L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
Una storia poco conosciuta ma che merita di essere raccontata è quella di Giulia Tofana che visse nel XVII secolo tra Palermo e Roma, narrata dalla penna di Adriana Assini, scrittrice a acquarellista romana, autrice di diversi romanzi storici come Le rose di Cordova, 2007, Un caffè con Robespierre, 2016, Agnese, una Visconti, 2018.
Giulia, “figlia di cento padri” tanti sono stati clienti della madre, nasce a Palermo in una condizione di estrema povertà e sin da quando era adolescente inizia l'arte antica della meretrice; il suo merito (o forse quello di sua madre) è quello di aver inventato una pozione capace di dare la morte senza destare sospetti di avvelenamento.
Grazie all'amicizia con un frate speziale che la riforniva delle “polveri” necessarie, mise a punto la sua miscela che rimase nella storia con il nome di “acqua tofana”:
“...in una pignatta otturata col sapone per impedire che sfiatasse, non bolliva la solida brodaglia servita a pranzo e a cena, bensì un composto che richiedeva mano esperta, precisione nelle dosi e una certa perizia nel mescolare due once di arsenico, un mezzo tari d'antimonio con una foglietta d'acqua chiara”.
I suoi servigi erano per clienti di diverse estrazioni sociali: c'era chi pagava “100 doppie d'oro”, mentre, a chi non poteva permetterselo, Giulia chiedeva in cambio un paniere di uova fresche o un boccale di farina.
Giulia scelse di usare questa capacità farmacologica per metterla a servizio delle donne che avevano subito abusi da parte dei mariti.
Bastavano poche gocce da mettere nella zuppa o nel vino mantenendo però rigore e regolarità e “ci si poteva liberare dei nemici nel giro di poche settimane senza correre il rischio di essere scoperti”.
Infatti l'abilità di Giulia è stata quella di essersi esercitata nella creazione di un liquido insapore, trasparente e senza odore. Nei primi giorni l'effetto era quello comune a molto malanni come febbre o vomito per arrivare poi all'attacco di cuore ma mantenendo un colorito roseo che allontanava ogni sospetto di omicidio.
Giulia si raccomandava alla donna di non dare nell'occhio e di mantenere un atteggiamento consono alla malattia prima e al lutto poi.
“Io sono la speranza di tante sventurate che nessun giudice difende, che nessun Santo protegge: ci oltraggiano ma non ci domandano perdono, ci uccidono e se la cavano con una ammenda; di fronte a simili ingiustizie non posso che vantarmi della mia invenzione”.
La giustizia è questione di maschi, e Giulia lo sa.
“...Se i magistrati avessero più a cuore la giustizia di Giulia Tofana non ce ne sarebbe alcun bisogno, ma nei tribunali sono tutti uomini e gli uomini vogliono il male delle donne, nonostante siano carne della loro carne”.
Costretta a lasciare Palermo insieme alla sorella Gerolama per alcuni ombre inquisitoriali che aleggiavano su di lei, portandosi dietro le quattro sante protettrici della città (Agata, Ninfa, Cristina e Oliva) arrivò a Roma seguendo frate Girolamo, dove continuò la sua missione di assassina di mariti violenti e non voluti. La sua acqua tofana porterà alla morte 600 vittime, e l'inquisizione murerà a vita le mogli a palazzo Pucci a Porta Cavalleggeri.
Due amori si intrecciano nella vita della protagonista: il barone Manfredi che arriverà fino a Roma per cercarla e quello di Frate Girolamo, che nonostante i suoi abiti religiosi, la amerà e si dedicherà al suo benessere intercedendo per la sua salvezza fino alla fine.
Un romanzo scorrevole, che ben delinea e tratteggia la forza della protagonista, sottolineando la sua assertività e la sua sicurezza. Giulia, infatti, non ha mai calpestato se stessa e fino all'ultima pagina la vediamo rifiutare situazioni di comodità per mantenere fede alla sua libertà di donna.
ADRIANA ASSINI
GIULIA TOFANA
Gli amori, i veleni
Scrittura e Scritture editore