8 settembre 2017 , 20:07
*Questa è una lettera che avevo indirizzato ad Alessandro Di Battista in merito al suo intervento alla Camera sul caso Regeni-NYT e, per conoscenza, ad alcuni parlamentari 5Stelle di mia conoscenza. Non ho ricevuto risposta e questa lettera diventa pubblica, anche perché contiene considerazioni che possono essere indirizzate a molte altre persone* *Questa che è una critica all’intervento del deputato 5Stelle e un invito a riconsiderare certe sue posizioni, non mette minimamente in questione la stima e la solidarietà che ho nei confronti di tante ottime battaglie condotte da Di Battista, alcune delle quali sono state anche da me condivise sul campo*
Caro Alessandro Di Battista,
faccio il giornalista da oltre mezzo secolo, oggi indipendente ma vengo da organi come la BBC, Paese Sera, Panorama (pre-Berlusconi), L’Espresso, The Middle East, Giorni Vie Nuove, Astrolabio, Rai-TG3. Ho sostenuto molte attività del M5S e con il MoVimento e suoi illustri sostenitori ho organizzato nella mia zona pubbliche iniziative (con Morra, Ruocco, Imposimato, Lanutti, Scibona, Bertorotta…) Ho intervistato deputati e senatori del MoVimento, compreso te, sono amico della senatrice Ornella
Bertorotta e ho partecipato a numerose vostre iniziative alla Camera e al Senato. Miei documentari sono stati presentati al Senato. Ho lavorato con militanti 5Stelle sul territorio per i miei documentari e articoli No Tav, No Muos, No Triv, No Basi, terremotati. Spero che tutto questo mi dia un po’ di credibilità.
Conosco la tua esperienza in America Latina e nel Sud del mondo e quindi presumo una tua conoscenza del modus operandi di certe grandi potenze dagli insopprimibili appetiti coloniali in quelle parti del mondo.
Perciò sono rimasto sinceramente esterrefatto per le tue dichiarazioni alla Camera sulla questione Giulio Regeni e, in particolare, per aver accreditato la manifesta bufala di un giornale come il New York Times sulle presunte “prove inconfutabili”, di un suo articolo assolutamente privo di prove inconfutabili, che sarebbero state fornite da un oscuro e anonimo funzionario dell’amministrazione Obama. Prove di cui da allora non si è saputo più nulla. Documenti di cui il governo italiano dice di non aver mai
saputo nulla (e mi sembra difficile negare qualcosa che potrebbe poi, apparendo, ritorcersi in maniera disastrosa su chi aveva negato).
Considerare il NYT lo standard aureo dell’informazione è perlomeno azzardato, visto il ruolo che questo quotidiano, espressione dell’estrema destra israeliana, ha sempre sostenuto nell’avallare le ragioni, false, per tutte le guerre d’aggressione Usa, comprese le famigerate armi di distruzione di massa.
La questione Regeni è complessa e vi si incrociano interessi dichiarati e altri molto poco dichiarati. Merita un’analisi attenta come quella che in parecchi, compreso il sottoscritto, vi hanno dedicato. Va inquadrato nella contesa geopolitica sul controllo dell’Egitto e dei suoi rapporti con un paese cruciale nel Mediterraneo come l’Italia, controllo che è diventato oggetto di contesa tra potenze varie, soprattutto da quando l’Egitto, sotto la spinta di una rivolta di massa (molto meno che di un golpe militare che l’ha solo assecondata), si è liberato del regime oppressivo e ntegralista dei Fratelli musulmani, da sempre fiduciari degli interessi coloniali occidentali nel mondo arabo e matrice di buona parte del terrorismo che oggi vi imperversa.
Ciò che turba nell’accanita campagna per la verità per Giulio Regeni è che tutti trascurano i precedenti professionali del giovane e in particolare il suo lavoro per un gruppo di persone specializzate in operazioni sporche: i dirigenti dell’impresa transnazionale di spionaggio “Oxford Analytica” John Negroponte, organizzatore degli squadroni della morte in Nicaragua e Iraq, Colin McColl, già capo dell’MI6, e David Young, processato e incarcerato per il suo ruolo nello scandalo Watergate. E tutti fingono anche di non vedere come, nelle sue trattative con il capo del sindacato ambulanti, Regeni rifiutasse di sostenere le cure per la moglie dell’interlocutore ammalata di cancro, ma fosse disposto a pagargli ingenti somme purchè presentasse “progetti”. Quali “progetti”, a nome di chi? Comportamento sufficiente per alimentare sospetti, non solo nel suo interlocutore. E’ stato mai chiesto all’Università di Cambridge, o a *Oxford Analytica*, per quali progetti a Regeni fossero state messe a disposizione decine di migliaia di euro? L’interesse di governi Nato, in particolare anglosassoni e francese, concorrenti con quello italiano nella corsa alle risorse energetiche (incalcolabili, al largo dell’Egitto) nel Mediterraneo e in Libia, e, quindi, una strategia per emarginare un’Italia una volta fortemente egemone in quel settore (come accadde con Enrico Mattei), si è resa evidente con l’intensificarsi dei rapporti di questi governi con il pur tanto deprecato Al Sisi, nel momento spesso in cui, con scoperta ipocrisia, i media più rappresentativi di queste potenze si accanivano sul caso Regeni e condannavano l’Italia per aver ristabilito rapporti diplomatici con l’Egitto.
Ne risulta evidente che l’interesse del NYT, portavoce dei circoli neocon del complesso militar-industrial-finanziario Usa, a sollevare il caso Regeni, ha molto poco a che fare con i diritti umani (sul cui abuso lo stesso giornale tace ostinatamente quando si tratta di regimi alleati o subalterni), o con la sorte del giovane ricercatore. Ha a che fare con la negazione all’Italia di qualsiasi sovranità e autodeterminazione in politica estera ed economica.
L’esperienza storica, da Enrico Mattei ad Aldo Moro, ma anche con Minniti oggi, dimostra che la coalizione israelo-euro-atlantica non consente all’Italia una politica estera autonoma, che valorizzi i nostri rapporti di mutuo beneficio con i paesi arabi. Il nostro, per l’alleanza diseguale in cui siamo inseriti, era e dovrebbe rimanere un ruolo ancillare. Quanto al Medioriente, l’attuale offensiva contro l’Egitto è con ogni evidenza la persecuzione di una strategia che punta alla frantumazione di Stati arabi forti, laici e indipendenti. Che ha già lasciato sulla sua strada la Libia e persegue la sua opera con i tentativi di disgregazione, tra aggressioni dirette, surrogati jihadisti e della Fratellanza Musulmana, di Siria, Iraq, Sudan. Ne abbiamo ricavato esclusivamente conseguenze negative.
Il M5S ha dato ripetute dimostrazioni di autonomia e chiaroveggenza nelle sue iniziative di politica estera. Penso alle posizioni sulle sanzioni alla Russia, su Nato, i paesi dell’A.L.B.A, l’Iran, la guerra alla Siria.
L’allineamento con una campagna chiaramente strumentale contro l’Egitto, fondata su premesse del tutto indimostrate e su altre mistificate e occultate, mi auguro possa essere, alla luce di quanto sopra, sottoposto ad accurata verifica.
Per finire, permettimi di avvisarti sulla pericolosità di ricorrere a stereotipi assai sospetti e invariabilmente strumentali, come quello di affibbiare la qualifica di “dittatore” a destra e manca. A parte che in alcuni casi la qualifica è del tutto arbitraria (Milosevic, Putin, governanti eletti in modo molto meno fraudolento di quelli con cui si condizionano gli elettori nella cosiddette democrazie) e, in altri, non tiene conto di una realtà storica, culturale, politica, del tutto diversa dalla nostra, non solo mostra un’inclinazione all’eurocentrismo sempre un po’ colonialista, ma contribuisce a spianare la strada alle aggressioni delle potenze che si arrogano il diritto di impartire tali etichette. Si tratta di questioni che, come constatiamo ogni giorno, coinvolgono la vita e provocano la morte di milioni di persone, sulle quali non è consentita approssimazione o ripetizione di stereotipi.
Non occorre essere grandi etnologhi, antropologi o storici per capire che i modelli istituzionali usciti in Europa dalle rivoluzioni borghesi difficilmente sono applicabili a contesti completamente diversi. I paesi che si definiscono disinvoltamente e strumentalmente “dittature”, da parte, tra l’altro, di chi è sottoposto alla più feroce dittatura finanziaria e alle più proterve manipolazioni mediatiche, hanno alle spalle una storia diversa. E sono usciti all’indipendenza e alla modernità solo da pochi decenni, dopo secoli e millenni di tirannie imperiali. Erano dominati da autocrazie distanti e sanguinarie, romana, ottomana, britannica, francese e altre. Non gli era consentita la minima autodeterminazione politica, se non una limitata gestione degli affari locali minori, specie sulle controversie giudiziarie. Ogni forma di organizzazione politica era bandita. La tribù poteva darsi al massimo un capo, nella persona più anziana o autorevole, per le questioni locali e per l’interlocuzione con gli emissari dell’impero. Nell’immaginario collettivo, all’inizio dell’era dell’indipendenza e della nazione, il quadro era quello tribale del capo e dell’assemblea degli anziani. Non poteva non perpetuarsi all’alba della nascita dello Stato, tanto più se questo era da attribuirsi al merito di un padre della patria come è stato il caso nella maggioranza dei paesi decolonizzati. Credo che la legittimità di un governo, poi, si misuri anche dal consenso e dal confronto con la situazione del passato. Quella determinata da noi democratici europei.
Noi italiani, poi, del resto come gli inglesi, che con Churchill hanno gasato i civili iracheni, o i francesi delle torture algerine, dovremmo adottare un po’ di cautela nelle condanne. Il maresciallo Graziani ha sterminato un terzo del popolo libico, 600mila, Gheddafi ha dato a tutti i libici dignità, acqua potabile e benessere, come riconosciuto dall’ONU che, nel 2011, aveva ancora classificato la Libia prima per “sviluppo umano” in Africa.
Aggiungo alcuni illuminanti dettagli, già ripetutamente riferiti in miei articoli sul blog e su FB, oggi riassunti da chi si occupa del caso da tempo e che non dovrebbero essere trascurati da chiunque voglia occuparsi, in alternativa ai produttori di fake news nei mass media al servizio del revanscismo neocoloniale, di politica estera con onestà e competenza.
Grazie dell’attenzione.
Con stima per tanta parte che il M5S e tu avete avuto nel prospettare agli italiani una sorte migliore.
Fulvio Grimaldi
www.fulviogfrimaldicontroblog.info
*-Giulio Regeni è stato* un brillante studente che ha studiato a lungo negli USA e poi in Gran Bretagna (UK).
*-Nel momento in cui* è stato inviato in Egitto per effettuare una non ben precisata “ricerca” sui sindacati indipendenti egiziani, stava per conseguire un dottorato di ricerca presso la prestigiosa Università di Cambridge.
*-In precedenza, nell’UK,* aveva lavorato negli anni 2013-2014 anche per la Oxford Analytica, una vasta organizzazione con migliaia di dipendenti, presente in molti paesi del mondo, incaricata ufficialmente di svolgere “analisi politiche” i cui principali dirigenti erano:
--John Negroponte (cittadino USA), già importante agente della CIA ed organizzatore degli squadroni della morte in America Centrale che uccidevano gli oppositori antimperialisti di quell’area;
---David Young (cittadino USA), già membro del gruppo di spie implicato nello scandalo Watergate, incaricato dal Presidente Nixon di spiare e raccogliere informazioni sul rivale Partito Democratico;
--Colin McColl (cittadino UK), già alto dirigente del noto servizio di spionaggio britannico MI6 (quello di 007).
*--In Egitto Regeni* era anche “visiting scholar” dell’Università Americana del Cairo, notoriamente implicata in iniziative atte a diffondere il pensiero e l’influenza USA nella classe colta egiziana e difendere gli interessi statunitensi.
*-Durante il periodo* in cui è stato in Egitto, Regeni ha pubblicato con uno pseudonimo vari articoli sui sindacati egiziani, anche sul “Manifesto”, ma si sa pochissimo sulla sua attività di “ricerca”.
*-E’ certo che Regeni* avesse agganciato il sindacalista Abdallah, capo del sindacato degli ambulanti.
*--In una registrazione* (parziale) diffusa da organi di stampa italiani qualche mese fa, si sente Regeni offrire 10.000 dollari ad Abdallah in cambio di fantomatici “progetti” non meglio specificati. Abdallah, già in contatto con la polizia egiziana, registra il colloquio e chiede a Regeni denaro per sé.
Regeni rifiuta e si mostra molto prudente. Forse già sa, o sospetta, che Abdallah lo sta registrando e lo ha già denunciato alla polizia. Di fatto Regeni è “bruciato”.
*-Il 25 gennaio 2016* Regeni scompare in circostanze mai chiarite. Il suo cadavere, recante segni di gravi maltrattamenti e percosse, viene ritrovato il 3 febbraio in un luogo aperto, non nascosto e di facile accessibilità, presso l’inizio dell’autostrada per Alessandria.
*-Proprio in quei giorni* è in corso al Cairo un’importante riunione economica tra una delegazione italiana guidata dalla Ministra Federica Guidi ed una delegazione del Governo Egiziano. Tra gli argomenti trattati anche eventuali concessioni all’ENI relative al più grande giacimento di gas off-shore del Mediterraneo scoperto presso la costa egiziana.
*-Il Ministro Guidi* rientra precipitosamente in Italia (anche se si ritiene che trattative economiche siano continuate sottobanco).
*-Le autorità italiane* accusano gli inquirenti egiziani di scarsa collaborazione nelle indagini sull’assassinio e l’ambasciatore italiano viene fatto rientrare dal Cairo. Tutta la stampa italiana, ed i partiti ed i movimenti politici, tranne poche eccezioni, si scatenano in una prolungata campagna contro il Governo Egiziano, accusato quale mandante dell’omicidio (ma senza prove concrete).
*-L’Università di Cambridge* rifiuta di collaborare con gli inquirenti italiani per chiarire l’esatto mandato ricevuto da Regeni. Nessuna pressione viene fatta dal Governo Britannico sull’Università di Cambridge o sulla Oxford Analytica perché forniscano chiarimenti sull’attività di Regeni. Lo stesso si può dire per il Governo USA nei confronti dell’Università Americana. Il Governo italiano non esercita pressioni e non prende alcun provvedimento verso le istituzioni ed i Governi di cui sopra.
*-Solo pochi gruppi o persone* in Italia si pongono il problema del “cui prodest”. L’omicidio Regeni ha certamente messo in difficoltà il governo egiziano, posto sotto accusa, e che non aveva interesse ad eliminare un informatore di basso profilo già “bruciato”. L’assassinio ha invece fortemente favorito gli interessi economici di altri paesi, come UK e Francia, che si sono affrettati a concludere una serie di accordi economici con l’Egitto profittando dell’allentamento dei rapporti Italia-Egitto e non mostrando nessuna solidarietà con l’Italia. Non appare peregrina l’ipotesi che l’informatore di basso profilo Regeni, già “bruciato”, sia stato “sacrificato” per creare una situazione come quella descritta sopra, magari con la complicità di qualche gruppo deviato dei servizi egiziani (eventualmente infiltrato dalla Fratellanza Musulmana, all’opposizione).
–*Recentemente il Governo* italiano decide di cambiare politica e riallaccia relazioni con l’Egitto, parlando di partnership ineludibile e di una possibilità di una maggiore collaborazione dei due stati anche nelle indagini.
-Si scatena l’attacco di ampi settori politici e della stampa, spesso facenti parte dell’area dell’interventismo “umanitario” (già sponsor delle guerre in Jugoslavia, Libia e Siria) al Governo, reo di un eccesso di realismo politico. Si comincia però in vari settori ad avanzare anche una critica alla non collaborazione di Cambridge e ad porre ipotesi alternative sull’omicidio e domande sulla reale attività di Regeni.
–*In un’intervista* il gen. Tricarico, ricoprente incarichi governativi (vedi sotto), ribatte alle accuse, parlando di “utili idioti” che non comprendono il reale contesto di questi tragici avvenimenti.
Fulvio Grimaldi
Fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.it
Link: http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2017/09/regeni-
new-york-times-dittatori-caro.html
8.09.2017