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Aldo Capitini |
Una illuminante ricerca di Livia Romano.
Nell’ambito della ormai ricchissima bibliografia relativa ad Aldo Capitini, ritengo meriti un posto di particolare rilievo il bellissimo libro di Livia Romano La pedagogia di Aldo Capitini e la democrazia. Orizzonti di formazione per l’uomo nuovo (Franco Angeli, Milano 2014), illuminante ricerca che ruota intorno alla ferma convinzione che l’intera opera di Capitini sia sorretta da un forte progetto pedagogico e debba essere considerata, pertanto, una vera e propria “filosofia paidetica” (p.13) avente come obiettivo la costruzione di una democrazia capace di spingersi oltre i propri limiti, facendosi “omnicrazia”.
La natura della democrazia - infatti - essendo necessariamente dialogica, implica e impone il rispetto di sé e degli altri, e la democrazia, di conseguenza, per potersi realmente affermare, non dovrà essere semplicemente “insegnata”, bensì occorrerà educare ad essere democratici. La democrazia, infatti, non è cosa su cui potersi limitare a riflettere, bensì cosa da vivere.
Alla base di tutto il pensiero di Capitini sarebbe possibile riscontrare la presenza di una vigorosa esigenza educativa che, prendendo le mosse da una coscienza appassionata della finitezza, intenda produrre un processo di “crescita eterna” mirante al raggiungimento dell’”omicrazia”, “attraverso la costruzione di una democrazia comunitaria che afferma la centralità di un soggetto relazionale e aperto”, apertura di credito verso chiunque, in quanto ritenuto sempre capace di operare radicali cambiamenti evolutivi (pp.14-15).
Ed educazione democratica, per il filosofo perugino, “ mosso com’è dalla preoccupazione di dare voce agli esclusi dalla storia, alle minoranze che si trovano in una condizione di svantaggio e di emarginazione” significa - sottolinea opportunamente la Romano - innanzitutto educazione alla differenza, “un’educazione che si propone di superare l’angoscia dell’alterità, l’idea che gli altri rappresentino una forza di aggressione di fronte a cui l’individuo si chiude in se stesso come un atomo, non riconoscendosi nella comunione con i tutti” (p.14).
Ma l’educazione democratica è anche vera pratica religiosa e la riforma religiosa rappresenta in Capitini la premessa ineludibile di una efficace riforma sociale e politica. (p.16)
Il mondo intero, infatti, viene sentito come laboratorio in cui il “persuaso” è chiamato a mettere alla prova, realizzandola praticamente, la propria religiosità, in una sorta di “misticismo militante”, in cui l’impegno pratico prevale su quello contemplativo, venendo così ad annullare il dualismo fede-politica.
Quello di Capitini sarebbe un vero “misticismo pratico”, frutto di un attento e meditato confronto fra tradizione mistica occidentale e grandi maestri spirituali orientali.
La democrazia profetizzata da Aldo Capitini è una democrazia planetaria rivolta all’”uomo nuovo”, protagonista di una civiltà cosmica, in un mondo senza confini fondato sull’amore. E ciò sarà reso possibile solo grazie ad una educazione alla democrazia incentrata sul valore della “compresenza” (p.19), intesa come apertura al “tu-tutti” e implicante una conversione del cuore in interiore homine (p.24), “come atto religioso che naturalmente conduce ad una realtà diversa e liberata”, nella prospettiva della creazione di una democrazia pienamente realizzata: l’ “omnicrazia”.
Aprirsi alla compresenza significa che l’io non è più solo, ma con altri, con i tutti, ivi inclusi (ed è senz’altro uno degli elementi più originali del pensiero capitiniano) i morti.
“Apritevi e muterete la vostra vita, - scrive il filosofo della nonviolenza - accorgendovi che la compresenza c’è.” (Ed. ap. 1, cit. p.73)
Lo sguardo di Aldo Capitini è quello di un acuto (e scomodo) “maestro del sospetto”, con forti affinità soprattutto con Schopenhauer, per la cruda e onestissima consapevolezza dei limiti, del male e della sofferenza presenti nella natura. Ma la “disperanza” del filosofo tedesco si trasforma, in lui, in luminosa speranza, incentrata sul concetto di compresenza, ovvero nella convinzione di poter ritrovare Dio nell’intimo della coscienza e viverlo nell’incontro corale fra tutti gli esseri.
Riconoscimento della finitezza, quindi, senza rimanerne intrappolati. E coscienza del limite non disperata ma appassionata, facendo sì che la tensione religiosa si aggiunga positivamente sia all’appello leopardiano all’affratellamento solidale che alla nirvanica aspirazione schopenhaueriana (p.32), ricomponendo “nella compresenza la lacerazione tra realtà contingente e realtà trascendente” (p.33), e dando vita ad un movimento continuo e aperto tra finito e infinito. E ben fa la Romano ad evidenziare le non poche affinità, soprattutto per quanto attiene all’apertura verso il pensiero orientale, con Pietro Martinetti, altro grande pensatore del nostro primo Novecento ancora troppo poco conosciuto e studiato. (p.37)
Capitini, in quanto “mistico militante”, si fa quindi continuamente e insistentemente “filosofo della prassi” (p.94) in cui la relazione con Dio si configura come
“ incontro dinamico che avviene con un tu che è insieme Dio e tutti gli esseri, viventi e non viventi, che partecipano alla stessa comune realtà della compresenza”. (p.96)
Il suo Dio non è un Dio che si rivela, ma un dio che “si dà nella compresenza” e di cui sentiamo la massima vicinanza vivendo la realtà di tutti e l’apertura alla realtà liberata. Dio è infinita possibilità e apertura, “perciò è atto di unità amore con tutti, verso l’intimo, e aggiungente una realtà liberata.”
E il dio capitiniano è un dio deinfernizzato che “salva tutti”, che esclude categoricamente la possibilità di distinguere, separare e contrapporre eletti e dannati. Un dio che potrebbe essere inteso come la raffigurazione suprema della triade di:
libertà – gratuità – amore.
“Il “mistico pratico,” - scrive Livia Romano - grazie all’incontro con il divino, sa di appartenere a un’altra dimensione, la realtà della compresenza”.
In Capitini è fermissima e irrinunciabile l’esigenza di affermare una dimensione religiosa liberata da ogni tendenza alla separazione, in modo tale da far coincidere educazione religiosa con educazione democratica. E ciò non in una prospettiva utopica che rinvii ad un domani che potrebbe rivelarsi un “mai”, bensì in quella di una tramutazione che comincia oggi. (p. 101)
Perché Capitini
“vuole indicare all’essere umano la via per uscire fuori dalla storia, cioè dall’insieme di tradizioni, guerre, violenze, soprusi, ingiustizie, e creare le condizioni necessarie per fare posto ad un’altra storia, una storia i cui protagonisti non siano più gli eroi, i ricchi e i potenti, ma tutti, anche gli emarginati, gli umili, i folli, i derelitti, i poveri, i malati.” (p.157)
Il principale obiettivo è quindi una formazione “post-egoica” che sappia restituire l’uomo a se stesso.
“L’utopia di Capitini - conclude efficacemente la Romano - non è un sogno irrealizzabile, è molto di più, è una profezia per il nostro tempo, che è possibile realizzare attraverso un’ educazione democratica che si concretizzi nel rapporto reciproco e fruttuoso tra religiosità autentica e politicità consapevole. La sua profezia è quindi un’utopia pedagogica. Che ha in sé una progettualità educativa che la apre alla sua futura realizzazione concreta. E’ possibile, credo, nel tempo della liquidità e della post-democrazia, rileggere la compresenza come un principio pedagogico che ha il compito di aprire nuovi orizzonti internazionali: infatti l’omnicrazia, riconducendo tutti all’unità-amore, eleva la coscienza individuale e collettiva, portandola al massimo orizzonte possibile. L’educazione alla post-democrazia dà così vita ad una nuova comprensione e alla necessità di una collaborazione internazionale che, come pensa Capitini, non può limitarsi ad una conoscenza superficiale degli altri e delle istituzioni internazionali, ma deve muovere anche l’animo a sentire l’unità con tutti.”
(p.217)
Livia Romano
La pedagogia di Aldo Capitini e la democrazia. Orizzonti di formazione per l'uomo nuovo
Franco Angeli, Milano 2014