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La terza fase della tempesta perfetta in corso sui mercati, in particolare modo su quelli europei, ha imposto delle perdite anche ai più ricchi, in quanto il forte calo dei corsi azionari delle loro aziende ha determinato flessioni dei loro portafogli, come evidenziano le più recenti statistiche di Forbes che segnalano cali nell'ordine del 15 per cento in media, ma parliamo, almeno con riferimento ai paperoni italiani, di cifre miliardarie e che in molti casi sono diversificate sui mercati azionari mondiali per cui c'è sempre la speranza che le perdite subite da una parte si possano in contemporanea o in un prossimo futuro recuperarle da un'altra.
Ho letto proprio in questi giorni un'analisi del modello svedese, un paese che segue abbastanza pedissequamente il modello keynesiano di sviluppo e che parte da un principio molto caro all'economista Davide Ricardo e che postula che, al di là del livello della ricchezza personale, è difficile che si possano fare più di tre pasti al giorno, un paese sostanzialmente immune alla crisi e che adotta un sistema di redistribuzione della ricchezza, in gran parte tramite il suo sistema tributario e alle norme sulla successione, che lo rendono un paese autenticamente socialista, al di là del fatto che governino i socialdemocratici o forze di centrodestra, un paese dove la povertà indotta dalla non facile congiuntura internazionale colpisce una percentuale minima della popolazione, così come marginale è la percentuale dei senza lavoro e che ha fatto fino in fondo la sua parte nell'accoglienza e integrazione dei richiedenti asilo mentre agisce in modo deciso nei confronti di quanti vorrebbero partecipare al suo sistema avanzato di welfare per motivi esclusivamente economici.
Ovviamente, la Svezia non è immune al fenomeno dei movimenti populisti, antieuropei e spesso razzisti e xenofobi, ma sostanzialmente, almeno fino ad ora, un solida maggioranza dei cittadini di quel paese crede ancora alle ricette dei partiti di centrosinistra e di centrodestra che continuano ad alternarsi al governo.
Questo lungo preambolo è utile per venire alle cose di casa nostra, in quanto mai come in questi ultimi quindici anni la distribuzione della ricchezza e conseguentemente dei redditi ha raggiunto livelli di iniquità di gran lunga superiori a quelli registrati nelle precedenti fasi della vita economica a partire dal secondo dopoguerra, una situazione che non solo fa crescere in modo sempre più evidente le fasce di povertà ed emarginazione, ma rappresenta anche un freno endemico alla crescita economica a causa della diversa propensione al consumo delle classi più abbienti rispetto a quella pari quasi a cento delle classi più bisognose, una situazione che si è accentuata grazie alle rendite di posizione determinatesi con l'introduzione mal governata e mal gestita dell'euro, come ben hanno capito i pensionati con assegni da un milione di lire quando si sono trovati a percepire assegni da 516 euro, parlo dei pensionati non perché i lavoratori dipendenti non si siano trovati di fronte ad uno shock simile ma, almeno sulla carta, avevano l'arma della contrattazione salariale che poteva ridurre, almeno in parte, il gap che si era venuto determinando in un breve volgere di mesi.
La mini redistribuzione del reddito attuata attraverso i provvedimenti del Governo Renzi, pur procurando un certo sollievo ai dieci milioni circa di percettori degli 80 euro mensili in più in busta paga, avviene a carico delle casse dello Stato, mentre sarebbero necessarie maggiori imposte sui grandi patrimoni immobiliari e sulle grandi ricchezze accompagnati da significativi sgravi fiscali sulle classi di reddito basse e medie, una manovra da cui verrebbe quella spinta ai consumi che realmente sarebbe in grado di imprimere un impulso alla crescita dell'anemico prodotto interno italiano e il tutto dovrebbe accompagnarsi ad una commissione di inchiesta parlamentare su quello che è avvenuto nel processo di transizione tra la lira e l'euro nei settori del commercio, del lavoro autonomo e delle libere professioni!