L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Quanto è democratica la società di massa digitale?

By Carlotta Caldonazzo September 16, 2019 6261

Se la disgregazione delle classi lavoratrici ha praticamente estromesso dallo scenario politico le forze che ne rappresentavano le istanze all'interno del sistema democratico, i modelli relazionali che si manifestano attraverso la Rete e le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione hanno accelerato il dissesto di un tessuto sociale già schiacciato dagli ingranaggi del capitalismo globalizzato

 

 

Molte delle crisi politiche e delle rivoluzioni che si sono verificate nel corso della storia affondano le loro radici in un processo di trasformazione radicale delle società interessate. Un esempio fra tutti, la Rivoluzione francese sopraggiunse quando la borghesia, forte del suo peso economico, non poteva più tollerare la supremazia politica della nobiltà e del clero, cardine dell'Ancien Régime. Fenomeni di questo tipo riguardano non solo le società moderne, ma anche, con le dovute differenze storiche, le società antiche, come, ad esempio, quella ateniese del V secolo a.C.: la costruzione di una flotta da guerra su proposta di Temistocle da un lato gettò le basi per un mutamento sensibile degli equilibri politici interni (verso l'instaurazione della «democrazia ateniese», considerata dagli aristocratici una dittatura della maggioranza), dall'altro permise ad Atene di controllare le rotte commerciali marittime e di imporre per qualche decennio la sua talassocrazia nell'Egeo. Nel caso della Rivoluzione francese, la partecipazione delle masse popolari urbane e rurali fu strumentalizzata dalla borghesia che, portando avanti l'istanza di libertà ponendo l'accento sulla sua accezione mercantilistica, neutralizzò progressivamente le rivendicazioni di uguaglianza, imponendosi come classe dominante al posto di nobiltà e clero. Il mutamento degli equilibri tra le forze produttive innescò dunque una rivoluzione politica, che tuttavia non scardinò i rapporti di classe. Di conseguenza, le classi operaie e contadine rimasero in una condizione subalterna, escluse di fatto dal contratto sociale, quindi anche dalla rappresentanza politica. Fu solo nel corso del XIX secolo, dopo la prima rivoluzione industriale e in misura maggiore dopo la seconda, che in Europa occidentale (in particolare in Inghilterra, in Francia e nell'area tedesca) i socialisti portarono al centro del dibattito filosofico-politico i meccanismi di alienazione e oppressione intrinseci al sistema economico capitalista, basato sullo sfruttamento, da parte dei proprietari dei mezzi di produzione, del lavoro delle masse operaie proletarie nelle fabbriche, primo gradino essenziale del ciclo di produzione-consumo delle merci. Per questo, già agli inizi del XIX secolo, in Inghilterra, primo paese industrializzato, furono varate leggi per regolare i rapporti tra proprietari delle fabbriche e operai, con particolare attenzione alla questione del lavoro minorile. Misure insufficienti, tuttavia, a tutelare i lavoratori e, ancor più, a ridurre le diseguaglianze sociali.

 

Tra la fine del XIX e l'inizio del XX, con l'avvento della società industriale di massa, si iniziò a pensare di sfruttare il lavoratore non solo come forza lavoro, ma anche in quanto consumatore, ponendolo quindi ai due estremi della filiera produzione-consumo. Si resero pertanto necessarie misure che migliorassero le sue condizioni di vita, almeno quel tanto da renderlo un potenziale consumatore, per dare slancio alla crescita e all'espansione economiche. A patto, tuttavia, che fosse possibile orientare i comportamenti, influenzando i gusti al fine di orientare i consumi. Ciò significa che da un lato nacque e si diffuse gradualmente un codice di comunicazione pubblicitaria, dall'altro fu escogitato un sistema di bisogni indotti, che faceva apparire i prodotti da smaltire sul mercato come qualcosa di desiderabile, persino necessario. Una misura che consentì al capitalismo di sopravvivere e di espandersi malgrado la linea protezionista adottata dalle grandi potenze del tempo. Contestualmente, le metropoli industrializzate, caratterizzate da ritmi di vita frenetici e da modalità relazionali funzionali all'economia di mercato ma disfunzionali allo sviluppo della personalità individuale, imposero un rigido sistema di ruoli sociali, che tendeva a strutturare l'esistenza umana in base alle esigenze del capitale. Pena, l'emarginazione dalla società, che per molti artisti e intellettuali rappresentava invece una scelta esistenziale. In altri termini, come l'industrializzazione era andata di pari passo con la devastazione miope degli ecosistemi naturali, così la capacità di gestire, attraverso modelli comportamentali, le naturali vite degli individui mirava a indurre questi ultimi a lasciarsi integrare docilmente dagli ingranaggi del capitalismo, che così avrebbe potuto superare le sue cicliche crisi di crescita. Contro un tale stato di cose, i movimenti di massa di contestazione culturale, politica ed economica degli anni '60 e '70 del XX secolo misero in discussione il principio cardine del capitalismo, quello del profitto, lanciando al contempo la riflessione sull'impatto ambientale delle attività umane (ecologia politica). Le dinamiche interne alla società di massa avevano dunque gettato le basi per la nascita di spinte contrarie, altrettanto di massa

Ciononostante, malgrado i progressi ottenuti in termini di diritti civili e di tutela del lavoro salariato, le forze politiche che portarono avanti tali spinte, in quanto organizzazioni di massa, non riuscirono a prosciugare la linfa vitale del capitalismo. Ad esempio, nei regimi sorti dalle rivoluzioni comuniste, in primis quello sovietico, si finì per sostituire al dominio della borghesia quello della burocrazia, senza scardinare la struttura portante della società classista. In secondo luogo, nel decennio che precedette il crollo dell'Unione sovietica, dagli Stati Uniti giunse un nuovo modello, successivamente imposto su scala mondiale dalla globalizzazione. Si trattava di un modello al contempo economico (neoliberista) e socio-culturale (il cosiddetto edonismo reaganiano), che unito a una serie di operazioni stay behind disgregò dall'interno e dal basso le forze politiche che avevano portato avanti fino ad allora le istanze delle classi lavoratrici, già vittime della strategia della tensione. Nel corso degli anni '90, questa proiezione del soft power dell'unica potenza mondiale rimasta, si insinuò anche nei paesi che erano appartenuti alla sfera di influenza sovietica, dove si affiancò all'insorgere o al risorgere di nazionalismi e particolarismi etnici e confessionali. Ciò che oggi viene chiamato populismo o sovranismo non è altro, in realtà, che il riflesso di quei deliri collettivi eterodiretti (i cui riflessi catastrofici sono ormai evidenti, dai Balcani al Medio Oriente) sui suoi stessi mandanti. Il principio secondo il quale l'alleato di oggi è quello contro cui ci si scaglia domani fu applicato, d'altronde, anche all'ascesa del nazifascismo nell'Europa degli anni '20-30 del secolo scorso. In terzo luogo, a partire dagli anni '60 del secolo scorso (in Italia dagli anni '70; https://www.youtube.com/watch?v=kywmDZVjTnw), la diffusione progressiva di eroina tra i giovani delle società occidentali, molti dei quali prendevano parte o erano vicini agli ambienti della contestazione di sinistra, da un lato fiaccò lo spirito critico e le espressioni di dissenso, dall'altro, soprattutto con il diffondersi della tossicodipendenza e della fobia dell'AIDS, istigò diffidenza reciproca disintegrando il sistema di relazioni sociali proposto dai movimenti di protesta. A ciò si aggiunse, in particolare a partire dagli anni '80, la stigmatizzazione del tossicodipendente, che, ben lungi dall'attenuare il fenomeno, è stato uno dei motivi della sua diffusione tra i giovani che intendono dare di sé un'immagine di ribelli. Alle varie forme di rivolta, animate da progetti sociali, culturali e politici, subentra quindi una tendenza a esprimere il proprio disagio attraverso gesti e comportamenti auto-distruttivi.

La rivoluzione digitale che ha accompagnato la globalizzazione nell'ultimo decennio del XX secolo e nei primi decenni del XXI, ha prodotto una nuova società di massa nella quale gli individui, isolati dal tessuto sociale polverizzato dall'egoismo dilagante e schiacciato tra gli ingranaggi del mercato, si illudono di ricostruire una comunità virtuale ideale, fatta di amici (magari followers) e nemici, accrescendo in realtà il proprio isolamento e, con esso, la propria vulnerabilità. Uno spazio in cui ciascuno può riprodurre il proprio modello di società e, prima ancora, i propri modelli di e degli altri. Il prezzo di tale illusione è una condizione quasi permanente di alienazione iperconnessa in cui l'individuo, anziché rivendicare i propri diritti all'interno della società materiale, ripiega nell'elaborazione di una realtà virtuale, in cui proietta e realizza le aspirazioni che rinuncia a perseguire concretamente. In tal senso, lo schermo diviene al contempo lo specchio delle pulsioni profonde e il nuovo palcoscenico delle loro manifestazioni in una dimensione che si pone al di fuori dei limiti naturali della condizione umana. In altri termini, se l'esistenza concreta restringe in una certa misura il campo dell'agire, le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione offrono una via di fuga verso un mondo illusorio, costruito a immagine e somiglianza di ciò che, istante per istante, vorremmo essere. A differenza di quanto avveniva nella società di massa della fine del XIX secolo e degli inizi del XX, nella società di massa digitale, l'individuo sperimenta simultaneamente due tipi di percezione di , l'alienazione sul piano dell'esistenza concreta e l'onnipotenza data dalla Rete, con una tendenza prevalente a preferire le sensazioni e le emozioni suscitate dalla seconda, il che spiegherebbe almeno in parte la diffusione di fenomeni di dipendenza dalla Rete. L'opposizione originaria tra reale e virtuale tende pertanto a lasciare il posto alla sovrapposizione di due realtà parallele separate e al contempo messe in contatto dallo schermo, che consente all'individuo di mascherare a se stesso la propria angoscia esistenziale rifugiandosi nel digitale. Quest'ultimo costituisce infatti una dimensione in cui l'uomo può specchiarsi per vedere non il autentico, bensì una sua immagine ritoccata secondo le proprie inclinazioni e pulsioni passeggere. Inoltre, le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione sono un veicolo di idee, gusti e mode ben più potente di quanto non lo fossero la radio e la televisione, proprio in virtù di questa illusione di rispecchiamento, che induce l'individuo a percepire la Rete come un campo di azione assolutamente libero.

Rate this item
(0 votes)
Last modified on Monday, 16 September 2019 16:23
© 2022 FlipNews All Rights Reserved