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Teheran |
I toni sproporzionatamente aggressivi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump nei confronti dell'Iran riproducono una dinamica piuttosto ricorrente, soprattutto nelle fasi di transizione e assestamento dell'assetto geopolitico mondiale: i governi alleati di oggi sono i peggiori nemici di domani.
La questione del controllo delle potenze straniere sull'Iran emerse per la prima volta alla fine del XIX secolo, durante il regno degli ultimi shah della dinastia turkmena dei Qajar (che guidò il paese dal 1786 al 1925), in concomitanza con due processi concomitanti. In primo luogo, le idee che animavano il dibattito politico-ideologico europeo sui sistemi di governo costituzionali e sulle funzioni del Parlamento penetrarono gradualmente tra gli intellettuali, tra i funzionari e soprattutto tra ulema (clero sciita) e mercanti. Un processo favorito, oltre che dall'aumento dei contatti diplomatici ed economici con l'Europa, anche dalle attività degli intellettuali iraniani in esilio a Costantinopoli e a Calcutta. Infatti, nella seconda metà del XIX secolo, laici, riformisti e religiosi crearono società segrete e, tra XIX e XX secolo, anche organizzazioni la cui struttura era ispirata ai soviet russi. In secondo luogo, negli ultimi decenni dell'800, dopo la sconfitta francese contro la Prussia, le potenze europee dirottarono le loro rivalità al di fuori del vecchio continente, trasformando i conflitti per l'egemonia sull'Europa in una corsa al colonialismo imperialista. In tale contesto l'Iran divenne teatro dello scontro tra Gran Bretagna e Impero russo zarista, che se ne contesero il controllo ostacolandone lo sviluppo e “dirigendo” i cambiamenti socio-politici, persino quelli che, come la rivoluzione costituzionale, avevano tra gli scopi principali l'indipendenza.
Britannici e russi furono i primi istituti bancari iraniani, di cui il primo fu la britannica Imperial Bank of Persia, fondata nel 1889, che inizialmente aveva anche il diritto di sfruttare le risorse minerarie. Di poco successiva fu la fondazione, su iniziativa russa, della Banque des Prêts, poi chiamata Banque d'Escompte de Perse. La creazione di queste banche fu al contempo il risultato e la causa del crescente indebitamento nei confronti delle potenze occidentali degli shah Qajar, che con il loro dispendioso apparato dissestarono le finanze e l'economia del paese, riducendolo a una condizione di semi-colonia. Ad esempio, la fondazione della Imperial Bank of Persia fu autorizzata dallo shah Naser al-Din per pagare parte della cauzione stabilita dall'accordo per la concessione al barone britannico Julius de Reuter del controllo di strade, telegrafi, stabilimenti industriali e dell'estrazione di minerali (1872). Accordo che lo shah aveva dovuto annullare su pressione della Russia e dei cortigiani filorussi. Inoltre, dal punto di vista politico, uno dei problemi principali dei Qajar era lo scarso controllo del paese, per la tendenza a governare più secondo il modello dei capi tribù che secondo i criteri di una monarchia moderna. Basti pensare che l'unico esercito moderno in Iran era la Brigata cosacca, corpo di guardia della dinastia regnante, fondato nel 1879 e comandato da ufficiali russi fino alla rivoluzione bolscevica del 1917.
Anche per questo qualsiasi riforma fiscale per risanare il bilancio era difficile da elaborare e da attuare. Pertanto, nel 1897 il primo ministro iraniano Amin a-Dauleh si rivolse a una squadra di consulenti belgi guidata da Joseph Naus. Il cambiamento, che riguardò soprattutto tasse e dazi doganali, aumentò le entrate fiscali della monarchia iraniana (il successo valse a Naus addirittura la nomina a ministro), ma accrebbe anche il malcontento dei mercanti (per il timore di un aumento delle tasse) e dei cortigiani (gelosi dei loro privilegi). In Iran non esisteva una borghesia, ma la classe mercantile (i cosiddetti bazarì) alla fine del XIX secolo, grazie all'incremento dei commerci aveva conquistato un notevole peso all'interno della società. Perciò l'ostilità dei mercanti nei confronti della dinastia regnante fu determinante sia nella protesta del tabacco del 1891, sia nella rivoluzione costituzionale del 1906. Un contributo decisivo al successo di questi moti venne poi dagli ulema, il cui rapporto di interdipendenza con la monarchia si incrinò tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. Ciò è da imputarsi in buona parte ai tentativi degli ultimi sovrani Qajar di “intromettersi” in settori chiave del potere religioso, quali l'istruzione e i tribunali.
La situazione esplose quando nel 1890 Naser al-Din concesse al maggiore britannico Gerald F. Talbot il monopolio sulla produzione, la vendita e l'esportazione di tabacco per cinquant'anni, in cambio di 15 mila sterline l'anno più un quarto dei profitti. Un accordo che distrusse il mercato locale di un prodotto molto popolare, quindi non solo colpì i mercanti, ma ridusse in miseria una parte consistente dei ceti più vulnerabili, che traevano sostentamento dalla coltivazione e dalla lavorazione del tabacco. Consapevoli di ciò, le autorità iraniane tentarono di mantenere segreta la concessione, ma un giornale fondato dalla diaspora iraniana a Costantinopoli diffuse la notizia. Quando la protesta dilagò tra i mercanti partendo da Shiraz, la guida religiosa di questa città, esiliata in Iraq, entrò in contatto con religiosi e intellettuali di origine persiana e convinse il leader sciita di Najaf a emettere una fatwa che vietasse il consumo e la vendita di tabacco. A causa del boicottaggio sistematico che questo divieto innescò, lo shah annullò la concessione.
Russia e Gran Bretagna intervennero nuovamente quando, nel 1896, Naser al-Din fu ucciso: la Brigata cosacca prese il controllo di Tehran, mentre sul trono fu insediato il figlio di Naser a-Din, Muzaffar a-Din. Al malcontento generato dalle riforme fiscali si aggiunse quindi la crescente preoccupazione per l'ingerenza straniera. Con il parere contrario della Russia, nel 1901 il nuovo shah concluse un accordo con il miliardario britannico William Knox D'Arcy: la Gran Bretagna avrebbe avuto il controllo delle riserve petrolifere iraniane per 60 anni, in cambio di 20 mila sterline e del 16% dei profitti. Nel 1909 i diritti passarono alla neo-fondata Anglo-Persian Oil Company, che nel 1935 divenne Anglo-Iranian Oil Company. La stessa compagnia fu accusata di monopolizzare i proventi del petrolio tenendo segreti i guadagni effettivi, quindi nazionalizzata nel 1952 dal Parlamento iraniano su impulso, tra gli altri, di Mohammad Mossadegh, poi eletto Primo ministro. Ciò innescò la serie di avvenimenti culminata con il colpo di stato che lo depose nel 1953, fu ordito dall'intelligence statunitense: l'Operazione Ajax stroncò l'opposizione laica allo shah Mohammad Reza, le cui violazioni dei diritti umani allora non preoccupavano Stati Uniti e Gran Bretagna.
La convenzione D'Arcy dunque accese ulteriormente il dibattito politico iraniano: tra gli intellettuali riformisti, religiosi e laici, si fece strada l'idea che solo un regime costituzionale, con un Parlamento, avrebbe posto fine all'arbitrio della monarchia, quindi alla dipendenza dell'Iran dalle potenze straniere. Un'ingerenza che preoccupava anche gli ulema, consolidando la loro alleanza con i mercanti e gli artigiani di Tehran e con gli intellettuali riformisti. La rivoluzione costituzionale del 1906 rappresentò quindi un salto di qualità nei metodi rispetto al boicottaggio del tabacco: durante gli scontri con le autorità, molti ulema si rifugiarono nei santuari di Qom, mentre migliaia di mercanti e artigiani chiesero protezione alla delegazione britannica, tutti portando avanti forme di protesta pacifiche organizzate. Lo shah convocò un Parlamento (formato da mercanti, religiosi, funzionari e latifondisti) e ratificò una Costituzione che limitava i suoi poteri, ma morì poco più di un mese dopo. Temendo che l'instabilità politica ostacolasse i loro interessi, Russia e Gran Bretagna conclusero un accordo per spartirsi le zone di influenza in Iran (1907): alle autorità locali rimaneva praticamente solo il controllo della regione centrale. Così, quando nel 1908 lo shah Mohammad Ali, con il sostegno della Brigata cosacca, tentò il colpo di stato per restaurare la monarchia assoluta, Londra e San Pietroburgo (quest'ultima inizialmente schierata con lo shah) intervennero direttamente. Costituzione e Parlamento furono ripristinati e lo shah abdicò in favore del figlio Ahmad, ultimo sovrano della dinastia Qajar.
Alla Gran Bretagna, che non voleva perdere il suo primato economico (in vista del quale il controllo politico era un mezzo), si aggiunsero nel 1910 gli Stati Uniti, che dal secondo dopoguerra tentarono in tutti i modi di imporsi in Medio Oriente, quindi anche in Iran, in funzione anti-sovietica. Basti citare L'Iran-Contras affaire (1985-1986), in cui fu coinvolto anche l'allora presidente USA Ronald Reagan, oltre alla già menzionata operazione Ajax del 1953, con la quale Gran Bretagna e Stati Uniti deposero il Primo ministro Mossadegh, anche organizzando contro di lui manifestazioni di protesta. Il pretesto fu il referendum per lo scioglimento del Parlamento e l'obiettivo era ripristinare il potere “legittimo” dello shah Muhammad Reza, ma il colpo di stato contro Mossadegh fu in realtà una mossa per evitare che il suo governo, sotto l'embargo britannico, intavolasse trattative con l'Unione Sovietica per il commercio del petrolio. Il risultato fu il logoramento delle forze politiche laiche che si opponevano all'arbitrio dello shah e alla subordinazione degli interessi iraniani a quelli di potenze straniere. Lo shah fu poi rovesciato dalla rivoluzione islamica del 1979: shah mat, scacco matto, ossia “il re (shah) è morto”, ma nella logica di potenza, morto uno shah se ne fa sempre un altro.