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Dopo numerose manifestazioni tenutesi in varie località italiane, anche a Roma, finalmente, si è potuta svolgere (soprattutto grazie ad Amnesty International) una manifestazione di solidarietà nei confronti di Patrick Zaki, lo studente egiziano (iscritto ad un master presso l’Università di Bologna), arrestato al suo rientro in Egitto.
I pubblici ministeri di Mansoura hanno ordinato la detenzione preventiva di Patrick George Zaki in attesa di indagini su accuse tra cui “diffusione di notizie false”, “incitamento alla protesta” e “istigazione alla violenza e ai crimini terroristici”.
Il 22 febbraio, allo scadere dei primi 15 giorni di detenzione, un tribunale egiziano ha ottenuto il prolungamento di ulteriori 15 giorni.*
Patrick è stato definito da Amnesty International “prigioniero di coscienza”, in quanto detenuto esclusivamente per il suo lavoro in favore dei diritti umani e per le opinioni politiche espresse sui social media.
Giovedì scorso, in tanti, a piazza della Rotonda, davanti al Pantheon, con candele, striscioni e cartelli con la scritta “PATRICK LIBERO”, si sono dati appuntamento per richiedere al governo egiziano di rilasciare immediatamente Zaki.
Fra le numerose persone presenti, abbiamo raccolto le significative parole di persone da tempo impegnate sul fronte della difesa dei diritti umani: Riccardo Noury (portavoce della sezione italiana di Amnesty International); Claudia Pacini (responsabile di Amnesty International-Lazio); Claudio Rossi (volontario di Emergency).
Riccardo Noury
- Quali informazioni Amnesty International è riuscita a raccogliere sulle reali condizioni di Patrick?
Esteriormente appare in buone condizioni, ma è evidente che sia provato, anche perché le attuali condizioni detentive non sono adeguate (una cella di una stazione di polizia con altre 30 persone). I suoi avvocati hanno sporto formale denuncia per le torture subite al Cairo nelle ore successive all'arresto in aeroporto.
- In base a quali elementi AI ha potuto dichiararlo "prigioniero di coscienza"?
La storia di Patrick ci dice molto chiaramente che i capi d'accusa contenuti nel mandato d'arresto non trovano corrispondenza in alcun asserito suo comportamento criminale. La sua è un'esperienza alla luce del sole di attivista per i diritti umani, di studio e di ricerca. Del resto, quei capi d'accusa sono una fotocopia di quelli mossi nei confronti di innumerevoli altri esponenti della società civile egiziana in questi ultimi anni.
Claudia Pacini
- Dopo il caso di Giulio Regeni, eccoci di nuovo in piazza a parlare di diritti umani in Egitto. Soltanto tristi episodi isolati o solo due dei tanti casi di cui Amnesty è a conoscenza?
No, purtroppo i casi di Giulio Regeni e Patrick George Zaki non sono assolutamente isolati: la situazione dei diritti umani in Egitto è da anni in una situazione di profondissima crisi, con continue violazioni da parte delle autorità, che sappiamo hanno applicato tortura, maltrattamenti e sparizioni forzate su centinaia di persone. Senza dimenticare le esecuzioni extragiudiziali! Chiunque sia critico verso il governo, o ritenuto tale, quali manifestanti pacifici, giornalisti, attivisti politici e difensori dei diritti umani, vanno spesso incontro ad arresti e detenzioni arbitrarie.
- Dopo la fiaccolata romana, quali altre iniziative sono previste e cosa pensi che, realisticamente parlando, sia possibile fare?
In questi giorni si sono susseguite tante manifestazioni di piazza in tutta Italia con cui Amnesty International sta chiedendo al governo egiziano il rilascio immediato di Zaki, per il quale si teme che sia sottoposto a tortura. Inoltre, Amnesty sta partecipando, e continuerà a farlo, a una serie di eventi e incontri, anche in università e scuole, in cui continuare a parlare dell' arresto arbitrario di Zaki e della situazione di costante e grave violazione dei diritti fondamentali in Egitto.
E' fondamentale sensibilizzare, far conoscere quanto accade in un paese così vicino al nostro e, soprattutto, mantenere accesa l'attenzione su questo caso: chiediamo che Patrick venga liberato subito e possa ritornare presto ai suoi studi presso l'Università di Bologna!
Claudio Rossi
- Cosa ti ha spinto a prendere parte alla manifestazione a favore di Patrick Zaki ?
La delusione. Ero convinto che, dopo la vicenda di Giulio Regeni, il regime di Al Sisi non dico provasse un po' di vergogna, ma almeno cercasse di sopire, di coprire la sua brutalità e ancora una volta nei confronti di giovani legati all'Italia. La vicenda di Patrick, oltre all'assenza di democrazia, dimostra il livello di protervia di quel
governo.
- In una situazione così complessa come quella egiziana, che peso potrà mai avere una piccola fiaccolata di persone di buona volontà?
Certamente un peso molto relativo; ma ogni lungo viaggio comincia con un passo. Abbiamo visto grandi trasformazioni insinuarsi in sistemi granitici grazie a piccoli esempi: è quello che chiamiamo “sensibilizzazione”. Ma, soprattutto, non possiamo, di fronte alle nostre coscienze, aspettare certezze di successo quando si parla di combattere per principi irrinunciabili.
- Al contrario del caso Regeni, qui ci troviamo di fronte ad un'azione giudiziaria del governo egiziano nei confronti di un suo cittadino.
Manifestazioni come quella di stasera non potrebbero correre il rischio di essere percepite come una intromissione arbitraria negli affari interni di un paese sovrano?
Il concetto stesso di “diritti umani” non avrebbe senso se non travalicasse le frontiere e le legislazioni nazionali.
La difesa dei diritti che definirei “assoluti” ha invece particolare significato proprio dove l'assetto politico, le norme vigenti o le prassi del potere li calpestino; tanto nei confronti degli stranieri quanto dei propri cittadini. Non può bastare una legge per negare un “diritto umano”!
*VEDI: RIFIUTATA LA RICHIESTA DI SCARCERAZIONE PER IL RICERCATORE EGIZIANO PATRICK GEORGE ZAKI.