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CONTRO LA TORTURA. TRENT’ANNI DI BATTAGLIE POLITICHE E GIUDIZIARIE - CONVERSAZIONE CON ANTONIO MARCHESI

By Roberto Fantini December 10, 2019 5389

               

 
 Antonio Marchesi

Poche cose (forse davvero nessuna) sono paragonabili, nell’ambito delle infinite cose terribili inventate e praticate dall’umanità, all’ orrore rappresentato dalla tortura. “Chi nel leggere le storie - scriveva Cesare Beccaria - non si raccapriccia d’orrore pe’ barbari ed inutili tormenti che da uomini, che si chiamavano savi, furono con freddo animo inventati ed eseguiti?” E chi, ancora oggi, può non rimanere sgomento di fronte alle notizie che, a volte ci giungono, di episodi di tortura?

Sono passati diversi decenni, ormai, dal 10 dicembre del 1984, anno in cui l’Assemblea generale adottò la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, e quel testo è stato (ed è ancora) innumerevoli volte tragicamente ignorato e tradito. Basti pensare che il numero dei paesi che l’hanno ratificato, impegnandosi a prevenire e a punire la tortura, è soltanto di poco superiore a quello dei paesi in cui risulta tuttora essere praticata, e che almeno tre paesi su quattro, fra quelli che si erano vincolati a non più farvi ricorso, hanno finito, in questi ultimi anni, per farne uso (in maniera isolata o seriale).

Nel Rapporto sulla tortura nel mondo del 1973, Amnesty International si trovò costretta ad ammettere, con oggettiva amarezza, che fino ad allora troppo poco era stato fatto “per definire e, in ultima analisi, per debellare l’uso della tortura.” Tanti anni, da allora, sono passati. E, senza dubbio alcuno, non in modo del tutto sterile.

L’uomo - leggiamo sempre nel Rapporto - “Ha imparato a porre dei limiti all’esercizio del potere da parte dei pochi per proteggere i molti e per proteggere in ultima analisi tutti. La tortura è il più flagrante diniego dell’umanità dell’uomo, è la corruzione umana ultima. Per questa ragione l’uomo l’ha proibita. Questa conquista umana deve essere difesa.” Arrivando poi a concludere, con la peculiare pragmatica saggezza amnestiana, che compito irrinunciabile della comunità internazionale sarebbe dovuto essere l’ elaborazione di “rimedi efficaci per la prevenzione della tortura.

Ed è proprio in questa prospettiva pedagogicamente preventiva che merita di essere inteso, letto ed apprezzato (molto!) l’ultimo libro di Antonio Marchesi, docente appassionato e instancabile alfiere della cultura dei diritti umani: libro che, passando in rassegna numerosi casi (più o meno noti) di tortura della nostra epoca, da Abu Ghraib a Giulio Regeni, dall’Argentina dei desaparecidos alla vergogna della s

cuola Diaz di Genova, ha l’indubbio pregio di riuscire a permetterci di penetrare dentro il cupo universo della tortura, mettendoci in contatto con le esistenze di tante persone reali che la tortura l’hanno subita e combattuta, oppure praticata e occultata.

Con Antonio Marchesi, amico di lunga data, è nata la conversazione che segue:

-          Antonio, come mai, pur essendo tu un giurista e non un cronista o uno storico, invece che proporci una trattazione di tipo filosofico-giuridico del fenomeno della tortura, hai preferito presentarci una rosa di vicende relative a vittime della tortura, conferendo ampio spazio, in particolare, agli sviluppi giudiziari, spesso estremamente complessi e travagliati, dei singoli casi?

                 Ho voluto illustrare gli ostacoli che rendono difficile, se non impossibile, ottenere verità e giustizia quando di mezzo c’è l’apparato dello stato e, in particolare, quando l’accusa, particolarmente infamante, è di tortura. Nel tentativo di arrivare a un pubblico poco avvezzo (e forse poco interessato) ai ragionamenti dei filosofi del diritto, mi sono affidato al racconto di vicende concrete, tutte realmente accadute, narrando sia gli abusi commessi sia, soprattutto, l’occultamento, i depistaggi, la rimozione che sono seguiti.

-          Jean Améry, un intellettuale che la tortura l’ha patita in maniera devastante, afferma che chi ha provato sulla propria pelle e nella propria anima una simile indicibile esperienza, ha visto crollare, dentro di sé, la fiducia nel prossimo, la fiducia nell’intera specie umana.

Sulla base delle tue ricerche, nonché della tua pluridecennale militanza in Amnesty International, ritieni sia possibile, da parte delle vittime, una ricostruzione, seppur lenta e parziale, di un rapporto col mondo degli umani animato e sorretto da un efficace sentimento fiducia?

             Spero di sì, spero (e credo) che sia quantomeno possibile, dopo la tortura, tornare a condurre una vita “normale”. Credo però che, anche quando questo avviene, anche quando il percorso di ricostruzione viene completato definitivamente e con successo, il rischio che i fantasmi del passato ritornino non possa essere completamente eliminato. In altre parole, non so se dalla tortura si guarisca mai del tutto.

-          Per quanto concerne, invece, l’entità del fenomeno della tortura e la sua evoluzione storica, credi sia possibile, dati alla mano, da parte nostra, guardare al futuro con ragionevole speranza?

                 Il fatto che i torturatori - chi la tortura la esegue ma anche chi la ordina o in qualche modo la legittima - sentano il bisogno di nascondersi, di negare i fatti e le proprie responsabilità, che il tabù della tortura resista, è già una buona notizia. Su queste basi si può costruire una strategia di eliminazione effettiva, e non solo di ripudio formale, della tortura.

Ci vorrà sicuramente molto tempo prima di ottenere una significativa diminuzione del fenomeno a livello mondiale. Ma il risultato complessivo e finale è la somma di tanti piccoli risultati parziali, importanti in quanto tali. E, in ogni caso, per raggiungere una meta distante bisogna pur muovere dei passi, per piccoli che possano essere, nella giusta direzione.

  

-          In Italia, con ben 11.000 giorni di ritardo rispetto a quanto proclamato a livello internazionale, e dopo inenarrabili resistenze, nell’estate del 2017, è stato finalmente introdotto nel codice penale il reato di tortura. A proposito dell’ arduo, travagliato e controverso cammino che ci ha condotto a questo risultato (vicenda questa che ti ha visto, in quanto presidente della sezione italiana di AI, a lungo impegnato in primissima fila), tu stesso ti sei attentamente chiesto se sia “stato fatto un passo avanti, sia pure insufficiente, oppure no”, approdando ad una valutazione di cauta positività.

In base a quali considerazioni?

Non hanno forse valide motivazioni coloro che parlano di legge inadeguata, inaccettabile o, addirittura, di “legge truffa”?

                    Criticare la definizione del reato è ovviamente lecito … anzi, condivido molte delle critiche (anche se talvolta espresse con una nettezza fuori luogo, visto che è ben difficile anticipare con certezza come verranno interpretate e applicate quelle norme poco chiare). Dire che sarebbe stato meglio niente è, invece, secondo me un grave errore di prospettiva e riflette un atteggiamento di chi è più interessato ad avere ragione che a cambiare le cose (un atteggiamento difficilmente riconciliabile con le strategie graduali tipiche di organizzazioni come Amnesty International, che, un pezzettino alla volta, non disdegnando i compromessi, hanno ottenuto risultati impensabili, di grandissimo rilievo). Se non altro, il fatto che un reato di tortura oggi ci sia segna la fine di quella rimozione della nozione stessa di tortura di cui il silenzio del codice penale era espressione. Una rimozione che era molto cara ai “negazionisti” (che per decenni hanno ripetuto che del reato di tortura non c’era bisogno perché la tortura in Italia non c’è!).

   - E le norme di prevenzione della tortura, inoltre, ti sembra che siano state ben formulate? Cosa sarebbe stato possibile fare di più e di meglio? E cosa si potrà, a tuo avviso, realisticamente migliorare nei prossimi anni?

                           Alcune delle altre norme contenute nella nuova legge sono sicuramente una novità positiva. Da quella che riafferma con forza il principio di non refoulement, a quella che chiarisce l’inutilizzabilità in un processo di informazioni ottenute mediante tortura, fino alla norma che esclude l’immunità degli organi stranieri. Peccato invece che non sia stata accolta la proposta di allungare (raddoppiandoli) i termini di prescrizione rispetto al sistema di calcolo ordinario.

-          Riccardo Noury, nella sua prefazione, dopo aver detto che esistono “più pentiti di mafia che pentiti di tortura”, fa riferimento a Pierre Yambuya, definito come l’unico, da lui conosciuto, ad essersi sinceramente e coerentemente “pentito mentre collaborava alla tortura”. Sono sicuro che anche tu, nel corso della tua lunga militanza amnestiana, abbia avuto modo di conoscerlo bene e di apprezzarne lo spessore morale.

         

Sì ... l'ho conosciuto tanti anni fa, poco dopo il suo coraggioso rifiuto di prendere ulteriormente parte, da pilota militare qual era, alla macchina repressiva del regime congolese e la sua rocambolesca fuga in Europa. E l'ho rivisto tante volte da allora. La sua scelta (una scelta unica, o quasi, come ha giustamente sottolineato Riccardo) Pierre l'ha pagata molto cara. Ha vissuto una vita da esule, nella continua speranza che si creassero le condizioni affinché potesse tornare nella sua Africa (cosa che è avvenuta solo per un breve periodo). E quella vita l'ha trascorsa portando avanti, per decenni, con una tenacia ammirevole, la sua missione di testimone di violazioni dei diritti umani.

E' morto in esilio mentre era ospite di attivisti di Amnesty suoi amici.

Ci mancherà.

*Antonio Marchesi  insegna Diritto internazionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Teramo e ha tenuto corsi di lezioni in diverse università italiane e straniere. È autore di oltre cinquanta saggi e ha scritto o curato libri soprattutto sulla protezione internazionale dei diritti umani. È iscritto alla sezione italiana di Amnesty International dal 1977 e ne è stato presidente dal 1990 al 1994 e dal 2013 al 2019. Per il Segretariato internazionale di Amnesty International  ha svolto missioni di ricerca e partecipato a conferenze internazionali. Ha collaborato su progetti in tema di diritti umani con il Consiglio d’Europa, il Parlamento europeo, la Commissione europea e diverse organizzazioni non governative ed è attualmente consulente del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.

 

Antonio Marchesi
Contro la tortura – Trent’anni di battaglie politiche e giudiziarie
Prefazione di Riccardo Noury
Introduzione di Mauro Palma
Con il patrocinio di Amnesty International
Infinito Edizioni

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Last modified on Friday, 03 January 2020 11:01
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