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Parlare oggi di “occupazione” come origine del conflitto israelo-palestinese significa ignorare la storia o, peggio, riscriverla. Nel 1964, quando nacque l’OLP, Gaza era sotto controllo egiziano, la Cisgiordania era giordana. Israele non occupava quei territori. E allora perché nacque l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina? Non certo per liberare Gaza o Ramallah, ma per cancellare Israele. Lo dichiaravano apertamente: eliminare lo Stato ebraico, gettare gli ebrei nel mare. E questa è la radice autentica del conflitto, ben lontana dalla retorica dell’occupazione. Nel 1967, Israele reagisce a una minaccia militare concreta e prende il controllo di Gaza e Cisgiordania nella Guerra dei Sei Giorni. Da allora, prova ripetutamente a trattare con i palestinesi, offrendo loro pace e territori. Nel 2000, Ehud Barak propone il 97% dei territori richiesti. Rifiutato. Come sempre. Poi arriva il 2005: Israele si ritira da Gaza. Smantella insediamenti, rimuove con forza i propri cittadini, perfino le tombe degli ebrei per proteggerle da profanazioni. Nessun ebreo, né vivo né morto, resta a Gaza. E ancora: Israele lascia le serre, infrastrutture agricole funzionanti che esportavano milioni di fiori in Europa. Un intero settore economico regalato, con il supporto anche di imprenditori privati internazionali. Cosa fanno i palestinesi nelle prime 24 ore? Distruggono tutto ciò che era stato impiantato da Israele dalle sinagoghe alle serre e, persino, gli impianti. Iniziano a smantellare e non a costruire.
Peraltro, poi, arrivano le elezioni ed Hamas prende il controllo. Una donna, la prima donna eletta si vanta pubblicamente di aver mandato tre suoi figli a morire da attentatori suicidi e promette di sacrificarne altri sette. Con queste dichiarazioni fu celebrata la democrazia? È questa la guida politica che avrebbe dovuto costruire uno Stato? Hamas non ha liberato Gaza, anzi l’ha trasformata in una prigione. E con tutti quei miliardi ricevuti in aiuti internazionali invece di investire in ospedali, scuole ed infrastrutture civili, ha costruito una rete di tunnel sotterranei più vasta della metropolitana di New York. E non per difendere i civili, ma per trasportare armi ed organizzare attentati. Gaza aveva tutto per diventare una Singapore del Medio Oriente. È stata un’occasione storica, ma è stata sprecata. E allora, chi continua a parlare solo di “occupazione” dovrebbe guardare ai fatti. Per decenni, il popolo palestinese ha avuto opportunità concrete per costruire pace e prosperità, ma le ha rifiutate. Purtroppo, ha scelto la via della distruzione, della propaganda e del martirio, come identità nazionale. La sofferenza dei civili palestinesi è reale, ma non è tutta colpa di Israele. È frutto anche, e soprattutto, di una guida politica che ha preferito la guerra alla convivenza e la morte alla vita. Riposizionare la storia al centro del dibattito non significa negare le sofferenze, ma smascherare le narrazioni distorte che impediscono una soluzione reale e finché il mondo, giustificherà tutto, in nome di una presunta occupazione, continuerà a condannare i palestinesi a restare ostaggi del loro stesso passato.