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L'azione militare israeliana, attuata in risposta agli attacchi terroristici compiuti da "Hamas" il 7 Ottobre scorso, apre a tutta una serie di scenari per il futuro assetto politico della Striscia di Gaza. Il primo di questi, che al momento appare il meno probabile, prevede che nel caso il governo israeliano prendesse atto dell'impossibilità di sconfiggere e sradicare completamente "Hamas" oppure che il numero di vittime civili diventi a tal punto insostenibile da portare ad un'interruzione delle operazioni, si ritornerebbe alla situazione esistente prima del 7 Ottobre, ma con un controllo delle frontiere da parte di Israele assai più rigido di quello precedente. Stando a questa eventualità, Gerusalemme si troverebbe quindi ancora a confrontarsi con "Hamas" che però vedrebbe la sua forza militare ed il suo controllo sul territorio sensibilmente indeboliti. Il blocco totale dei confini produrrebbe degli effetti estremamente pesanti sulla popolazione, dato che sarebbe impedito non solo ai cittadini impiegati in Israele di recarsi al lavoro oltre frontiera, ma pure le stesse forniture di acqua, energia elettrica e medicinali verrebbero rese impossibili al pari di ogni scambio commerciale causando così una completa paralisi dell'economia della Striscia, la quale già prima del conflitto si trovava comunque in una situazione estremamente critica. Il secondo scenario implica una divisione in due zone distinte della Striscia di Gaza ed appare anch'esso di difficile realizzazione. Con il passare delle settimane, è diventato infatti evidente come l'IDF intenda distruggere la struttura di comando di "Hamas" per impedire che il movimento possa riassumere il controllo di Gaza una volta terminate le operazioni. E come sottolineato in un'analisi dal quotidiano britannico "The Telegraph", il proseguimento dell'azione militare comporterebbe pure l'eventualità che il territorio di Gaza possa essere diviso in due parti, una posta a settentrione, nella quale sono avvenuti gli scontri più duri tra le forze israeliane ed i miliziani di "Hamas", ed un'altra nella zona meridionale dove si sono trasferiti gli abitanti messi in fuga dai combattimenti. Nel caso in cui questa ipotesi andasse a concretizzarsi, Israele assumerebbe il controllo della parte settentrionale creando parallelamente una "fascia di sicurezza" a ridosso del territorio della Striscia così da proteggere le città di Ashkelon, Ashdod e Sderot unitamente ai kibbutz presenti nelle vicinanze di Gaza. Al contrario la parte meridionale, dove andrebbero invece a collocarsi la gran parte dei rifugiati, si trasformerebbe in una sorta di vasta"area umanitaria" in cui tuttavia non è chiaro chi andrebbe ad assumere le funzioni di governo e di amministrazione. Si tratta tuttavia di un'ipotesi che presenterebbe non poche implicazioni negative per Israele.
Se difatti sul piano politico questo andrebbe a peggiorare ulteriormente i rapporti tra Gerusalemme e le capitali arabe rallentando anche il processo di normalizzazione con gli altri Paesi islamici, primo fra tutti l'Arabia Saudita, che parevano pronti a riconoscere lo Stato d'Israele, su quello militare non è escluso che in un tale contesto possa svilupparsi anche una sorta di resistenza contro le forze israeliane condotta da "Hamas" e dalle altre formazioni islamiche, costringendo così Israele a fronteggiare una guerriglia che potrebbe estendersi anche al territorio della Cisgiordania con attacchi agli insediamenti dei coloni. Il terzo scenario ipotizzerebbe invece la completa rioccupazione israeliana della Striscia di Gaza, soluzione che riceverebbe il sostegno dei partiti dell'estrema destra ma che presenterebbe per Israele non solo dei costi economici ma anche dei rischi sul piano militare, in quanto costringerebbe le sue forze militari a fronteggiare una situazione di guerriglia ed obbligando le autorità israeliane ad assumere tutte le funzioni amministrative del territorio. E come sottolineato dagli osservatori, questa eventualità finirebbe paradossalmente per indebolire, piuttosto che rafforzare, la sicurezza di Israele. Ed un ulteriore ostacolo a questa soluzione viene pure dal fatto che comporterebbe anche il trasferimento della popolazione residente nella Striscia di Gaza. Come evidenziato in un rapporto riservato redatto dal Ministero dell'Intelligence di Gerusalemme, una volta terminato il conflitto Israele si troverebbe di fronte a tre scenari: il primo prevede il ritorno della Striscia di Gaza sotto il controllo dell'ANP, il secondo la creazione ed il consolidamento di una nuova amministrazione locale araba ed il terzo invece, considerato dagli analisti del dicastero come l'opzione più preferibile in quanto nel lungo periodo rafforzerebbe la sicurezza strategica dello Stato ebraico, appunto il trasferimento verso l'Egitto di un gran numero di abitanti di Gaza, un'ipotesi che però il governo egiziano ha seccamente respinto anche nel timore che tra i rifugiati possano trovare spazio degli esponenti di "Hamas" consentendo così al movimento di estendere la sua influenza nel Paese. I costi finanziari sarebbero poi insostenibili per il governo egiziano. L'ipotesi che Israele possa procedere ad una completa rioccupazione è stata comunque negata dal Presidente israeliano Herzog, il quale ha ribadito come lo Stato ebraico non ha nessuna intenzione di assumere il controllo di un territorio dove risiedono due milioni di arabi, senza contare poi come per gli analisti questa eventualità richiederebbe l'impiego di un gran numero di effettivi militari che dovrebbero rimanere dislocati a Gaza per un periodo quantomai lungo.
Allo stesso modo, anche la possibilità per cui l'ANP riassuma il controllo della Striscia di Gaza appare estremamente problematica. Se infatti da un lato l'ANP in questi anni ha collaborato con il governo israeliano nel campo della sicurezza e dell'intelligence, d'altra parte è però innegabile come l'Autorità Nazionale Palestinese goda ormai di pochi consensi essendo vista da gran parte della popolazione come corrotta ed inefficiente. L'idea di riassumere il controllo di Gaza grazie alle operazioni militari israeliane non incontra poi il favore di diversi dirigenti palestinesi in quanto sarebbe vista in maniera negativa dagli abitanti di Gaza, senza contare poi come anche lo stesso Premier israeliano Netanyahu ha dichiarato la sua assolutà contrarietà a questa soluzione. E come è stato poi evidenziato da alcuni analisti, anche nell'ipotesi che l'ANP riassumesse il controllo della Striscia di Gaza, la sicurezza del territorio resterebbe comunque nelle mani degli israeliani, cosa che, di fatto, porrebbe l'amministrazione dell'ANP sotto il controllo di Israele creando così un rapporto simile a quello esistente nell'"Area C" dei territori della Cisgiordania. E questo, finirebbe per danneggiare ulteriormente l'immagine della dirigenza palestinese presso la popolazione. In questo quadro, si deve però sottolineare come la popolarità di cui attualmente gode "Hamas" tra la popolazione è quantomai bassa mentre il suo controllo sul territorio già prima del conflitto appariva non essere completo, in quanto una serie di servizi pubblici erano gestiti dalle organizzazioni internazionali come l'UNRWA e l'UNICEF e gli stipendi dei dipendenti di alcuni ospedali pagati dall'ANP. Gli ultimi due scenari presi in esame ipotizzano infine o una presenza internazionale nella Striscia oppure il dispiegamento di un contingente militare formato da alcuni Paesi arabi. La prima, descritta dal "The Middle East Institute", ipotizza che nel territorio verrebbe dislocata una forza militare unitamente ad un'amministrazione provvisoria internazionale. Si tratta però di una soluzione di difficile realizzazione, in primo luogo perché richiederebbe l'approvazione del "Consiglio di Sicurezza" e quindi il superamento dei contrasti tra i cinque membri permanenti, in secondo luogo per il fatto che Israele imporrebbe delle condizioni preventive assai rigide quali la chiusura delle frontiere e l'istituzione di una "zona cuscinetto" a tutela delle zone di confine. La seconda, delineata in un'analisi apparsa su "Foreign Policy" e sostenuta anche dall'ex - Direttore dello "Shin Beth", prevede invece che nella Striscia di Gaza venga dispiegato un contingente formato da reparti militari dei Paesi che hanno siglato gli "Accordi di Abramo" al quale spetterebbe il compito di garantire l'ordine con il supporto degli Stati Uniti, della UE e delle Nazioni Unite, mentre sul piano economico i costi della ricostruzione sarebbero assicurati dai fondi provenienti dagli Emirati Arabi e dall'Arabia Saudita e dal Qatar.
Dal lato politico, seguirebbe poi una graduale apertura del territorio di Gaza come primo passo per raggiungere una soluzione negoziata tra le parti coinvolte. Come però ha sottolineato in una sua analisi il "Carnegie Endowment for Peace", non solo l'eventualità di un coinvolgimento dei Paesi arabi appare improbabile visto che questi hanno finora agito in maniera discordante, ma le passate esperienze di operazioni di "peace - keeping" effettuate dalle loro forze militari non si sono rivelate positive. Allo stesso modo, i forti contrasti emersi tra il governo israeliano e le Nazioni Unite rendono problematico un coinvolgimento delle organizzazioni internazionali verso le quali potrebbe anche poi esserci l'ostilità di parte della popolazione. Ed è poi opinione di diversi analisti che, qualora il conflitto si prolungasse e non vi fosse più nessuna autorità od istituzione funzionante in grado di amministrare il territorio di Gaza, la gestione dell'ordine pubblico e della sicurezza finisca per passare nelle mani di gruppi criminali o di "comitati" sorti spontaneamente nei campi e tra la popolazione.
Si tratta quindi di scenari che al momento appaiono poco realistici e la cui possibile implementazione dipende dal corso che prenderanno gli eventi militari e politici delle prossime settimane.
Per gentile concessione di
“Vision & Global Trends – the Platform for Futures Issues and Challenges”