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Roma - teatro- Ritorno a casa. Il dilemma della non-appartenenza

By Massimo Fabbri May 26, 2025 86

 

Al Teatro Argentina di Roma – dal 7 al 25 maggio - Massimo Popolizio (in veste di attore e regista) porta in scena la sua versione della celebre commedia di Harold Pinter, Ritorno a casa (Homecoming) portato alla luce nel 1964. In questa nuova rappresentazione, Popolizio mette in risalto l’aspetto più conturbante dell’opera del famoso drammaturgo inglese, dipingendo uno scenario sordido e composito, sospeso tra drammaticità e ironia.

Fin dal suo inizio, la storia trasporta il pubblico in un contesto domestico completamente abbandonato a sé stesso, teso e visibilmente decadente. In quell’abitazione proletaria situata nella periferia londinese domina una routine familiare fiacca e stantia, incarnata dal ruolo che ogni singolo membro conduce nella sua gretta quanto pittoresca spontaneità. Max (interpretato da Popolizio) è un ex macellaio ed è l’unico che, dopo la morte di sua moglie Jessie, muove le redini della casa, nella quale vi abitano i suoi figli Lenny (Christian la Rosa) e Joey (Alberto Onofrietti), insieme a Sam (Paolo Musio), fratello di Max e da quest’ultimo continuamente vessato. Il contesto casalingo è una gabbia animalesca in cui prevale la forza logorante dell’abitudine, della totale assenza di dignità morale e della grossolana ostentazione di virilità maschile. Tutto si muove come se nell’ambiente non vi fosse traccia di coscienza: i membri della famiglia sprecano il tempo in futilità, sopraffatti dalla leadership di un capofamiglia astioso che “troneggia” grottescamente nel proprio orgoglio rivangando occasionalmente presunte glorie passate del mestiere di macellaio, tramandato a lui da suo padre. Il disordine della casa stessa sembra riflettere quella trascuratezza nei rapporti reciproci; eccetto la testa di bovino appesa alla parete (per l’appunto), unico vanto che funge da “trofeo in vetrina” capace – a detta di Max – di procurare un briciolo di credibilità all’onore della famiglia.

La normalità viene spezzata dall’arrivo inaspettato di un altro figlio di Max, ovvero Teddy (Eros Pascale), professore di filosofia di ritorno dall’America. Teddy - all’insaputa di suo padre – è sposato con Ruth, giovane e avvenente ragazza, con la quale ha avuto tre figli. Il suo ritorno nella casa di famiglia decostruisce l’ordine di ruoli consolidati, familiari e sociali, all’interno del quale la sola voce in capitolo, atta a comandare e a stabilire regole, era quella impositiva di Max. Ruth si dimostrerà più astuta di quanto gli altri membri della famiglia possano aspettarsi, considerandola semplicemente mero “oggetto di piacere” funzionale alla gratificazione del maschio. Nel caso di Ruth sarà proprio la smania di piacere e godimento a portata di mano di Max, Lenny e Joey a trasformarla in una manipolatrice femme fatale con desiderio di potere; la forza misogina di Max e della sua famiglia, con l’esclusione di Teddy – vera vittima della situazione –, si rivelerà essere in realtà la grande debolezza di cui Ruth si farà gioco. Alla fine, contro la volontà di suo marito Teddy, che tornerà negli States da solo dai loro tre figli, Ruth deciderà di rimanere con Max e il resto della famiglia in Inghilterra per darsi alla prostituzione, mestiere che grazie alle sue doti femminili potrebbe rivelarsi redditizio per tutti. Tuttavia, sarà lei a stabilire le condizioni sugli alloggi e le relative comodità, fino ad avere l’ultima parola su ogni aspetto. Contrariamente agli imperativi incalzanti di Max, in Ruth c’è l’abile affermazione di una volontà che non si impone con la voce, bensì con un simbolismo corporeo che sfoggia tutta la sua sensualità.

Tutto si chiude con una considerazione finale. Il ritorno nella casa natia da parte di Teddy dopo anni dimostra l’inconsistenza di un concetto di “casa” che sfugge al suo significato più autentico. Non può esistere casa senza famiglia, né famiglia senza appartenenza. Teddy spera ingenuamente in un legame primigenio che, malgrado le evidenti differenze rispetto al padre e ai fratelli, avvicina e riduce le distanze; ma soprattutto, scardina l’idea di famiglia radicata sulla mera condivisione di spazi. Il distacco affettivo tra familiari rende ognuno dei protagonisti nient’altro che una presenza ingombrante e autoreferenziale. La “casa” di cui parlava Pinter, non accoglie, non lenisce i dolori di una persona amata ne ristora dagli affanni della quotidianità. La casa diventa uno scenario tragico e ambiguo allo stesso tempo, totalmente deprivato della sua più genuina umanità.

Il vuoto affettivo che l’intimità familiare dovrebbe colmare lascia il posto alla dialettica tra desiderio e vulnerabilità. Ruth svolge il suo lavoro sessuale per riconquistare la sua “autorevolezza” femminile, sentirsi sicura e a proprio agio con la sua vera natura anche in luoghi a lei sconosciuti, verso i quali non condivide familiarità alcuna. La famiglia di Teddy, nel suo torpore domestico, vede nella new entry l’occasione propizia per scuotere la polvere di quella dinamica routinaria, colorita e indolente. Max e suo figlio Lenny pensano alla ragazza come a un soggetto inerme, da soggiogare e imprimervi la loro autorità come garanzia per un sicuro ritorno nel circuito degli affari di famiglia. In realtà, l’intento di Ruth svela con indubbia chiarezza proprio quel male dal quale verrà tutto quanto a dipanarsi: la casa non è più un rifugio, nemmeno per coloro che la abitano da tempo, ma una trappola che invece di arginare accresce l’abbrutimento e alimenta frustrazioni e sentimenti repressi.

La storia si sviluppa come coabitazione forzata, intervallata, grazie all’effervescenza registica ed attoriale di Popolizio, da situazioni brillanti e tragicomiche, che smorzano l’aspetto più turpe e crudo della realtà raccontata. Non mancano, tuttavia, quei silenzi prolungati che sostituiscono la verbosità dei personaggi per spostare l’attenzione su quel nulla che penetra nell’animo come nei meandri della casa. Popolizio ripropone con un’incisività autoriale l’immagine di un microcosmo sociale che Pinter aveva portato per la prima volta in scena negli anni ’60: la famiglia è lo specchio fedele dei grandi cambiamenti della società, di quel caos latente che diviene escalation, genera attriti con l’ambiente circostante, trasforma chi ci è più vicino in un estraneo. E proprio nella rivendicazione narrata da Popolizio, si nasconde, tra i nostri desideri insoddisfatti, il germe della disgregazione.

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Last modified on Monday, 26 May 2025 10:44
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