.
Ora, mi sembra, detto molto francamente, un po’ troppo accomodante distinguere e, in un certo senso, contrapporre la “riflessione morale cristiana”, da una parte, alla “volontà di potenza di sovrani e stati” che avrebbe “abusato” del concetto di “guerra giusta”.
La riflessione morale cristiana, in realtà, per lunghi secoli ha tragicamente e vergognosamente giustificato, se non addirittura benedetto il ricorso alle armi … La tanto deprecabile “volontà di potenza di sovrani e stati” ha trovato sempre, con immensa facilità, nella teologia cristiana e nei ministri delle varie chiese cristiane fonti magisteriali nobilitanti e legittimanti. Ben di rado dei freni od ostacoli.
Non è forse Agostino, venerato pilastro della “riflessione morale cristiana” a dirci, nel suo Contra Faustum, che “Talvolta è necessario che gli uomini buoni intraprendano la guerra contro gli uomini violenti per comando di Dio o del governo legittimo quasi costretti dalla situazione al fine di mantenere l’ordine” ?
E che “Il soldato che uccide ubbidendo al comando del potere legittimo non è colpevole di omicidio, ma anzi sarebbe colpevole di disobbedienza se trascurasse l’ordine ricevuto”?
Enrico Peyretti |
Tutto vero, purtroppo. Però, il concetto di “guerra giusta” voleva essere limitativo della guerra, col porre precise condizioni alla sua giustificabilità morale. Come “occhio per occhio, dente per cente” era un limite alla vendetta privata: non più di tanto. Poi, è facile approfittarne. Oggi quel concetto di “guerra giusta”, se mai ha limitato la guerra, non basta assolutamente più, fin dal Concilio e dalla Pacem in terris, che dice pazzesco – “alienum a ratione” – pensare che la guerra possa fare giustizia. Ma chi vuole la guerra manipola la ragione. Dice Kant che la potenza ottunde la ragione.
Gesù amico dei peccatori è amico anche della chiesa “casta meretrix”, fatta di peccatori e di santi, impigliata in gravi errori pur nel tentativo di capire ed agire bene, ora più ora meno sincero e impegnato. Come accade alle singole persone nelle loro coscienze. Ma credo anche che ci sia e si debba promuovere una continua correzione, una evoluzione della tradizione
C'è chi, cattolico o non credente, pensa il dogma fisso, marmoreo. Prima di questo significato, dogma significa insegnamento, una chiarezza preziosa raggiunta ad un certo punto del cammino, un punto di sosta che dà, o sembra dare, un po' di certezza nel cammino. Michele Do, un vero cristiano, parlava di “dubitose irrinunciabili chiarezze”. Ma il cammino verso la verità non finisce mai. L'insegnamento evolve, la persuasione si affina e si corregge. La dottrina è sempre qualcosa di meno della fede-fiducia-ascolto-ispirazione-attesa. Le verità della vita non stanno mai intere ed esaurite nelle nostre parole e concetti. E tuttavia, quello che riusciamo a comprendere insieme, in un consenso serio e fraterno, pensoso, è prezioso. Chi crede di avere ricevuto in dono una luce, si guardi bene dal vantarsi, rimanga molto umile e si senta debitore verso tutti, e sempre in cammino.
- A mio parere, la cosa più grande e bella che sta portando avanti papa Francesco è rappresentata da questo continuo richiamare l’attenzione sul valore della Misericordia, sottolineando con sistematica incisività, quanto essa rappresenti la prima e fondamentale caratteristica della natura divina, affermando, in tante varie circostanze, che nessun peccato umano può essere più forte della Misericordia di Dio e che la divina capacità di perdonare non conosce limite.
Certamente, in questa strategia, credo sia possibile intravedere un progetto coerente e ragionato volto a delegittimare e a smascherare ogni forma di presunzione, intolleranza, discriminazione e violenza collegata/collegabile, direttamente o indirettamente, all’immagine di un Dio severo giustiziere, desideroso di trovare nei propri fedeli dei fanatici servitori disposti a tutto al grido di “Dio lo vuole!”
Ma, mi chiedo e le chiedo, non potrebbe anche trattarsi, la sua, di una meravigliosa operazione pedagogica propedeutica al recupero di una visione escatologica di tipo origeniano, ovverosia di una concezione relativa ad un unico destino finale per tutte le creature, anche le più ribelli e malvagie, purificate e rigenerate dall’infinita compassione di un Dio incapace di escludere per l’eternità da sé anche una sola delle sue creature?! Detto in altre parole, papa Francesco, anche se ancora non ha voluto/potuto dircelo in maniera esplicita, non starebbe forse preparando il terreno all’ abolizione dottrinale dell’Inferno?
E non si potrebbe forse considerare, un simile esito, come il compimento logico e moralmente ineludibile della sua intera predicazione? Esito che si potrebbe ritenere non solo auspicabilissimo, ma, in un certo senso, addirittura doveroso?!?
D’altra parte, è proprio Francesco, in chiara sintonia con Origene, a dirci, nella sua splendida Laudato sì, cheLa vita eterna sarà una meraviglia condivisa, dove ogni creatura, luminosamente trasformata, occuperà il suo posto e avrà qualcosa da offrire ai poveri definitivamente liberati. (242, p.207)
Che cosa sappiamo noi dell'oltre, dell'aldilà? E' giusto pensare, fare delle ipotesi, interrogarci, ascoltare ogni saggezza, ogni voce profetica. Gesù indica chiaramente, con avvertimenti severi, che noi possiamo fallire la nostra vita. Ma non condanna nessuno, nessun peccatore, soltanto sconfessa chi si crede giusto e perfetto (parabola del fariseo e del pubblicano nel tempio). Inferno vuol dire caduta nel basso estremo, fallimento, perdita. Se un nostro figlio si perde, non facciamo tutto il possibile per salvarlo? Dio non farà lo stesso? La sua potenza è amare fino in fondo. Non costringe, ma non abbandona. Sappiamo solo questo.
- Sempre nel suo già menzionato commento al discorso di Bergoglio per la Giornata della Pace, lei, ad un certo punto, scrive:
Anche se noi cristiani, suoi seguaci nei secoli, abbiamo concesso troppo, per poca fede, nel giustificare i metodi violenti, Gesù di Nazareth è un vero precursore dei leaders moderni della nonviolenza, che lo riconoscono come tale.
Da libero pensatore, non posso fare a meno di chiederle:
- a)Non le sembra eccessivamente indulgente parlare dei cristiani come seguaci di Gesù che hanno “concesso troppo”? Il trionfo storico del Cristianesimo non si fonda, forse, oltre che sulla piena giustificazione della violenza come mezzo politico e religioso per sconfiggere il presunto Male, sull’impiego invocato e consacrato della violenza?
- b)Quanto è giusto parlare - di fronte ad una serie di inenarrabili delitti (il primo fra tutti quello dello spietato annientamento spirituale e materiale dell’intero mondo pagano) - di “poca fede”? Non dovremmo, forse, parlare di fede malata, di fede perduta, di fede distorta e distorcente, di fede criminale e criminogenetica?
Ma potremmo davvero, poi, parlare di cristiani “seguaci nei secoli” di Gesù, di fronte ad un tale ricorrente, sistematico e convintissimo impiego della violenza (giustificata, invocata, promossa e benedetta)? I discepoli di Gesù non si sarebbero dovuti riconoscere dalla coerenza delle loro azioni? E le innumerevoli schiere di “cristiani” che alla violenza hanno detto SI’ in mille modi, sul piano teorico quanto su quello pratico, che cristiani sono? Possono davvero meritare di essere considerati “seguaci” di Gesù, e non, invece, come i suoi primi e massimi traditori?
Che la violenza sia “fondamento storico del cristianesimo” mi permetto di discuterlo: in quale senso? Nel senso che la “pax romana” (una pace d'imperio e di dominio, la globalizzazione violenta di allora) sia stato un fattore favorevole alla diffusione, sì. Per Mussolini era stato il fattore determinante, senza il quale il vangelo sarebbe morto in Palestina. Ma certamente non è fondamento nel senso che il vangelo sia frutto della potenza romana. La quale ha concorso a crocifiggere Gesù, per timore della sua verità che libera dal dominio, proprio e altrui, e fonda la fratellanza.
La domanda che lei mi fa è severa, e ad un cristiano (o aspirante cristiano) scotta. Mi permetto di distinguere (poi vedremo se è giusto) la gerarchia, la dottrina prevalente, la teologia, cioè chi ha scritto (gli scribi), dal povero popolo di Cristo, anche peccatori, ma viventi in povertà e umiltà. Il vangelo forse è stato trasmesso soprattutto dalle donne, dalle nonne, nella “tradizione discepolare”: questo bel termine è di Raniero La Valle, aggiunto a “tradizione apostolica”, e vuol dire che il vangelo essenziale è stato custodito in cuore e trasmesso nelle generazioni dai discepoli più umili almeno tanto quanto dagli apostoli e dai loro successori, magari insieme a devozionismi popolari o anche ingenue superstizioni. Non è la purezza chimica che conta quanto l'autenticità. Le mamme e le nonne, le persone credenti e buone, hanno consegnato ai bambini, nei loro cuori ancora aperti e anelanti alla vita, la buona notizia che Dio è un padre buono, e Gesù è venuto a mostrarcelo. Questa notizia è stata conservata spesso per tutta la vita, fatta stile di vita, oppure è stata poi accantonata o negata, per le traversie dell'esistenza, ma non ha cessato di passare da cuore a cuore, per di qua o per di là. Si perderà forse nell'era post-cristiana che sta venendo? Io credo e confido di no.
- Indubbiamente Gesù di Nazareth (chiunque egli sia stato) rappresenta un “un vero precursore dei leaders moderni della nonviolenza”. Un precursore sì, ma non un fiore isolato nel deserto, bensì un grande Maestro preceduto da numerosi personaggi di grande spessore etico ed intellettuale presenti nel mondo classico, ma soprattutto nell’antica India (si veda soprattutto il Jainismo e il Buddhismo, con i loro fondatori e maestri). La sua filosofia-religione dell’Amore non rappresenta forse il cuore profondo e autentico di tante scuole filosofico-religiose (al di là delle tante peculiari differenze ideologico-cultuali), il cuore profondo di quella che bergsonianamente e capitinianamente potremmo definire “Religione aperta”?
Ma sicuro! Lo Spirito è assai più grande della chiesa! C'è chi dice che la chiesa è l'umanità. Se non è detto in senso totalmente inclusivo, di imperialismo spirituale, si può forse pensare. Ma bisogna ben distinguere: l'unità dello spirito umano è plurale. Prezioso è il pensiero di Panikkar sulla pace fatta di armonia nel pluralismo. “Pluralità delle vie” vedeva e ci insegnava anche Pier Cesare Bori.
- Papa Francesco ci invita continuamente ad attuare una “nuova solidarietà universale”, a considerare sempre “la persona come soggetto”, ad operare una “conversione ecologica”, a non smettere mai di ascoltare “il grido della terra quanto il grido dei poveri”, ad abbandonare indifferenza e rassegnazione comoda, ecc.
Non è penoso e immensamente amaro registrare il contrasto fra il clamore e il plauso che ogni volta suscitano le sue parole e il procedere imperterrito del nostro orribile mondo, fatto di banche e cannoni, di pallone e canzonette, nel suo delirante cammino di festa e di morte? Non si potrebbe forse sospettare che, in questo nostro tempo, la figura del papa (come quella di qualunque altro personaggio di grosso rilievo) sia ridotta essenzialmente a merce mediatica e, quindi, dolorosamente impotente a far arrivare davvero la sua voce nel cuore di masse oramai pienamente conquistate da idoli gelosi e voraci? E che qualsiasi messaggio, anche il più potente, sia ineluttabilmente condannato a scivolare via in pochi attimi, senza lasciare solidi segni di sé?!
Il papa oggetto mediatico, impotente? Che il sistema dominante voglia divorare, assimilare per neutralizzarla ogni parola alternativa, è cosa certa.
Dunque, parole inutili? Il rischio c'è. Ci sono però anche alcuni gesti che realizzano le parole. La cattura e l'arruolamento possono essere più efficaci dell'opposizione.
Costantino è stato più furbo del sinedrio e di Pilato: invece di uccidere Gesù lo ha associato al trono. E la cristianità è caduta a lungo nella trappola. Ma il tempo è lungo, si muove, e io credo nella forza della parola, idea, visione utopica. Gesù è parola per la storia, in definitiva non catturabile. Continua a turbarci salutarmente. Ha guarito singoli, come raccontano i testimoni secondo la loro comprensione, per indicare che può guarire il mondo. Se collaboriamo.
*Enrico Peyretti (1935) è stato insegnante di Filosofia e Storia nei licei.
E’ membro del Centro Studi per la pace e la nonviolenza Sereno Regis di Torino, del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Università piemontesi, dell'IPRI (Italian Peace Research Institute). Fondatore de Il foglio, mensile di “alcuni cristiani torinesi” (www.ilfoglio.info), collabora a diverse riviste culturali (Bozze; Sisifo; Quaderni Satyagraha; Il Tetto; Segno; Giano; Annuario di filosofia 2006; L'ospite ingrato; éupolis; Confronti; Lo Straniero; Incontri; Parolechiave; Politica e Società; Spaziofilosofico).
Ha presentato contributi a vari convegni nazionali di ricerca sulla pace, sulla Difesa Popolare Nonviolenta, ha tenuto lezioni in varie Scuole di Pace, in seminari universitari (Bologna, Macerata, Torino, Padova, Roma, Udine), in corsi di aggiornamento per insegnanti ed ha collaborato con vari enti nella formazione degli obiettori di coscienza.
Dal 1994 cura la bibliografia online Difesa senza guerra sulle lotte nonarmate e nonviolente nella storia.
Numerosi i suoi libri su tematiche di spiritualità, riflessione politica, pacifismo e nonviolenza. Fra gli ultimi, ricordiamo: Dialoghi con Norberto Bobbio su politica, fede, nonviolenza, (Claudiana, 2011); Il bene della pace. La via della nonviolenza (Cittadella, 2012).
Ama definirsi, con umile saggezza, “operaio del leggere e scrivere”.
Siti internet:
http://www.peacelink.it/tools/author.php?u=63
www.serenoregis.org
www.ilfoglio.info
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