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Mancano oramai meno di due settimane al momento. giovedì 23 giugno, nel quale ci sarà la prova della verità sulla semplice opzione offerta dal referendum ai cittadini britannici e che consiste nel decidere se restare nell'Unione europea a 28 paesi, dei quali una ventina aderenti all'euro, o uscirne definitivamente, una scelta che sembra francamente incredibile per una Gran Bretagna che paga il conto meno salato al bilancio comunitario e che gode del più alto numero di opting out rispetto a tutti gli altri paesi dell'Unione e che non più tardi del febbraio di questo anno di disgrazia 2016 ha conseguito ulteriori deroghe su quattro punti tra cui la non applicazione dei benefici del welfare per molti anni agli stranieri, inclusi, e forse soprattutto, quelli provenienti da altri paesi membri dell'Unione.
Come ricorderà chi ha letto le precedenti puntate del Diario della crisi finanziaria sull'argomento, vi è stata una levata di scudi da parte dei governanti di altri paesi del mondo occidentale, Barack Obama in testa, di organismi economici sovranazionali, singoli imprenditori ed opinion makers che hanno "avvertito" i cittadini britannici dei rischi elevatissimi per l'economia di quel paese e per la stessa occupazione, per non parlare dei conti con l'estero, un pressing molto pesante e ai limiti dell'ingerenza che ha finito per avere, a quanto pare dai più recenti sondaggi, addirittura un effetto negativo aumentando le schiere dei sostenitori del leave e riducendo quelle di quanti sono schierati per il remain.
Il rischio che, a differenza del referendum scozzese dello scorso anno, si arrivi ad un esito elettorale favorevole all'uscita della Gran Bretagna dall'Unione è stato per prime percepito dalle grandi banche di investimento, in particolare di quelle basate nella City di Londra, che hanno commissionato costosissimi sondaggi riservati che hanno rivelato in anticipo di questa nuova tendenza (avvertita anche da larga parte dell'establishment britannico) tendenza che è vista con grande preoccupazione e che ha spinto molti dei loro clienti a scelte di investimento basata sul principio del fly to quality, privilegiando i titoli di Stato statunitensi, quelli tedeschi (giunti ormai a rendimenti dello 0,02 per cento) e anche quelli britannici, il tutto mentre la sterlina continua ad essere in posizione di grande debolezza.
Ma, come si sarebbe detto un tempo, non tutto è perduto in questa battaglia che per un certo tempo è stata sottovalutata, anche per l'attivismo oltre che di Cameron e di alcuni suoi ministri, del partito laburista che vede nel nuovo sindaco di Londra un astro emergente che sta spendendosi molto per evitare la Brexit, dei leaders sindacali che temono per gli inevitabili riflessi sull'economia e sull'occupazione e dell'intera nazione scozzese, ma anche in parte di quella gallese, che vede nell'Unione europea un ombrello difensivo in favore delle sue istanze indipendentiste, anche se anche in Gran Bretagna, come del resto nel resto dell'Europa, il vento dell'antipolitica e dell'isolazionismo spirano molto forti!