L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
Dopo un'attesa durata parecchi mesi, i risparmiatori coinvolti nel dissesto di Banca Etruria, Carimarche, Cariferrara e Carichieti hanno visto accendersi la luce verde su un provvedimento del Governo che prevede, a partire da un fondo portato da 100 a 300 milioni circa di euro, la possibilità di coprire in tutto o in parte quanto da loro perso investendo in obbligazioni subordinate delle stesse banche, in molti casi senza ricevere adeguate informazioni sulla rischiosità dell'investimento che stavano effettuando, situazioni spesso al limite, limite spesso superato, della truffa orchestrata da dipendenti di queste banche, come dimostrano i recenti sviluppi dell'inchiesta della procura di Arezzo su Banca Etruria.
Il provvedimento governativo prevede però alcuni paletti, il primo dei quali è dato dal fatto che le obbligazioni devono essere state sottoscritte prima del 12 giugno 2014, quando è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la nuova normativa sui salvataggi bancari nell'eurozona approvata anche dall'Italia con l'introduzione del bail in, mentre il secondo è rappresentato dal fatto che il reddito lordo del richiedente non deve superare i 35 mila euro e la sua posizione in titoli non deve superare i 100 mila euro; in ogni caso, invece del rimborso automatico si potrà ricorrere all'arbitrato presso l'autorità anticorruzione guidata da Cantone.
Perché il caso di queste quattro banche di dimensioni tutto sommato modeste è così importante, al punto da condizionare l'andamento in borsa di banche di ben maggiori dimensioni nel primo trimestre di quest'anno di disgrazia 2016? Semplicemente perché si è trattato del primo caso di applicazione del bail in, la normativa europea che prevede che, in caso di dissesto, siano gli azionisti, gli obbligazionisti e i correntisti per le somme che eccedano la soglia dei 100 mila euro a pagare entro il limite dell'8 per cento dell'attivo della banca coinvolta, un meccanismo che sostituisce il cosiddetto bail out che prevede, invece, che al salvataggio contribuiscano tutti gli incolpevoli e ignari contribuenti.
Ma, se il bail in entrava in vigore solo alcuni mesi dopo, e precisamente il primo gennaio 2016, perché si è scelto di percorrere questa strada alquanto sanguinosa? La tesi del Governo è che altrimenti si sarebbe andati al fallimento vero e proprio delle quattro banche, con conseguenze sulla stabilità delle zone interessate, nonché il licenziamento di qualche migliaio di dipendenti delle banche stesse, una tesi che si fonda tuttavia sul presupposto che il Governo non avrebbe proceduto al salvataggio pubblico delle quattro banche, pur essendo lo stesso ammissibile a quella data dalla normativa europea vigente.
Emblematica è l'idea di stabilire uno spartiacque per i rimborsi automatici alla data del 12 giugno 2014, data nella quale il meccanismo del bail in viene approvato in sede italiana, una data che ha tagliato fuori dall'automaticità solo 186 investitori che avevano acquistato on line le obbligazioni al 50-60 per cento del loro valore e sono stati così classificati come speculatori, tesi che condivido appieno!