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Le elezioni turche viste dalla Grecia

By Carlotta Caldonazzo June 25, 2018 7520

Nel quadro delle crescenti tensioni politiche interne e internazionali, i risultati delle elezioni legislative e presidenziali in Turchia potrebbero avere serie ripercussioni sugli equilibri geopolitici non solo del Medio Oriente, ma anche del Mediterraneo orientale, dove gli interessi di Ankara si scontrano con quelli di Atene e dell'Unione europea

Attese dall'attuale presidente Recep Tayyip Erdoğan, che vorrebbe la maggioranza assoluta per presentarsi come il nuovo “padre della patria”, le elezioni legislative e presidenziali del 24 giugno in Turchia suscitano l'attenzione della Grecia, appena formalmente libera dai riflettori della troika e in una posizione delicata all'interno dell'Unione europea. Con Ankara, Atene ha in sospeso questioni cruciali per gli equilibri nel Mediterraneo orientale: la definizione della piattaforma continentale dell'Egeo, Cipro e i diritti di ricerca di giacimenti di gas a largo delle sue coste, gli otto militari turchi fuggiti in Grecia dopo il tentato golpe di luglio 2016 e i due soldati greci arrestati e ancora tenuti “in custodia” dalle autorità turche. Questioni che in Turchia hanno un particolare rilievo politico, soprattutto da quando la crescita economica e la riduzione del tasso di disoccupazione non appaiono più così a portata di mano come negli ultimi due decenni, quindi non sono più argomenti privilegiati a buon mercato in campagna elettorale.

Il partito di Erdoğan, Giustizia e sviluppo (AKP), da almeno tre anni impone una visibilità mediatica quasi esclusiva a temi geopolitici, cui dal luglio 2016 si è aggiunta la guerra ai nemici interni: una soluzione manu militari della questione curda e l'eliminazione del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK, con il quale lo stesso Erdoğan aveva avviato un negoziato nel 2013), il prevalere degli interessi turchi in Medio Oriente, l'espansione dell'influenza turca nei Balcani (dagli anni '90 del secolo scorso, le moschee in Bosnia Erzegovina, Albania, Kosovo e nel Caucaso sono per lo più finanziate da Ankara) e la revisione del Trattato di Losanna del 1923. Un misto di riferimenti simbolici da un lato al padre della patria Mustafa Kemal Atatürk e al nazionalismo turco, dall'altro all'Impero ottomano, al suo espansionismo e al ruolo chiave dell'islam. Simili, se non più radicali le posizioni di Meral Akşener, candidata del Buon Partito (o partito del bene, İyi), nato da una scissione all'interno del Partito del movimento nazionalista di Devlet Bahçeli (MHP, che invece sostiene Erdoğan). Più moderato il candidato dei kemalisti laici e socialdemocratici del Partito popolare repubblicano (CHP, guidato da Kemal Kılıçdaroğlu), Muharrem İnce, professore di fisica di origini contadine. Le proposte più concilianti vengono invece dal Partito democratico dei popoli (HDP, filocurdo, ma in generale sensibile alla giustizia sociale, alla questione di genere e ai diritti delle minoranze), il cui candidato Selahattin Demirtaş seguirà le consultazioni dal carcere.

La volontà di Erdoğan, candidato favorito alle presidenziali, di modificare il trattato di Losanna, manifestata nel dicembre 2017 in occasione della sua storica visita ufficiale ad Atene, rischia di diventare un ulteriore motivo di attrito con la Grecia, acuendo la tensione nel Mar Egeo tra i due paesi, entrambi membri dell'Organizzazione del trattato dell'Atlantico del Nord (NATO). Negli ultimi decenni, a più riprese Ankara e Atene sono state sul punto di dichiararsi guerra. Ad esempio, nel 1996 si è accesa un'aspra disputa, non ancora definitivamente risolta, sul controllo di due isolotti disabitati, chiamati Imia dai greci, Kardak dai turchi: alla fine di gennaio, un elicottero greco da ricognizione precipitò in mare e i tre soldati a bordo morirono (la notizia inizialmente non fu diffusa per evitare ripercussioni internazionali e interne ai due paesi coinvolti), ma la mediazione ufficiosa di Washington sopì momentaneamente la controversia; a maggio dello stesso anno, tuttavia, la collisione tra una motovedetta turca e una greca al largo di questi “scogli” fu seguita da nuove reciproche accuse di sconfinamento (un episodio simile è avvenuto nel febbraio di quest'anno: Erdoğan ha invitato la Grecia a non sottovalutare la Turchia). La crisi ha rischiato nuovamente di esplodere nel maggio 2006, quando un caccia F-16 da combattimento greco e un velivolo da ricognizione RF-4 turco si sono scontrati al di sopra dell'isola di Karpathos, la più meridionale del Dodecaneso: secondo Atene il caccia turco aveva violato lo spazio aereo greco, mentre Ankara accusò l'aviazione militare greca di intralciare le esercitazioni dell'aeronautica militare turca. Non si trattò tuttavia di un episodio isolato: la Hellenic Air Force ha rilevato nel solo 2014 ben 2.224 sconfinamenti. Inoltre, tra gennaio e febbraio 2016, caccia turchi hanno violato più volte lo spazio aereo greco, in particolare sopra le isole di Samos, Chios (Egeo sud-orientale), Limnos e Lesvos (Egeo nord-orientale). Ma l'episodio forse più grave si è verificato il 1 agosto 2017, quando undici F-16 turchi hanno sorvolato le isole dell'Egeo orientale per ben dodici ore, prima di essere intercettati e respinti dall'aviazione militare greca. Il ministero della Difesa di Atene ha aperto un'inchiesta informando le autorità internazionali. Per alcuni analisti si è trattato di una rappresaglia di Ankara a seguito del respingimento di un aereo spia turco CN-235 da parte dell'aeronautica militare greca. Lo scorso aprile, dopo che gli F-16 greci avevano intercettato un drone Uav Turco nei cieli dell'isola di Rodi, il ministro della Difesa greco Panos Kammenos ha annunciato di voler inviare 7.000 soldati nelle isole dell'Egeo e al confine con la Turchia per “far fronte a qualsiasi minaccia”.

 

Oltre alla questione dell'Egeo, un altro tema caldo nel quadro delle relazioni greco-turche è quello di Cipro. Nel 1960 l'isola conquista l'indipendenza dalla Gran Bretagna (cui era stata assegnata dal Trattato di Losanna), che tuttavia vi mantiene le due basi di Akrotiri e Dhekelia con oltre 4.000 soldati. Da subito l'isola è stata oggetto delle mire dei nazionalisti greci e turchi, che ne rivendicavano l'annessione. Negli ultimi anni, la Turchia ha più volte effettuato manovre di disturbo all'interno della Zona economica esclusiva (ZEE) di Cipro, che dal 2004 è membro dell'Unione europea. Questione cipriota e tensioni con la Grecia nell'Egeo sono state le motivazioni per cui la Ankara ha rifiutato di ratificare la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare nel 1988 e ha sempre contestato gli accordi del 2004 tra Cipro, Israele, Libano ed Egitto per la delimitazione delle rispettive ZEE. Lo scorso aprile, inoltre, Ankara ha emesso un nuovo Navtex (Navigational Text Messages), che prevede indagini sismografiche estese anche a zone di competenza cipriota. Un'altra azione di disturbo turca ha coinvolto anche l'Italia: lo scorso febbraio, la marina militare turca ha fermato la piattaforma dell'Eni Saipem 12000, in rotta verso Cipro per iniziare trivellazioni esplorative nei giacimenti di gas naturale, con il permesso di Nicosia (la piattaforma). Erdoğan si era già dichiarato contrario alla presenza dell'Eni nel Mediterraneo orientale, considerando le esplorazioni come “una minaccia” per Cipro e per la Turchia. La questione cipriota va avanti ormai, nella sostanziale indifferenza dell'Europa, dal 1974, quando, dopo il colpo di Stato dei militari greco-ciprioti vicini ai colonnelli greci (e il fallimento della mediazione statunitense), la Turchia invase l'isola occupandone la parte settentrionale. Nel conflitto morirono circa 4.000 persone, tra soldati e civili, mentre i dispersi furono un migliaio. La successiva partizione di Cipro fu seguita inoltre da uno scambio di popolazione forzato, sul modello degli “scambi di popolazione” tra Grecia e Turchia nel 1922: circa 200.000 greco-ciprioti furono costretti a lasciare il territorio della Repubblica turca di Cipro del Nord (non riconosciuta dalle Nazioni Unite), dove furono insediati oltre 300.000 coloni anatolici. Di contro, i militari golpisti ciprioti vicini ai colonnelli greci lanciarono persecuzioni ai danni della minoranza turca e circa 70.000 turco-ciprioti fuggirono al Nord. Una sorta di balcanizzazione ante litteram, che dovrebbe far riflettere i vertici europei e che rischia di coinvolgere anche la Russia, che da qualche anno inizia a riaffacciarsi sul Mediterraneo.

 

La terza spinosa questione che incendia i rapporti tra Ankara e Atene risale invece al luglio 2016. Dopo il tentato golpe, di cui Erdoğan accusa i seguaci del suo ex alleato, il predicatore islamico Fethullah Gülen, otto militari turchi sono fuggiti in Grecia, chiedendo asilo politico. Le insistenti richieste di estradizione da parte della Turchia sono state sistematicamente respinte dalle autorità greche, che hanno inoltrato i dossier alla magistratura, per valutare se ci fossero gli estremi per riconoscere lo status di rifugiato agli otto militari. A fine maggio, il Consiglio di Stato greco ha concesso tale status a uno di loro (con la motivazione che in patria non gli sarebbe garantito il diritto a un processo trasparente), aprendo la strada a misure analoghe per gli altri sette. Immediata la reazione di Ankara, che ha accusato Atene di “proteggere i terroristi”. Occorre notare che dal 2017 le richieste di asilo di cittadini turchi in Grecia sono aumentate di ben dieci volte rispetto al 2016: secondo il Servizio di asilo greco, lo scorso anno 1.827 turchi hanno avanzato richiesta di asilo politico. Inoltre, nel solo febbraio 2018, 17 ex funzionari turchi (tra cui alcuni magistrati) hanno chiesto asilo politico in Grecia, provocando un ulteriore deterioramento dei rapporti tra i due paesi. Il 22 giugno, a soli due giorni dalle consultazioni elettorali, il ministro degli Esteri turco Mevlut Çavuşoğlu ha persino insinuato che Tsipras avrebbe rifiutato l'estradizione degli otto militari turchi a causa di pressioni da parte dell'Unione europea. Gli otto militari ora potranno lasciare il territorio greco, ma la vicenda è complicata dall'arresto da parte delle guardie di frontiera turche di due soldati greci che sostengono di aver accidentalmente sconfinato a causa del maltempo: i due sono detenuti in Turchia dall'inizio di marzo, senza che nessuna accusa sia stata loro formalmente notificata. Il ministro della Giustizia greco Stavros Kontonis li ha definiti “ostaggi” di Ankara e teme che essi possano essere accusati di spionaggio. Secondo fonti diplomatiche greche, la Turchia intenderebbe invece scambiarli con gli otto militari turchi, ma Ankara finora ha smentito, adottando una strategia intimidatoria fatta di provocazioni militari e aggressioni verbali. Intanto, ad aprile, il Parlamento greco ha approvato con procedura accelerata un nuovo piano per la difesa, che prevede l'ammodernamento di armi e mezzi in dotazione all'esercito.

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Last modified on Monday, 25 June 2018 08:10
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