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Nel profluvio di statistiche con le quali passiamo il tempo prima dell'arrivo sulla scena nel primo pomeriggio di Super Mario, al secolo Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea, vi è il dato sui prezzi al consumo in Italia che segnala una flessione dello 0,2 per cento su base mensile e una variazione negativa dell'indice dei prezzi al consumo italiano dello 0,3 per cento ove rapportato allo stesso mese dell'anno precedente.
Non darei molta importanza a questo dato, perché la componente petrolifera in forte calo è destinata a far registrare sensibili incrementi dopo che il prezzo al barile del WTI, dopo essersi spinto nella parte alta dell'area dei venti dollari, ha bruscamente invertito la rotta e si è portato in vista dei 35 dollari al barile, segnando un incremento del 30 per cento circa rispetto ai minimi e anche altre componenti del paniere sono destinate a segnare rialzi nei prossimi mesi per cui il CPI italiano dovrebbe uscire dall'attuale stato di letargo.
Ma cosa è in realtà la deflazione? Non è altro che la variazione negativa dell'indice dei prezzi al consumo, un'eventualità, quella che stiamo vivendo negli ultimi mesi (non tutti in verità), che dovrebbe solo fare felici i consumatori in quanto il pieno costa meno, non quanto dovrebbe ma certamente meno, la spesa al supermercato, complici anche le offerte più o meno strepitose, se non costa meno almeno non aumenta a parità di prodotti acquistati e, anche nel settore dei servizi, si nota se non una variazione negativa delle tariffe quasi raddoppiate al momento della conversione tra la lira e l'euro, quantomeno una staticità o minori variazioni dei prezzi; ma allora perché dovremmo preoccuparci di un fenomeno che, come dicevo all'inizio, rischia anche di mostrarsi alquanto effimero?
Ebbene, un problema c'è in quanto si tratta di una spia evidente di uno stato alquanto depresso sia della domanda di beni di consumo che dei prezzi all'ingrosso, che anticipano le variazioni di quelli al consumo, ma, e forse soprattutto, della tendenza dei consumatori, in presenza di flessioni dei prezzi, a rinviare i consumi in attesa, non sempre premiata, di ulteriori variazioni al ribasso, ma gli effetti più rilevanti riguardano il settore finanziario e in particolare modo le banche che lamentano di fare scarsi profitti in uno scenario che vede contemporaneamente tassi bassi e variazioni negative dell'indice dei prezzi al consumo. Un discorso a parte riguarda la situazione dei debitori che non vedono ridursi, come solitamente accade, il carico del loro debito espresso in termini reali!