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«L'Occidente ha la mania dei distinguo», diceva il pianista canadese Glenn Gould, primo artista nordamericano a esibirsi oltre la cortina di ferro; così, nel quadro della sbandierata antinomia tra democrazie e autocrazie, divenuta, dopo l'implosione dell'Unione sovietica, uno degli slogan della globalizzazione neoliberista trionfante, si sono accumulate contraddizioni che si trovano modo di affiorare, a tratti, nelle maglie del riassetto geopolitico in corso
Calcio(e)mercato
Mentre le polemiche sull'assegnazione al Qatar del ruolo di paese ospitante dell'edizione 2022 dei campionati mondiali di calcio, una volta iniziata la competizione, si sono concentrate per lo più sulla questione dei diritti della comunità LGBTQ, poco o nulla attivisti e governi del blocco occidentale hanno obiettato sulla scelta di Doha come uno dei principali fornitori di gas alternativi alla demonizzata Russia, o sulla sua designazione, da parte del presidente statunitense Joe Biden, come uno dei maggiori alleati di Washington al di fuori dell'Organizzazione del trattato dell' Atlantico Nord (OTAN/NATO). Analogamente, da un lato, i calciatori della nazionale tedesca, in occasione della prima partita del mondiale, si sono fatti fotografare con una mano sulla bocca, esprimendo il loro sdegno per la decisione della Federazione internazionale di calcio dell'Association (FIFA) di impedire agli sportivi in campo di indossare simboli della difesa dei diritti LGBTQ; dall'altro, il 29 novembre, la direzione della Qatar Energy ha annunciato di aver stipulato un accordo con Berlino per l'esportazione di due milioni di tonnellate di gas naturale liquefatto (gnl) ogni anno, a partire dal 2026. Inoltre, il Qatar , uno dei primi paesi al mondo per reddito pro capite e che possiede il più grande giacimento di gas della Terra (il North Field, nel Golfo persico), dai primi anni Duemila ha continuato ad accrescere il proprio potere economico-finanziario in Europa, Germania in primis , senza neanche il bisogno di ricorrere al cosiddetto sportwashing . Ci ha pensato, infatti, il fondo sovrano Qatar Investment Authority , istituito nel 2005 dall'allora emiro Hamad ben Khalifa Al Thani, che, investendo somme di denaro stratosferiche tra Stati uniti ed Europa (si veda, per l'Europa, l'inchiesta Il miraggio dello sceicco , realizzato da Report ). Simili contraddizioni, dunque, hanno dato spunto al presidente della FIFA Gianni Infantino, che nella conferenza di apertura del mondiale a Doha ha aspramente criticato l'ipocrisia e il doppio standard dell'Occidente , ricordando non solo le dure condizioni dei lavoratori stranieri nel vecchio continente (con un riferimento ai suoi ricordi di infanzia, da figlio di migranti italiani in Svizzera), ma anche i disastri causati dalle potenze coloniali «negli ultimi 3500 anni» , per i quali «noi europei dovremmo chiedere perdono per i prossimi 3500 anni, invece di impartire lezioni morali» .
Divisioni Europee
Quanto ai diritti dei lavoratori, benché nelle democrazie neoliberiste euroatlantiche non sia formalmente in vigore un istituto simile alla kafala qatariota, non sono mancati studiosi che, come Marco D'Eramo (si leggano, ad esempio, Il maiale e il grattacielo e il più recente Dominio ), hanno evidenziato il tragico impatto sociale e antropologico del tritacarne iperproduttivista del famigerato mercato del lavoro. D'altronde, se, come ha riportato il quotidiano britannico The Guardian , in Qatar sono morti 6500 lavoratori migranti in dieci anni, tra il 2010 e il 2020, secondo il rapporto annualedell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (Inail), nel solo 2021 in Italia le morti accertate sul lavoro sono state 685. Inoltre, prendendo sempre ad esempio l'Italia, numerosi sono state le inchieste diffuse dai media sulle condizioni di sfruttamento dei migranti (come nei casi accertati di caporalato nelle aziende agricole che servono la grande distribuzione organizzata) e sui fenomeni di tratta in cui incappano nel tentativo di sfuggire alle guerre e alla miseria che affliggono i paesi di origine. Per questo, Infantino, nella conferenza stampa sopra citata, ha invitato il vecchio continente , nel caso in cui tenga davvero alle condizioni dei migranti lavoratori, a « creare canali legali con cui possono andare a lavorare in Europa, come ha fatto il Qatar» (sì!). Peraltro, nella gestione dei flussi migratori il doppio standard europeo è stato velatamente messo in luce dal presidente della Commissione delle Nazioni Unite per la Siria Paulo Pinheiro, che, in un'intervista al canale Euronews , ha richiamato l'attenzione sulla disparità di trattamento ricevuto dai rifugiati ucraini e da quelli siriani (cui si potrebbero aggiungere i profughi dall'Afghanistan, dal resto del Medio Oriente e dal continente africano). Differenza che si è riproposta in occasione delle ultime schermaglie franco-italiane esplose in merito all'approdo della nave Ocean Viking , dell'organizzazione non governativa Sos Méditerranée, ma che potrebbero celare dissidi geostrategici più profondi, a partire dalle posizioni di Roma e Parigi sullo scacchiere libico, che coinvolge, oltre alla Russia, anche la Turchia, potenza regionale dalle aspirazioni (o dalle velleità) imperiali crescenti.
I dilemmi della globalizzazione
Nondimeno, anche Infantino sembra sfuggire al doppio standard euroatlantico, visto che, pur difendendo il Qatar come ospite dell'edizione 2022 dei mondiali di calcio, ha escluso la Russia dalle qualificazioni alla medesima competizione, cui ha preso parte, di contro, l'Arabia Saudita, spesso bersaglio di critiche su questioni sensibili, come la sua partecipazione in prima linea al conflitto in Yemen o l'uccisione del giornalista Jamal Khashoggi. Dunque, due pesi geopolitici, due misure: una logica che espone all'etichetta di dittatore o invasore capi di Stato e di governo non (più) disposti a servire la superpotenza statunitense ei suoi satelliti europei, che sulla nozione di democraziaappaiono sovente più severi con gli altri che con se stessi. Con conseguenze che, talvolta, rasentano il ridicolo, come nel caso dell'accordo di adesione dell'Italia alle nuove vie della seta cinesi ( Belt and Road Initiative – BRI ), fortemente osteggiato dagli Usa, che, opponendosi agli investimenti di Pechino nel porto di Trieste, hanno, di fatto, aperto la strada a un'iniziativa analoga nel porto di Amburgo (si veda, in proposito, la puntata di Presa Direttadel 14 marzo scorso). A proposito delle relazioni tra sino-europee, inoltre, il presidente francese Emmanuel Macron, nella sua ultima visita a Washington, ha esortato gli Usa a non utilizzare l'Europa nella loro rivalità con Pechino. Un atteggiamento pragmatico ed equidistante, che, tuttavia, nessun paese europeo (e neppure i rappresentanti di Bruxelles) ha consigliato in merito alla rivalità tra Washington e Mosca e che ha permesso alla Turchia del presidente Recep Tayyip Erdoğan di acquisire peso geopolitico presentandosi come mediatore, anche in virtù del controllo esercitato sugli stretti strategici che conducono al Mar nero. In altri termini, l'Europa, appiattendosi sugli interessi statunitensi fino ad escludere dalla propria sfera geostrategica due paesi, Russia e Turchia, che storicamente ne hanno sempre fatto parte, ha mancato un'ulteriore occasione di costituirsi come entità geopolitica autonoma, dopo quella clamorosa dell'inizio degli anni '90 del secolo scorso. Una scelta le cui conseguenze rischiano di andare oltre la distruzione dell'Ucraina o le crisi alimentare ed energetica globale.