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Lo Stato deve intervenire prima che il cittadino affondi nei debiti

By Massimo Blandini October 28, 2025 262

C’è un momento, nella vita di una persona, in cui il peso dei conti da pagare diventa insostenibile. Non è solo una questione di numeri, di saldo negativo o di scadenze che si accumulano. È la sensazione di sprofondare lentamente, senza che nessuno tenda una mano. È in quel momento che lo Stato dovrebbe farsi sentire, non quando il danno è ormai compiuto. Il problema non è tanto la durata della crisi personale o familiare, breve o lunga che sia, ma il punto di rottura. Quel momento critico in cui un cittadino non riesce più a pagare l’affitto, le bollette, le rate del mutuo o a onorare i propri debiti. Quando accade, la spirale dell’indebitamento si avvita su se stessa e diventa quasi impossibile risalire. In una società che si definisce giusta e solidale, lo Stato non può restare spettatore. Non può limitarsi a intervenire con aiuti tardivi o misure tampone, quando le famiglie hanno già perso tutto la casa, la serenità e la fiducia. La povertà, una volta entrata, lascia ferite profonde che non si rimarginano facilmente. Perciò, l’intervento pubblico dovrebbe avvenire prima che la situazione degeneri, quando ancora è possibile salvare le persone dal baratro.

Ciò significa creare meccanismi di prevenzione, strumenti flessibili ed accessibili a chi, pur lavorando e facendo sacrifici, non riesce a far fronte agli impegni economici. Un sostegno temporaneo, ma decisivo, per evitare che la difficoltà diventi cronica. Peraltro, aiutare chi è in difficoltà non vuol dire premiare l’inadempienza, ma significa, piuttosto, difendere la dignità delle persone e la tenuta sociale del Paese. Perciò, quando un cittadino affonda nei debiti, non perde solo denaro, ma perde la fiducia nelle istituzioni, nel futuro e nella possibilità di rialzarsi. E, ribadisco, senza la fiducia, nessuna economia può funzionare davvero. Oggi, l’Italia affronta una realtà fatta di famiglie sempre più fragili e di giovani che, nonostante il lavoro, faticano a sostenersi. Gli stipendi restano bassi, il costo della vita aumenta e i margini per risparmiare sono quasi inesistenti. Un guasto all’auto, una bolletta più alta del previsto ed una spesa medica imprevista basta poco causare uno scivolamento in un vortice da cui è difficile uscire. Lo Stato, però, spesso arriva tardi e le misure di sostegno vengono approvate con mesi di ritardo, peraltro, i bandi sono complicati, le procedure lente e scoraggianti. Peraltro, la gente si arrangia e chiede prestiti, si indebita, rinuncia a curarsi, a riscaldare la casa e perfino a mangiare in modo dignitoso. Occorre una politica economica che prevenga, non che rincorra. Un sistema capace di intercettare per tempo i segnali di difficoltà e perciò il lavoratore che perde il posto, la famiglia che non riesce a pagare l’affitto, e l’artigiano che non riceve i pagamenti dai clienti.

Ogni storia ha il suo momento di svolta, e in quel momento serve presenza, e non burocrazia. Si potrebbe partire dal rafforzare i servizi territoriali di ascolto e sostegno economico, ma oggi, spesso, ridotti all’osso. Inoltre, potenziare il reddito di emergenza per chi attraversa un periodo di crisi, anche breve. E, aggiungerei, poi, promuovere la rinegoziazione dei debiti, consentendo a chi è in buona fede di trovare accordi sostenibili con banche, locatori e fornitori. Un’altra strada è quella dell’educazione finanziaria, non come materia per specialisti, ma come strumento quotidiano di cittadinanza. Sapere gestire le proprie spese, capire le clausole dei contratti, e conoscere i propri diritti e doveri si possono includere nella prevenzione. Il debito, in fondo, non è un fallimento morale. È una condizione umana che può riguardare chiunque, peraltro, in un momento di fragilità. Per questo, una società moderna deve saper distinguere tra chi evade e chi non ce la fa. E deve avere il coraggio di dire che aiutare il secondo non significa essere deboli, ma giusti. Intervenire prima, invece di punire dopo dovrebbe essere la nuova missione dello Stato Sociale, perché dietro ogni insolvenza c’è una storia umana di fatica, e dietro ogni fallimento c’è spesso solo l’assenza di un aiuto nel momento giusto. E allora sì, lo Stato deve intervenire, ma non con la forza dei pignoramenti o dei sequestri. Deve farlo con la forza della solidarietà, quella che tiene insieme una comunità e la rende più umana.

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