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Intorno a questioni di estrema complessità e delicatezza, sia sotto il profilo strettamente scientifico, sia sotto quello etico-filosofico, giuridico e religioso, come quelle della “donazione degli organi” e dei trapianti, siamo sfortunatamente obbligati a constatare l’assenza pressoché assoluta di pluralismo di posizioni e di relativo dibattito. Domina, infatti, incontrastata una sola opinione dichiaratamente schierata a favore di dette pratiche, in nome del progresso della medicina, della solidarietà e della cosiddetta “cultura del dono”. E tutte le voci critiche, che sono tutt’altro che poche e insignificanti, di medici, filosofi e teologi, vengono sistematicamente ignorate e svilite.
Per riflettere e ragionare intorno ai vari aspetti problematici relativi al concetto di “morte cerebrale” e alla pratica trapiantistica, nel pomeriggio dello scorso 20 novembre, presso la sede romana dell’AVA (Associazione Vegan Animalista), organizzato dall’infaticabile Franco Libero Manco, ha avuto luogo una appassionata conferenza di Roberto Fantini, autore di Vivi o Morti? *, un libro utilissimo per orientarsi in maniera critica e indipendente in tale ambito.
Il relatore ha sottolineato la grave e preoccupante mancanza di informazione obiettiva, prendendo le mosse dall’analisi puntuale della stessa dichiarazione rilasciata dalla Commissione di Harvard che, nel 1968, introdusse quella “nuova definizione di morte” denominata morte cerebrale, ritenuta (e risultata) indispensabile per alleggerire le strutture pubbliche del peso di un numero sempre crescente di pazienti in condizione di coma giudicato irreversibile, e per sollevare i chirurghi espiantatori-trapiantatori da possibili accuse giudiziarie per omicidio.
Da tale analisi è emerso in maniera chiarissima il carattere meramente convenzionale ed utilitaristico di tale nuova definizione della morte, capace di trasformare, di fatto, pazienti gravemente lesi nelle loro facoltà cerebrali (e probabilmente avviati verso la conclusione della propria esistenza terrena, ma ancora vivi!) in veri e propri magazzini di organi perfettamente funzionanti da destinare ad altri corpi.
Particolarmente illuminanti, fra le tante letture e citazioni (da Hans Jonas a Robert Spaemann, da Joseph Seifert a Giovanni Paolo II) le lucidissime domande rivolte da Mercedes Arzù Wilson (membro della Pontificia Accademia per la Vita) ai sostenitori dell’ideologia trapiantistica, domande che dovrebbero indurci a riflettere e ad operare scelte con la massima prudenza, diffidenza e consapevolezza:
“Facciamo loro queste domande:
- Se il donatore “cerebralmente morto” è davvero morto,
perché continuano ad alimentarlo con le flebo?
- Perché, a volte, gli si fanno delle trasfusioni?
- Perché si somministrano ormoni tiroidei e surrenali?
- Perché necessitano dell’anestesia per espiantare gli organi? È forse perché l’anestesista e le infermiere si troverebbero a disagio nel vedere il supposto “cadavere”, che respira con l’assistenza di un ventilatore, muoversi mentre loro tagliano il torace del donatore per prelevarne il cuore, il fegato o il pancreas?
E È forse per evitare che il donatore si dimeni con paura quando il chirurgo dà inizio all’espianto dei suoi organi, oltre che per rassicurare l’impensierito staff medico che il donatore “cerebralmente morto” è realmente morto?
Prima di cominciare ad usare droghe paralizzanti è stato necessario convincere alcuni membri dello staff che dubitavano che il donatore fosse davvero morto.
- È curioso notare che, anche se il donatore è paralizzato, il battito del cuore e la pressione del sangue aumentano non appena il cuore inizia ad essere estratto.
- Come mai questi cosiddetti “cadaveri” non si decompongono per giorni e a volte per mesi?
- Come può una donna incinta, cosiddetta “cerebralmente morta”, continuare per mesi a mantenere in vita nel suo grembo un bambino ed essere definita cadavere?
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*Roberto Fantini, Vivi o Morti? Morte cerebrale e trapianto di organi: certezze vere e false, dubbi e interrogativi.
Edizione aggiornata e ampliata.
EDIZIONI EFESTO
Roma settembre 2023